Confessioni di fede/Consenso Elvetico: differenze tra le versioni

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Il "Consenso elvetico" (in latino: "Formula consensus ecclesiarum helveticarum) è una confessione di fede riformata svizzera stilata nel 1675 per precisare il contenuto della fede riformata contro le dottrine insegnate all'accademia francese di Saumur, in particolare contro le dottrine che vanno sotto il nome di "Amiraldismo". Origine
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La definizione stretta e senza compromessi delle dottrine dell'elezione e della riprovazione da parte del Sinodo di Dordrecht (1618-1619) causano una reazione in Francia, laddove i Protestanti vivevano circondati dai cattolici-romani. Moïse Amyraut, professore a Saumur, insegnava come l'espiazione dei peccati operata dal sacrificio di Gesù fosse "ipoteticamente universale" e non "particolare" o "definita". Il suo collega, Louis Cappel, vi giunge a negare l'ispirazione verbale del testo ebraico dell'Antico Testamento, e Josué de la Place respinge l'imputazione immediata del peccato di Adamo come arbitraria ed ingiusta.
La definizione stretta e senza compromessi delle dottrine dell'elezione e della riprovazione da parte del Sinodo di Dordrecht (1618-1619) causano una reazione in Francia, laddove i Protestanti vivevano circondati dai cattolici-romani. Moïse Amyraut, professore a Saumur, insegnava come l'espiazione dei peccati operata dal sacrificio di Gesù fosse "ipoteticamente universale" e non "particolare" o "definita". Il suo collega, Louis Cappel, vi giunge a negare l'ispirazione verbale del testo ebraico dell'Antico Testamento, e Josué de la Place respinge l'imputazione immediata del peccato di Adamo come arbitraria ed ingiusta.
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*Philip Schaff, //Creeds of Christendom//, i. §61 (pp. 477-489).  
*Philip Schaff, //Creeds of Christendom//, i. §61 (pp. 477-489).  


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Formula Elvetica di Consenso 

Il primo dei 26 canoni nell'esemplare della Formula Consensus del 1675, stampato in latino e in tedesco attorno al 1710 a Zurigo (Staatsarchiv Zürich, C I, Nr. 3414)
Il primo dei 26 canoni nell'esemplare della Formula Consensus del 1675, stampato in latino e in tedesco attorno al 1710 a Zurigo (Staatsarchiv Zürich, C I, Nr. 3414)

Il "Consenso elvetico" (in latino: "Formula consensus ecclesiarum helveticarum) è una confessione di fede riformata svizzera stilata nel 1675 per precisare il contenuto della fede riformata contro le dottrine insegnate all'accademia francese di Saumur, in particolare contro le dottrine che vanno sotto il nome di "Amiraldismo". Origine

La definizione stretta e senza compromessi delle dottrine dell'elezione e della riprovazione da parte del Sinodo di Dordrecht (1618-1619) causano una reazione in Francia, laddove i Protestanti vivevano circondati dai cattolici-romani. Moïse Amyraut, professore a Saumur, insegnava come l'espiazione dei peccati operata dal sacrificio di Gesù fosse "ipoteticamente universale" e non "particolare" o "definita". Il suo collega, Louis Cappel, vi giunge a negare l'ispirazione verbale del testo ebraico dell'Antico Testamento, e Josué de la Place respinge l'imputazione immediata del peccato di Adamo come arbitraria ed ingiusta.

La famosa e fiorente scuola di Saumur giunge così ad essere guardata con sempre maggiore sospetto come pericolosamente eterodossa specialmente dagli svizzeri, che in precedenza, vi avevano pure inviato i loro studenti. Il primo impulso dell'attacco a questa scuola proviene da Ginevra, storica sede del Calvinismo. Nel 1635 Friedrich Spanheim scrive contro Amyraud, che il clero di Parigi aveva cercato di difendere. Nel corso del tempo, però, la dottrina di Amyraut guadagna terreno nella stessa Ginevra. Nel 1649, Alexander Morus, successore di Spanheim, ma sospettato di appartenere al partito "liberale", è costretto dai magistrati di Ginevra a sottoscrivere una serie di articoli in forma di tesi ed antitesi, il germe della futura formula di consenso. Il suo posto viene preso da Philippe Mestrezat e più tardi da Louis Trouchin, entrambi inclini verso le tendenze liberali francesi, mentre Francesco Turrettini difendeva con zelo il sistema ortodosso. Mestrezat induce il Consiglio di Ginevra ad assumere una posizione più moderata sull'articolo dell'elezione, ma gli altri cantoni svizzeri fanno obiezione a questa nuova tendenza e minacciano di non mandare più i loro studenti a Ginevra.

