Catechismi/Catgin/3

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1. LA LEGGE

La legge del Signore

Nella legge di Dio ci viene presentata una perfettissima regola d'ogni giustizia, che a buona ragione si può chiamare l'eterna volontà del Signore, perché in due tavole essa comprende completamente e chiaramente tutto ciò ch'egli richiede da noi. Nella prima tavola ci prescrive con pochi comandamenti il servizio che gli è gradito e che dobbiamo rendere alla sua maestà. Nell'altra ci dice quali sono gli atti di carità che sono dovuti al prossimo. Ascoltiamola dunque e poi vedremo quale dottrina dobbiamo ricavarne e quali frutti dobbiamo raccoglierne.

ESODO XX

Io sono l'Eterno, l'Iddio tuo, che ti ho tratto dal paese d'Egitto, dalla casa di servitù. Non avere altri dii nel mio cospetto.

La prima parte di questo comandamento è come una prefazione a tutta la legge. Infatti quando si presenta come il Signore, l'Iddio nostro dichiara di essere colui che ha diritto di comandare e al cui comandamento si deve obbedienza; come dice per bocca del profeta: Se sono il Padre, dov'è l'amore? Se sono il Signore, dov'è il timore che m'è dovuto? E parimenti ricorda l'opera sua benefica, che ci deve convincere d'ingratitudine, se non obbediamo alla sua voce. Poiché, come per la sua benignità egli ha liberato una volta il popolo giudaico dalla schiavitù d'Egitto, così pure libera tutti i suoi servitori dal perpetuo Egitto dei fedeli, cioè dalla potenza del peccato.

Un divieto d'avere altri dii, significa che noi non dobbiamo attribuire a nessun altro che a Dio tutto ciò che gli è proprio. E aggiunge: nel mio cospetto, per dire ch'egli vuole essere riconosciuto come Dio non solo con una confessione di fede esteriore, ma nel nostro cuore in verità. Ora le seguenti cose sono proprie di Dio solo e non possono essere date ad un altro senza rapirle a Dio, cioè che noi adoriamo lui solo, che riponiamo in lui tutta la nostra fiducia e la nostra speranza, che riconosciamo venir da Lui ogni cosa buona e santa e che gli diamo lode per tutta la sua bontà e santità.

Non ti fare scultura alcuna né immagine alcuna delle cose che sono lassù nei cieli o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra; non ti prostrare dinanzi a tali cose e non servir loro.

Come nel primo comandamento egli ha dichiarato essere l'unico solo Dio, così ora annuncia quale egli è e come dev'essere servito ed onorato. Egli vieta dunque che noi gli attribuiamo alcuna somiglianza (la qual cosa viene spiegata in Deuteronomio 4:15-18 e in Isaia 11:18-25), perché lo spirito non ha nulla di simile al corpo. E di più egli ci vieta di venerare immagine alcuna con intenzione religiosa. Impariamo dunque da questo comandamento che il servizio e l'onore di Dio sono spirituali, perché come egli è spirito così vuole essere servito ed onorato in ispirito e verità (Giovanni 4:23). Egli aggiunge poi una terribile minaccia, con la quale dichiara quanto gravemente è offeso dalla trasgressione di questo comandamento.

Perché io l'Eterno, l'Iddio tuo, sono un Dio geloso, che punisco l'iniquità dei padri sui figliuoli fino alla terza ed alla quarta generazione di quelli che mi odiano ed uso benignità fino alla millesima generazione, verso quelli che mi amano ed osservano i miei comandamenti.

Questo è come se dicesse ch'egli è il solo al quale dobbiamo attenerci, e che non può sopportare compagno, e che anche vendicherà la sua maestà e gloria se qualcuno la trasferirà alle immagini o ad altre cose; e ciò non solo una volta, ma sui padri, sui figliuoli e i nipoti, cioè in ogni tempo, come anche manifesterà la sua misericordia e benignità in perpetuo verso quelli che l'amano ed osservano la sua legge. E in ciò egli ci dichiara la grandezza della sua misericordia, che estende a mille generazioni, mentre assegna soltanto quattro generazioni alla sua vendetta.

Non usare il nome dell'Eterno, ch'è l'Iddio tuo, invano; perché l'Eterno non terrà per innocente chi avrà usato il nome suo invano.

