Ecclesiologia/Donne e ministero cristiano/Un glorioso adempimento dell'Evangelo

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Un glorioso adempimento dell’Evangelo

L’apertura alle donne di ogni ministero cristiano
 


Introduzione

Vi sono oggi chiese che osservano la tradizione di riservare il ruolo di conduzione della chiesa, di predicazione e di insegnamento soltanto a credenti di sesso maschile. Fondando questa usanza sull'interpretazione di alcuni testi biblici e sulla conseguente pratica secolare di molte chiese cristiane, essi criticano le chiese che oggi aprono alle donne sia la conduzione delle chiese che la predicazione, accusandole di infedeltà al comandamento scritturale e di “modernismo” (cioè di conformarsi alle ideologie moderne).

E' veramente così? Non necessariamente. Sebbene in alcuni casi vi possa essere un certo adattamento alla cultura contemporanea (soprattutto in quelle chiese che relativizzano l’autorità biblica), l'interpretazione tradizionale dei testi biblici che impedirebbe alle donne l'accesso a tutti i posti di responsabilità della chiesa, può essere messa in discussione, contestata, pur continuando a rispettare il principio dell'autorità finale delle Scritture [1]. Questa, per altro, non è una pretesa moderna, ma una questione sollevata fin dall'antichita e che percorre la storia della chiesa e che spesso è stata messa a tacere.

Non solo, ma oggi è possibile pure sostenere che l'apertura alle donne credenti di tutti i posti di responsabilità della chiesa rappresenta un glorioso adempimento dell'Evangelo stesso, uno sviluppo provvidenziale della comprensione del testo biblico non dissimile da quello che cento anni fa ha permesso ai cristiani di vedere come l'abolizione della schiavitù sia perfettamente coerente con lo spirito dell'Evangelo. Quest'ultima cosa sembra oggi per noi scontata, ma prima pure la schiavitù veniva giudicata legittima in base a criteri di fedeltà al dato scritturale. Lo stesso si può dire di coloro che sostenevano come l'apartheid (la separazione delle razze e la superiorità della razza bianca) fosse conforme alle Scritture, cosa che è stata smentita pur avendo in certi luoghi una consolidata tradizione!
Dire che l'apertura alle donne a tutti i posti di responsabilità della chiesa sia un glorioso adempimento dell'Evangelo potrà molto probabilmente sconcertare (e purtroppo talvolta anche alienare) chi vede le cose diversamente.

Esortiamo, però, ad esaminare la questione senza pregiudizi, tenendo debitamente conto del fatto che come cristiani evangelici non dobbiamo alcuna particolare ed acritica fedeltà alla tradizione ecclesiastica (e tanto meno ad una tradizione interpretativa) e che vedere le cose da un diverso punto di vista non significa cadere nel "liberalismo" o nell'infedeltà, anzi, una migliore comprensione delle Sacre Scritture ed un'eventuale revisione delle nostre usanze, spesso consolidate, è parte integrante del principio protestante del "Ecclesia reformata semper reformanda". Questo principio, infatti, è una salvaguardia dalla sclerosi dottrinale che spesso porta alla degenerazione del farisaismo, cosa molto lontana dallo spirito di Cristo.

Molti cristiani di fatto oggi sono divisi a proposito dei diversi ruoli che le donne devono e possono occupare nella vita della chiesa. Questa divisione probabilmente continuerà fintanto che Gesù ritornerà. Non intendiamo mettere in dubbio che coloro che si oppongono alla possibilità che le donne occupino ruoli pastorali siano “a posto”, per quanto riguarda i fondamenti dell’Evangelo. Scegliamo semplicemente di accostarci agli stessi dati biblici da una prospettiva diversa [2].

Sulla base delle evidenze, siamo persuasi che Dio ha permesso ed approvato che delle donne parlino per Lui nell'Antico Testamento. Vediamo come Gesù lo approvi nel Nuovo Testamento. Rileviamo come lo Spirito Santo raggiunga delle donne con gli stessi doni dati a uomini. La nostra tesi è che quei versetti del Nuovo Testamento che limitano in qualche modo il ruolo delle donne rispondano a situazioni particolari e che non debbano essere assunti a principio assoluto.

Il principio informatore

Per comprendere rettamente "in modo evangelico" quale debba essere la condizione delle donne nell'ambito dei propositi di Dio, non dobbiamo tanto fondarci, a nostro giudizio, sulle istituzioni della creazione, né assumere come normativo un punto intermedio della rivelazione biblica, ma riteniamo sia necessario guardare le cose dalla prospettiva del compimento ultimo del Regno di Dio, cioè dalla prospettiva escatologica. Le "cose che saranno" trovano nel Cristo dei vangeli la loro primizia e nella chiesa cristiana la loro espressione profetica, tanto che possiamo parlare (per come la chiesa cristiana deve vivere la realtà) di "escatologia realizzata". La chiesa deve testimoniare (per quanto oggi inevitabilmente in modo imperfetto) "quello che sarà", non "quello che era", né "quello che è".

Sappiamo "quel che sarà"? Certo, perché: "egli ha fatto abbondare verso di noi ... ogni sapienza e intelligenza, facendoci conoscere il mistero della sua volontà secondo il suo beneplacito che egli aveva determinato in se stesso, per raccogliere nella dispensazione del compimento dei tempi sotto un sol capo, in Cristo, tutte le cose, tanto quelle che sono nei cieli come quelle che sono sulla terra" (Efesini 1:8-10). Il "futuro" avrà caratteristiche del tutto nuove: "Allora colui che sedeva sul trono disse: «Ecco, io faccio tutte le cose nuove». Poi mi disse: «Scrivi, perché queste parole sono veraci e fedeli»" (Apocalisse 21:5). "Essere in Cristo" significa, dunque, "anticipare il futuro" "Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, tutte le cose sono diventate nuove" (2 Corinzi 5:17).

Quale sarà l'espressione futura del regno di Dio a proposito anche della condizione femminile? Esattamente quella che spiritualmente abbiamo oggi in Cristo e che trova espressione in Galati 3:26-28: "...perché voi tutti siete figli di Dio per mezzo della fede in Cristo Gesù. Poiché voi tutti che siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è né Giudeo né Greco, non c'è né schiavo né libero, non c'è né maschio né femmina, perché tutti siete uno in Cristo Gesù".

