Catechismi/Catgin/4

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LA FEDE

Con la legge soltanto

Ecco dunque l'esempio d'una vita santa e giusta e un'immagine perfettissima della giustizia, così che se qualcuno nella sua vita compie la legge di Dio, non gli mancherà nulla per essere perfetto al cospetto del Signore. E per attestare questo egli promette a quelli che avranno adempiuta la sua legge non solo le grandi benedizioni della vita presente (menzionate in Levitico 26:3-13 e Deuteronomio 27:11), ma anche la ricompensa della vita eterna (Levitico 18:51). D'altro lato Egli minaccia di morte eterna quelli che non avranno compiute le opere ch'essa comanda. Anche Mosè, pubblicando la legge, prese a testimoni il cielo e la terra, ch'egli aveva proposto al popolo il bene e il male, la vita e la morte.

Ma sebbene essa ci mostri la via della vita, dobbiamo pure vedere in che ci giova con questa dimostrazione. Certo che se la nostra volontà fosse formata e disposta per l'obbedienza alla volontà divina, la sola conoscenza della legge basterebbe pienamente per la salvezza. Ma poiché la nostra natura carnale e corrotta contrasta alla legge spirituale di Dio e non è affatto emendata dall'insegnamento di questa, avviene che la legge stessa, che sarebbe stata per la salvezza se avesse trovato degli uditori buoni e atti a compierla, diventa invece occasione di peccato e di morte. Infatti più essa ci rivela la giustizia di Dio, tanto più siamo convinti d'averla trasgredita e ci appare manifesta la nostra iniquità. E di nuovo, come ci sorprende nella più grande trasgressione, così ci rende degni del più severo giudizio di Dio e tolta la promessa della vita eterna ci resta la sola maledizione, che coglie noi tutti per mezzo della legge.

La legge come pedagogo per condurci a Cristo

Ora la testimonianza della legge non ci convince d'iniquità e di trasgressione per piombarci nella disperazione e farci cadere in rovina togliendoci ogni coraggio. Certo l'apostolo (Romani 3:19,20) testimonia che noi tutti siamo dannati secondo il giudizio della legge, affinché ogni bocca sia turata e tutto il mondo sia trovato colpevole davanti a Dio. Ma egli stesso insegna altrove (Romani 11:32) che Dio ha rinchiuso tutti nell'incredulità, non già per perderli o lasciarli perire, ma per far misericordia a tutti.

Il Signore adunque, dopo averci ricordato per mezzo della legge la nostra debolezza ed impurità, ci consola suscitando in noi la fiducia nella sua potenza e nella sua misericordia. Ed è in Gesù Cristo suo figliuolo, ch'egli si mostra a noi benevolo e propizio. Infatti nella legge egli appare solo come rimuneratore della giustizia perfetta, della quale noi siamo del tutto sprovvisti e d'altro lato come giudice integro e severo dei peccati. Ma in Cristo il suo volto rifulge pieno di grazia e di.benignità verso i peccatori miseri ed indegni; perch'egli ha dato quest'esempio ammirevole del suo amore infinito, che ha offerto per noi il suo proprio figliuolo e ci ha aperto in lui tutti i tesori della sua clemenza e della sua bontà.

Noi riceviamo Cristo per mezzo della fede

Come il Padre misericordioso ci offre il Figliuolo per mezzo della parola del Vangelo, così noi per mezzo della fede l'accogliamo e lo riconosciamo come donato a noi. È vero che la parola del Vangelo invita tutti a essere partecipi di Cristo, ma molti accecati e induriti dall'incredulità disprezzano questa grazia tanto singolare. Perciò di Cristo gioiscono solo i credenti che lo ricevono essendo inviato a loro, non lo respingono essendo loro donato, e lo seguono essendo chiamati da lui.

Elezione e predestinazione

In questa diversità d'atteggiamenti si deve considerare necessariamente il grande segreto del consiglio di Dio; perché il seme della parola di Dio mette radice e fruttifica solo in quelli che il Signore, mediante la sua elezione eterna, ha predestinati a essere suoi figliuoli ed eredi del Regno dei cieli.