Qui egli vieta d'abusare del suo nome sacro e santo nei giuramenti per confermare cose vane o menzogne; perché i giuramenti non devono servire al nostro piacere e godimento, ma ad una giusta necessità, quando si deve difendere la gloria del Signore o affermare qualche cosa che mira all'edificazione. E proibisce del tutto che noi macchiamo per qualsiasi motivo il suo nome sacro e santo, ma vuole piuttosto che, quando giuriamo o l'usiamo per qualche altro motivo, lo facciamo con venerazione e con tutta la dignità che esige la sua santità. E poiché per lo più si abusa di questo nome, quando lo s'invoca, prestiamo ascolto a quel che qui ci è comandato. Infine egli annunzia qui la punizione, affinché quelli che avranno profanato la santità del suo nome mediante spergiuri e altre bestemmie, non pensino di poter sfuggire alla sua vendetta.

Ricòrdati del giorno del riposo per santificarlo. Lavora sei giorni e .fa' in essi ogni opera tua; ma il settimo è giorno di riposo, sacro all'Eterno, ch'è l'Iddio tuo; non fare in esso lavoro alcuno, né tu, né il tuo figliuolo, né la tua figliuola, né il tuo servo, né la tua serva, né il tuo bestiame, né il forestiero ch'è dentro alle tue porte; poiché in sei giorni l'Eterno fece i cieli, la terra, il mare e tutto ciò ch'è in essi, e si riposò il settimo giorno; perciò l'Eterno ha benedetto il giorno del riposo e l'ha santificato.

Noi vediamo che vi sono stati tre motivi di dare questo comandamento. Infatti il Signore col riposo del settimo giorno ha voluto in primo luogo dare al popolo d'Israele un'immagine del riposo spirituale, per il quale i fedeli devono cessare dalle loro proprie opere, affinché il Signore agisca in essi. In secondo luogo ha voluto che vi fosse un giorno stabilito in cui si riunissero per udire la sua legge e rendergli il culto. Infine ha voluto che fosse concesso un giorno di riposo ai. servitori e a quelli che vivono sotto il potere d'un altro, affinché avessero un po' di tregua nella loro fatica. Ma questo è piuttosto un motivo derivato che principale.
Quanto alla prima ragione non v'è dubbio che cessa in Cristo; poich'egli è la verità in presenza della quale tutte le immagini svaniscono. Egli è la realtà alla cui apparizione tutto ciò ch'è soltanto ombra viene abbandonato. Perciò S. Paolo (Colossesi 2:17 afferma che il sabato è stato ombra della realtà futura, e la sua verità l'annuncia altrove, quando nella lettera ai Romani 6:8 c'insegna che noi siamo stati seppelliti con Cristo, affinché, mediante la sua morte, noi morissimo alla corruzione della nostra carne. E ciò non si compie in un giorno, ma durante il corso di tutta la nostra vita, affinché, del tutto morti a noi stessi, siamo riempiti della vita di Dio. Dunque l'osservanza superstiziosa dei giorni deve rimanere lungi dai cristiani.

Ma i due ultimi motivi non possono venire annoverati fra le ombre del passato, ma valgono ugualmente per tutte le epoche. Perciò, essendo stato abrogato il sabato, pure succede ancora che ci riuniamo in giorni stabiliti per udire la parola di Dio, per spezzare il pane della Cena e per le preghiere pubbliche; e più ancora perché ai servi e agli operai sia concesso un po' di riposo dalla loro fatica. Ma per la nostra debolezza non essendo possibile ottenere che tali assemblee si radunino giornalmente, è stato tolto il giorno osservato dai giudei (buon espediente per eliminare la superstizione) e un altro è stato fissato per questo scopo, com'era necessario per mantenere e conservare l'ordine e la pace della Chiesa'.

La verità è stata dunque data ai giudei in figure, a noi invece viene mostrata senza ombre. È dunque necessario che noi in primo luogo meditiamo tutta la nostra vita su di un sabato eterno delle nostre opere, affinché il Signore agisca in noi per mezzo del suo spirito. Poi, che osserviamo l'ordine legittimo della Chiesa per ascoltare la parola di Dio, per l'amministrazione dei sacramenti e per le preghiere pubbliche. In terzo luogo, che non opprimiamo inumanamente col lavoro quelli che ci sono soggetti.

Onora tuo padre e tua madre, affinché i tuoi giorni siano prolungati sulla terra, che l'Eterno, l'Iddio tuo ti dà.