Quando valutiamo le affermazioni della Scrittura, dobbiamo quindi decidere quale sia il principio generale e quale l'eccezione alla regola. In questo caso, chiaramente, "In Cristo ... non c'è né maschio né femmina" è il principio generale del quale ogni altro versetto è l'eccezione. Per esempio, noi non diremmo: "Una donna non deve insegnare, né usare autorità sull'uomo, MA in Cristo non c'è né maschio né femmina". L'uno appartiene all'amministrazione terrena, l'altro all'identità celeste, spirituale. È chiaro che il celeste e lo spirituale hanno precedenza sul terreno e sul temporaneo"Voi tutti siete figli di Dio per mezzo della fede in Cristo Gesù" (Galati 3:26).
Una subordinazione terrena o una distinzione terrena quanto a ruoli è esattamente quella che è, cioè: terrena, temporanea, "passata". Non abbiamo ragione di credere che in cielo vi saranno tali differenziazioni di ruolo ed autorità, e "il cielo" deve trovare la sua "anticipazione profetica" nella pratica della chiesa di Cristo oggi.

Doni impartiti senza distinzione di sesso

In Atti 1:14 ci vien detto della prima comunità cristiana che: "Tutti costoro perseveravano con una sola mente nella preghiera e supplica con le donne, con Maria, madre di Gesù, e con i fratelli di lui". Quindi, in Atti 2:1-4, nel giorno di Pentecoste, quando lo Spirito Santo scende "...furono tutti ripieni di Spirito Santo"questo necessariamente include le donne.

Più avanti troviamo scritto che la folla, udendoli parlare sotto l'impulso dello Spirito Santo, esclama: "E tutti stupivano e si meravigliavano, e si dicevano l'un l'altro: «Ecco, non sono Galilei tutti questi che parlano?" (2:4). Infine, quando Pietro spiega come tutto questo sia l'adempimento di una profezia di Gioele, la stessa profezia citata include sia uomini che donne nell'atto di profetizzare, cioè di annunciare la Parola di Dio: "E avverrà negli ultimi giorni, dice Dio, che spanderò del mio Spirito sopra ogni carne; e i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno, i vostri giovani avranno delle visioni e i vostri vecchi sogneranno dei sogni. In quei giorni spanderò del mio Spirito sopra i miei servi e sopra le mie serve, e profetizzeranno" (Atti 2:17,18) [3].

Il dono spirituale della profezia, nelle Sacre Scritture, non è un qualche “strano” dono estatico che porta una persona a “predire il futuro”, ma va ricondotto al suo significato biblico: profeta è colui o colei che parla a nome di Dio come Suo portavoce, in altre parole, profeta è colui o colei al quale Dio ha concesso il dono di predicare ed insegnare la Sua volontà rivelata, la Sua Parola. In Atti 21:8,9 troviamo scritto che Filippo l'evangelista: "...aveva quattro figlie vergini, che profetizzavano", cioè quattro figlie nubili.

Vediamo nella Scrittura, inoltre, come i doni dello Spirito Santo non siano dati sulla base del sesso delle persone che li ricevono, ma indistintamente secondo la sovrana grazia di Dio. Galati 3:28 dice: "In Cristo non c'è ... né maschio né femmina". Paolo qui allude a Genesi 1:27, laddove "DIO creò l'uomo a sua immagine; lo creò a immagine di DIO; li creò maschio e femmina"[4].

In Cristo non c'è "maschio e femmina". La distinzione fatta alla creazione è disfatta in Cristo. Certo, in cielo non vi sarà subordinazione della moglie al marito, perché "...quando gli uomini risusciteranno dai morti, né si ammoglieranno né si mariteranno, ma saranno come gli angeli in cielo" (Marco 12:25).

Inoltre, è chiaro da questo testo che quando Paolo usa il termine "figli" nel v. 26, egli si riferisca sia a uomini che a donne.

Un graduale superamento delle distinzioni terrene

Riteniamo sia assolutamente pertinente accostare la questione della schiavitù con quella della condizione di subordinazione femminile. Il Nuovo Testamento testimonia come gradualmente viene superata la distinzione padrone-schiavo, altresì gradualmente viene superata la subordinazione sociale fra uomo e donna (cosa che le prescrizioni divine e le differenze genetiche non necessariamente determinano).

Il Nuovo Testamento presuppone che i cristiani possano avere schiavi (comunque "trattati bene"). Nel primo secolo c'erano individui che non praticavano la schiavitù per principio (vedasi Filone sugli Esseni, Ogni persona buona è libera, 79). Il Nuovo Testamento non mette in discussione, però, questo punto, né milita per l'abolizione della schiavitù. Persino nella lettera a Filemone Paolo non dice espressamente a questo padrone di schiavi di restituire la libertà al suo schiavo cristiano. Di fatto, Colossesi (lettera che spesso si pensa abbia accompagnato Filemone) rafforza i ruoli tradizionali di schiavo-padrone: "Servi, ubbidite in ogni cosa ai vostri padroni secondo la carne ... Padroni, fate ciò che è giusto e ragionevole verso i servi, sapendo che anche voi avete un Padrone nei cieli" (Colossesi 3:22; 4:1). Ciononostante, quando si è abolita la schiavitù, la terra si muove più vicina al cielo.

Allo stesso modo, la terra "si muove più vicina al cielo" quando maggiormente si attua uguaglianza fra uomini e donne su piano spirituale e quindi anche ecclesiale.

Alcuni sostengono come il corpo femminile (la genetica) comporti necessarie conseguenze sul ruolo delle donne su piano terreno. Questo è discutibile, ma la gloriosa proclamazione dell'Evangelo cristiano è che in Cristo maschi e femmine entrano in Cristo su base paritetica, entrambi hanno uguale accesso a Dio attraverso Cristo, e in cielo non vi sarà subordinazione dell'una all'altro.

Lo spirito femminile e quello maschile sono uguali in Cristo, e non vi può essere gerarchia spirituale fra di loro. La chiesa di Cristo deve testimoniare oggi proprio questo. Questo non contraddice la Scrittura quando afferma: "io voglio che sappiate che il capo d´ogni uomo è Cristo, che il capo della donna è l´uomo, e che il capo di Cristo è Dio” (1 Corinzi 11:3). Che cosa, infatti, vuol dire "capo" nelle Scritture? Non dominio o supremazia, non "l'essere capo" come lo intende il mondo, infatti Gesù dice: "I re delle nazioni le signoreggiano, e quelli che le sottomettono al loro dominio sono chiamati benefattori. Ma per voi non dev'essere così; anzi il più grande tra di voi sia come il più piccolo, e chi governa come colui che serve"(Luca 2:25-26). Difatti anche l'apostolo Paolo scrive: "Mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la chiesa e ha dato se stesso per lei", L'uomo deve essere capo "come Cristo", cioè servendo la donna che così, come "inferiore" diventa in Cristo "superiore". L'insegnamento di Gesù è del tutto rivoluzionario rispetto alle culture della supremazia maschile (di fatto contesta la cultura ebraica del suo tempo, svuotandola e dandole un significato del tutto diverso.. In ogni caso, qui si parla di ordinamento della famiglia e non ha nulla a che fare con i doni di ogni genere che Dio dà alle donne affinché li esercitino e non ...li tengano sotto il secchio.

