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Quando la coscienza rimorde

Credenti e non credenti hanno una coscienza che rende testimonianza in loro che la legge di Dio è impressa nel loro cuore. Per quanto riguarda gli increduli, l'Apostolo scrive: "Essi dimostrano che quanto la legge comanda è scritto nei loro cuori, perché la loro coscienza ne rende testimonianza e i loro pensieri si accusano o anche si scusano a vicenda" (Romani 2:15).

La propria coscienza può essere più o meno repressa e/o tacitata, ma di fronte ad una trasgressione, al "ne ho combinata una", la coscienza rimorde, causa "tristezza" (secondo il linguaggio biblico). Questa "tristezza", però, può essere di due tipi diversi: la "tristezza secondo il mondo" e "la tristezza secondo Dio". "Perché la tristezza secondo Dio produce un ravvedimento che porta alla salvezza, del quale non c'è mai da pentirsi; ma la tristezza del mondo produce la morte" (2 Corinzi 7:10).

La prima è quella dell'incredulo, e la seconda quella dell'autentico cristiano, della persona che Dio ha spiritualmente rigenerato. La "tristezza secondo il mondo" sorge dal peccato e non è altro che lo spavento che incute la coscienza ferita e l'apprensione che sorge dall'attendersi da parte di Dio di un castigo. La "tristezza secondo Dio", invece, sorge dal dolore di avere rattristato Dio, e così disprezzato la Sua grazia e bontà e porta al ravvedimento. La "tristezza secondo il mondo" sorge dall'apprensione causata da un inevitabile castigo, è la paura del castigo e non produce nulla di costruttivo. La "tristezza secondo Dio" è sentirsi addolorati a causa del peccato in quanto tale, un dolore aumentato dal fatto che il castigo che merito è caduto su Cristo al posto mio e non su di me.

La "tristezza secondo Dio" ha caratteristiche tali in presenza delle quali si può distinguere se una persona sia un autentico figliolo di Dio oppure no.

Le caratteristiche della "tristezza secondo Dio" sono descritte dall'apostolo Paolo in 2 Corinzi 7:11. La traduzione italiana di questo versetto è così oscura che il suo significato spesso non solo ci sfugge, ma rischiamo di travisarlo. Dice:"Infatti, ecco quanta premura ha prodotto in voi questa vostra tristezza secondo Dio, anzi, quante scuse, quanto sdegno, quanto timore, quanto desiderio, quanto zelo, quale punizione! In ogni maniera avete dimostrato di essere puri in questo affare". Ne riprendo la spiegazione dal saggio "La dottrina dell'elezione" di A. W. Pink.

Quale caratteristiche ha, dunque, "la tristezza secondo Dio"? Ce ne sono sette.

(1) La prima è la "premura" (o "sollecitudine"). Il termine "premura" significa in primo luogo "fretta" e poi "attenzione, riguardo particolare verso qualcuno o qualcosa", diligenza - il suo opposto è negligenza ed indifferenza. La "tristezza secondo Dio" promuove la determinazione ad operare per porre rimedio all'errore o al peccato commesso.
(2) La seconda è le "scuse" (o "giustificazione"), cioè il proprio dispiacimento e il chiedere perdono. Il suo opposto è sforzarsi a negare il fatto, a giustificarlo nel senso di trovare scusanti, attenuanti, "cause" come se fossimo stati sopraffatti da qualcosa di "più forte di noi" e "non abbiamo potuto resistere", tanto da dire "non è stata colpa nostra".
(3) In terzo luogo lo "sdegno (o "indignazione"). Invece che esserne indifferente, la persona che ha "tristezza secondo Dio" è "indignata" nel senso di "disgustata di sé stessa", "arrabbiata con sé stessa" per aver commesso tali atti riprovevoli.
(4) in quarto luogo "timore", timore di ripetere l'atto, l'ansia prodotta nella mente dalla sola possibilità di ricadervi.
(5) In quindo luogo: "desiderio" (o "affetto", "affezione", "bramosia" a seconda delle traduzioni), il desiderio che Dio ci assista e ci rafforzi per non incorrere di nuovo in tale errore.
(6) In sesto luogo "zelo", nel praticare quei sacri doveri che sono all'opposto di quel peccato.
(7) In settimo luogo: "punizione" (o "soddisfazione") di sé stesso, il desiderio di mortificare sé stesso ogni giorno per "tenere a bada" reprimere la propria vecchia natura peccaminosa. Quando una persona trova in sé stessa questi frutti, non deve dubitare che la sua "tristezza" sia davvero "secondo Dio", cioè sia davvero ravvedimento.

Quando la coscienza mi rimorde, si tratta di una "tristezza secondo il mondo" o di "tristezza secondo Dio"? La cosa la dice lunga su chi io sono...