Per tutti gli altri, che per il medesimo consiglio di Dio avanti la fondazione del mondo sono stati riprovati, la chiara ed evidente predicazione della verità non può essere altro che odore di morte a morte. Ora perché il Signore usa misericordia verso gli uni ed esercita il rigore del suo giudizio verso gli altri? Dobbiamo lasciare che la ragione di ciò sia conosciuta da lui soltanto, che non senza motivi plausibilissimi ha voluto tenerla celata a noi tutti. Infatti la rozzezza del nostro spirito non potrebbe sopportare una così grande chiarezza, né la nostra piccolezza comprendere una così grande sapienza. Poiché tutti quelli che tenteranno di elevarsi sin lassù e non vorranno tenere in freno la temerarietà del loro spirito, sperimenteranno la verità del detto di Salomone (Proverbi 25:27), che colui che vorrà investigare la maestà sarà oppresso dalla gloria. Ma solo teniamo per fermo in noi questo, che la dispensazione del Signore, per quanto a noi nascosta, è pur nondimeno santa e giusta; perché s'egli volesse perdere tutto il genere umano, avrebbe diritto di farlo, e in coloro che ritrae dalla perdizione non si può contemplare altro che la sua bontà sovrana. Dunque riconosciamo che gli eletti sono vasi della sua misericordia (come anche lo sono veramente) ed i riprovati vasi della sua ira, che ad ogni modo non è che giusta.

Riconosciamo dagli uni e dagli altri motivo d'esaltare la sua gloria. E d'altro lato non cerchiamo (come fanno molti), per confermare la certezza della nostra salvezza, di penetrare fin dentro il cielo e d'investigare quel che Dio dall'eternità ha deciso di fare di noi (tale pensiero non può che renderci inquieti turbandoci con una miserevole angoscia); ma accontentiamoci della testimonianza, con cui egli ci ha sufficientemente ed ampiamente confermata questa certezza. Infatti, come in Cristo sono eletti quanti sono stati preordinati allà vita prima della fondazione del mondo, così anche abbiamo in lui la caparra della nostra elezione se lo riceviamo e accettiamo per fede. Perché, che cosa cerchiamo noi nell'elezione se non d'essere partecipi della vita eterna? E noi l'abbiamo in Cristo, ch'è stato la vita sin dal principio e ci è offerto per la vita, affinché quanti credono in lui non periscano, ma abbiano la vita eterna. Se dunque possedendo Cristo per fede abbiamo parimenti la vita in lui, non abbiamo più bisogno d'investigare oltre l'eterno consiglio di Dio; perché Cristo non è solo uno specchio nel quale ci sia riflessa la volontà di Dio, ma è una caparra per cui la vita ci è come confermata e suggellata' .

La vera fede

Non bisogna credere che la fede cristiana sia una nuda e pura conoscenza di Dio o una comprensione della Scrittura che sfiori il cervello senza toccare il cuore, come suole essere una nostra opinione intorno a cose che sono confermate da qualche buona ragione. Ma essa è una fiducia ferma e sicura del cuore, per mezzo della quale ci appoggiamo con certezza alla misericordia di Dio promessaci nel Vangelo. Infatti la definizione della fede dev'essere presa dalla sostanza della promessa, perché essa fede s'appoggia talmente su questo fondamento che, se fosse tolto, di subito rovinerebbe o meglio svanirebbe. Perciò se quando il Signore nella promessa del Vangelo ci presenta la sua misericordia, noi con sicurezza e senza esitazione ci confidiamo in Lui che promette, diciamo che riceviamo la sua parola per fede. E questa definizione non è affatto diversa da quella dell'apostolo (Ebrei 11:11), in cui insegna che la fede è certezza di cose che si sperano, dimostrazione di cose che non si vedono, perché egli intende un possesso certo e sicuro di ciò ch'è promesso da Dio e una certezza di cose che non si vedono, cioè della vita eterna, di cui noi concepiamo la speranza per la fiducia nella bontà divina, che ci è data dal Vangelo. Ora, siccome tutte le promesse di Dio sono in Cristo confermate e per così dire mantenute e compiute, è senza dubbio certo che Cristo è l'oggetto eterno della fede, nel quale essa contempla tutte le ricchezze della misericordia divina.

La fede è un dono di Dio

Se consideriamo rettamente in noi stessi quanto il nostro pensiero sia cieco per i segreti celesti di Dio e quanto il nostro cuore sia diffidente in ogni cosa, non possiamo dubitare che la fede supera e non di poco ogni virtù della nostra natura e ch'essa è un singolare e prezioso dono di Dio. Poiché, come dice S. Paolo (1 Corinzi 2:11), se nessuno conosce le cose dell'uomo se non lo spirito dell'uomo ch'è in lui, come potrebbe l'uomo essere sicuro della volontà divina? E' se la verità di Dio in noi vacilla perfino nelle cose che l'occhio vede, come potrebbe essere ferma e stabile dove il Signore promette le cose che l'occhio non vede e l'intelletto dell'uomo non comprende?