Il Consiglio di Ginevra, così, sottomette ed esige perentoriamente da tutti i candidati al pastorato di sottoscrivere i vecchi articoli. Gli elementi conservatori, però, non sono soddisfatti, e viene loro l'idea di mettere fine all'ulteriore diffusione di tali nuove idee stabilendo una formula da fare sottoscrivere a tutti gli insegnanti e i predicatori. Dopo considerevole discussione fra Lucas Gernler di Basilea, Hummel di Berna, Otto di Sciaffusa, Johann Heinrich Heidegger di Zurigo ed altri, quest'ultimo viene incaricato di redigere la formula. All'inizio del 1675, la bozza in latino di Heidegger è comunicata al corpo pastorale di Zurigo e, nel corso dell'anno conquista l'adesione generale e quasi in ogni luogo viene aggiunta come appendice ed esposizione della Confessione Elvetica.

Contenuto

Il Consenso consiste di una prefazione e di 26 canoni, e afferma chiaramente la differenza fra il Calvinismo stretto e la scuola di Saumur.

  • I canoni 1-3 trattano della divina ispirazione e preservazione delle Scritture.
  • I canoni 4-6 trattano dell'elezione e della predestinazione.
  • I canoni 7-9 cercano di dimostrare come l'essere umano sia stato originalmente creato santo, e che l'ubbidienza alla legge lo avrebbe condotto alla vita eterna.
  • I canoni 10-12 respingono la dottrina di La Place su una imputazione mediata del peccato di Adamo.
  • I canoni 13-16 trattano della particolare destinazione di Cristo, eletto dall'eternità come Capo, maestro ed erede di coloro che sono salvati tramite lui, il Suo popolo, eletti dall'eternità.
  • I canoni 17-20 affermano che la chiamata all'elezione si riferiva, in tempi diversi, a circoli più ristretti e più vasti.
  • I canoni 21-23 definiscono la totale incapacità dell'essere umano a credere all'Evangelo con le sue proprie forze, come non solo morale, ma anche naturale, tanto che egli poteva credere, se sono avesse provato a farlo.
  • I canoni 23-25 affermano come non vi siano che due sole vie che portano alla giustificazione davantui a Dio e, di conseguenza, un duplice patto di Dio, cioè il patto d'opere per l'uomo in stato di innocenza ed il patto attraverso l'ubbidienza di risto per l'essere umano decaduto. L'ultimo canone ammonisce a attenersi fermamente alla pura e semplice dottrina evitando vane ciance.

Canoni

Canone 1

Dio, Giudice Supremo, non solo ha fatto in modo che la sua Parola, che è “…la potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede…” (Romani 1:16), fosse affidata a Mosè, ai Profeti ed agli Apostoli per essere messa per iscritto, ma pure ha vigilato su di essa con tenerezza e cura paterna affinché fosse tramandata intatta fino al tempo presente e preservata dai tentativi di Satana e dalla frode umana di corromperla. La Chiesa, quindi, attribuendole giustamente singolare grazia e bontà, confessa che essa è stata e sarà sempre conservata fino alla fine del mondo come “…parola profetica…” (II Pietro 1:19) certa e sicura e come Sacra Scrittura (II Timoteo 3:15), della quale, “…finché il cielo e la terra non passeranno, neppure un iota, o un solo apice…passerà, prima che tutto sia adempiuto” (Matteo 5:18).

Canone 2

In particolare, il testo ebraico originale dell’Antico Testamento che abbiamo ricevuto e fino ad oggi conservato tale e quale ci è stato trasmesso dalla Chiesa Israelita, a cui in passato “…gli oracoli di Dio furono affidati…” (Romani 3:2), è, non solo nelle sue consonanti e nelle sue vocali, ma anche nell’intero contenuto e nelle singole parole, ispirato da Dio. Esso così costituisce, insieme all’originale del Nuovo Testamento, la sola e completa regola della nostra fede e della nostra condotta; il suo testo può e deve essere ricostituito confrontando tutte le sue copie esistenti, occidentali e orientali, e dove differiscono, armonizzarle.

Canone 3

Non possiamo quindi approvare l’opinione di quanti credono che il testo ebraico originale dell’Antico Testamento sia il frutto solo dell’azione dell’uomo, tanto da non esitare a rimodellarlo, secondo le loro proprie facoltà razionali, nelle parti che essi considerano inadatte e addirittura a correggerlo secondo le versioni della Bibbia dei LXX e di altre versioni greche, del Pentateuco Samaritano, dei Targum Babilonesi e persino di altre fonti. Essi, così, giungono ad affermare di non riconoscere come legittime e genuine tutte le versioni che non siano state sottoposte ad una revisione razionale e critica; infatti, sostengono che l’originale ebraico, con il tempo, sia stato corrotto in vari modi. Infine, essi affermano che, oltre all’edizione ebraica oggi esistente, esisterebbero nelle versioni degli antichi interpreti, altri originali ebraici diversi dal nostro attuale testo. Però, dato che queste versioni non sono nient’altro che copie corrotte e manipolate di antichi originali ebraici, essi, così facendo, mettono in serio pericolo il fondamento stesso della nostra fede e la sua sacra autorità.

