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Quando il nostro cuore ci condanna

Vi sono cristiani che nonostante si siano ravveduti dai loro peccati e si siano affidati a Gesù Cristo per la loro salvezza, ancora sentono in sé stessi pensieri contrastanti e dubbi. "Ma sarò poi veramente perdonato? E se mi fossi sbagliato? E se solo mi illudessi?". Questi pensieri possono ancora in una certa misura tormentarli. Sono pensieri suggeriti sia dal proprio cuore che dalle insinuazioni di Satana stesso che vorrebbe farli mettere in dubbio la pace che abbiamo con Dio. Di Satana, infatti, è scritto che egli è: "l'accusatore dei nostri fratelli, colui che giorno e notte li accusava davanti al nostro Dio" (Apocalisse 12:10).

La Scrittura tratta di questi casi quando dice:

"Poiché se il nostro cuore ci condanna, Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa. Carissimi, se il nostro cuore non ci condanna, abbiamo fiducia davanti a Dio" (1 Giovanni 3:20,21).
Questo versetto è di effettiva consolazione per il cristiano che si sente indebitamente in colpa quando, nonostante le rassicurazioni dell'amore di Dio che la Parola gli rivolge, sente le accuse che continuamente gli rivolge la propria coscienza, il proprio cuore. Questo versetto afferma che dobbiamo fidarci più di Dio che del nostro cuore, cuore che spesso è ingannevole. Infatti: "Il cuore è ingannevole più di ogni altra cosa, e insanabilmente maligno; chi potrà conoscerlo?" (Geremia 17:9).

La situazione è simile a quella dell'apostolo Pietro. Pietro aveva rinnegato Gesù. Era stato indubbiamente un peccato grave. Pietro se nera rammaricato sinceramente (se n'era ravveduto) perché aveva sempre amato Gesù di tutto cuore e ancora Lo amava. Pietro viene perdonato da Gesù quando viene reso partecipe della Sua risurrezione. Pietro, però, ha in sé stesso sentimenti contraddittori, uno strascico di sensi di colpa, il timore, da cui non riesce a liberarsi, di non essere stato effettivamente perdonato. Da un lato Pietro sa che Gesù l'ha perdonato e sa di amare Gesù, dall'altro non riesce a liberarsi dal senso di colpa per averlo rinnegato: la sua coscienza continua ad accusarlo ed a prospettargli la condanna. Teme di ingannare sé stesso sulla sua reale condizione. Gesù, così, interviene personalmente per risolvere questa sua tensione interiore e rassicuralo del Suo amore e del Suo effettivo perdono.
 

"Quand'ebbero fatto colazione, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone di Giovanni, mi ami più di questi?» Egli rispose: «Sì, Signore, tu sai che ti voglio bene». Gesù gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, una seconda volta: «Simone di Giovanni, mi ami?» Egli rispose: «Sì, Signore; tu sai che ti voglio bene». Gesù gli disse: «Pastura le mie pecore». Gli disse la terza volta: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene?» Pietro fu rattristato che egli avesse detto la terza volta: «Mi vuoi bene?» E gli rispose: «Signore, tu sai ogni cosa; tu conosci che ti voglio bene». Gesù gli disse: «Pasci le mie pecore" (Giovanni 21:15-17).


Gesù insiste a chiedere a Pietro se egli Lo ama per fargli comprendere come l'amore (quello che Gesù ha per lui e lui per Gesù) è tale da vincere ogni senso di colpa ed eliminare ogni condanna "perché l'amore copre una gran quantità di peccati" (1 Pietro 4:8). Quando per la terza volta Gesù gli chiede: «Mi vuoi bene?», Pietro Gli risponde: «Signore, tu sai ogni cosa; tu conosci che ti voglio bene»Pietro fa così appello ad una testimonianza più grande ed affidabile della sua coscienza: Dio stesso, che conosce ogni cosa secondo verità.

Lo stesso dice l'apostolo Paolo:

"A me poi pochissimo importa di essere giudicato da voi o da un tribunale umano; anzi, non mi giudico neppure da me stesso. Infatti non ho coscienza di alcuna colpa; non per questo però sono giustificato; colui che mi giudica è il Signore" (1 Corinzi 4:3-4).
La coscienza è importante, ma non completamente affidabile. Anche in questo caso il giudizio che conta è quello del Signore, ciò che la Sua Parola stabilisce.

Il Signore conosce l'amore che ho per lui, il mio desiderio di servirlo, di ubbidire ai Suoi comandamenti e questo lo si vede nei fatti. Ho molte debolezze ed incoerenze, però. Il Signore conosce tutto questo e ne ha compassione. La mia fiducia, così, non si basa su ciò che sento in me e su ciò che faccio (che sarà sempre inadeguato nonostante le mie migliori intenzioni), ma dalle affermazioni della grazia, della misericordia e dell'amore di Dio manifestatami in Gesù Cristo.

Allora potremo tacitare (giustamente) il senso di colpa ed avere fiducia nella grazia di Dio, di essere in pace con Lui e del fatto che Egli si prende cura di noi rispondendo alle nostre preghiere: "Carissimi, se il nostro cuore non ci condanna, abbiamo fiducia davanti a Dio; e qualunque cosa chiediamo la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo ciò che gli è gradito" (21,22).

Giovanni non intende dire che tutti coloro che non hanno sensi di colpa possano stare sicuri davanti a Dio. Alcuni, infatti, hanno la coscienza che brucia in loro e devono ravvedersi, altri sono ignoranti della verità. La "sincerità" non li salverà, ma li salverà la sincerità nella verità. Qui si parla di cristiani, persone che si sono ravvedute dai propri peccati e confidano in Cristo per la loro salvezza, cristiani che si rallegrano di seguire Cristo ubbidendo ai Suoi comandamenti. Può essere ancora il caso che questi si sentano in colpa per qualcosa nonostante abbiano confessato ed abbandonato il proprio peccato. Per loro solo una maggiore consapevolezza del perdono che oggettivamente hanno ricevuto in Cristo, può vincere le inaffidabili sensazioni soggettive.

Ecco pure perché è importante rammentare sempre di nuovo a noi stessi le promesse dell'Evangelo attraverso la meditazione della Sua Parola e la pratica delle ordinanze del Battesimo e della Cena del Signore.