Letteratura/Istituzione/1-17

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Indice generale

Istituzioni della religione cristiana (Calvino)

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CAPITOLO XVII

QUALE SIA LO SCOPO DI QUESTA DOTTRINA ONDE SE NE TRAGGA PROFITTO

1. Dato che gli spiriti umani sono propensi alle distinzioni frivole, difficilmente si può impedire a chi non comprende il giusto senso di questa dottrina di impigliarsi in molti interrogativi. Sarà utile quindi esporre qui in breve perché la Scrittura insegni che quanto avviene è stabilito da Dio.

Bisogna notare in primo luogo, che la provvidenza di Dio deve essere considerata sia sotto il punto di vista del passato che dell'avvenire; in séguito che essa modera e indirizza ogni cosa e agisce talvolta con mezzi interposti, talvolta senza mezzi, talvolta contro tutti i mezzi; e infine che essa tende a far conoscere quale cura Dio abbia del genere umano e soprattutto come egli vegli attentamente sulla sua Chiesa che tutela più da vicino.

Bisogna anche aggiungere un altro punto; sebbene il favore di Dio e la sua bontà, come pure il rigore dei suoi giudizi, splendano il più sovente in tutta l'opera della sua provvidenza, tuttavia a volte le cause di quanto avviene sono nascoste. Nasce così nel nostro cervello il pensiero che gli affari umani si susseguano e girino a caso come una ruota, oppure la nostra carne ci incita a mormorare contro Dio, come se egli si prendesse gioco degli uomini sbattendoli qua e là come palle da gioco. È ben vero che a chi abbia lo spirito quieto e maturo per imparare ciò che è necessario, l'esito finale mostra che Dio ha sempre delle buone ragioni per fare quello che fa; per insegnare la pazienza ai suoi o per correggere i loro sentimenti perversi o per domare l'eccessiva vivacità dei loro appetiti, per mortificarli onde rinuncino a se stessi o per scuotere la loro pigrizia; oppure all'opposto, per umiliare gli orgogliosi, annientare gli inganni e i cavilli dei malvagi e dissipare le loro macchinazioni.

Del resto anche se le cause oltrepassano la nostra comprensione o le sono estranee, bisogna tuttavia tener per certo che esse non cessano di rimanere nascoste in Dio. Non ci resta dunque che esclamare con Davide: "o Dio, quanto grandi sono le tue meraviglie! Non è possibile comprendere i tuoi pensieri a nostro riguardo, essi sormontano quanto potrei dirne " (Sl. 40.6) . In tutte le nostre avversità dobbiamo certo sempre pensare ai nostri peccati affinché il dolore che proviamo ci induca al pentimento; vediamo tuttavia che Gesù Cristo attribuisce maggiore autorità a Dio suo Padre mostrandolo che affligge gli uomini piuttosto che sottomettendolo alla legge del castigare ciascuno in misura proporzionata ai suoi peccati. Egli dice infatti di colui che era nato cieco: "Non è lui che ha peccato, né suo padre, né sua madre, ma è così affinché la gloria di Dio sia manifestata in lui " (Gv. 9.3) . Quando un fanciullo ancor nel ventre di sua madre, prima di nascere, è colpito da sì dura sorte, la nostra reazione è di mormorare contro Dio come se egli non si comportasse umanamente verso gli innocenti, che affligge in questo modo; eppure Gesù Cristo afferma che la gloria di Dio splende in questi fatti purché gli occhi nostri siano puri. Ma dobbiamo mantenere l'umiltà e non chiedere a Dio di renderci conto: portare un tale rispetto ai suoi giudizi segreti che la sua volontà sia per noi la causa giustissima di tutto il suo operare. Quando il cielo è coperto di pesanti nubi e si prepara una violenta tempesta, dato che davanti ai nostri occhi non c'è che oscurità e il tuono brontola nelle nostre orecchie, di sorta che tutti i nostri sensi sono colpiti da paura, tutto ci sembra confuso e incerto. E tuttavia tutto rimane quieto nel cielo. Così quando le cose turbate del mondo ci impediscono di veder chiaro, dobbiamo essere certi che Dio, lontano da noi, nella luce della sua giustizia e della sua sapienza sa moderare queste confusioni per condurle in buon ordine al fine giusto. In realtà, mossi da pazzia forsennata, molti si sentono autorizzati a criticare le opere di Dio, esaminare e analizzare le sue segrete decisioni, anzi si affrettano a pronunciare la loro sentenza con una libertà maggiore che se dovessero giudicare le azioni di un uomo mortale. Si può concepire atteggiamento più perverso e sregolato dell'usare moderazione nei confronti dei nostri simili, preferendo sospendere il nostro giudizio per timore di essere giudicati temerari e invece criticare con presunzione i giudizi di Dio che ci sono sconosciuti e che dovremmo considerare con riverenza e ammirazione?