Dunque non v'è dubbio che la fede è un riflesso dello Spirito Santo, per mezzo del quale i nostri pensieri sono rischiarati e i nostri cuori confermati in una persuasione certa che la verità di Dio è tanto sicura ch'egli non può non effettuare ciò che la sua parola santa ha promesso che farà. Perciò (2 Corinzi 1:22 ed Efesini 1:13) lo Spirito Santo è chiamato una caparra che assicura nei nostri cuori la certezza della verità divina e un sigillo col quale i nostri cuori sono suggellati nell'attesa del giorno del Signore. Infatti è lui che testimonia al nostro spirito che Dio è nostro Padre e che noi siamo suoi figliuoli (Romani 8:16).

Noi siamo giustificati per la fede in Cristo

Poiché è chiaro che Cristo è l'oggetto eterno della fede, noi non possiamo conoscere ciò che riceviamo mediante la fede, se non riguardando a lui. Ora, è bensì vero che egli ci è stato dato dal Padre, affinché otteniamo in lui la vita eterna, siccome è detto (Giovanni 17:31) che la vita eterna è conoscere Dio, il Padre e colui ch'egli ha mandato, Gesù Cristo; e di nuovo (Giovanni 11:26): «Chi crede in me non morrà mai, e quand'anche muoia vivrà». Tuttavia, affinché ciò avvenga, bisogna che noi, contaminati dal peccato, siamo nettati in lui, perché nulla d'impuro entrerà nel Regno di Dio. Egli ci fa dunque così partecipi di sé, affinché noi peccatori, per la sua giustizia, siamo reputati giusti dinanzi al trono di Dio. Ed essendo così spogliati della nostra propria giustizia, siamo rivestiti della giustizia di Cristo, e ingiusti per le opere nostre siamo giustificati mediante la fede in Cristo'.

Infatti noi diciamo che siamo giustificati per fede, non nel senso che riceviamo in noi qualche giustizia ma nel senso che la giustizia di Cristo ci viene attribuita, proprio come se fosse nostra, mentre non ci viene imputata la nostra iniquità. Talché in una parola si può ben chiamare questa giustizia la remissione dei peccati. Il che l'apostolo afferma più volte in modo evidente, quando confronta la giustizia delle opere con la giustizia che viene dalla fede e insegna che l'una viene annullata dall'altra (Romani 10:3; Filippesi 3:9). Ora noi vedremo nel credo in che modo Cristo ci ha acquistato questa giustizia e su che cosa essa sia fondata. Infatti nel credo tutto ciò su cui la nostra fede è basata, è esposto con ordine.

Santificati dalla fede per obbedire alla legge

Come per mezzo della sua giustizia Cristo intercede per noi presso il Padre, affinché, essendo egli come nostro mallevadore, siamo reputati giusti, così, rendendoci partecipi del suo Spirito, ci santifica in ogni purezza e innocenza. Poiché lo Spirito del Signore riposa su lui senza misura, lo spirito di sapienza, d'intelligenza, di consiglio, di forza, di scienza e di timore del Signore, affinché noi tutti attingiamo dalla sua pienezza e riceviamo grazia per la grazia che gli è stata data.

Dunque s'ingannano quelli che si gloriano della fede in Cristo, essendo del tutto estranei alla santificazione per mezzo del suo Spirito; poiché la Scrittura c'insegna che Cristo ci è stato fatto non solo giustizia, ma anche santificazione. Perciò noi non possiamo ricevere la sua giustizia per fede, senza afferrare ad un tempo quella santificazione, perché il Signore, nel medesimo patto che ha stretto con tutti in Cristo, promette d'essere clemente verso le nostre iniquità e di scrivere la sua legge nei nostri cuori (Geremia 31:33; Ebrei 8:10 e 10:16.

