Confessioni di fede/Elvetica/08

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Indice generale

Confessione di fede elvetica del 1566

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VIII. La caduta dell’uomo, il peccato e la causa del peccato

L’uomo è stato creato da Dio all’inizio a immagine e somiglianza di Dio, in giustizia e vera santità, buono e giusto (Ef. 4:24), ma vinto dall’istigazione (instinctu) del serpente e dalla sua propria colpa, allontanandosi dalla bontà e dalla giustizia. si è reso schiavo del peccato e della morte e si è assoggettato a molte e svariate calamità.

E nella condizione in cui si è ridotto in seguito alla sua caduta si trovano anche tutti coloro che sono derivati da lui, cioè assoggettati al peccato, alla morte e a molteplici miserie. Ora, per peccato noi intendiamo questa corruzione naturale dell’uomo che deriviamo dai nostri progenitori e che attraverso di loro è passata in noi.

Essendo da essa immersi [ingolfati] in cattive concupiscenze e distolti da ogni forma di bene, proni ad ogni sorta di male, pieni di ogni iniquità, sfiducia, di sprezzo e odio di Dio, non solo non possiamo fare da noi stessi alcun bene, ma non possiamo neppure pensarlo (2 Co. 3:5). Anzi, man mano che invecchiamo, non cessiamo di produrre. come alberi cattivi, frutti completamente bacati (Mt. 12:33ss). trasgredendo la legge di Dio, sia in pensiero che in azioni e parole cattive, per cui, rendendoci per il nostro merito meritevoli della collera di Dio, noi ci assoggettiamo a giustissime pene, al punto che saremmo tutti rigettati da Dio, se il nostro Signore e Redentore Gesù Cristo non ci avesse soccorsi.

Il termine morte

Del resto, con il termine morte noi intendiamo non solo la morte fisica, che tutti gli uomini devono un giorno patire a causa del peccato, ma anche i tormenti eterni che sono dovuti ai nostri peccati e alla nostra corruzione. L’apostolo dice infatti che noi eravamo morti per le nostre colpe e peccati ed eravamo per natura figli dell’ira, come gli altri, ma che Dio, che è ricco di misericordia, mentre eravamo morti per i nostri peccati, ci ha vivificati insieme con Cristo (Ef. 2:1 ss). Similmente: “Perciò, come per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, e per mezzo del peccato la morte, e così la morte è passata su tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato...” (Ro 5:12).

Riconosciamo quindi in ogni uomo il peccato originale e confessiamo che tutti gli altri peccati che da esso procedono sono chiamati peccati, ciò che essi sono in realtà, comunque li si voglia chiamare, peccati mortali o peccati veniali.

Fra essi annoveriamo anche il peccato contro lo Spirito Santo, che non viene mai perdonato (Mr. 3:29; l Gv. 5:16). Confessiamo ugualmente che tutti i peccati non sono affatto uguali, sebbene pro- vengano da una stessa fonte di corruzione e di incredulità, ma diciamo che alcuni sono più gravi di altri, secondo quello che ha affermato il Signore, cioè che Sodoma sarà trattata meno duramente della città che avrà rifiutato il Vangelo (Mt. 10,14.15; 11:20ss).

Condanniamo quindi tutti coloro che hanno insegnato il contrario di questa dottrina e anzitutto Pelagio e tutti i pelagiani, assieme ai gioviniani (1), i quali (come gli stoici) hanno affermato che i peccati sono tutti uguali.

Del resto, su questo concordiamo perfettamente con s. Agostino che ha tratto dalle sacre Scritture ciò che ha scritto e creduto al riguardo. Condanniamo, inoltre, Fiorino e Blasto (contro i quali ha scritto Ireneo) e tutti coloro che fanno di Dio l’autore del peccato, dato che la Scrittura dice chiaramente: “Tu sei il Dio che non vuole l’iniquità, Tu odi tutti coloro che commettono il male e sterminerai tutti coloro che profferiscono menzogna” (Sl. 5). E inoltre: “Quando il diavolo dice la menzogna, parla del suo, essendo bugiardo e padre della menzogna” (Gv. 8:44).

D’altronde, c’è in noi abbastanza vizio e corruzione, senza che Dio ponga in noi qualche nuova o maggiore cattiveria. Per cui, quando troviamo nelle Scritture che Dio indurisce, acceca e mette in una situazione riprovata, dobbiamo intendere che Dio fa queste cose nel suo giusto giudizio, come giudice e giusto vendicatore.

Infine, quando si dice nelle Scritture o sembra che Dio faccia qualche male, questo non significa che l’uomo non fa alcun male, ma che Dio, nel suo giusto giudizio, tollera che il male sia fatto e non lo impedisce, male che tuttavia egli avrebbe potuto impedire se lo avesse voluto, o perché fa ben usare del male degli uomini, come si è servito dei peccati dei fratelli di Giuseppe, o perché egli governa i peccati degli uomini, affinché non debordino oltre il necessario. A questo proposito, s. Agostino, nel suo Enchiridion (2), dice: “Anche ciò che si compie contro la volontà di Dio, in un modo meraviglioso e ineffabile non si realizza affatto indipendentemente dalla sua volontà; non avverrebbe, infatti, se egli non permettesse che avvenisse. Ora egli non lo permette per forza, ma di sua spontanea volontà. E colui che è sommamente buono non permetterebbe che avvenisse il male se non perché, essendo onnipotente, può trarre il bene dal male”. Ecco ciò che dice al riguardo.

Per il resto, riguardo alle altre questioni, cioè se Dio abbia voluto che Adamo peccasse o se lo ha spinto alla caduta e alla trasgressione o perché non abbia impedito la sua caduta e altre questioni simili, noi le mettiamo nel numero delle domande indiscrete, se l’improntitudine degli eretici non ci costringesse a giungere fino ad esse e ad esporre anche queste cose nella misura in cui esse sono prese in considerazione dalla parola del Signore, come ne hanno trattato spesso i fedeli dottori della chiesa. Insomma, noi sappiamo che Dio ha proibito all’uomo di mangiare il frutto proibito e che ha punito la trasgressione di questo suo ordine (Ge. 2:17); sappiamo, inoltre, che i mali che avvengono non sono affatto dei mali dal punto di vista della provvidenza, della volontà e potenza di Dio, ma che sono tali solo riguardo a satana e alla nostra volontà contraria e ribelle alla volontà di Dio.

Note

(1) Pelagio, monaco bretone del V sec., insegnava che l’uomo è libero davanti al bene e al male e che può vincere le proprie tendenze cattive con le sue forze. Gioviniano, monaco della fine del IV sec., al dire di Girolamo, avrebbe contestato il merito delle opere buone e avrebbe insegnato che i rigenerati nel battesimo non possono più peccare. Fiorino fu un prete gnostico. Blasto, contemporaneo di Fiorino, sembra averne condiviso le idee. Ireneo visse nel TI sec, e fu vescovo di Lione. Così pensavano gli stoici e altri filosofi del tempo.

(2) Enchiridion ad Laureni., c. 100.