Ecclesiologia/Donne e ministero cristiano/L'ordinazione delle donne e l'insegnamento del Nuovo Testamento (I)

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L'ordinazione delle donne e l'insegnamento del Nuovo Testamento

[prima parte]

La questione dell'ordinazione delle donne nelle chiese evangeliche, esige che dia la dovuta considerazione al posto che il Nuovo Testamento le assegna nella Chiesa di Gesù Cristo. Qual è il loro ruolo, quale posto devono occupare? Apparentemente è segnato sia da uguaglianza che da disuguaglianza, sia da alto onore che da subordinazione. Rende perplessi il fatto che laddove alcuni testi della Scrittura dichiarano come le donne prendessero generosamente parte alle riunioni di culto, pregando e profetizzando, altri testi comandino loro di tacere.

E' necessario precisare, a scanso di ogni equivoco, che la questione che si pone di fronte a noi, non può essere risolta citando alcuni pochi testi biblici, ma esaminando attentamente e riassumendo l'insegnamento complessivo del Nuovo Testamento. Un tale studio, però, non potrà pretendere di essere esauriente con un semplice articolo, ma possono essere presentate alcune osservazioni espositive i cui risultati potranno essere usati per giungere ad una decisione in merito. Si farà così uno sforzo, in questo primo articolo, di presentare brevemente alcuni commenti su brani di solito citati come sfavorevoli all'ordinazione delle donne. In un articolo susseguente, saranno trattati testi a favore.

La subordinazione delle donne

La nostra attenzione è giustamente richiamata su diversi testi biblici che mettono in evidenza come la moglie debba essere soggetta, subordinata a suo marito (I Corinzi 11:3; 14:34; Efesini 5:22, 24; Colossesi 3:18; I Timoteo 2:11, 12; Tito 2:5; I Pietro 3; 1, 5). L'apostolo Paolo trova il fondamento di questa subordinazione nell'ordinanza della creazione (1 Corinzi 11:7-9; 1 Timoteo 2:13 ss), ordinamento stabilito per tutta la durata di questa fase dei propositi di Dio.

Paolo non solo parla di soggezione, sottomissione e subordinazione, ma anche di primato dell'uomo sulla donna (1 Corinzi 11:2-16). Egli afferma: "Voglio però che sappiate che il capo di ogni uomo è Cristo, il capo della donna è l'uomo e il capo di Cristo è Dio" (v. 3). Ora, dato che questa condizione di subordinazione nell'ordine della creazione è rilevante alla questione del posto che occupano le donne nella chiesa, esaminiamo questa concezione più da vicino. Che cosa implica questa subordinazione? Forse che essa denota idee di restrizione, soppressione della libertà delle donne in incontri pubblici o nel culto della chiesa? Se è così, perché?

Paolo presenta la sua dottrina del marito come "capo" (1 Corinzi 11:2-16) come parte del consiglio per il quale egli corregge certi abusi e disordini che avvenivano nella chiesa di Corinto. Negli incontri della chiesa le donne pregavano e profetizzavano liberamente (vv. 5, 13) senza portare in testa un velo. Dal riferimento ripetuto al loro capo (testa) e al loro marito (vv. 3, 5) è evidente che qui l'Apostolo fa riferimento alle donne sposate. L'unica deduzione limitante e restrittiva che Paolo trae dalla dottrina dell'uomo come capo, è che le donne debbano portare lunghi capelli e coprire la loro testa con un velo quando pregano e profetizzano. Facendo così, secondo le usanze del tempo (nella società e nella chiesa) essi mostravano la loro subordinazione ai loro mariti (capi). Paolo persino mette in guardia dal trarre da questa dottrina del marito come capo, delle conclusioni sbagliate, come se questo implicasse che gli uomini, orgogliosamente, dovessero forzare le donne in una condizione di inferiorità (vv. 11, 12). L'intero brano, quindi, ha a che fare con l'impressione sbagliata che, in quel tempo, le donne avrebbero dato se non si fossero comportate secondo le usanze del tempo, il "decoro" delle riunioni della chiesa e l'impatto che avrebbe avuto sulla struttura del matrimonio. Nel fare (legittimo) uso della libertà che avevano trovato in Cristo (Galati 3:28), quando pregavano o profetizzavano, esse trascuravano di mettersi sul capo un velo, cosa che avrebbe potuto essere fraintesa come un indebolimento della struttura del matrimonio cristiano. E' questo che Paolo combatte. La cosa, quindi, riguarda quel tempo, non necessariamente il nostro.

Ritorniamo, però, ai concetti paolini di soggezione, sottomissione e subordinazione. Questi termini, nel loro senso originale, significano "essere sottoposti ad un ordinamento, conformarsi ad una data struttura (in greco tagmata) dell'ordine delle cose. Paolo insegna che non solo le donne, ma tutte le persone e le cose, l'intero ordine creato, è sottoposto ad una divina subordinazione. Tutte le cose sono state soggette a Cristo (1 Corinzi 15:27,28; Filippesi 3:21), gli angeli e le autorità (1 Pietro 3:22), la chiesa (Efesini 5:24). I bambini devono essere soggetti ai loro genitori (Efesini 6:1), gli schiavi ai loro padroni (Tito 2:9; 1 Pietro 2:13), i credenti l'uno all'altro (Efesini 5:21), il giovane all'anziano (1 Pietro 5:5). In tutti questi rapporti, il requisito fondamentale è una libera e volenterosa sottomissione l'uno all'altro nello spirito dell'amore cristiano e nel nome di Cristo. In alcuni casi, il rapporto schiavo-padrone pure significa il possedere un potere (exousia o autorità) da parte del capo sul suo subordinato. E' significativo, però, che in nessun luogo della Scrittura è detto che i mariti ed i padri hanno potere-autorità sui loro figli e moglie. In nessun luogo la Scrittura dice che è dovere della moglie ubbidire a suo marito, a meno che non si voglia citare 1 Pietro 3:6 (come si deve usare il termine 'ubbidire' nell'ambito del matrimonio?). In nessun luogo del Nuovo Testamento si dice che l'uomo debba assoggettare a sé la donna. In queste questioni, le donne sono sempre esortate a riconoscere volontariamente i loro mariti come capo, ad essere loro soggetti, affinché "il matrimonio diventi qualcosa di più di una lotta di potere fra i sessi". L'interesse per i rapporti all'interno del matrimonio è dunque lo scopo principale per il quale Paolo evidenzia la subordinazione della donna.