L'osservanza della legge non è dunque un'opera che possa essere compiuta dalle nostre forze, ma un'opera di una potenza spirituale, che fa sì che i nostri cuori siano nettati della loro corruzione e resi obbedienti alla giustizia'. Ora l'uso della legge è per i cristiani ben diverso di quel che può esserlo senza la fede. Poiché il Signore ha scolpito nei nostri cuori l'amore per la sua giustizia, la dottrina esteriore della legge (che prima soltanto ci accusava di debolezza e di trasgressione) è ora una lampada al nostro piede, affinché non deviamo dal retto cammino, la nostra sapienza dalla quale siamo formati, istruiti e incoraggiati all'integrità, e la nostra disciplina che non ci permette d'essere dissoluti per cattiva sfrenatezza'.

Ravvedimento e rigenerazione

Da ciò è facile intendere perché il ravvedimento sia sempre congiunto alla fede in Cristo e perché il Signore affermi (Giovanni 3:31) che nessuno può entrare nel Regno dei cieli se non sia stato rigenerato. Infatti ravvedimento significa conversione, mediante la quale ritorniamo sulla via del Signore, dopo avere lasciata la perversità di questo mondo. Ora siccome Cristo non è ministro di peccato, dopo averci purificati dal peccato non ci riveste della sua giustizia affinché poi profaniamo una grazia sì grande con nuove cadute, ma affinché, essendo stati adottati come figliuoli di Dio, consacriamo nel futuro la nostra vita alla gloria del nostro Padre.

L'effetto di questo ravvedimento dipende dalla nostra rigenerazione che consiste di due parti: della mortificazione della. nostra carne, cioè della corruzione ch'è stata generata con noi, e della vivificazione spirituale mediante la quale la natura dell'uomo è restaurata e reintegrata. Dobbiamo dunque meditare tutta la vita che, essendo morti al peccato e a noi stessi, viviamo a Cristo e alla sua giustizia. E visto che questa rigenerazione non è mai compiuta finché siamo nella prigione di questo corpo mortale, bisogna che la cura del ravvedimento sia continua fino alla morte.

Accordo tra la giustizia delle opere buone e la giustizia della fede

Non v'è dubbio che le opere buone, compiute con una tale purezza di coscienza, sono gradite a Dio, poich'egli non può che approvare e apprezzare la sua giustizia quando la riconosce in noi. Tuttavia dobbiamo stare ben in guardia di non lasciarci guidare da una tale vana fiducia in queste opere buone, da dimenticare che siamo giustificati per la sola fede in Cristo; poiché, dinanzi a Dio, non vale nessuna giustizia d'opere, se non quella che corrisponde alla sua giustizia. Perciò, non basta che colui che cerca d'essere giustificato mediante le opere compia certe opere buone, ma è necessario che obbedisca in modo perfetto alla legge, dalla quale perfetta obbedienza certo sono ancora molto lontani anche quelli che più di tutti gli altri hanno progredito nella legge del Signore.

Di più, se pure la giustizia di Dio volesse accontentarsi d'una sola opera buona, il Signore non troverebbe tuttavia neppure un'opera buona nei suoi santi, che per quanto meritoria egli potesse lodare come giusta. Poiché, per quanto ciò possa sembrare strano, pure è verissimo che noi non compiamo opera alcuna che sia assolutamente perfetta e che non sia oscurata da alcuna macchia. E perché noi siamo tutti peccatori, e vi sono in noi parecchi residui di peccato, dobbiamo venir giustificati da qualche cosa fuori di noi, cioè abbiamo sempre bisogno di Cristo, affinché dalla sua perfezione venga ricoperta la nostra imperfezione, dalla sua purezza venga lavata la nostra impurità, dalla sua obbedienza sia cancellata la nostra iniquità; e infine affinché dalla sua giustizia ci venga imputata giustizia gratuitamente, cioè senza considerazione alcuna delle nostre opere, che non sono di tal valore che possano reggere al giudizio di Dio. Ma quando le nostre macchie, che nel cospetto di Dio potrebbero contaminare le nostre opere, vengono in tal modo coperte, il Signore non vede più in esse se non una completa purezza e santità. Perciò le onora con grandi titoli e lodi, e le chiama e le reputa giuste e promette loro una buona remunerazione. Insomma, dobbiamo affermare che la compagnia di Cristo ha un tal valore, che per essa noi non solo veniamo reputati giusti gratuitamente, ma le stesse opere nostre vengono considerate giuste e ricompensate con una retribuzione eternati.