Indipendentemente da ciò che si pensa sulla questione di marito e moglie, la traiettoria celeste in rapporto allo spirito femminile sembra chiara. Come potremmo sostenere che in Cristo una donna abbia meno accesso al cielo o meno Parola di Dio da trasmettere che un uomo? Alcuni possono sostenere una gerarchia terrena, ma non si può negare che il fatto che non vi sia più una categoria spirituale "maschio e femmina", è una verità fondamentale.

Anticipazioni escatologiche

Esaminiamo attentamente ciò al quale il Nuovo Testamento testimonia sulla condizione della donna e che trova le sue radici nell’Antico Testamento. Notiamo come tutto tenda ad avvicinarsi sempre di più alla condizione celeste escatologica.

Nell'Antico Testamento abbiamo una società molto rigida di sacerdoti e profeti. I sacerdoti svolgevano determinati compiti nella gestione del tabernacolo. Vi erano, però, donne appartenenti a tribù sacerdotali che lavoravano al tabernacolo. I profeti che parlavano a nome di Dio erano scelti da Dio stesso. In 2 Re 22:11-20, quando il re Giosia voleva che qualcuno interpretasse e spiegasse la Parola di Dio, i suoi alti ufficiali, inclusi sommi sacerdoti, si erano recati da una donna sposata che era profeta per poter udire da lei una parola da Dio. Le Scritture la presentano mentre afferma: "...Così dice l'Eterno, il DIO d'Israele: Riferite a colui che vi ha mandati da me: "Così dice l'Eterno..." (15,16). Ogni parola che lei dice si avvera. Che cosa ci dice questo su ciò che Dio pensa della capacità di una donna di parlare per Lui?

Nel Nuovo Testamento, Gesù manda la donna samaritana a parlare di Lui alla popolazione del suo villaggio . Il suo primo sermone avrebbe potuto essere intitolato: "Venite a vedere un uomo che conosce ogni cosa". Un'intera folla di persone, sulla base del messaggio di questa donna viene a vedere Gesù. Che cosa ci dice questo sulla posizione di Gesù sul fatto che una donna possa o non possa predicare? Questo rafforza la nostra affermazione che le donne abbiano accesso allo Spirito di Cristo esattamente come gli uomini.

In Atti apprendiamo che le quattro figlie di Filippo, l'evangelista, profetizzavano: "Egli aveva quattro figlie vergini, che profetizzavano" (Atti 21:19). 1 Corinzi 11:5 ("Ma ogni donna, che prega o profetizza col capo scoperto..."si riferisce pure a donne sposate che profetizzavano. Sappiamo che erano sposate perché il testo parla del problema che c'era allora in quella comunità che, avere il capo scoperto da parte loro quando lo facevano, era interpretato un disonore per il loro capo [5]. Per questa ragione non si può dire, come fanno alcuni, che solo donne non sposate profetizzassero... Se è lo Spirito Santo che ci dà i doni dello Spirito, che cosa indica il fatto che queste quattro donne che ricevono il dono sulla posizione dello Spirito Santo se una donna possa o non possa predicare?

Allo stesso modo, non c'è nulla in questi contesti che indichi come queste donne profetizzassero (cioè parlassero a nome di Dio) solo rivolte ad altre donne! È fuori di dubbio che il testo di 1 Corinzi 11 implichi proprio il contrario. Dato che lo spirito delle donne e degli uomini "in Cristo" non è differenziabile, sarebbe sorprendente che si facesse una tale distinzione a riguardo delle profezie, Cristo ha riportato vittoria sui limiti della terra e sul peccato di Eva. Ogni traccia rimanente dei limiti della terra sparirà del tutto nel Regno di Dio compiuto.
L'unica volta che il termine "ministro" viene usata nel Nuovo Testamento, è usata per riferirsi a tutti noi: "...il quale ci ha anche resi ministri idonei del nuovo patto, non della lettera, ma dello Spirito, poiché la lettera uccide, ma lo Spirito dà vita" (2 Corinzi 3:6).

L'unica colta che il termine "pastore" viene usato nel Nuovo Testamento, è usato in rapporti con i doni spirituali che Dio impartisce a tutte le persone che Egli sceglie di farlo: "..egli stesso ha dato alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti e altri come pastori e dottori" (Efesini 4:11). Non è insolito che alcuni che accettano che le donne possano essere evangelisti e insegnanti, pure dicano che le donne non dovrebbero essere pastori, anche se le parole si trovino nello stesso versetto senza alcuna distinzione fra maschi e femmine? Non è strano che si accetti il fatto che donne possano insegnare nelle scuole di ogni ordine e grado, ma non eventualmente in una classe di studio biblico?

Affermiamo dunque che le donne possono accedere ad ogni posizione nel ministero cristiano (quando ne hanno la vocazione, la capacità ed il riconoscimento) perché le argomentazioni bibliche addotte per sostenere il contrario non reggono ad un esame più attento.

Le donne tacciano?

Dovremmo fare una chiara distinzione fra le questioni riguardanti i rapporti fra marito e moglie e quelli riguardanti in generale le donne nel ministero cristiano. Si può benissimo sostenere che il marito abbia un ruolo di conduttore nell'ambito della famiglia senza con questo negare la possibilità che delle donne portino avanti un ministero cristiano verso uomini. Per questa ragione i testi che parlano della sottomissione in Efesini, Colossesi e 1 Pietro non riguardano necessariamente la questione del ministero femminile. Trattano del ruolo terreno e temporaneo assunto dalla donna nell'ambito della famiglia e non del ruolo spirituale del ministero femminile.

Anche 1 Corinzi 14:34-36 ("Tacciano le vostre donne nelle chiese, perché non è loro permesso di parlare, ma devono essere sottomesse, come dice anche la legge. E se vogliono imparare qualche cosa interroghino i propri mariti a casa, perché è vergognoso per le donne parlare in chiesa. È la parola di Dio proceduta da voi o è essa pervenuta a voi soli?"). Alcuni prendono questo testo letteralmente intendendo che una donna non possa mai parlare in chiesa. Esso, però, si riferisce alla situazione dei rapporti fra marito e moglie e non alla questione del ministero femminile. Implicarla è del tutto discutibile. Quando la parola greca γυνή (gunē, donna, moglie) è usata in presenza di ἀνήρ (anēr, marito) di solito si riferisce a mogli in rapporto ai loro mariti, e non alle donne in rapporto a uomini in generale. La parola "sottomesse" rafforza questa impressione (14:34).

