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Un autentico risveglio è fondato su una robusta teologia

In certi ambienti spesso si parla della necessità di un risveglio nella chiesa e per promuoverlo si pensa spesso solo alla promozione di una spiritualità basata sull’emozionalismo e sul sentimentalismo. Il che viene tipicamente attuato mediante l’uso di disoneste tecniche manipolatorie fatte passare per l’opera dello Spirito Santo. Il vero risveglio, che solo è opera sovrana di Dio, però, si poggia sulle basi di una robusta e chiara teologia biblica che promuove l’Evangelo biblico. Esso non è individualistico ma risulta nella concreta e riconoscibile riforma del modo di pensare e d’agire della chiesa e della società.

Rimango sempre perplesso quando vedo affissi di una chiesa che annuncia una “riunione di risveglio” o più semplicemente “un risveglio”. Spesso annunciano la data ed il luogo in cui una chiesa sarà impegnata in “un risveglio”. Spesso rimangono, però, solo malintese “pie intenzioni”. Mi domando, infatti, come sia mai possibile mettere un risveglio in agenda… I veri risvegli sono provocati dall’opera sovrana di Dio attraverso il movimento dello Spirito Santo che scuote il torpore delle persone per suscitarne l’azione. Un risveglio accade quando lo Spirito Santo soffia potentemente nella “valle delle ossa secche” (Ezechiele 37) e, esercitando straordinariamente la Sua forza, infonde nuova vita, ravvivando la vita spirituale del popolo di Dio.

Questa sorta di cose non può essere manipolata da un qualsiasi programma umano in cui si vogliano mettere in atto tecniche manipolatorie, magari teorizzate e sperimentate da “esperti del settore”. Storicamente, nessuno aveva messo in agenda il risveglio della Riforma protestante, né il Grande Risveglio americano era stato annotato a matita sul calendario di qualcuno. Questi avvenimenti epocali della storia della chiesa erano stati innescati dall’opera sovrana di Dio che aveva investito inaspettatamente chiese moribonde con la forza irresistibile della Sua potenza.

Dobbiamo però comprendere la differenza che esiste fra risveglio e riforma. Risveglio significa scuotere dal torpore e dal sonno per tornare ad essere ben svegli, consapevoli ed attivi; significa “rivitalizzazione”, nuova vita. Nel caso specifico, risveglio significa comunità cristiane che tornano ad essere quello che dovrebbero essere. È quando per una comunità cristiana l’evangelizzazione (biblicamente intesa)  torna ad essere una priorità[1], questo “protendersi verso l’esterno” che spesso risulta in un risveglio. Questi risvegli di vita spirituale, però, non sempre risultano in riforma. La riforma indica un “cambiamento di forma” nell’artmosfera e nella vita della chiesa e della società. I risvegli si trasformano in riforma quando l’impatto dell’Evangelo biblico inizia a trasformare le strutture della stessa società, la sua cultura, il suo modo di pensare e di agire. I risvegli possono certo produrre molti nuovi cristiani, ma questi nuovi cristiani devono poi necessariamente crescere, maturare, prima che essi inizino ad avere un impatto significativo nella società e cultura in cui vivono.

La riforma può implicare un cambiamento per il meglio. Non dobbiamo, però, essere così ingenui da pensare che tutti i cambiamenti siano necessariamente buoni. A volte, quando sentiamo di essere in stato di stasi o che non c’è progresso alcuno, aneliamo al cambiamento, dimenticando però che il cambiamento può essere regressivo piuttosto che progressivo. Se bevo una fiala di veleno, mi cambia sì, ma non per il meglio. Tuttavia, il cambiamento è spesso buono.

Nei nostri giorni stiamo assistendo in tutto il mondo ad un ampiamente documentabile risveglio di dottrine proprie del Calvinismo. Esso tende a concentrarsi soprattutto in quelli che sono chiamati “i Cinque punti del Calvinismo”[2]. Questo movimento nella chiesa sta attraendo oggi molta attenzione, persino da parte della stampa secolare. Non sarebbe saggio, però, identificare il Calvinismo solo in quei cinque punti. Piuttosto, quei cinque punti devono essere necessariamente un sentiero o un ponte verso l’intera struttura della teologia riformata. Lo stesso Charles Spurgeon rilevava come “Calvinismo” sia semplicemente un soprannome per la teologia biblica. Egli e molti altri titani del passato comprendevano che l’essenza della teologia riformata non possa essere ridotta a quei cinque particolari punti evidenziati secoli fa in Olanda in risposta alla controversia con gli Arminiani, i quali sollevavano obiezioni verso cinque punti specifici del sistema di dottrina che si riscontra nel Calvinismo storico. Può essere così utile qui considerare brevemente che cosa sia e che cosa non sia la teologia riformata.

La teologia riformata non è un insieme caotico di idee sconnesse. Al contrario, la teologia riformata è sistematica. La Bibbia, essendo Parola di Dio, riflette la coerenza e l’unità del Dio del quale è Parola. Certo, sarebbe una distorsione forzare la Scrittura in un sistema di pensiero che le fosse estraneo, rendendovela conforme come se fosse un letto di Procuste[3]. Questo non è il fine di una sana teologia sistematica. Una teologia sistematica cerca piuttosto di comprendere il sistema di teologia contenuto nell’intero arco delle Sacre Scritture. Non impone idee alla Bibbia, ma ascolta le idee che vi vengono proclamate e le comprende in maniera coerente.