2. Nessuno può dunque riconoscere degnamente e utilmente la provvidenza di Dio se non ha coscienza di trovarsi di fronte al proprio Creatore, a colui che ha costruito il mondo. e in tal modo assumerà l'atteggiamento di umiltà che si conviene. Per questo molti cani abbaiano contro. Essi considerano che a Dio sia lecito fare solamente quanto stimato ragionevole nel proprio cervello. E così gridano tutte le villanie che possono contro di noi pensando di fare bella figura, rimproverandoci di non accontentarci dei precetti della Legge, in cui è espressa la volontà di Dio, e di aggiungervi che il mondo è governato dalla mente segreta di Dio. Come se il nostro insegnamento fosse una fantasticheria frutto dei nostri cervelli e non una chiara e esplicita dottrina dello Spirito Santo, della quale vi sono infinite testimonianze. Trattenuti da un residuo di vergogna non osano vomitare le loro bestemmie contro il cielo e per scatenarsi più coraggiosamente fingono di prendersela con noi.

Ma se non vogliono riconoscere che quanto avviene nel mondo è guidato dall'incomprensibile volontà di Dio, mi dicano a che scopo la Scrittura affermerebbe: i suoi giudizi sono un profondo abisso (Sl. 36.7) . Mosè afferma che la volontà di Dio non è lontana da noi e non bisogna cercarla nelle nuvole e negli abissi poiché è espressa famigliarmente nella Legge in termini comprensibili: il Salmo allude dunque ad un'altra volontà nascosta, paragonata ad un abisso profondo, alla quale anche san Paolo Si riferisce dicendo: "o profondità e altezza delle ricchezze e della sapienza e della conoscenza di Dio! I suoi giudizi sono inscrutabili e incomprensibili le sue vie! Chi conosce infatti i pensieri di Dio o chi è stato il suo consigliere? " (Ro 11.33).

È vero che nella Legge e nell'Evangelo vi sono misteri tali da sorpassare di molto la nostra comprensione; ma Dio illumina i suoi eletti con lo Spirito d'intelligenza onde comprendano i misteri che ha voluto rivelare con la sua parola. Non vi è dunque alcun abisso ma si tratta di una via in cui si può camminare sicuramente, di una lampada per guidare il nostro piede, di una luce di vita; insomma è una scuola della verità evidente. Ma il modo mirabile di reggere il mondo è definito a buon diritto abisso profondo perché dobbiamo con riverenza adorarlo quando ci è nascosto. Mosè ha espresso molto bene i due concetti con poche parole: "I segreti "egli dice "sono riservati al nostro Dio, ma quanto è qui scritto appartiene a voi e ai vostri figliuoli " (De. 29.29) . Esprimendosi in questi termini ordina non solo di applicarci a meditare la legge di Dio, ma anche di elevare i nostri sensi per adorare la sua provvidenza.