Il contesto in cui questo brano si trova è Paolo che parla dell'ordine nel servizio di culto. Per qualche ragione delle donne che parlavano in chiesa deve essere stata causa di disordini. Si tenga conto che questa era la prima volta che alle donne era stato permesso di avere pieno accesso ad un culto comunitario. Probabilmente non comprendevano molto di ciò che stava avvenendo e interrompevano chi parlava per porre delle domande.

Paolo dice specificatamente che esse avrebbero dovuto annotarsi le domande che volevano fare fintanto che fossero tornate a casa. Notiamo come la parola che questo testo usa per "donna" non è quella che il NT usa di solito, ma "moglie". Può darsi che la cosa vergognosa che l'intervento di quelle donne causava era di rivelare che a casa il marito non facesse il suo dovere di istruire quei di casa sua: "...le insegnerete ai vostri figli, parlandone quando sei seduto in casa tua, quando cammini per strada, quando sei coricato e quando ti alzi" (Deuteronomio 11:19). Se i loro mariti lo facevano, non sarebbe stato per loro necessario interrompere il culto per porre delle domande".

Sappiamo, inoltre, che Paolo non avrebbe potuto intendere che nella chiesa una donna non possa mai parlare, proprio per quanto troviamo nel versetti 11:5: "Ma ogni donna, che prega o profetizza col capo scoperto....". Egli dice in 14:3 "Chi profetizza, invece, parla agli uomini per edificazione, esortazione e consolazione". Se una donna poteva avere il dono della profezia, che senso avrebbe avuto se non vi fosse stata la possibilità di far uso di questo dono in chiesa e che ragione ha Dio di impartire loro, comunque, questo dono?

Paolo, inoltre, pure dice che è "la legge" che non permette ad una donna di parlare. La legge a cui si riferisce non proviene dall'Antico Testamento, ma è d’altra origine. Nell'Antico Testamento c'erano donne che legittimamente profetizzavano, come pure giudici, cioè magistrati e leader del popolo. 2 Re 22:14,15: "Allora il sacerdote Hilkiah, Ahikam, Akbor, Shafan e Asaiah andarono dalla profetessa Huldah, moglie di Shallum figlio di Tikvah, figlio di Harhas, il guardarobiere, (ella abitava a Gerusalemme nel secondo quartiere), e parlarono con lei. Ella rispose loro: «Così dice l'Eterno, il DIO d'Israele: Riferite a colui che vi ha mandati da me...". Anche se questa donna, Hulda, era sposata, il sacerdote va da lei per conoscere ciò che il Signore stava dicendo al suo popolo. Questo non sarebbe stato possibile se Dio avesse proibito alle donne di parlare.

Interpretare questo brano di 1 Corinzi nel senso che alle donne sia proibito parlare con autorità da parte di Dio sarebbe di fatto in contraddizione con 1 Corinzi 11 che implica come legittimamente le donne profetizzassero nella chiesa di Corinto durante il culto (cfr. 11:5). Le stesse dinamiche di 1 Corinzi 11 sono create in gran parte dal fatto che le donne abusavano del loro diritto a parlare mostrando mancanza di rispetto per i loro mariti presenti. Chi abusa del proprio diritto alla parola, quindi, uomo o donna che sia, è meglio che taccia tanto quanto devono tacere quegli uomini che dicessero solo spropositi disturbando addirittura il culto [6].

In questa luce, 1 Corinzi 14:34-35 non può essere considerata un'affermazione assoluta, altrimenti Paolo si contraddirebbe. Egli avrebbe prima detto che le donne legittimamente profetizzavano, solo per proibire loro di farlo più avanti nella stessa lettera! No, non possiamo, così, usare questi testi per opporci al ministero cristiano femminile.

Come 1 Corinzi 14, il commento in 1 Timoteo 2:12 ("Non permetto alla donna d'insegnare, né di usare autorità sull'uomo, ma ordino che stia in silenzio") usa il termine donna/moglie (Γυνὴ) nella stessa frase con marito/maschio (ἀνδρός). Dato che l'argomentazione seguente riguarda Adamo ed Eva - coppia di marito e moglie - è pure possibile che questi versetti riguardino pure il matrimonio. Se è così, non si applicherebbero alle donne nel ministero. In questo caso non possiamo applicare questi versetti al ruolo di ministro nella chiesa. Di fatto il versetto condanna non l'attività di insegnamento delle donne, ma quelle mogli che dominano con forza sul loro marito, abusandone [7]. Non si tratta, quindi, di "autorità", ma di "abuso di autorità". Si potrebbe infatti tradurre: "I don't let women take over and tell the men what to do. They should study to be quiet and obedient along with everyone else" (MSG).

Dovremmo prendere letteralmente questo testo? Tre versetti prima Paolo dice: "Voglio dunque che gli uomini preghino in ogni luogo, alzando le mani pure, senza ira e dispute" (1 Timoteo 2:8). Le chiese che impediscono alle donne di predicare sulla base di questo capitolo, forse che esigono che gli uomini alzino le loro mani quando pregano al culto? Forse che esigono che uomini e donne non portino oro o perle in chiesa, lascino a casa i loro anelli nuziali? Proibiscono alle donne di portare vesti costose. No, essi considerano queste ingiunzioni come legate alla cultura legata a questi testi. Come si può, allora, cambiare improvvisamente le regole per le quali si deve interpretare un dato testo?

Inoltre, il termine che nel versetto 11 è tradotto con "donna" non è quello che comunemente si usa per donna, ma designa mogli. Paolo qui parla dunque di tutte le donne o specificatamente alle donne sposate? Gran parte del contenuto di questa lettera parla della vita famigliare. La proibizione di Paolo fatta alle donne di insegnare né di usare autorità sull'uomo, sono due ingiunzioni diverse o cose che possono essere separate?

Forse che proibisce alle donne di insegnare perché non erano abbastanza istruite o capaci perché questa era la situazione del tempo in cui scriveva, dato che nei versetti 1:3-6 aveva già abbastanza problemi con gli uomini che proibisce loro di insegnare a causa delle false dottrine che diffondevano?

Sappiamo che Paolo non proibisce alle donne di insegnare perché raccomanda l'opera di Priscilla, che era una delle insegnanti che aiutano Apollo, il grande predicatore che conosceva a menadito l'Antico Testamento, a spiegare la Via. Priscilla e suo marito è probabile che avessero una sorta di ministero itinerante di insegnamento. Si recavano, infatti, in molte chiese d'origine pagana e Paolo è loro riconoscente tanto da chiamarli collaboratori. Priscilla aveva doni propri in un ministero attivo, perché lei è pure menzionata. La moglie di Pietro viaggiava con lui, ma essi non avevano un ministero congiunto. I doni di lei erano ovviamente in un'altra area.