Il simbolo della fede

Abbiamo detto finora ciò che noi otteniamo in Cristo mediante la fede. Ora vediamo ciò che la nostra fede deve scorgere e considerare in Cristo per fortificarsi. Questo è esposto nel simbolo (così viene chiamato): cioè come Cristo ci è stato fatto dal Padre sapienza, redenzione, vita, giustizia e santificazione. Non c'importa gran che il sapere da quale autore o da quali autori sia stato formulato questo sommario della fede, che non contiene alcuna dottrina umana, anzi, è una raccolta di certissime testimonianze della Scrittura. Ma affinché la nostra confessione di fede nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo non turbi alcuno, dobbiamo prima spiegarci un poco. Quando nominiamo il Padre il Figlio e lo Spirito Santo, non immaginiamo affatto tre dii, ma la Scrittura e l'esperienza stessa della pietà ci mostrano nella semplicissima essenza di Dio, il Padre, il suo Figlio e il suo Spirito. Tanto che la nostra intelligenza non può concepire il Padre senza comprendere ad un tempo il Figlio, in cui risplende la sua viva immagine e lo Spirito in cui appare la sua potenza e la sua virtù. Dunque teniamoci fermi con tutta la mente e con tutto il cuore a un solo Dio, pure tuttavia contempliamo il Padre col Figlio e con lo Spirito.

Io credo in Dio, padre onnipotente, creatore del cielo e della terra.

Con queste parole non ci viene semplicemente insegnato a credere che Dio esiste, ma piuttosto a conoscere qual è il nostro Dio e a confidare d'essere nel numero di quelli a cui promette di essere il loro Dio e che accoglie come suo popolo. A lui viene attribuita ogni potenza e con ciò si vuol dire ch'egli amministra tutte le cose mediante la sua provvidenza, le governa con la sua volontà e le guida con la sua forza e la sua potenza. Quando viene chiamato creatore del cielo e della terra si deve intendere con ciò ch'egli di continuo mantiene e sostiene e vivifica tutto ciò che ha creato'.

E in Gesù Cristo, suo Figliuolo unigenito, Signor nostro.

Ciò che abbiamo precedentemente insegnato, cioè che Cristo è il vero oggetto della nostra fede, si comprende facilmente, perché tutta la nostra, salvezza è rappresentata in lui. Noi lo chiamiamo Gesù, e questo titolo onorifico gli è stato dato per rivelazione celeste, perché è stato mandato per salvare il popolo dai loro peccati. Perciò la Scrittura afferma (Atti IV [121), che non è stato dato altro nome agli uomini per il quale abbiano ad essere salvati. Il titolo di Cristo significa ch'egli, mediante l'unzione, ha ricevuto pienamente tutte le grazie dello Spirito Santo, che nella Scrittura vengono appunto designate col nome d'olio, perché senza di esse noi cadiamo come rami secchi e sterili.

Ora mediante tale unzione egli è stato costituito dal Padre per assoggettarsi ogni potenza nel cielo e sulla terra, affinché anche noi divenissimo re in lui, con dominio sul diavolo, il peccato, la morte e l'inferno. In secondo luogo egli è stato costituito sacerdote per placare il Padre e riconciliarlo con noi mediante il suo sacrificio, onde noi divenissimo in lui sacerdoti, offrendo al Padre preghiere, azioni di grazia, noi stessi e tutte le cose nostre, avendo lui per nostro intercessore e mediatore. Oltre a ciò viene chiamato Figliuolo di Dio, non come i credenti soltanto per adozione e per grazia, ma veramente e per natura e perciò solo e unico Figliuolo, affinché sia distinto dagli altri. Ed è nostro Signore non solo secondo la divinità, che possiede dall'eternità insieme col Padre, ma anche secondo la carne, in cui ci è stato rivelato. Perché, come dice S. Paolo (1 Corinzi 8:6): «Vi è un sol Dio, dal quale sono tutte le cose e un sol Signore Gesù Cristo mediante il quale sono tutte le cose».

Concepito di Spirito Santo, nato da Maria vergine.

Qui ci è detto come il Figliuolo di Dio ci è stato fatto Gesù, cioè Salvatore, e Cristo, cioè nato per essere un re che ci governi e un sacerdote che ci riconcilii col Padre. Infatti egli ha rivestito la nostra carne, affinché divenuto Figliuol d'uomo ci facesse insieme a sé figliuoli di Dio. Ha preso su di sé la nostra povertà per comunicarci le sue ricchezze, la nostra debolezza per renderci forti mediante la sua potenza, la nostra morte per darci la sua immortalità; ed è disceso sulla terra per elevarci al cielo.
Egli è nato da Maria vergine, affinché fosse riconosciuto il vero figliuolo d'Abramo e di Davide, ch'era stato promesso nella legge e ai profeti; e come vero uomo in tutto simile a noi fuorché nel peccato; il quale essendo stato tentato come noi da tutte le nostre infermità imparò ad averne compassione. Tuttavia egli stesso è stato concepito nel seno della Vergine per la virtù meravigliosa e inenarrabile dello Spirito Santo, affinché non nascesse macchiato da nessuna corruzione della carne, ma santificato da purezza sovrana.