Canone 4

Dio, prima della fondazione del mondo, decretò di eleggere “secondo il proponimento eterno che egli attuò in Cristo Gesù, nostro Signore” (Efesini 3:11), per pura benevolenza della sua volontà, senza alcuna previa considerazione di merito sulle opere o sulla fede e a lode della propria gloriosa grazia, un numero certo e definito di uomini che giacevano nella indistinta massa corrotta di coloro che erano immersi nel sangue comune e nel peccato dei corruttori, al fine di condurli, a suo tempo, alla salvezza in Cristo, unico loro garante e mediatore. A questi eletti, Dio ha pure rivolto una chiamata efficace, per rigenerarli, per donar loro la fede e per convertirli per merito esclusivo di Cristo e dello Spirito Santo, che rigenera con la sua potentissima forza e virtù. A questo punto, Dio, volendo palesare tutta la sua gloria, decretò dapprima di creare l’uomo integro e perfetto, poi di permettergli di cadere e infine di avere misericordia e pietà di alcuni fra quelli che avevano errato, tanto da arrivare ad eleggerli, e nel contempo di lasciare gli altri nella massa corrotta, e alla fine di condannarli alla dannazione eterna.

Canone 5

Cristo stesso è pure incluso nel decreto di grazia dell’elezione divina, non per merito o per fondamento precedente all’elezione stessa, ma in quanto egli stesso eletto (I Pietro 2:4,6). Tale egli era già prima della fondazione del mondo e inoltre egli venne scelto come mediatore e come fratello nostro primogenito in vista del compimento del decreto dell’elezione e per donarci la salvezza con i suoi preziosi meriti, secondo quanto voluto da Dio nella sua giustizia. Infatti, le Sacre Scritture non solo testimoniano che l’elezione è avvenuta seconda la pura e semplice benevolenza del consiglio e della volontà divina (Efesini 1:5,9; Matteo 11:26), ma fanno anche chiaramente risalire la destinazione e la donazione di Cristo, nostro mediatore, all’amore affettuoso e premuroso di Dio Padre verso il mondo degli eletti.

Canone 6

Perciò noi non possiamo concordare con l’opinione di quanti insegnano che Dio, mosso dall’amore per l’uomo o da un tipo di speciale amore, precedente all’elezione, per il genere umano caduto, e lasciandosi determinare nella propria volontà da quella primitiva misericordia, come la chiamano, avrebbe offerto la salvezza a tutti e a ciascuno di coloro che non possono ambirla, purché credano; a tutti e a ciascun peccatore, inoltre, avrebbe destinato e donato Cristo come mediatore; e infine, alcuni che avrebbe scelto, li avrebbe considerati non semplicemente come peccatori nel primo Adamo, ma anche come redenti nel secondo Adamo, cioè, si sarebbe proposto di concedere loro gratuitamente e a tempo debito il dono salvifico della fede. In quest’ultimo atto, sostengono, si risolverebbe l’elezione propriamente detta. Però, questi ed altri insegnamenti ad essi affini, si discostano non poco dalla corretta interpretazione della Parola di Dio per quel che concerne l’elezione divina. Infatti, le Scritture estendono il proponimento di Dio, vale a dire la misericordia verso gli uomini, non a tutti e a ciascuno indistintamente, ma ai soli eletti, escludendone esplicitamente i reprobi, come Esaù, che Dio perseguitò di un odio eterno (Romani 9:10-13). Le stesse Sacre Scritture attestano che il proponimento e la volontà di Dio non vacillano, bensì restano immutabili e “…Dio…nei cieli…fa tutto ciò che gli piace” (Salmo 115:3; Isaia 46:10); infatti, Dio è infinitamente lontano da ogni imperfezione umana, quale si sviluppa nei sentimenti e nei desideri inefficaci, nell’avventatezza, nel pentimento e nel cambiamento dei progetti di vita. Infine, la destinazione di Cristo come mediatore e nel contempo come salvatore di coloro che gli sono stati dati in patrimonio ed eredità è da far risalire ad un’unica e medesima elezione e non fa da fondamento all’elezione stessa.

Canone 7

Dato che “a Dio sono note dall’eternità tutte le opere sue” (Atti 15:18), così, secondo la sua infinita maestà, sapienza e bontà, egli ha fatto l’uomo, gloria e fine delle sue opere, a propria immagine e somiglianza e quindi retto, saggio e giusto. Avendo creato l’essere umano in questo modo, Dio lo sottopose al Patto d’Opere promettendogli comunione, favore e vita se davvero avesse agito secondo la volontà del Padre.

Canone 8

Inoltre, la promessa connessa al Patto d’Opere non era semplicemente solo una continuazione della vita e della felicità terrena, ma il possesso di una speciale vita eterna e celestiale, una vita, cioè, sia con il corpo che con l’anima in cielo, se davvero l’uomo fosse vissuto in perfetta ubbidienza, armonia e comunione con Dio. L’Albero della Vita, infatti, prefigurava ad Adamo non solo piena e gioiosa comunione con Dio ma anche il dovere di obbedire alla legge divina. La legge, però, essendo stata infranta da Adamo con la sua disubbidienza, è stata perfettamente adempiuta e osservata da Cristo che vi si è sottoposto per noi. La legge, tuttavia, continua, con il suo rigore, a minacciare l’uomo con la morte, sia temporale che eterna.