La teologia riformata non è antropocentrica, vale a dire, che gira solo attorno a ciò che è umano, che si occupa solo delle cose di questo mondo. Il punto focale della teologia riformata è Dio, e la dottrina su Dio permea tutto il pensiero riformato. La teologia riformata può così essere considerata teocentrica: la sua comprensione di chi è Dio, del Suo carattere, è primaria e determinante rispetto alla sua comprensione di ogni altra dottrina. La sua comprensione della salvezza ha, nel suo stesso cuore, un fattore che la controlla: la particolare comprensione del carattere sovrano di Dio.

La teologia riformata non è anti-cattolica. Questo puà sembrare strano, dato che la teologia riformata è cresciuta dal movimento protestante contro gli insegnamenti e l’attività del Cattolicesimo romano. Il termine “cattolico”, però, si riferisce al Cristianesimo cattolico, vale a dire universale, l’essenza del quale si trova nei concili ecumenici dei primi mille anni della storia del Cristianesimo, particolarmente quelli dei primi concili della Chiesa, come il Concilio di Nicea nel IV secolo ed il Concilio di Calcedonia, nel V secolo. Questi articoli contengono articoli di fede comuni condivisi  da tutte le denominazioni che abbracciano il Cristianesimo ortodosso, dottrine come la Trinità e l’espiazione vicaria operata da Cristo. Le dottrine affermate da tutti i cristiani stanno al cuore stesso del Calvinismo. Il Calvinismo non si distanzia da quelle dottrine alla ricerca di una nuova teologia, ma sostiene coerentemente la base teologica comune dell’intera Chiesa universale, e perciò, in questo senso, cattolica.

La teologia riformata non è cattolico-romana nella sua comprensione della Giustificazione. Questo vuol semplicemente dire che la teologia riformata è evangelica nel senso storico della parola. A questo riguardo, la teologia riformata concorda fermamente con Martin Lutero e con gli altri Riformatori magistrali nel come hanno articolato la dottrina della giustificazione per grazia mediante la sola fede, come pure le dottrine del Sola Scriptura. Queste dottrine, in quanto tali, non sono esplicitamente affermate nei Cinque punti del Calvinismo, ma, in un certo senso, esse sono parte del fondamento su cui si poggiano le altre caratteristiche della teologia riformata.

Possiamo così dire di trascendere i semplici Cinque punti del Calvinismo ed assumere un’intera concezione del mondo. Essa si fonda sul concetto biblico di Alleanza. È sacramentale. È impegnata a trasformare la cultura. È subordinata all’opera dello Spirito Santo, e può vantare una ricca struttura che ci permette di comprendere l’intero consiglio di Dio rivelato nella Bibbia.


Diventa così implicito che lo sviluppo più importante che porterà alla riforma non sia semplicemente il risveglio del Calvinismo. Ciò che deve avvenire è il rinnovamento della nostra comprensione dell’Evangelo stesso. È solo quando l’Evangelo viene proclamato in tutta la sua pienezza che Dio esercita la Sua potenza di redenzione nel realizzare il rinnovamento della chiesa e del mondo. È nell’Evangelo biblico e in null’altro che Dio ha fatto risiedere la Sua potenza per la salvezza di chiunque vi si affida.

Non siamo quindi per un “risveglio” monco, tutte emozioni e sentimentalismo, ma vuoto di robusta dottrina biblica e non siamo per un risveglio individualistico che non risulti (come sarebbe necessario) in un’autentica riforma, trasformazione della chiesa, del tessuto sociale, della mentalità e della pratica.

Se vogliamo riforma dobbiamo indubbiamente cominciare da noi stessi. Dobbiamo iniziare a far uscire l’Evangelo biblico stesso fuori dall’oscurità, affinché il motto di ogni riforma sia “Post Tenebras Lux”, “Dpo le tenebre la luce”. Lutero insisteva sul fatto che ogni generazione ha la precisa responsabilità di proclamare di nuovo l’Evangelo annunziato nel Nuovo Testamento (quello e nessun altro, pretendendo di “attualizzarlo” e di fatto falsificandolo). Inoltre, Lutero diceva che ogni qual volta l’Evangelo è proclamato con chiarezza e coraggio esso causerà inevitabilmente dei conflitti, e che coloro ai quali non piace il conflitto tenteranno, proprio per evitare i conflitti, di sommergere l’Evangelo, di diluire l’Evangelo, di equivocare od oscurare l’Evangelo. L’Evangelo necessariamente “offende”. Certo, noi stessi potremmo pure indebitamente offendere con la nostra cattiva testimonianza e con un’inadeguata proclamazione dell’Evangelo. Non c’è modo, però, di rimuovere quell’offesa che è inerente all’Evangelo, quella che lo rende una pietra d’inciampo, uno scandalo per il mondo decaduto, quella che crea inevitabilmente un conflitto. Se vogliamo la il risveglio e la riforma, dobbiamo essere disposti a sopportare un tale conflitto per la gloria di Dio.

[Adattamento dall’articolo “Fueling Reformation” di  R.C. Sproul (1 Giugno 2010)].