Patì sotto Ponzio Pilato, fu crocefisso, morì e fu sepolto, discese nel soggiorno dei morti.

Con queste parole ci viene insegnato come egli ha compiuto la nostra redenzione, per la quale era nato uomo mortale. Infatti, avendo la disobbedienza dell'uomo provocato l'ira di Dio, egli l'ha placata con la sua obbedienza, essendo stato obbediente al Padre fino alla morte. E con la sua morte s'è offerto al Padre in sacrificio, onde appagare la giustizia di lui una volta per sempre, sì che i credenti fossero tutti santificati in eterno ed eterna soddisfazione fosse data per il nostro peccato. Ha sparso il suo sangue sacro, quale prezzo della nostra redenzione, onde spegnere il furore di Dio contro a noi e togliere la nostra iniquità.
Ma non v'è nulla in questa redenzione, che sia senza mistero. Patì sotto Ponzio Pilato, allora giudice della Giudea, e dalla sua sentenza fu condannato come criminale e malfattore, affinché per questa condanna noi fossimo liberati e assolti al tribunale del gran Giudice.

È stato crocifisso per portare sulla croce, maledetta nella legge di Dio, la nostra maledizione, che avevano meritata i nostri peccati. E morto per vincere con la sua morte la morte che ci era nemica, che ci avrebbe inghiottito e divorato, s'egli non l'avesse inghiottita. Fu sepolto affinché noi pure, avendo comunione con lui per l'efficacia della sua morte, fossimo sepolti al peccato e liberati dal potere del diavolo e della morte. Quanto alla espressione: «discese nel soggiorno dei mórti», significa che è stato afflitto da Dio e che ha sopportato e sentito il rigore orribile del suo giudizio per opporsi per noi alla sua ira e soddisfare alla sua giustizia.

Così ha sofferto e portato le pene meritate dalla nostra iniquità e non già da lui ch'era senza peccato e senza macchia.
Non già che il Padre sia mai stato irritato contro di lui, perché come si sarebbe indignato contro il Figliuolo suo tanto amato, nel quale si è compiaciuto? O come il Padre sarebbe stato placato dalla sua intercessione se fosse stato indignato contro a lui? Ma è detto ch'egli ha sopportato la gravezza dell'ira di Dio, in questo senso, che percosso e afflitto dalla mano di Dio ha sentito tutti i segni del corruccio e della vendetta di Dio fino a gridare nell'angoscia: «Dio mio, Dio mio, perché m'hai abbandonato?».
Il terzo dì risuscitò, salì al cielo, siede alla destra di Dio, Padre Onnipotente. Di là ha da venire a giudicare i vivi e i morti.

Per la sua risurrezione noi possiamo avere piena fiducia di rimanere vittoriosi sulla potenza della morte. Infatti, com'egli non ha potuto essere ritenuto dagli angosciosi legami di quella, ma ha vinto ogni suo potere, così anche ha spezzato tutti suoi dardi, onde non ci possa più trafiggere mortalmente. La sua risurrezione è dunque la certissima verità, sostanza e fondamento in primo luogo della nostra risurrezione avvenire, poi anche della vivificazione presente, mediante la quale noi nasciamo a una vita nuova. Con la sua ascensione al cielo egli ci ha aperto la porta del regno dei cieli, che fu chiusa per noi tutti in Adamo. Infatti è entrato in cielo con la nostra carne e in nostro nome, di modo che in lui noi già possediamo il cielo in isperanza e siamo seduti nei luoghi celesti. Ed egli si trova là non senza un gran vantaggio per noi; ma essendo entrato come sacerdote nel santuario di Dio, non fatto da man d'uomo, si presenta come nostro eterno avvocato e mediatore.