Canone 9

Non possiamo quindi concordare con l’opinione di quanti negano che un premio di una beatitudine celeste sia stato promesso ad Adamo a condizione che avesse ubbidito alla legge di Dio. Non possiamo neppure concordare con quanti sostengono che la promessa connessa al Patto d’Opere fosse nient’altro che una promessa di una vita perpetua, in pace e in salute e in condizione di natura perfetta, insomma in un Paradiso terrestre. Noi crediamo, dunque, che queste dottrine siano contrarie alla Parola di Dio e indeboliscano non poco l’efficacia della legge, per cui riteniamo opportuno respingerle e condannarle.

Canone 10

Dio stabilì il Patto d’Opere non solo con Adamo, ma anche con tutta l’umanità che sarebbe da lui scaturita. Se Adamo avesse perseverato ed obbedito al Patto d’Opere, l’umanità intera non sarebbe stata sottoposta alla condanna. Adamo, così, disubbidendo a Dio, ha peccato ed ha perduto tutti i benefici promessi nel Patto d’Opere non solo per se stesso, ma anche per l’intero genere umano che sarebbe nato dalla sua carne. Noi, quindi, crediamo che il peccato di Adamo sia imputato a tutta l’umanità per il giusto giudizio di Dio. L’Apostolo, infatti, testimonia che “…come per mezzo di un solo uomo, il peccato è entrato nel mondo e per mezzo del peccato la morte,…così la morte si è estesa a tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato;…infatti, come per la disubbidienza di un solo uomo i molti sono stati costituiti peccatori, così ancora per l’ubbidienza di uno solo i molti saranno costituiti giusti” (Romani 5:12,19) e “…siccome per mezzo di un uomo è venuta la morte, così anche per mezzo di un uomo è venuta la risurrezione dei morti. Perché, come tutti muoiono in Adamo, così tutti saranno vivificati in Cristo” (I Corinzi 15:21-22). Per cui, la corruzione dell’intero genere umano, intesa come morte spirituale, è figlia del peccato di Adamo e dunque del giusto giudizio di Dio. Infatti, Dio, Giudice Supremo di tutta la terra, non punisce nessun altro che i colpevoli.

Canone 11

Dunque, per una duplice ragione, l’essere umano è esposto per natura, a causa del peccato e quindi dalla nascita e addirittura prima ancora di aver commesso alcun peccato di fatto, all’ira e alla maledizione di Dio; in primo luogo, a causa della trasgressione e della disubbidienza commessa quando era ancora nei lombi di Adamo; e, in secondo luogo, a causa della conseguente corruzione ereditaria impiantata all’atto del suo stesso concepimento, per cui l’intera sua natura è totalmente depravata e spiritualmente morta. Il peccato originale, quindi, può essere senza alcun dubbio considerato duplice, ossia, peccato imputato e peccato ereditario.

Canone 12

Dunque, noi non possiamo, senza ledere la Verità di Dio, concordare con quanti negano che Adamo rappresentava la sua posterità per volere di Dio, e che questo suo peccato sia imputato all’intero genere umano in modo immediato. Per cui, la teoria della mediata imputazione del peccato di Adamo, espone ad un grave pericolo sia la dottrina dell’imputazione del primo peccato, sia la dottrina della corruzione ereditaria.

Canone 13

Cristo è stato eletto dall’eternità per essere Capo, Guida e Signore di tutti coloro che, nel tempo, sono salvati dalla sua grazia, così pure, egli è stato reso garante del Nuovo Patto solo per coloro che, per l’eterna elezione, sono affidati a lui come suo popolo, sua discendenza e sua eredità. Infatti, per esclusiva e determinata volontà del Padre, Cristo è morto solo per gli eletti, ristabilendo così questi soli nel seno della grazia del Padre; dunque, solo gli eletti Cristo ha riconciliato a Dio Padre e questi soli egli ha liberato dalla maledizione della legge. Infatti, Gesù, ha salvato “…il suo popolo dai loro peccati” (Matteo 1:21), ha dato la sua vita come prezzo di riscatto per molte pecore (Giovanni 10:15; Matteo 20:28) che ascoltano la sua voce (Giovanni 10:27-28) e infine, prega e intercede solo per loro, non per il mondo intero (Giovanni 17:9). Di conseguenza, in virtù del sacrificio espiatorio di Cristo, gli eletti sono considerati come se fossero morti con lui e dunque giustificati dal peccato (II Corinzi 5:17); Dio Padre, quindi, ha dato a Cristo per essere redenti nessun altro che gli eletti, i quali, per l’opera dello Spirito Santo sono anche santificati e suggellati alla speranza della vita eterna. La volontà di Cristo, in questo modo, agisce in perfetta armonia con la sfera dell’elezione del Padre e con l’azione santificante dello Spirito Santo.