Questa grandezza ci è predicata altrettanto bene nel libro di Giobbe per umiliare i nostri spiriti. Infatti, dopo che l'autore ha magnificato le opere di Dio e descrivendo nei suoi discorsi tutta la struttura dell'universo ha illustrato quanto esse siano meravigliose, aggiunge alla fine: "Ecco, questi sono gli estremi lembi dell'azione sua; non ce ne giunge all'orecchio che un piccolo sussurro; ma chi può intendere il rumore delle sue potenti opere? " (Gb. 26.14) . Allo stesso modo in un altro passo distingue tra la sapienza che dimora in Dio e la norma di sapienza fissata agli uomini per essere savi. Dopo aver parlato dei segreti della natura egli dice che la sapienza è conosciuta a Dio solamente e non appare agli occhi dei viventi (Gb. 28) . E tuttavia aggiunge subito dopo che essa si manifesta per essere cercata, è detto infatti all'uomo: "Ecco, il timore di Dio è la sapienza ". A questo si riferisce la frase di sant'Agostino: "Poiché non conosciamo tutto quello che Dio fa di noi con perfetta norma, operiamo secondo la sua legge se siamo condotti dalla buona volontà; ma per il resto lasciamoci condurre dalla provvidenza di Dio che è legge immutabile ". Poiché dunque Dio si attribuisce una autorità a noi sconosciuta di governare il mondo, l'atteggiamento confacente di sobrietà e di moderazione consiste nel sottometterci al suo governo sovrano e considerare la sua volontà modello unico di ogni giustizia e causa giustissima di quanto avviene. Non parlo della volontà assoluta di cui blaterano i Sofisti, i quali compirono un esecrabile divorzio tra la sua giustizia e la sua potenza, come se egli potesse fare questo o quello contro ogni equità: ma intendo la provvidenza con cui governa il mondo, dalla quale nulla procede che non sia giusto e retto, sebbene le ragioni ci sfuggano.

3. Tutti coloro che si atterranno a questa moderazione non se la prenderanno con Dio per quanto riguarda il passato, per le avversità che avranno sofferte e non rigetteranno su lui la colpa dei loro peccati, come il re Agamennone che afferma, secondo Omero: "Non ne sono io la causa ma Giove e la dea della Necessità ". Né si getteranno subito alla disperazione, come un giovane presentatoci da un antico poeta che dice: "La condizione degli uomini non conosce requie; la necessità li spinge e li trasporta; me ne andrò dunque a spezzare il mio naviglio contro la roccia e perderò i miei beni con la vita ". Né si prevarranno del nome di Dio per nascondere la loro vergogna come il giovane presentato dallo stesso poeta, che parla in questo modo dei suoi amori "È Dio che mi ha spinto. Sono convinto che gli dèi l'hanno voluto perché se non volessero non accadrebbe ". Ma piuttosto interrogheranno la Scrittura e impareranno che cosa piaccia a Dio per sforzarsi di realizzarlo con la guida dello Spirito Santo. Ed essendo pronti a seguire Dio dove li chiamerà, dimostreranno con i fatti non esserci nulla di più utile che questa dottrina, ingiustamente biasimata dai malvagi perché alcuni la praticano male.

Molte persone incredule fanno ragionamenti disordinati sforzandosi di mescolare il cielo e la terra, come si dice; affermano che se Dio ha segnato il punto della nostra morte, noi non possiamo sfuggirvi e invano dunque ci adopreremo a stare in guardia. Alcuni non osano mettersi in strada quando sentono dire che vi è pericolo per timore di essere uccisi dai briganti, altri chiamano i medici e ricorrono al farmacista nelle malattie, altri si astengono dai cibi grassi per conservare la salute, altri hanno paura di abitare in case pericolanti; in genere tutti cercano di mettere ad effetto le proprie intenzioni. Tutto questo (dicono costoro) è inutile, lo si fa per modificare la volontà di Dio, altrimenti bisogna credere che non ogni cosa avviene per sua volontà e disposizione. È una incongruenza dire che la vita e la morte, la salute e la malattia, la pace e la guerra, la ricchezza e la povertà vengono da Dio e poi aggiungere che gli uomini con i loro sforzi le evitano o le ottengono a seconda del loro desiderio o del loro timore.