Quanto all'essere seduto alla destra del Padre, significa in primo luogo ch'è costituito e dichiarato re, padrone e Signore di tutte le cose, affinché con la sua potenza ci conservi e mantenga, sì che il suo regno e la sua gloria divenga la nostra forza, la nostra virtù e la nostra gloria contro l'inferno. In secondo luogo significa che ha ricevuto tutte le grazie dello Spirito Santo per dispensarle e arricchire i credenti con esse. Infatti, per quanto sia stato elevato al cielo e il suo corpo sia tolto alla nostra vista, tuttavia non cessa d'assistere i fedeli col suo valido aiuto o di mostrare loro la potenza della sua presenza, come anche ha promesso dicendo: «Ecco io sono con voi fino alla fine dell'età presente». E infine ne consegue ch'egli scenderà di lassù in modo visibile come anche lo si è visto salirvi. Ciò avverrà all'ultimo giorno, quando apparirà a tutti nella maestà incomprensibile del suo regno per giudicare i vivi ed i morti (cioè coloro che quel giorno sorprenderà ancora in vita e quelli che saranno morti prima), rendendo a tutti secondo le loro opere, secondo che ognuno si sarà mostrato con le sue opere fedele o infedele. Vi è per noi una consolazione singolare in questo, che il giudizio è rimesso a colui la cui venuta non ci può essere che salutare.

Credo nello Spirito Santo.

Quando ci viene insegnato di credere allo Spirito Santo ci è pure comandato di attendere da lui quel che gli viene attribuito nella Scrittura. Infatti Cristo opera per virtù del suo Spirito tutto ciò ch'è buono, in qualsiasi luogo ciò avvenga. Per mezzo suo fa, regge, mantiene e vivifica tutte le cose; per mezzo suo ci giustifica, santifica e purifica, ci chiama e attira a sé, affinché otteniamo la salvezza. Pertanto, quando in questo modo lo Spirito Santo abita in noi, ci rischiara con la sua luce, affinché giungiamo alla piena conoscenza della grandezza delle ricchezze della bontà divina, che possediamo in Cristo; egli infiamma i nostri cuori del fuoco dell'ardente amore di Dio e del prossimo e tutti i giorni vieppiù mortifica e consuma i vizi della nostra concupiscenza, di modo che se vi sono in noi alcune opere buone, sono il frutto e la manifestazione della potenza della sua grazia; e senza di lui non v'è in noi che un intelletto ottenebrato e un cuore perverso.

Credo la santa chiesa universale, la comunione dei santi.

Abbiamo già visto donde nasce la chiesa, che qui ci viene proposta come oggetto di fede, affinché abbiamo fiducia che tutti gli eletti sono uniti dal vincolo della fede in una chiesa, in una società, in un popolo di Dio. Di esso Cristo nostro Signore è guida, principe e capo come d'un corpo, poiché in lui sono stati eletti avanti la fondazione del mondo, affinché fossero tutti insieme nel regno di Dio.

Questa società è cattolica, cioè universale, perché non ve ne sono due o tre'; ma gli eletti di Dio sono in sì fatto modo uniti e congiunti in Cristo che, com'essi dipendono da un capo, così crescono come in un corpo, aderendo gli uni agli altri, come sono composte le membra di un medesimo corpo.

E sono veramente fatti uno in quanto che vivono del medesimo Spirito di Dio, nella stessa fede, speranza e carità e sono chiamati ad aver parte alla medesima eredità della vita eterna. Essa è ancora santa, poiché tutti quelli che sono stati eletti dall'eterna provvidenza di Dio per essere adottati quali membri della chiesa, sono tutti santificati dal Signore mediante una rigenerazione spirituale.

L'ultima parte della proposizione dice ancora più chiaramente com'è questa chiesa, cioè che la comunione dei credenti è tale, che qualunque dono di Dio un di loro abbia ricevuto, anche gli altri hanno parte ad esso, per quanto la dispensazione divina di questo dono venga fatta a uno particolarmente e non agli altri. Appunto come le membra d'un medesimo corpo per una certa comunione partecipano tutte tra loro di tutte le cose che hanno e tuttavia ciascuno ha le sue proprietà particolari e compiti diversi. Infatti, com'è stato detto, tutti gli eletti sono riuniti e composti in un corpo. Or noi crediamo la santa chiesa e la sua comunione onde, assicurati da una ferma fede in Cristo, abbiamo fiducia di essere sue membra'.

Credo la remissione dei peccati.