Canone 14

Cristo, inoltre, ha provveduto a donare a coloro per i quali è morto anche i mezzi necessari alla salvezza, ossia, lo spirito rigenerante e una vera e vivifica fede, che sono di fatto i fondamenti stessi della nostra salvezza. Le Scritture, infatti, rendono testimonianza che Cristo, nostro Signore, è venuto per salvare le “…pecore perdute della casa d’Israele” (Matteo 15:24); inoltre, ha mandato lo Spirito Santo, fonte di rigenerazione e di vita come il suo proprio spirito (Giovanni 16:7-8); altresì, è stato fatto mediatore e garante del Nuovo Patto (Ebrei 8:10); per di più, tutti gli eletti scelti dal Padre avranno fede in Cristo; e infine, in Cristo, Dio “…ci ha eletti prima della fondazione del mondo, affinché fossimo santi e irreprensibili davanti a lui nell’amore, avendoci predestinati all’adozione di figli per mezzo di Gesù Cristo a se stesso, secondo il beneplacito della sua volontà” (Efesini 1:4-5). In conclusione, il nostro essere santi ed eletti figli di Dio procede esclusivamente da una vera e vivifica fede e dallo spirito rigenerante.

Canone 15

Con la sua morte, avvenuta in luogo dei soli eletti, Cristo ha soddisfatto totalmente la giustizia di Dio Padre. Infatti, in virtù di quella ubbidienza che trovò appunto compimento nella sua atroce sofferenza ma anche nelle sue divine opere, Cristo ha reso pienamente giustizia a Dio. La vita di Cristo, infatti, secondo le parole dell’Apostolo non è stata nient’altro che sottomissione, umiliazione e ubbidienza arrivando addirittura ad annichilirsi fino alla morte in croce (Filippesi 2:7-8). Dunque, Cristo, al nostro posto, ha adempiuto e soddisfatto la legge e la divina giustizia non solo con la sua morte ma anche con la sua santissima e umile vita. Siamo quindi redenti in Cristo che ci ha, con la sua sofferenza e con il suo sangue, liberato dalle tenaglie della morte. Resta il fatto, però, che la vita che ha preceduto la sua morte in croce non può essere assolutamente minimizzata e sminuita.

Canone 16

Detto questo, noi non possiamo concordare con l’opinione di quanti affermano che Cristo sia morto per tutti gli uomini, a condizione che credano. Noi non possiamo concordare neppure con l’insegnamento di quanti sostengono che Cristo abbia guadagnato la salvezza per tutti; il dono della fede, infatti, è riservato a pochi, non a tutti. Noi non possiamo concordare neanche con coloro i quali sostengono che mediante la sua morte in croce Cristo abbia guadagnato la salvezza per nessun uomo in particolare, ma semplicemente abbia soddisfatto la giustizia divina, come pure abbia acquisito la libertà di stabilire un nuovo Patto di Grazia con tutti gli uomini. Così facendo, essi separano erroneamente la giustizia attiva e passiva di Cristo al punto da arrivare ad asserire che egli riservi come propria la sua giustizia attiva e che imputi agli eletti soltanto la sua giustizia passiva. Tutte queste dottrine, e tutte quelle ad esse simili, riteniamo che siano contrarie alla Verità della Scrittura e che ledano non poco la gloria di Cristo, autore e compitore della nostra fede e salvezza; essi, così facendo, rendono la croce di nessun effetto, e sotto l’apparenza di esaltare i meriti di Cristo, in realtà li diminuiscono.

Canone 17

La chiamata alla salvezza si è adattata, nel corso del tempo, a particolari tempi stabiliti (I Timoteo 2:6), dal momento che, per volontà esclusiva di Dio, essa una volta era più ristretta, poi più diffusa e generale, ma mai completamente universale. Indubbiamente, nell’Antico Testamento, Dio “…ha fatto conoscere la sua Parola a Giacobbe, i suoi statuti e i suoi decreti a Israele. Egli non ha fatto questo con alcun’altra nazione…” (Salmo 147:19-20). Nel Nuovo Testamento, invece, Dio, essendosi riconciliato con gli uomini grazie al sangue innocente versato da Cristo, ha esteso i limiti sia della predicazione dell’Evangelo che della chiamata esteriore, al punto tale che non sussisteva più alcuna “…distinzione fra il Giudeo e il Greco, perché uno è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano” (Romani 10:12). Però, neanche in questo modo, la chiamata alla salvezza poteva ritenersi universale, infatti, Cristo testimonia che “…molti sono chiamati, ma pochi eletti” (Matteo 20:16). Altresì, quando Paolo e Timoteo tentano di andare a predicare l’Evangelo in Bitinia, lo Spirito non glielo permette (Atti 16:7). Dunque, come l’esperienza dimostra, anche oggi, come in passato, ci sono innumerevoli miriadi di persone per le quali Cristo è sconosciuto, anche solo per sentito dire.