Inoltre essi affermano che le preghiere dei credenti non solo sono superflue, ma addirittura perverse, quando domandano a Dio di compiere quanto egli ha già deliberato dall'eternità. Aboliscono insomma ogni progetto relativo al futuro come se contrastasse con la provvidenza di Dio, la quale, senza chiedere la nostra opinione, avrebbe determinato da sempre quanto voleva avvenisse. Imputano quanto avviene alla provvidenza di Dio fino al punto di non avere alcuna considerazione dell'uomo che avrà compiuto l'atto in questione. Se qualche ruffiano uccide un uomo per bene, dicono che ha eseguito l'ordine di Dio. Se qualcuno ha derubato o fornicato, facendo quanto Dio aveva previsto, e ministro della sua provvidenza. Se il figlio ha lasciato morire suo padre senza soccorrerlo dicono: non poteva resistere a Dio che aveva così ordinato. In tal modo trasformano tutti i vizi in virtù affermando che obbediscono alla volontà di Dio.

4. Per quanto riguarda le cose future, Salomone associa senza difficoltà alla provvidenza di Dio le deliberazioni che l'uomo prende; mentre si beffa della tracotanza di coloro che intraprendono tutto quanto viene loro in mente senza Dio, come se non fossero retti dalla sua mano, d'altra parte in un altro passo dice: "Il cuore dell'uomo deve pensare alla sua via e il Signore governerà i suoi passi " (Pr 16.9) . Intendono dire con questo che il decreto eterno di Dio non ci impedisce di provvedere a noi stessi nell'ambito della sua buona volontà e di mettere ordine ai nostri affari. La ragione è chiara; colui che ha fissato il limite della nostra vita ce ne ha anche affidato la cura, ci ha dato i mezzi per conservarla, ci ha dato di prevedere i pericoli onde non ci sorprendano, fornendoci invece i rimedi per ovviarvi. Risulta così evidente quale sia il nostro dovere. Se il Signore ci ha affidato la nostra vita, dobbiamo conservarla; se ci ha dato i mezzi per farlo, dobbiamo adoperarli, se ci mostra i pericoli non dobbiamo cadervi ciecamente; se ci offre i rimedi, non dobbiamo sprezzarli.

Qualcuno dirà: nulla può nuocere che non sia stabilito, e se cosi fosse a nulla serve opporsi. Ma che accadrà al contrario se non si tratta di situazioni insormontabili e il Signore ci ha concesso il rimedio per sormontarle? Considera quale rapporto vi sia tra la tua argomentazione e l'ordine della provvidenza divina. Tu pensi che non occorre stare in guardia dai pericoli perché potremo sfuggirli anche senza stare in guardia, quando non siano fatali. Al contrario il Signore ti ordina di stare in guardia perché vuole che tu li sfugga. Quei folli non considerano ciò che al primo colpo d'occhio si può vedere, vale a dire che l'intelligenza per prevedere e premunirsi è stata data da Dio agli uomini, onde l'utilizzassero per servire alla sua provvidenza conservando la propria vita. E al contrario per noncuranza e disprezzo essi si procurano le miserie che egli vuole loro imporre.

Come può avvenire che un uomo prudente mettendo ordine nei suoi affari storni il male che gli era vicino e invece uno sventato perisca per la propria temerità? Che significa questo se non che la follia e la prudenza sono strumenti della dispensazione di Dio in un senso o nell'altro?

Per questo motivo il Signore ha voluto che tutte le cose future ci fossero nascoste affinché vivessimo senza conoscere ciò che deve accadere e non cessassimo di adoperare i rimedi che egli ci dà contro i pericoli fin quando li abbiamo superati o abbiano avuto il sopravvento. Per questo motivo, ho detto che non dobbiamo contemplare la provvidenza di Dio in se, ma unita agli strumenti che Dio le ha associato come per rivestirla.

5. Per quanto riguarda le cose accadute e passate, quei sognatori giudicano malamente ed in modo perverso la provvidenza di Dio. Noi affermiamo che da essa dipende ogni cosa come dal proprio fondamento e per questo motivo non avviene un ladrocinio o una fornicazione o un omicidio senza che la volontà di Dio intervenga. Allora essi domandano: Perché dunque sarà punito un ladrone che ha depredato colui che Dio voleva castigare con la privazione dei beni? Perché sarà punito un assassino che ha ucciso colui al quale Dio aveva tolto la vita? In breve, se questo genere di persone serve la volontà di Dio, perché si dovrebbe punire?