Qui ci viene comandata la pietà verso nostro padre e nostra madre e verso quelli che sono costituiti sopra di noi, come i principi e i magistrati; si vuole cioè che li riveriamo, obbediamo e stimiamo e che rendiamo loro tutti i servizi possibili. Questa infatti è la volontà del Signore, che noi rendiamo il contraccambio a quelli che ci hanno dato questa vita. E poco importa se sono degni o indegni di questo onore, perché comunque essi siano, ci sono stati dati per padre e per madre dal Signore, il quale vuole che li onoriamo. Ma si deve però notare incidentalmente che non ci è comandato d'obbedire loro se non in Dio. Perciò non si deve trasgredire la legge del Signore per compiacere a loro, perché se ci comandano alcunché contro Dio, in ciò noi non dobbiamo più considerarli come padre e madre, ma come stranieri, che ci vogliono distogliere dall'obbedienza al nostro vero Padre'. Ora questo è il primo comandamento con promessa (come dice San Paolo agli Efesini &.21), mediante la quale il Signore assicura la benedizione della vita presente ai figli che avranno servito ed onorato il loro padre e la loro madre con quell'osservanza che si conviene, ma ugualmente dichiara che una certissima maledizione è preparata per quelli che sono loro ribelli e disobbedienti.

Non uccidere

Qui ci viene interdetta ogni violenza ed ingiuria e in genere ogni offesa, che possa ferire il corpo del prossimo. Perché se ci ricordiamo che l'uomo è stato creato ad immagine di Dio, dobbiamo ritenerlo sacro e santo, sì che non possa essere violato senza che sia violata in lui anche l'immagine di Dio.

Non commettere adulterio

Qui il Signore ci vieta ogni genere di lussuria e d'impudicizia. Infatti il Signore ha congiunto l'uomo alla donna con la sola legge del matrimonio; e siccome questa unione è stretta dalla sua autorità egli l'ha pure santificata colla sua benedizione. E con ciò dichiara che ogni altra unione all'infuori del matrimonio è maledetta dinanzi a lui. Perciò quelli che non hanno il dono della continenza (ch'è certo raro e non sta nella facoltà di ognuno) sovvengano all'intemperanza della loro carne col rimedio onesto del matrimonio, poiché il matrimonio è per tutti onorevole; ma Dio condannerà i fornicatori e gli adulteri (Ebrei 13:4).

Non rubare

Qui ci viene vietato e proibito in generale di impadronirci dei beni degli altri. Infatti il Signore vuole che siano ben lungi dal suo popolo le rapine, con le quali i deboli vengono aggravati e oppressi, come pure ogni genere di inganno, con cui si sorprende l'innocenza dei semplici. Perciò se vogliamo conservare le nostre mani innocenti e pure da furto, dobbiamo astenerci non meno da tutte le astuzie e le furberie che dalle rapine violente.

Non attestare il falso contro il tuo prossimo

Qui il Signore condanna tutte le maldicenze e ingiurie, per mezzo delle quali viene lesa la buona fama del nostro fratello; e tutte le menzogne che in qualsiasi modo feriscono il prossimo. Se infatti il buon nome è più prezioso di qualsiasi tesoro, non subiamo meno danno se spogliati della nostra reputazione che dei nostri beni. E spesso non si ha minore profitto ad impossessarsi dei beni del fratello mediante false testimonianze, che con la rapacità delle mani. Perciò come il comandamento precedente lega le mani, questo lega la lingua.

Non concupire la casa del tuo prossimo; non concupire la moglie del tuo prossimo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna che sia del tuo prossimo.

Con questo comandamento il Signore mette un freno a tutte le nostre concupiscenze, che oltrepassano il limite della carità. Infatti tutto ciò che gli altri comandamenti proibiscono di compiere in opere contro la regola dell'amore, questo vieta di concepirlo nel cuore. Pertanto, in questo comandamento vengono condannati l'odio, l'invidia, la malevolenza, come più sopra l'omicidio. I sentimenti lascivi e l'interiore impurità del cuore sono qui vietati come le fornicazioni. Dove prima era proibita la rapacità e l'astuzia, qui lo è l'avarizia; ove prima era interdetta la maldicenza, viene ora repressa la malignità stessa.
Si vede quanto questo comandamento è generale e ampio. Il Signore infatti esige un sentimento meraviglioso supremamente ardente d'amore per i fratelli, il quale certo non vuol essere turbato neppure da alcuna cupidità contro il bene e l'interesse del prossimo. Il sommario di questo comandamento è dunque che noi dobbiamo essere così pieni di affetto da non essere più neppure sollecitati da alcuna cupidità contraria alla legge dell'amore, e che siamo pronti a rendere ben volentieri a ciascuno ciò che gli appartiene. Ora noi dobbiamo ritenere che appartenga a ciascuno quello che siamo tenuti a rendergli per il dovere del nostro ufficio.