In che modo Fede era di grande aiuto a molti quando si recava di chiesa in chiesa? Roma era a circa 800 km da casa sua nella Cencrea. Non è verosimile che lei si spostasse di tali distanze solo per rimanere in silenzio in quelle chiese e preparare delle torte...
Quando Paolo non permette ad una donna di avere autorità sull'uomo, sta parlando della chiesa o della casa privata? Egli prende la sua analogia dalla donna che ha figli. Avere figli è una funzione della famiglia, non della chiesa.

Questi testi sono stati molto discussi ma non si vede come possano essere considerati testi-chiave nella nostra teologia al riguardo delle donne perché si riferiscono a situazioni particolari non generalizzabili. Se, infatti, prendiamo letteralmente l'espressione che segue: "Tuttavia essa sarà salvata partorendo figli, se persevererà nella fede, nell'amore e nella santificazione con modestia", essa sarebbe non solo assurda e in contraddizione con l'insegnamento biblico della salvezza mediante l'opera di Cristo, ma pure un'eresia! La donna si salverebbe partorendo figli? Il partorire sarebbe un'eccezione alla salvezza per grazia mediante la fede in Cristo? L'opera di Cristo non riguarderebbe le donne? E quelle donne che non hanno figli? Tutto questo sarebbe assurdo. Il soggetto qui è Eva. Il partorire figli, dall'originale maledizione, sarebbe diventato il partorire Cristo. Il Salvatore, la salvezza, entra in questo mondo attraverso il parto di una donna che quindi, da maledizione diventa benedizione. La severità con la quale l'apostolo qui scrive, molto probabilmente era dovuta al fatto che nella comunità a cui egli si riferisce vi erano donne che imponevano i loro insegnamenti devianti ed eretici.
Se non leggiamo 1 Timoteo 2:12-15 alla luce di problemi specifici, esso ci condurrebbe a spaventosi errori teologici e persino a falsità. Vorremmo davvero prendere questo testo, con tutte le difficoltà che comporta, come testo centrale di tutta la nostra teologia al riguardo delle donne?

Esse dovevano tacere non perché erano donne, ma perché ciò che insegnavano con tanta insistenza era sbagliato, come nel caso della chiesa di Tiatira: "Ma ho alcune cose contro di te: tu permetti a quella donna Iezabel, che si dice profetessa, di insegnare e di sedurre i miei servi inducendoli a fornicare e a mangiare cose sacrificate agli idoli" (Apocalisse 2:20). Il problema lì non era che una donna insegnasse, ma che insegnasse cose sbagliate e dannose. Il che implica che di fatto una donna potesse insegnare. La stessa riprensione avrebbe riguardato un uomo se si fosse trovato nella stessa situazione.

Donne che esercitavano un ministero nel riguardo degli uomini

Un altro testo biblico è 1 Timoteo 3:1-12 dove si parla delle qualifiche dei sovrintendenti della comunità cristiana (anziani, vescovo, diaconi). La parola "sovrintendenti" che traduciamo, trasponendola, come "vescovi", significa avere la responsabilità di sovrintendere e di condurre la comunità cristiana. Di solito quando pensiamo al pastore o al vescovo pensiamo ad un'unica persona che presiede la comunità cristiana. In Filippesi 1:1 ed Atti 20:28, però, vi erano diversi pastori in un'unica comunità.

Abbiamo visto come quando Paolo usa la parola "figli" egli intenda sia uomini che donne. Allo stesso modo qui. In 1 Timoteo 3:1,2 troviamo: "Questa parola è sicura: Se uno desidera l'ufficio di vescovo, desidera un buon lavoro. Bisogna dunque che il vescovo, sia irreprensibile, marito di una sola moglie, sobrio, assennato, prudente, ospitale, atto ad insegnare". Questo versetto della Scrittura talvolta viene inteso a significare che le donne siano escluse perché Paolo fa uso di una terminologia maschile. Paolo, però, specificatamente dice: "Se uno desidera...". Egli avrebbe potuto benissimo dire "Se un uomo desidera...", ma non lo fa. Egli fa uso di una parola greca che può essere applicata sia a uomini che a donne [8].

Quando Paolo dice al versetto 2 che il vescovo debba essere "marito di una sola moglie" potrebbe dire: (1) che un vescovo deve essere sposato; (2) che un vescovo non può svolgere questa funzione se è divorziato e si è risposato; (3) che un vescovo non può avere due mogli allo stesso tempo; (4) che il vescovo debba essere un uomo?

Quando Paolo dice: "Se qualcuno non vuol lavorare neppure mangi" (2 Tessalonicesi 3:10), questo include sia maschi che femmine. E' possibile allora che quando dice che un vescovo debba essere "marito di una sola moglie" egli pure possa dire che "uno" debba essere "moglie di un solo marito"?

Ci si può anche chiedere: è obbligatorio che un vescovo o un diacono abbia dei figli, perché qui è specificatamente detto che "Che governi bene la sua propria famiglia, che tenga i figliuoli in soggezione, con ogni gravità. Ma, se alcuno non sa governar la sua propria famiglia, come avrà egli cura della chiesa di Dio?" (1 Timoteo 3:4,5). Se non ha figli non potrebbe essere vescovo perché altrimenti non comprenderebbe che cosa vuol dire governare una chiesa?

In 1 Timoteo 3:12 è detto: "I diaconi siano mariti di una sola moglie e governino bene i figli e le proprie famiglie". Se questo versetto fosse da prendere letteralmente, squalificherebbe dal diventare diaconi tutti i single, le donne, i divorziati e i risposati. Eppure noi sappiamo che questa non è l'intenzione di Paolo.

Il termine "diacono" deriva dal greco διάκονος (diákonos). In Romani 16:1,2 Paolo dice: "Or io vi raccomando Febe, nostra sorella, che è diaconessa della chiesa che è in Cencrea, affinché l'accogliate nel Signore, come si conviene ai santi, assistendola in qualunque cosa avrà bisogno di voi, perché ella ha prestato assistenza a molti e anche a me stesso" [9]. In che modo la sua straordinaria opera al servizio del Signore differisce da quella prestata da altri ministeri?

Qualunque cosa, inoltre, si possa pensare sulla questione mariti-mogli, il Nuovo Testamento testimonia del fatto che vi erano donne che esercitavano un ministero cristiano verso gli uomini. Priscilla aiuta ad istruire Apollo in Atti 18:26: "Egli cominciò a parlare francamente nella sinagoga. Ma, quando Aquila e Priscilla l'udirono, lo presero con loro e gli esposero più a fondo la via di Dio" [10]. Febe è una "diaconessa" della chiesa di Cencrea; "Io vi raccomando Febe, nostra sorella, che è diaconessa della chiesa che è in Cencrea" (Romani 16:1).

