Confessioni di fede/Elvetica/24

Da Tempo di Riforma Wiki.
Versione del 13 giu 2020 alle 20:19 di Pcastellina (discussione | contributi) (Creata pagina con " {{Elvetica}} == XXIV. Le feste, i digiuni e le distinzioni dei cibi == === Tempo e necessità del culto === Sebbene la religione non dipenda affatto dal tempo, essa non pu...")
(diff) ← Versione meno recente | Versione attuale (diff) | Versione più recente → (diff)
Vai alla navigazione Vai alla ricerca


Indice generale

Confessione di fede elvetica del 1566

1 -  2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 16 - 17 - 18 - 19 - 20 - 21 - 22 - 23 - 24 - 25 - 26 - 27 - 28 - 29  30 - -

 

 

XXIV. Le feste, i digiuni e le distinzioni dei cibi

Tempo e necessità del culto

Sebbene la religione non dipenda affatto dal tempo, essa non può tuttavia essere stabilita nel mondo né esercitata, senza una giusta e ragionevole distinzione o ordine del tempo. Ogni Chiesa sceglie quindi un determinato tempo fisso per le pre­ghiere pubbliche e per la predicazione del Vangelo e la cele­brazione dei sacramenti. Ora non è lecito violare e infrangere a piacimento quest’ordine stabilito dalla Chiesa e, d’altra parte, se non si destina un riposo giusto e ragionevole per l’esercizio esteriore della religione, è certo che gli uomini ne saranno fa­cilmente distolti dai loro affari.

Il giorno del Signore

Così vediamo che nelle chiese antiche non solo vi sono state certe ore fisse per riunirsi du­rante la settimana, ma che anche il giorno della domenica è stato consacrato per questo santo riposo fin dal tempo degli apostoli, cosa che viene osservata a ragione ancora oggi dalle nostre chiese per l’onore e il culto di Dio e per la conserva­zione della carità.

Superstizioni

Ma in tutto questo non concediamo nulla al­l’osservanza giudaica e alle superstizioni, dal momento che non crediamo che un giorno sia più santo di un altro, né rite­niamo che Dio approvi semplicemente il riposo senza alcun’altra considerazione. Così pure, noi celebriamo il giorno della domenica, e non quello del sabato, con un’osservanza libera e sincera.

Feste di Cristo e dei santi

Inoltre, approviamo ben volentieri che le chiese celebrino religiosamente, con timor di Dio e rispetto, la memoria della natività del Signore, della sua circoncisione, passione e risurre­zione, come pure della sua ascensione e dell’invio dello Spirito Santo agli apostoli. Ma non approviamo affatto le feste istituite in onore degli uomini e dei santi. Senza dubbio, le feste appar­tengono alla prima Tavola della legge e devono essere celebrate unicamente in onore di Dio. Le feste istituite in onore dei santi e da noi abolite presentano anche diverse cose assurde, inutili e non tollerabili. Tuttavia, confessiamo che non è senza frutto che, a tempo e a luogo, viene raccomandata al popolo, nelle prediche e nei pubblici sermoni, la memoria dei santi e che viene proposto all’imitazione il loro esempio.

Digiuni

Ora quanto più gravemente la Chiesa di Cristo attacca e condanna la gola, l’ubriachezza e ogni sorta di dissolutezza e di intemperanza, tanto più accuratamente essa ci raccomanda il digiuno cristiano. In effetti, il digiuno non è altro che l’asti­nenza e la temperanza dei veri cristiani, nonché una disciplina, un preservativo e castigo della nostra carne, praticato per la necessità presente, mediante il quale ci umiliamo davanti a Dio e strappiamo alla nostra carne ciò che la trattiene nei suoi vizi e nella sua corruzione, in modo che più facilmente e coraggiosa­mente obbedisca allo spirito. Tutti coloro perciò che non si cu­rano affatto di queste cose, non digiunano affatto, ma fanno credere di digiunare se mangiano una sola volta al giorno e se in certi tempi e periodi fissati si astengono da certi cibi, cre­dendo che questo sia gradito a Dio, mediante un’opera che essi chiamano operata[1] e di fare un’opera buona e santa. Il digiuno è quindi un buon aiuto per la preghiera dei santi e per tutte le virtù. Ma il digiuno con cui gli ebrei digiunavano e si astene­vano dal cibo, e non dai vizi, non è stato affatto gradito a Dio, come si vede nei libri dei profeti.