Canone 18

Nel contempo, però, Dio “…non ha lasciato se stesso senza testimonianza…” (Atti 14:17) nei confronti di coloro che egli si rifiuta di chiamare, con la sua Parola, a salvezza. Infatti, Dio ha assegnato a tutti i popoli la sua testimonianza nei cieli, nel sole, nella luna e nelle stelle, cioè nel creato (Deuteronomio 4:19), “poiché ciò che si può conoscere di Dio è manifestato in loro, perché Dio lo ha loro manifestato” (Romani 1:19), incluse le opere della Divina Provvidenza e della natura, e questo per manifestare a loro la sua infinita sapienza. Eppure non è vero che le opere della natura e della Divina Provvidenza siano mezzi sufficienti per chiamare alla salvezza e alla fede tutti gli uomini e per palesare la misericordia di Dio in Cristo. L’Apostolo aggiunge subito: “Infatti le sue qualità invisibili e la sua eterna potenza e divinità, essendo evidenti per mezzo delle sue opere fin dalla creazione del mondo, si vedono chiaramente, affinché siano inescusabili” (Romani 1:20). Dunque, essi avrebbero potuto giungere alla salvezza in Cristo, ma sono inescusabili, perché non hanno fatto uso correttamente della conoscenza che era stata loro lasciata; infatti, pur conoscendo Dio, essi non l’hanno glorificato né gli si sono dimostrati devoti. È per questo motivo che Cristo rende lode a Dio “…Signore del cielo e della terra, perché ha nascosto queste cose ai savi e agli intelligenti, e le ha rivelate ai piccoli fanciulli” (Matteo 11:25). Altresì, l’Apostolo stesso pure così insegna affermando che Dio ha fatto “…conoscere il mistero della sua volontà secondo il suo beneplacito, che egli aveva determinato in se stesso” (Efesini 1:9).

Canone 19

Dio, attraverso la predicazione dell’Evangelo, cioè, attraverso la sua Parola, rivela nel modo più trasparente e verace, non solo la sua imperscrutabile volontà riguardo la salvezza o la dannazione di ogni individuo, ma anche la nostra responsabilità nei suoi confronti, cioè che cosa ci accadrà se noi adempiamo o trascuriamo i suoi decreti. Dio, infatti, promette vita eterna a coloro che, dopo averli chiamati, si accostano a lui con sincera fede. L’Apostolo, a tal proposito, dichiara: “Questa parola è fedele, perché se siamo morti con lui, con lui pure vivremo; se perseveriamo, regneremo pure con lui; se lo rinneghiamo, egli pure ci rinnegherà. Se siamo infedeli, egli rimane fedele, perché egli non può rinnegare se stesso” (II Timoteo 2:11-13). La chiamata, però, risulta inefficace e priva di risultati per coloro i quali disubbidiscono alla Parola di Dio; infatti, la salvezza è riservata solo a coloro che adempiono i decreti di Dio, cioè agli eletti, non a quelli che li trascurano. Dio, inoltre, che dispone tutto di sua propria volontà senza alcuna interferenza o ingerenza dell’uomo, approva “…che chiunque vede il Figlio e crede in lui, abbia vita eterna…” (Giovanni 6:40), sebbene questo “chiunque” sia da riferirsi solo agli eletti e che Dio non abbia predisposto alcun piano di salvezza universale senza operare una scelta di persone, e che Cristo, quindi, non sia morto per tutti, ma solo per gli eletti che il Padre gli ha affidato. Dunque, gli eletti e soltanto gli eletti, per volontà esclusiva di Dio, credono alla chiamata esteriore, mentre i reprobi la rifiutano. Questo è quanto vuole Dio; gli eletti, a cui è stato fatto il dono della grazia, crederanno, i reprobi, invece, rimarranno nel loro peccato e con il cuore duro e impenitente accumuleranno su di sé l’ira di Dio “…per il giorno…della manifestazione del giusto giudizio di Dio” (Romani 2:5).

Canone 20

Per questo motivo, noi non possiamo concordare con l’opinione di quanti sostengono che la chiamata alla salvezza sia rivelata non solo dalla predicazione dell’Evangelo, ma anche dalle opere della natura e della Divina Provvidenza. Essi, altresì, affermano che la chiamata alla salvezza sia così indefinita e universale da non esistere, in tutta la faccia della terra, mortale che non sia, almeno oggettivamente, come essi dicono, sufficientemente chiamato o in modo mediato, sostenendo che Dio doni la grazia a coloro che fanno un uso corretto della legge di natura, o in modo immediato, cioè grazie a Cristo. Essi, infine, insegnano che la chiamata esteriore sia inefficace se non si afferma l’assoluta universalità della grazia. Queste dottrine, dunque, riteniamo che siano contrarie al corretto insegnamento biblico; innanzitutto perché confondono la legge di natura con la grazia e poi anche perché confondono ciò che può essere conosciuto su Dio con la sua imperscrutabile e misteriosa sapienza. Essi, infine, confondono la ragione con la Divina Rivelazione.