"Diaconessa" è la nostra traduzione italiana solita, ma nell'originale greco troviamo scritto: "...οὖσαν διάκονον τῆς ἐκκλησίας", cioè al maschile ("διάκονος", diacono), lo stesso termine usato in Filippesi 1:1 e 1 Timoteo 3:8 per i responsabili della chiesa (insegnanti e pastori), tant'è vero che la vulgata latina traduce: "commendo autem vobis Phoebem sororem nostram quae est in ministerio ecclesiae quae est Cenchris" (nostra sorella ... che è nel ministero). Alcune traduzioni inglesi hanno: "I have good things to say about Phoebe, who is a leader in the church at Cenchrea" (CEV), "She's a key representative of the church at Cenchrea" (MSG).

Comunità cristiane si riuniscono in casa di donne come Lidia (Atti 16:15) e "Ninfa e la chiesa che è in casa a sua" (Colossesi 4:15). Questo non è da considerarsi solo occasionale, ma sono queste donne (e non un uomo in casa loro) a considerarsi portavoce e responsabili della loro comunità. In Romani 16:7 è scritto: "Salutate Andronico e Giunia, miei parenti e compagni di prigione, i quali sono segnalati fra gli apostoli, e anche sono stati in Cristo prima di me". Qui Giunia potrebbe persino essere un apostolo. In Romani 16 Paolo cita il nome di nove persone che si sono distinte nell'opera del Signore. Sono responsabili di chiese e sette di questi su nove sono donne.
La stessa insistenza che oggi si fa sul ruolo del maschio come di incontrastato "capofamiglia", ritenendola radicata nella Bibbia, è pure piuttosto discutibile, anche se la questione delle donne nel ministero cristiano non può essere collegata solo da questo concetto. A differenza di quanto avviene oggi, non c'è nulla di distintamente cristiano nel fatto che, ai tempi dell'apostolo Paolo, si considerasse il marito come "capo" della moglie [11].

In altre parole, Paolo qui parla come ogni altro non cristiano che si riferisca al primato maschile. I commenti della Scrittura suonano, nel nostro mondo, come se fossero distintamente cristiani, ma non erano necessariamente tali nel tempo in cui viveva Paolo. E' quando Paolo si muove verso l'uguaglianza dei sessi in Cristo, che egli diventa distintamente cristiano. Galati 3:28 è un testo distintamente cristiano come 1 Corinzi 11:11,12. E' la traiettoria spirituale come essa è distinta da quella terrena.

Nemmeno possiamo usare l'ordine della creazione in 1 Timoteo 2:13: "Infatti è stato formato per primo Adamo e poi Eva" come un argomento assoluto. Abbiamo già visto come Galati 3:28 smantelli la distinzione fra uomo e donna fatta alla creazione. La nascita di Adamo e di Eva riguarda ciò che è terreno e fisico, chiaramente un elemento meno significativo nell'equazione che il nostro destino spirituale in Cristo.

Non è neppure vero che tutte le donne siano molto più credulone e suscettibili all'inganno che tutti gli uomini, eppure oggi sono ancora molti coloro che usano 1 Timoteo 2:14 come se facesse questa affermazione: "E non fu Adamo ad essere sedotto ma fu la donna che, essendo stata sedotta, cadde in trasgressione".

Spesso è vero il contrario, cioè che è la donna ad essere astuta ed a sedurre l'uomo che molto facilmente "ci casca" "Ella lo sedusse con parole persuasive, lo trascinò con la dolcezza delle sue labbra" (Proverbi 7:21). Se solo facciamo una ricerca nella Bibbia del verbo "sedurre" vedremo come quelli che "ci cascano" si trovino indubbiamente molti di più uomini!

Dovremmo rimanere asserviti ai “deboli elementi del mondo”?

E' pure molto istruttivo guardare attentamente a ciò che dice Paolo quando menziona "i deboli elementi del mondo" in Galati. Con questa espressione egli si riferisce agli elementi delle Scritture dell'Antico Testamento. In Galati 4:10 egli si riferisce all'osservanza di "giorni, mesi, stagioni e anni" proprio come nel resto dell'epistola si riferisce alla circoncisione (ad es. in Galati 5:2). Colossesi usa la stessa espressione, "gli elementi del mondo" in riferimento al Sabato giudaico (Colossesi 2:16) e probabilmente alle leggi alimentari del Levitico (Colossesi 2:16,21). La cosa più sorprendente è che tutte queste cose sono richieste dall'Antico Testamento - l'unica Bibbia di cui Paolo disponeva a quel tempo.

Nonostante il chiaro significato letterale di questi testi, Paolo sapeva che lo Spirito conduceva a qualcosa di più elevato e celeste. Continuare a seguire la lettera significava sottomettersi agli spiriti elementari del mondo.

Lo stesso si può applicare alla questione delle donne nella chiesa. Se noi ci opponiamo a che le donne possano occupare ministeri della chiesa, noi stiamo gravitando verso questioni di amministrazione terrena e del corpo fisico (di genetica!). Stiamo fondando la nostra teologia sui limiti dell'umano e del terreno.

Permettiamo a noi stessi di essere asserviti agli elementi deboli del mondo. Dobbiamo, al contrario, avere gli occhi puntati su Gesù e sul cielo. Dio è un Dio delle possibilità del cielo, non dei limiti della terra. Egli infrange le strutture limitanti di questo mondo e ci fa muovere verso il prossimo. Quindi teniamo "gli occhi su Gesù, autore e compitore della nostra fede" (Ebrei 12:2)!

Dallo status quo alla realizzazione dei propositi divini

Se torniamo al tema della schiavitù, il principio era: "non c'è schiavo né libero", anche se allora esistevano sia gli schiavi che le persone libere. Nonostante la traiettoria celeste, brani come Efesini 6:5-9 e Colossesi 3:22-4:1 non mettono in questione l'istituzione della schiavitù, la presuppongono. Al riguardo delle donne, il principio celeste è: "Non c'è maschio e femmina", anche se vi sono maschi e femmine. Nonostante la traiettoria celeste, brani come Efesini 5:2-33 e Colossesi 3:18,19 non mettono in questione i ruoli culturali del tempo al riguardo della funzione del marito e quella della moglie. La presuppongono.