La donna dovrebbe tacere?

La richiesta della subordinazione della donna è pure congiunta al comando di tacere in chiesa (1 Corinzi 14:34,35 e 1 Timoteo 2:11,12). Questo comporta un problema espositivo molto dibattuto nel corso del secoli. Se presa letteralmente, in senso assoluto, questa proibizione di parlare e di insegnare nella chiesa è un'eccezione solitaria nel complesso dell'insegnamento di Paolo al riguardo della subordinazione delle donne. Sebbene vi siano stati diversi tentativi di conciliare l'insegnamento di Paolo in questi punti, nessuna delle soluzioni proposte ha guadagnato consenso generale. Il comando di Paolo recita: "Come si fa in tutte le chiese dei santi, le donne tacciano nelle assemblee, perché non è loro permesso di parlare; stiano sottomesse, come dice anche la legge" (1 Corinzi 14:34), "Poiché non permetto alla donna d'insegnare, né di usare autorità sul marito, ma stia in silenzio" (1 Timoteo 2:12). Al riguardo di questi comandi merita di osservare i seguenti punti.

In primo luogo, entrambi i testi si riferiscono al silenzio nelle assemblee di chiesa. In secondo luogo, entrambi i testi si riferiscono alle donne sposate e la questione sollevata riguarda il decoro nella chiesa sulla base degli effetti di disturbo che questo avrebbe sul rapporto fra marito e moglie. E' questo che sembra aver suscitato l'esigenza che Paolo rileva del silenzio, Quest'idea sembra trovare sostegno nell'affermazione di Paolo che egli non permette alle donne di "avere autorità sul marito". Quanto è tradotto con "usare autorità" significa agire in modo indipendente, agire sulla base della propria autorità. Ora, in che modo l'attività delle donne sposate nelle riunioni di chiesa attraverso il loro parlare potrebbe dare l'impressione di insegnare e di signoreggiare sui loro mariti? Per comprendere questo, dobbiamo rammentarci la natura informare del culto nella chiesa primitiva. Quel che il Nuovo Testamento chiama "predicare" ed "insegnare" era largamente argomentazioni e discussioni, più dialogo che monologo. Non aveva a che fare con i sermoni moderni ininterrotti o con delle lezioni formali. I termini usati nell'originale greco per descrivere la predicazione e l'insegnamento nella chiesa primitiva, hanno a che fare con "conversare, arguire, discutere". L'opera di Paolo nelle sinagoghe era quella di condurre delle discussioni con periodi di domande e risposte (Atti 17:2,17; 18:4,19), e lo stesso metodo era seguito nelle sue chiese. Questo può spiegare il tragico episodio avvenuto a Troade, dove il giovane Eutico, seduto sul parapetto di una finestra nella sala al terzo piano dove Paolo stava parlando, è colto dal sonno e cade dalla finestra al di sotto (Atti 20:7,8,11). In questo caso non bisogna pensare che Paolo stesse predicando per un tempo insopportabilmente lungo, ma che l'argomento della serata era così appassionante da tenere l'assemblea impegnata per lunghe ore. Se le donne sposate avessero continuato a porre interminabili domande partecipando alle discussioni pubbliche, questo avrebbe imbarazzato i loro mariti e dato l'impressione di voler dominare su di loro. Questo spiega il comando di Paolo di "stare in silenzio" ed al tempo stesso che le donne sposate ponessero le loro domande ai mariti una volta tornate a casa (1 Corinzi 14:34), accontentandosi di "imparare in silenzio" (1 Timoteo 2:11). Seguendo il suo avviso, le mogli cristiane avrebbero ancora aumentato le loro conoscenze senza pubblicamente mettere in imbarazzo i loro mariti e pregiudicare il concetto di matrimonio cristiano agli occhi di un pubblico non favorevole a queste nuove espressioni di libertà cristiana.

Appare quindi chiaro come il testo biblico citato non debba essere usato indiscriminatamente come indicazione per non ammettere le donne al ministero cristiano. Con quest'ultimo argomento non c'entra per nulla. Quando si comprende rettamente la situazione storica, si vede subito come questi brani non abbiano nulla a che fare con gli uffici ecclesiastici o con le donne in generale. A Paolo interessa che sia conservato il decoro cristiano delle donne sposate nelle riunioni pubbliche della chiesa, in un tempo in cui le condizioni sociali erano avverse a tali sorprendenti espressioni di libertà. In ogni caso, un paio di testi come questi non possono dirimere una questione fondamentale come questa. E' necessario porre il problema nella prospettiva generale del Nuovo Testamento. I testi di Corinzi e di Timoteo non hanno a che fare con le donne in generale o con gli uffici ecclesiastici.