Su questo fondamento poggia e sta la nostra salvezza, poiché la remissione dei peccati è la via per avvicinarsi a Dio e il mezzo con cui siamo trattenuti e custoditi nel suo regno. Infatti nella remissione dei peccati è compresa tutta la giustizia, che i credenti ottengono, non per loro merito, ma per la misericordia del Signore. E ciò avviene quando oppressi, afflitti e confusi per la coscienza dei loro peccati, sono abbattuti dal sentimento del giudizio di Dio, hanno dispiacere di se stessi e gemono e sono oppressi come da un pesante fardello e per questo odio e confusione del peccato mortificano la loro carne e tutto ciò ch'è in essi.

Ma, affinché Cristo ottenesse per noi la remissione gratuita dei peccati, l'ha acquistata e pagata egli stesso col proprio sangue, al quale noi siamo debitori di ogni purificazione e d'ogni soddisfazione dovuta per essi. Ci viene dunque insegnato a credere che a noi, chiamati a far parte del corpo della chiesa, e inseriti in esso, è fatta grazia ed è concessa la remissione dei peccati per la liberalità divina e per l'intercessione del merito di Cristo. E nessun'altra remissione dei peccati è concessa altrove o con altro mezzo o ad altri, poiché all'infuori di questa chiesa e di questa comunione dei santi non vi è salvezza.

Credo la risurrezione della carne e la vita eterna.

Qui ci viene detto in primo luogo dell'attesa della risurrezione avvenire; cioè che il Signore richiamerà dalla polvere e dalla corruzione a vita novella la carne di coloro che saranno stati distrutti dalla morte prima del giorno del grande giudizio. E farà ciò mediante quella medesima potenza per cui ha risuscitato dai morti il suo Figliuolo. Ma quelli che saranno trovati vivi passeranno a una nuova vita piuttosto mediante una subitanea trasformazione che per la forma naturale della morte. Ora siccome la risurrezione è comune ai buoni e ai malvagi, ma in condizioni diverse, l'ultima parte della proposizione è aggiunta per discernere il nostro stato dal loro. La nostra risurrezione sarà tale che, risuscitati dalla corruzione nell'incorruttibilità, dalla morte nell'immortalità e glorificati nel corpo e nell'anima, il Signore ci accoglierà in una beatitudine, ch'è di là d'ogni mutamento e d'ogni corruzione. Ciò sarà la perfezione vera e completa nella vita, nella luce e nella giustizia, quando noi saremo inseparabilmente uniti al Signore, che ne possiede in sé ogni pienezza come sorgente che non può disseccarsi. In questa beatitudine il regno di Dio sarà pieno d'ogni splendore, gioia, potenza e felicità, cose che ora non possono essere conosciute dagli uomini e che noi non vediamo se non come in uno specchio e nell'oscurità, finché non sia giunto il giorno in cui il Signore ci concederà di vedere la sua gloria faccia a faccia.

Per contro i riprovati e malvagi, che non avranno cercato e onorato Dio con una fede verace e viva, siccome non avranno parte in Dio e nel suo regno, verranno gettati con i diavoli in una morte immortale e in una corruzione incorruttibile; affinché, esclusi d'ogni gioia e potenza e da tutti gli altri beni del regno celeste e condannati alle tenebre eterne e agli eterni tormenti, siano rosi da un verme che mai non morrà e arsi da un fuoco che mai si estinguerà.

La speranza

Se la fede (come abbiamo udito) è una persuasione certa della verità di Dio, e ch'essa non può mentire, né ingannare, né essere vana o falsa, quelli che hanno concepito questa certezza di sicuro attendono pure che Dio compia le sue promesse, che secondo la loro convinzione non possono essere che veraci. Cosicché, in conclusione, speranza non è se non l'attesa delle cose che la fede ha creduto essere state veramente promesse da Dio. Così la fede crede che Dio è verace, la speranza attende che al momento opportuno egli dimostri la sua veracità. La fede crede che Dio è nostro Padre, la speranza attende ch'egli si comporti sempre come tale verso di noi. La fede crede che la vita eterna ci è data, la speranza attende che una volta sia rivelata. La fede è il fondamento sul quale la speranza s'appoggia, la speranza nutre e mantiene la fede. Infatti, come nessuno può attendere e sperar nulla da Dio, se non colui che prima di tutto avrà creduto alle sue promesse, così d'altro lato è necessario che la nostra debole fede (affinché stanca non venga meno) sia sostenuta e conservata da uno sperare e attendere pazientemente.