Canone 21

Coloro che sono chiamati alla salvezza mediante la Parola e la predicazione dell’Evangelo, non sono assolutamente in grado di credere o di ubbidire alla chiamata se non quando sono fatti risorgere dalla loro originaria morte spirituale attraverso la stessa potenza che Dio usò per suscitare la luce dalle tenebre. Infatti, “…il Dio che disse: <Splenda la luce dalle tenebre>, è lo stesso che ha fatto brillare il suo splendore nei nostri cuori per far risplendere in noi la conoscenza della gloria di Dio, che rifulge sul volto di Gesù Cristo (II Corinzi 4:6). Inoltre, “…l’uomo naturale non riceve le cose dello Spirito di Dio, perché sono follia per lui, e non le può conoscere, poiché si giudicano spiritualmente” (I Corinzi 2:14). La Scrittura, infatti, attraverso innumerevoli testimonianze, dimostra chiaramente questa totale incapacità dell’uomo di conoscere Dio; questa incapacità, senza alcun dubbio, può essere chiamata non solo “morale” in quanto il soggetto in questione, ossia l’uomo, è di natura morale, ma dovrebbe, allo stesso tempo, essere chiamata anche “naturale” perché l’essere umano, per natura, dunque sin dal seno materno e quindi dalla sua nascita è figlio di disubbidienza (Efesini 2:2). La sua incapacità e la sua corruzione sono così profonde e innate che non possono essere abbattute in alcun modo se non dall’onnipotenza dello Spirito Santo che, con amore e con grazia, rinnova il suo depravato cuore.

Canone 22

Riteniamo, quindi, che sbagliano enormemente coloro che chiamano questa incapacità a credere un’incapacità morale e non dicono che è naturale; altresì, erroneamente, sostengono anche l’essere umano in qualunque condizione sia posto sia capace di credere se solo lo desidera e che la fede, in qualche modo, sia originata da noi stessi. L’Apostolo, però, chiama chiaramente la salvezza e la fede “…dono di Dio” (Efesini 2:8).

Canone 23

Vi sono due modi con i quali Dio, Giusto Giudice, ha promesso giustificazione salvezza all’uomo: il primo, mediante le opere della legge; il secondo, mediante l’ubbidienza di Gesù Cristo, nostro garante (quest’ultima giustificazione è imputata per grazia a coloro che credono all’Evangelo). Il primo metodo serve a giustificare l’essere umano che può vantare perfezione; il secondo, invece, serve a giustificare un peccatore. In virtù di quanto detto, le Scritture stabiliscono due patti: il Patto d’Opere, stabilito con Adamo e con la sua posterità, ma reso nullo dal peccato; e il Patto della Grazia, stabilito solo con gli eletti in Cristo, il secondo Adamo. Quest’ultimo patto, però, a differenza del primo che si basava solo sulle nostre forze, non può essere né infranto, né abrogato.

Canone 24

Questo successivo Patto di Grazia, secondo la diversità dei tempi, ha comportato anche diverse dispensazioni. Infatti, quando l’Apostolo parla della “…dispensazione del compimento dei tempi…” (Efesini 1:10), ossia dell’amministrazione degli ultimi tempi, egli indica chiaramente che è esistita in passato un’altra dispensazione e amministrazione durata “…fino al tempo prestabilito dal padre” (Galati 4:2). Eppure, nella dispensazione del Patto di Grazia, gli eletti sono stati tutti salvati mediante “…l’Angelo della sua presenza…” (Isaia 63:9) e mediante “…l’Agnello, che è stato immolato fin dalla fondazione del mondo” (Apocalisse 13:8), ossia Gesù Cristo, nonché attraverso la fede in lui, nel Padre e nel suo Spirito. Infatti, “…Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e in eterno” (Ebrei 13:8). È per pura sua grazia che noi crediamo che siamo salvati nella stessa maniera in cui sono stati salvati i nostri padri. Infatti, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento è scritto: “…Beati tutti coloro che si rifugiano in lui [nel Figlio]” (Salmo 2:12); “Chi crede in lui non è condannato, ma chi non crede è già condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio” (Giovanni 3:18); “…Credete in Dio e credete anche in me” (Giovanni 14:1). Inoltre, se i nostri padri cedettero in Cristo come loro Dio, ne consegue che essi avevano creduto nello Spirito Santo, senza il quale nessuno può chiamare Gesù Signore. Nei due Testamenti ci sono così tante chiare testimonianze di questa fede dei nostri padri che è impossibile sfuggirne, a meno che uno non sia proprio determinato a farlo. Questa conoscenza salvifica di Cristo e della Santa Trinità, però, nell’Antico Testamento era celata dietro promesse, segni, figure e simboli a differenza del Nuovo Testamento dove tutto divenne più chiaro, trasparente e diretto. Essa, tuttavia, anche nell’Antico Testamento era vera conoscenza e, in proporzione alla misura della Divina Rivelazione, era sufficiente per raggiungere, con l’aiuto della grazia di Dio, salvezza e pace eterna.