La chiesa primitiva, spesso perseguitata, non ambiva ad un cambiamento immediato nella società. Erano più interessati a far conoscere l'Evangelo ed a sopravvivere alla persecuzione. Dio, sempre molto paziente, viene incontro ai loro bisogni. Egli ispira libri come 1 Pietro che incoraggia chi si trova in condizione di schiavitù e che era maltrattato come pure le donne, i cui mariti non erano credenti.
Nel diciannovesimo secolo, però, ci siamo mossi più avanti nella traiettoria celeste. A quel tempo la Bibbia era pure usata per giustificare la schiavitù. Allo stesso modo in cui la comprensione dei testi al riguardo della schiavitù si è sviluppata in modo tale da vederne il superamento come in armonia con la volontà di Dio, pure la condizione di inferiorità delle donne è in via di superamento allorché i cristiani meglio comprendono il reale insegnamento della Bibbia al riguardo. Guardare alle donne come pari dell'uomo in ogni campo non è necessariamente solo un fenomeno moderno. Ad esempio, gli stessi metodisti ottocenteschi che promuovono l'abolizione della schiavitù, pure promuovono l'uguaglianza dell'uomo con la donna nel campo del suffragio universale e del ministero cristiano.

Nella seconda parte del ventesimo secolo, il sorgere del femminismo radicale causa in molte chiese una reazione eccessiva di segno opposto. Quando però lo sviluppo è equilibrato e si evitano gli estremismi, è la società che, nella provvidenza di Dio, spesso si muove di più nella traiettoria celeste di quanto lo facciano tante chiese ancorate a principi irrazionalmente assolutizzati che si basano su un'errata interpretazione dei dati biblici. Dio muove la storia umana verso il fine che Egli si è proposto e spesso deve trascinarsi dietro a forza chi Gli oppone resistenza e che si trova nelle chiese stesse.

Dio continua a chiamare donne al ministero cristiano

Sono molte le donne alle quali Dio ha fatto dono di talenti tali da renderle adatte ad ogni posizione nel ministero cristiano. Dato il fatto che nella chiesa del Nuovo Testamento molte donne abbiano profetizzato ed occupato posizione di responsabilità nella chiesa, con quale autorità un cristiano oggi potrebbe opporsi a che donne che si sentono chiamate al ministero di fatto lo svolgano solo perché sono donne? Potrebbe un cristiano opporsi così allo Spirito Santo sulla base di un principio malinteso? Non "spegnerebbero" così lo Spirito di Dio?

Certo, vi sono donne che potrebbero fraintendere la loro effettiva vocazione, ma lo stesso potrebbe dirsi di molti uomini che "si sentono chiamati al ministero" ma che di fatto non lo sono, o almeno, non sono destinati a quello specifico ministero che essi suppongono di potere occupare. Il principio spirituale è di trattarle uomini e donne allo stesso modo, perché spiritualmente non c'è "né uomo né donna".
E' anche vero che molti che si oppongono al ministero pastorale femminile lo fanno con sincerità perché credono che esso sia contrario alla volontà di Dio. Anche Paolo, però, parla di individui che hanno zelo privo di discernimento ("Rendo loro testimonianza infatti che hanno lo zelo per Dio, ma non secondo conoscenza" Romani 10:2). Gli oppositori giudaici di Paolo avevano pure "motivazioni bibliche" per opporsi all'Evangelo. Spesso utilizzavano, infatti, dall'Antico Testamento, "testi migliori" dei suoi. Dopo tutto, cose come la circoncisione e le regole sulla purezza erano insegnate chiaramente nell'Antico Testamento. Gli oppositori di Paolo potevano vantarsi di essere "più letterali" e "fondamentali" nel modo in cui utilizzavano la Scrittura. Paolo, però, non era un uomo "della lettera", ma dello spirito. Paolo diceva che i suoi oppositori "letteralisti" volevano solo "vantarsi della carne" (Galati 6:13). Lo stesso rischia di essere vero per coloro che si oppongono alle donne nel ministero cristiano - si tratta solo di pensiero terreno, carnale.

L'Evangelo proclama coraggiosamente che le donne "in Cristo" non differiscono spiritualmente dagli uomini. Coloro che precludono alle donne uguale ministero spirituale pensano "con la carne", non "con lo spirito".

Che ci piaccia o no, le donne hanno le stesse capacità intellettive degli uomini, se non talvolta maggiori. Di regola le donne maturano più in fretta degli uomini. Le donne tendono ad essere più amorevoli degli uomini (e quindi più cristiane nel loro comportamento, dato che l'amore è l'adempimento della legge). Al tempo dell'apostolo Paolo molti uomini non avrebbero accettato queste considerazioni, ma nessuno oggi può metterle in dubbio a meno che non conosca le donne o abbia altre motivazioni inconfessate per farlo.

Se una donna ha il dono della conduzione pastorale, il dono di parlare in pubblico ed introspezione spirituale, non c'è senso logico alcuno perché non dovremmo consacrarla a questo ministero preferendole uomini meno dotati, con minore introspezione e discernimento spirituale. Alla fin fine si tratta solo d buon senso. Porre un maschio meno competente al posto di una donna più spirituale e con maggiori talenti - solo perché è fisiologicamente un maschio - è molto difficile da trovarlo sensato.

Potremmo razionalizzare la nostra opposizione, ma non si tratta di ragionamenti che stanno in piedi. Forse che Dio promuove l'irrazionalità? Davvero è nel carattere di Dio stabilire regole fini a sé stesse anche se non hanno senso? Si confronti questo con la polemica di Gesù con le regole israelite sul sabato. Gesù dimostra come esse siano solo apparentemente fedeli alla volontà del Signore: "Il sabato è fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato" (Marco 2:27). Talvolta Dio fa concessioni per venire incontro alla nostra debolezza, come quando permette il divorzio (Deuteronomio 24:1; Matteo 19:8), ma Egli sempre opera per portarci a conformarci all'ideale.
Gesù e Paolo regolarmente ci insegnano a non "inscatolare" Dio con la nostra interpretazione delle regole.

Gli autori del Nuovo Testamento interpretano coerentemente l'Antico Testamento in modo spirituale, non letterale. Così, se una donna sente di essere chiamata al ministero pastorale, se una comunità di credenti riconosce l'evidenza di tale vocazione, se la donna dimostra capacità di leader, perché mai dovremmo impedirle di esercitare questo ministero? Non avrebbe alcun senso.

Non vi sono argomenti razionali che possano essere addotti contro la possibilità che le donne occupino ogni livello del ministero cristiano. Dovremmo forse promuovere il minimo comune denominatore per la miopia, ignoranza o persino peccaminosità della nostra gente? Forse che Dio vuole adattarsi all'ignoranza delle chiese? Quando Dio ci spine verso il cielo, dovremmo resistergli per seguire un pensiero carnale? Non sia mai.