Il sommario della legge

Ora il nostro Signore Gesù Cristo ci ha detto abbastanza chiaramente a che tendono tutti i comandamenti della legge, quando insegna che tutta la legge è compresa in due capitoli. Il primo è che amiamo il Signore nostro Dio, con tutto il no
stro cuore, con tutta l'anima nostra e con tutta la nostra forza. Il secondo è che amiamo il prossimo come noi stessi. E
questa interpretazione l'ha presa dalla legge stessa, poiché la prima parte si trova in Deuteronomio 6:5], l'altra in Levitico 19:18.


Commento. Notiamo ancora brevemente che la legge, come dice Calvino, è un primo «gradino (stabilito da Dio) per tutti quelli ch'egli vuole ristabilire eredi della vita celeste». E per così dire una prima parola che Dio rivolge agli uomini dopo il giorno della loro caduta e condanna in Adamo, e che rivela una sua nuova e benigna disposizione verso di loro. Infatti egli dice: «Io sono l'Eterno, l'Iddio tuo che ti ho tratto dal paese d'Egitto, dalla casa di servitù». Ora questa «casa di servitù» è simbolo del peccato che ci tiene schiavi. Dunque l'Iddio che ci dà questa legge, è quegli che vuol essere anche il nostro redentore, e perciò spiega bene questo versetto Lutero, dicendo ch'esso significa: «Cristo ha portato i nostri peccati». Nella sua legge Dio ci dà di già un segno della sua grazia che si dovrà manifestare in Cristo. E perciò l'obbedienza a tutti i comandamenti che seguono dev'essere da parte nostra un atto di riconoscenza per il Signore che si è dimostrato così misericordioso verso di noi.

Ma d'altra parte la legge, ponendoci dinanzi alla volontà perfetta di Dio, ci ricorda quante volte noi l'abbiamo trasgredita e rende così viva in noi la coscienza del nostro peccato (Cfr.: Ist., 1536, I, p. 58: «la legge ci punge e ci morde col senso dei nostri peccati»). Questo anzi si sveglia (Cfr. Romani 7) appunto alla voce del comandamento: «Non concupire», ed è così che la volontà dì trasgressione si fa più forte. Ma la legge non ha solo questa funzione di rendere più manifesto il nostro peccato, ma anche di darci una regola di condotta verso Dio e verso gli uomini e mettere un freno alle nostre passioni e alla nostri empieli+. Ma cosa succede? Che se ci proviamo a ronil ier a, ilohhialno lodo constatare che Ic nostre bue sono del tutto insufficienti. La legge è sì buona, spirituale, come dice l'apostolo Paolo, «ma io sono carnale, venduto schiavo al peccato». Il peccato è in noi e fuori di noi ed è più forte di noi. Qui ogni nostra ferma volontà di obbedire e di non trasgredire i comandi di Dio, si spezza e appare tutta la nostra impotenza. La legge è «un primo gradino» verso la salvezza in quanto che rivelandoci la volontà buona di Dio, ci esercita nella conoscenza del nostro peccato e della nostra debolezza, sì che più non confidiamo in noi e non cerchiamo la salvezza nelle nostre opere giuste, ma solo nella misericordia di Dio. (Cfr. ]si., 1536, I, p. 57: «Se si giudica l'uomo secondo le sue qualità naturali dal capo alla punta dei piedi, non si trova in lui una scintilla di bene. E grazia di Dio se v'è qualcosa in lui che meriti lode…»). Perciò fa bene Lutero a cominciare la spiegazione d'ogni comandamento dicendo che «noi dobbiamo temere ed amare Dio, così che…». Ogni nostro sforzo per obbedire a questa legge dev'essere ispirato dall'amore verso l'Iddio nostro, che ci ha liberati dalla «casa di servitù», cioè dal nostro peccato, e dal timore d'offendere il suo nome santo, sapendo qual è la nostra debolezza e la nostra incapacità dì compiere la sua volontà.