Io però contesto che esse lo servano. Non possiamo dire che chi è mosso da un cuore malvagio si dedichi al servizio di Dio mentre desidera solo compiacere alla propria mala cupidigia.

Obbedisce a Dio chi, ammaestrato dalla sua volontà, va dove essa lo chiama. Ora dove Dio ci insegna la sua volontà se non nella sua parola? Per questa ragione in ogni nostra decisione dobbiamo esaminare la volontà di Dio quale egli l'ha manifestata nella sua parola. Dio richiede da noi solamente quello che comanda. Se facciamo qualcosa contro la sua volontà, non si tratta di obbedienza ma piuttosto di rifiuto e trasgressione. Essi replicano che non lo faremmo se egli non lo volesse. Lo ammetto. Ma lo facciamo per piacergli? Egli non ce lo comanda ma facciamo il male senza pensare affatto a quanto Dio domanda: siamo anzi talmente travolti dall'ira della nostra intemperanza che cerchiamo di proposito deliberato di opporci a lui. Facendo il male noi serviamo il suo giusto ordinamento, solo perché egli, nella grandezza infinita della sua sapienza, sa utilizzare abilmente i cattivi strumenti per compiere il bene.

Ma vediamo quanto sia inetto e sciocco il loro argomentare. Pretendono che i delitti rimangano impuniti e non siano imputati a chi li commette perché non hanno luogo senza la disposizione di Dio. Io affermo addirittura che i ladroni e gli assassini e gli altri malfattori sono strumenti della provvidenza di Dio, di cui il Signore si serve per eseguire i giudizi che ha decretato; ma nego che da questo possano trarre alcun genere di giustificazione. Che dunque? Associerebbero Dio alla loro iniquità? O coprirebbero la loro perversità con la sua giustizia? Non possono fare né una cosa né l'altra e la loro coscienza li rimprovera di sorta che non possono giustificarsi. Non possono accusare Dio perché in loro stessi si trova tutto il male, in lui solamente l'utilizzazione positiva e legittima della loro malvagità. Tuttavia qualcuno dirà: egli agisce servendosi di loro. Ma da dove viene il fetore in una carogna dopo che è stata aperta e marcisce? È chiaro che questo è dovuto ai raggi del sole e tuttavia nessuno dirà che esso puzza. Così se la materia e la causa del male risiedono nell'uomo malvagio, perché Dio ne sarebbe macchiato e sporcato se le adopera secondo la sua volontà? Respingiamo dunque questa petulanza di cani che abbaiano da lontano contro la giustizia di Dio ma non la possono toccare.

6. Tuttavia se sapremo meditare rettamente e santamente la provvidenza di Dio secondo la regola della pietà, saranno allontanate da noi tali stravaganti fantasticherie e riceveremo ottimo frutto da quanto conduce invece i frenetici alla perdizione. Il cuore dell'uomo credente, convinto che nulla avviene a caso ma che ogni cosa si attua secondo la provvidenza di Dio, guarderà sempre a lui come alla causa principale di tutto quanto avviene; ma tuttavia non tralascerà di considerare le cause inferiori, nel loro campo. Inoltre non avrà dubbi che la provvidenza di Dio veglia per la sua conservazione e non permette che nulla avvenga se non per il suo bene e la sua salvezza. Avendo a che fare in primo luogo con gli uomini, in secondo con le altre creature, egli deve essere certo che la provvidenza di Dio regna ovunque.