Canone 25

Disapproviamo quindi la dottrina di quanti insegnano che vi siano stati tre Patti, quello della natura, quello delle opere e quello della grazia, diversi l’un dall’altro nella loro intera essenza e nella loro intera natura. Essi, così facendo, minano e pregiudicano non poco la Verità della Bibbia e addirittura, riguardo alla dispensazione dell’Antico Testamento, non esitano a distorcere ed a falsificare verità concernenti Cristo, la Santa Trinità ed altre ancora.

Canone 26

Infine, sia noi, ai quali nella Chiesa, che è la casa di Dio, è stata affidata l’amministrazione per il tempo presente, sia tutti i nostri confratelli, e sia coloro che per volontà di Dio succederanno alla nostra responsabilità, al fine di prevenire dissensi e contese, desideriamo che sia compiuto quanto segue. Che in questa corruzione del mondo, con l’Apostolo dei Gentili come nostro fedele mentore, intendiamo attenerci saldamente alle dottrine che ci sono state affidate “…evitando i discorsi profani e vani…” (I Timoteo 6:20) e che religiosamente e piamente intendiamo proteggere la purezza e la genuinità delle nostre dottrine restando fedeli alla Verità. Inoltre, affinché nessuno sia indotto a sollevare, o pubblicamente o privatamente, qualche dubbio o nuovo dogma di fede contrario alla Parola di Dio, alla nostra Confessione Elvetica, ai libri delle nostre confessioni di fede ed ai Canoni del Sinodo di Dordrecht, dichiariamo, in accordo con la Divina Parola, la speciale necessità della santificazione del Giorno del Signore, esortando con fervore tutti alla sua osservanza. In conclusione, noi unanimemente e fedelmente sosteniamo che, sia nelle scuole sia nelle chiese, debba essere insegnata la Verità dei Canoni qui scritti, i quali sono dedotti dall’indubitabile, verace e infallibile Parola di Dio. Ora il Dio della pace vi santifichi e vi conservi rettamente, anima e corpo, per la venuta del Signore Nostro Gesù Cristo, al quale, con il Padre e con lo Spirito Santo, vada per sempre onore, lode e gloria. Amen!

Zurigo, 1675

La storia posteriore

Sebbene il Consenso Elvetico sia introdotto dovunque nelle chiese riformate svizzere, di fatto non vi resiste a lungo per il cambiamento graduale del clima culturale e viene considerato un prodotto dello Scolasticismo. Dapprima non si ritiene più necessario imporre la sua sottoscrizione in quanto molti predicatori francesi trovano ospitalità nel Vallese dopo la revoca dell'Editto di Nantes. Precedentemente ogni predicatore doveva sottoscrivere ed approvare senza riserve il Consenso, ora si ammette maggiore tolleranza. In seguito ad un appello del grande elettore del Brandenburgo ai cantoni riformati chiede che, a causa del grave pericolo in cui si trova il Protestantesimo e la necessità di unire tutti gli evangelici, si annulli questa formula che ritiene fonte di divisione. Più tardi la sua sottoscrizione non è più richiesta a Basilea dopo il 1686 ed è lasciata cadere prima a Sciaffusa e, più tardi, nel 1706, a Ginevra, mentre Zurigo e Berna la conservano. Si stava avvicinando il tempo in cui la scienza secolare viene in primo piano e gli aspetti etici e pratici del Cristianesimo diventano dominanti. Il razionalismo ed il pietismo mina le fondamenta della vecchia ortodossia calvinista. Si raggiunge così temporaneamente un accordo fra i partiti liberali e conservatori che il Consenso dovesse considerarsi non come regola di fede, ma solo come norma di insegnamento. Nel 1722 la Prussia e l'Inghilterra chiedono ai rispettivi magistrati dei cantoni svizzeri che si abolisca questa formula per favorire l'unità e la pace all'interno delle chiese protestanti. La risposta è in qualche modo evasiva ma, sebbene che la formula non sia stata mai formalmente abolita, essa gradualmente decade interamente dall'uso.

Riferimento

  • The official copy, in Latin and German, is in the archives of Zurich. It was printed in 1714 as a supplement to the Second Helvetic Confession, then in 1718, 1722, and often afterwards.
  • H. A. Niemeyer, Collectio Confessionum, pp. 729-739, Leipsic, 1840 (Latin)
  • E. G. A. Böckel, Die Bekenntnisschriften der evangelisch-reformirten Kirche, pp. 348-360, ib. 1847 (German).
  • J. J. Hottinger, Succincta...Formulae Consensus...historia, Zurich, 1723;
  • J. J. Hottinger, Helvetische Kirchengeschichte, iii. 1086 sqq., iv. 258, 268 sqq., Zurich 1708-29.
  • C. M. Pfaff, Dissertatio...de Formula Consensus Helvetica, Tübingen, 1723.
  • A. Schweizer, Die protestantischen Central-dogmen in ihrer Entwickelung, pp. 439-563, Zurich 1856.
  • E. Blösch, Geschichte der schweizerisch-reformirten Kirchen, i. 485-496, ii. 77-97, Bern, 1898-1899.
  • Philip Schaff, //Creeds of Christendom//, i. §61 (pp. 477-489).