Se vi sono uomini che si sentono intimiditi da una donna che Dio ha chiamato a servirlo, dovremmo aiutarli a risolvere il loro problema psicologico, non rafforzare la loro insicurezza. Se una donna sente mettere in questione la propria zona di conforto da un'altra donna che assume legittimamente una posizione di comando, dobbiamo aiutarla a crescere, non appoggiare la sua debolezza. Dio poteva anche tollerare nella chiesa primitiva, in particolari circostanze, una certa inferiorità della donna nell'ambito della chiesa. Ora però Egli ci esorta a cessare dal pensare in modo terreno per muoversi più decisamente verso l'adempimento dell'Evangelo.

Paolo Castellina, giovedì 30 agosto 2007
 



1] Il ruolo delle donne nella vita della chiesa e della società, continua ad essere molto dibattuto. Di fatto è una delle linee che pure dividono chiese che amano lo stesso Signore e Salvatore. Nell'affrontare questa questione, molto dipende dal modo in cui si sceglie di leggere la Bibbia e su quali versetti si intende basarci.

2] Obiettivo dello studio della Bibbia non è tanto quello di apprendere dei fatti, ma di imparare ad interpretare la Bibbia tanto da operare dei cambiamenti nella nostra vita secondo la Parola di Dio. Quando si studia la Bibbia, non si potrà comprendere un versetto se pure non si considerano i versetti che vi stanno attorno, il contesto in cui è stato scritto, le persone o le circostanze a cui si rivolgeva, la ragione per la quale quell'informazione è registrata. Per esempio, quando la Bibbia si riferisce a Satana come al dio di questo mondo, forse intende dire che Satana sia un dio come lo è Dio? Significa forse che, dato che viviamo in questo mondo, noi si debba pregare Satana? Certo no. E' il resto della Bibbia che interpreta per noi questo brano e che chiaramente ci dice che non lo dovremmo fare. Quando la Bibbia dice: "Non bere più soltanto acqua, ma fa' uso di un po' di vino a causa del tuo stomaco e per le tue frequenti infermità" (1 Timoteo 5:3) questo non vuol dire che ogni qual volta un cristiano abbia mal di stomaco debba andare a cercare una bottiglia di vino. No. Paolo dà questo messaggio specificatamente a Timoteo per la condizione che aveva. Ci sono certe cose nella Bibbia scritte in riferimento ad una situazione specifica vissuta da una particolare chiesa. Inoltre alcune cose comandate nell'Antico Testamento non sono più applicabili nel Nuovo, altre comandate nel Nuovo che non erano richieste nell'Antico Testamento, e cose ugualmente proibite sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento. Dobbiamo quindi, quando si studia la Bibbia, considerarla nel suo insieme. Quando studiamo la Bibbia, vi sono alcune regole di base che dobbiamo seguire e domande che dobbiamo farci: (1) Di che cosa si parla nel brano in esame? Quale problema affronta? (2) Perché si dà una particolare ammonizione? (3) Se la si seguisse sempre, contraddirebbe essa altre parti della Bibbia? (4) Forse che lo scrittore dice qualcos'altro in un'altra situazione? (5) Se si seguisse in questo passo tutto con lo stesso letteralismo, avremmo una sana teologia?

3] Gioele 2:28 ed Atti 2:18 predicono che quando lo Spirito di Dio scenderà ai tempi del Messia, "i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno", quindi che anche delle donne saranno portavoce del Signore e annunceranno la Sua Parola come Sue serventi. Questi versetti sono innegabili affermazioni che Dio fa uso anche delle donne per trasmettere al mondo verità spirituali, esattamente come gli uomini e senza alcuna riserva.

4] Qui c'è un problema con la traduzione italiana. Il testo greco dice: "οσοι γαρ εις χριστον εβαπτισθητε χριστον ενεδυσασθε ουκ ενι ιουδαιος ουδε ελλην ουκ ενι δουλος ουδε ελευθερος ουκ ενι αρσεν και θηλυ παντες γαρ υμεις εις εστε εν χριστω ιησου". Qui vi sono tre distinzioni: ουκ ενι ιουδαιος ουδε ελλην (né giudeo né greco), ουκ ενι δουλος ουδε ελευθερος (né schiavo né libero), ma ουκ ενι αρσεν και θηλυ. Se nelle prime due distinzioni Paolo usa ουδε nella terza usa και. Infatti si dovrebbe tradurre: "Non c'è maschio e femmina". Perché questa differenza grammaticale? Il riferimento è fatto forse intenzionalmente a Genesi 1:27 "ἄρσεν καὶ θῆλυ ἐποίησεν αὐτούς" (LXX), in ebraico "אלהים ברא אתו זכר ונקבה ברא אתם". Bisognerebbe allora meglio tradurre: “Non c'è né Giudeo né Greco, non c'è né schiavo né libero, non c'è maschio e femmina, perché tutti siete uno in Cristo Gesù".

5] ...che 11:3 definisce come i loro rispettivi mariti.

6] Una versione inglese così traduce questo testo: "Wives must not disrupt worship, talking when they should be listening, asking questions that could more appropriately be asked of their husbands at home. ... Wives have no license to use the time of worship for unwarranted speaking" (The Message), che vuol dire: "Le donne (sposate) non devono interrompere (disturbare) il culto parlando quando dovrebbero solo ascoltare. Sarebbe meglio che, se hanno domande da fare le facessero ai loro mariti di ritorno a casa. Le donne (sposate) non hanno la licenza di usare il tempo del culto per parlare in modo inappropriato.

7] La Vulgata rende il versetto: "docere autem mulieri non permitto neque dominari in virum".

8] "Πιστὸς ὁ λόγος· εἴ τις ἐπισκοπῆς ὀρέγεται, καλοῦ ἔργου ἐπιθυμεῖ"

9] Questo andrebbe tradotto "diacono", non tanto diaconessa ed è la stessa parola che è usata in 1 Timoteo 3:12.

10] Lo stesso ordine "di comparizione" di questi due personaggi è diverso. Molti manoscritti non hanno, di fatto "Aquila e Priscilla", ma "Priscilla ed Aquila", dando così precedenza alla donna rispetto al marito (Nuovo Testamento greco, UBS, terza edizione 1983), così la versione Nuova Riveduta, CEI e TILC).

11] Aristotele dice la stessa cosa: "Il capofamiglia governa sia la moglie che i figli e governa su ciascuno di essi come libere membra della casa ... Il governo che ha sulla sua moglie è come quello di un politico suoi propri concittadini ... Il maschio è meglio adatto a comandare di una femmina, eccetto che quando ci si distanzi dalla natura" (La Politica, 1,1259a-b).