Per quanto si riferisce agli uomini, buoni o malvagi, egli riconoscerà che i loro progetti, la volontà, le forze, le energie e le imprese sono sotto la mano di Dio, di sorta che può piegarle e reprimerle ogni qualvolta gli sembri opportuno. Molte sono le promesse evidenti che testimoniano come la provvidenza di Dio vegli con speciale cura e quasi sia di sentinella per tutelare la salvezza dei credenti. Così è detto: "Getta la tua sollecitudine sul Signore ed egli ti nutrirà perché egli si prende cura di noi " (Sl. 55.23; 1 Pi. .5.7) : "Chi dimora nel rifugio dell'Altissimo sarà sostenuto dalla sua protezione " (Sl. 91.1) : "Chiunque vi tocca, tocca la pupilla dei miei occhi " (Za. 2.8) : "Sarò tuo scudo e come muro di rame e combatterò contro i tuoi nemici "e infine: "Quand'anche la madre dimenticasse i suoi figli io non ti dimenticherò mai " (Is. 49.15) . Ed anzi lo scopo principale dei racconti biblici è di mostrarci come Dio guardi sì accuratamente i suoi servi da non lasciarli inciampare in una pietra. A buon diritto abbiamo riprovato l'immagine di una provvidenza di Dio universale che non si abbasserebbe ad avere cura speciale di ciascuna creatura; al contrario dobbiamo soprattutto riconoscere questa speciale sollecitudine verso di noi. Per questo motivo Cristo, dopo aver detto che il più insignificante passerotto dell'aria non cade senza la volontà di Dio, aggiunge subito che dobbiamo essere certi di essergli più preziosi dei piccoli uccelli: egli veglia su noi più diligentemente che su loro. Al punto di avere tale sollecitudine che un capello della nostra testa non cadrà senza che egli lo permetta (Mt. 10.29-30) .

Che vogliamo dunque di più se un solo capello non può cadere senza la volontà di Dio? Non mi riferisco solo al genere umano: poiché Dio ha eletto la sua Chiesa quale sua dimora, non v'è dubbio che egli voglia mostrare con esempi singolari la cura paterna che ha nei suoi riguardi.

7. Il servitore di Dio dunque, rassicurato da tutte queste promesse e dagli esempi analoghi, vi aggiungerà anche le testimonianze in cui è detto: tutti gli uomini dipendono dalla potenza di Dio, sia che occorra inclinare i loro cuori all'amore o reprimere la loro malvagità per neutralizzarla. È il Signore che ha fatto grazia al suo popolo e non solo a coloro che gli erano amici, ma anche agli Egiziani (Es. 3.21) . E il furore dei nostri nemici egli lo sa spezzare in molte maniere. Talvolta toglie loro l'intendimento onde non possano prendere buone decisioni. Così fece ad Achab; mandandogli il Diavolo per fargli udire menzogne dalla bocca di tutti i profeti lo ingannò (2 Re 22.22) . Così avvenne a Roboamo che fu accecato dai pazzi consigli dei giovani e fu spogliato del suo regno a causa della sua follia (2 Re 12.10-15) . Talvolta dà loro intelletto per vedere e comprendere quanto è utile e così li demoralizza e spaventa al punto che non hanno il coraggio di intraprendere nulla di quanto avevano progettato. Talvolta, pur permettendo loro di impegnarsi nell'esecuzione dei piani dettati dalla loro follia, frena il loro impeto e non permette che riescano nel loro intento. In questo modo ha annullato, anzitempo, il piano di Ahitofel che sarebbe stato fatale a Davide (2 Re 17.7-14) . In questo modo ha cura di dirigere e condurre ogni creatura in vista della salvezza dei suoi: incluso anche il Diavolo, che non ha osato intraprendere nulla contro Giobbe senza l'ordine e l'autorizzazione di Dio (Gb. 1.12) .

Quando si abbia coscienza di questa realtà ne consegue necessariamente sia una azione di grazie verso la bontà di Dio nel periodo della prosperità, sia la pazienza nel periodo dell'avversità; e ancor di più una straordinaria sicurezza per l'avvenire. Così dunque qualunque cosa avvenga frutto della nostra volontà, noi; la attribuiremo a Dio, sia che sperimentiamo la sua benevolenza attraverso gli uomini, sia che egli ci aiuti mediante altre sue creature. Nel nostro cuore penseremo così: È certamente Dio che ha indirizzato il cuore di costoro ad amarmi e ha fatto in modo che fossero strumenti della sua benignità. Per quanto riguarda la fertilità della terra penseremo che il Signore ha ordinato al cielo la pioggia sulla terra ond'essa fruttificasse. Per quanto riguarda ogni altra prosperità non dubiteremo che la benedizione di Dio ne è la sola causa. Questi ammonimenti non ci permetteranno di essere ingrati.