Del resto, vi è un digiuno pubblico e un digiuno privato. Quanto ai digiuni pubblici, li si celebrava un tempo in occa­sione di calamità, quando la Chiesa era molto perseguitata e in questi digiuni ci si asteneva completamente dal cibo fino a sera e si impiegava tutto quel tempo in sante preghiere, nel culto di Dio e nel pentimento. Ora tutte queste cose erano accompa­gnate da molti pianti e lamentazioni e i profeti lo ricordano spesso nei loro scritti, soprattutto Gioele 2. Anche oggi si deve celebrare lo stesso digiuno nei momenti difficili e avversi per la Chiesa, mentre i digiuni privati vengono fatti da ciascuno di noi ogniqualvolta sentiamo che la nostra carne vuole avere il so­pravvento sullo spirito e vuole sottometterselo.

Ogni digiuno deve derivare da uno spirito sincero e libero e veramente umiliato, senza servirsene per ottenere gli ap­plausi o la grazia degli uomini e tanto meno per meritare e sod­disfare per i peccati. Ognuno digiuni quindi affinché, sot­traendo il cibo alla carne, esso serva Dio con maggior fervore.

La Quaresima

Il digiuno della quaresima è ben testimoniato nell’anti­chità ma non nelle Scritture degli Apostoli. Esso non deve quindi, né può, essere imposto ai fedeli, essendo certo che vi sono state in passato diverse forme e usanze in fatto di digiuno, cosa che ha indotto Ireneo, dottore molto antico, a dire quanto segue: Alcuni ritengono che il digiuno debba essere di un solo giorno, altri di due, altri ancora di più giorni e alcuni addirit­tura di quaranta giorni. Ora una tale varietà di osservazione non è iniziata ai nostri giorni ma è stata introdotta molto tempo fa da coloro che, come credo, non seguendo semplice­mente ciò che era stato dato loro all’inizio, sono caduti in se­guito, o per negligenza o per ignoranza, in un’altra usanza. Lo stesso ha voluto esprimere anche lo storico Socrate là dove dice: Dal momento che non si trova alcuno scritto antico in merito a questo, ritengo che gli apostoli abbiano lasciato alla li­bertà di ciascuno di fare ciò che gli sembrava giusto al ri­guardo, ma senza timore e senza necessità[2].

Scelta di cibi

Quanto poi alla distinzione e differenza dei cibi, noi rite­niamo che nei digiuni si debbano sottrarre alla carne tutte quelle cose che possono renderla più ribelle e delle quali essa si diletta smodatamente o per nutrirsene nelle sue concupi­scenze, siano esse pesce o carni o spezie o altri generi di delizie e vini ghiotti ed eccellenti; del resto, noi sappiamo che tutte le creature di Dio sono state create per l’uso e il servizio del­l’uomo (Ge. 2:15). In effetti, tutte le cose che Dio ha creato sono buone e l’uomo ne può usare indifferentemente, purché lo faccia con il timor di Dio e con moderazione, seguendo in questo l’affermazione dell’Apostolo: Tutte le cose sono pure per coloro che sono puri (Tt. 1:15). Ugualmente: Mangiate tutto ciò che si vende dal macellaio senza farvi alcun problema di coscienza (1 Co. 10,25). Lo stesso Apostolo chiama diabolica la dottrina di coloro che ordinano di astenersi da certi cibi ( 1 Ti. 4:1), avendo Dio creato i cibi perché i fedeli ne usino con azione di grazie, e altrettanto facciano coloro che hanno conosciuto la verità secondo cui ogni creatura di Dio è buona e che nulla deve essere rigettato quando viene preso con azione di grazie, ecc. Similmente, [nella Lettera] ai Colossesi riprende coloro che con un’eccessiva astinenza si sforzano di acquistare fama di santità (Col 2,18ss).

Sétte. Riproviamo quindi completa­mente i taziani e encratiti e tutti i discepoli di Eustachio contro i quali si è riunito il sinodo di Gangre.[3]

Note

[1] Opera operata (opere operato) è sinonimo di opera meritoria, opera che serve per il conseguimento della salvezza.

[2] Lib. V, 22,40.

[3] Tazìano, vissuto nel II sec. in Mesopotamia, ha fondato la sètta degli en­cratiti (astinenti) che si astenevano dal vino, dalla carne e dal matrimonio. E usta­chio o meglio Eustate, vescovo dì Sebaste, in Asia minore, professava dottrine si­mili a quelle degli apostolici, i quali negavano la salvezza a chiunque fosse spo­sato o possedesse dei beni. Furono condannati dal sinodo di Grance (343).