8. Se al contrario ci capita qualche sventura, innalzeremo subito il nostro cuore a Dio che solo lo potrà educare alla pazienza e alla tranquillità. Se Giuseppe si fosse fermato a meditare sulla slealtà dei suoi fratelli e sul vile tranello che gli avevano teso, non avrebbe mai avuto un atteggiamento fraterno verso di loro. Ma avendo rivolto il suo pensiero a Dio, dimenticando la loro ingiuria fu piegato alla mansuetudine e alla dolcezza fino a consolarli lui stesso dicendo: "Non siete voi che mi avete venduto per essere condotto in Egitto, ma per volontà di Dio vi ho preceduto per esservi utile. Avevate preparato un piano malvagio contro di me, ma il Signore l'ha tramutato in bene " (Ge 45.6-8; 50.20) . Se Giobbe avesse considerato i Caldei che l'avevano colpito, si sarebbe infiammato per il desiderio di vendetta. Ma poiché guarda in pari tempo all'opera di Dio, si consola con questa bella frase: "Il Signore aveva dato, il Signore ha tolto. Sia benedetto il nome del Signore! " (Gb. 1.21) . Così Davide se si fosse fermato a considerare la malvagità di Scimei che lo perseguitava con ingiurie e colpi di pietra, avrebbe incitato i suoi a vendicarsi. Ma, avendo compreso che egli non lo faceva senza il permesso di Dio, invece di incitarli li calma dicendo: "Lasciatelo perché può darsi che Dio gli abbia ordinato di maledirmi ", (2 Re 16.10) . Altrove con questa stessa briglia contiene l'intemperanza del proprio dolore: "Mi sono taciuto "egli dice "e sono diventato come muto perché sei tu, o Dio che mi affliggi " (Sl. 39.10) . Se è questo il miglior rimedio contro l'ira e l'impazienza, sarà bene che impariamo a meditare sulla provvidenza di Dio a questo proposito, di sorta che possiamo ridurre la nostra riflessione a questo pensiero: Il Signore l'ha voluto, bisogna dunque essere pazienti; non solo perché non e permesso resistergli ma perché egli non permette nulla che non sia giusto e utile. Insomma questo è il punto: ingiustamente oppressi dagli uomini dobbiamo nella nostra valutazione lasciare da parte la loro malvagità che inasprirebbe solo la nostra ira e ci spingerebbe alla vendetta; e volgerci a Dio, certi che quanto i nostri nemici attentano contro di noi è permesso e anzi stabilito dal suo giusto consenso e dalla sua volontà. San Paolo, per toglierci il desiderio della vendetta, ci ammonisce con sapienza che non abbiamo a combattere contro la carne e il sangue ma contro il Diavolo, nostro nemico spirituale e contro di lui dobbiamo armarci (Ef. 6.12) . Ma questo ammonimento vuole anche moderare ogni slancio e passione collerica: Dio arma per la lotta tanto il Diavolo che tutti i malvagi e presiede come il direttore di un torneo per esercitare la nostra pazienza.

Se le offese che sopportiamo ci giungono da altra fonte che gli uomini, ricordiamoci quanto è detto nella Legge: ogni prosperità ci viene dalla benedizione di Dio e ogni calamità è come una maledizione che viene anch'essa da lui (De 28) . Dobbiamo anzi temere questa minaccia orribile: "Se mi resisterete con la vostra condotta anch'io vi resisterò ". (Le 26.23) . Con queste parole egli pungola il nostro torpore perché siamo indotti a considerare fortuito quanto avviene, sia bene che male, secondo i nostri sensi carnali: né i benefici di Dio ci stimolano a servirlo né le sue punizioni ci incitano a pentirci. Così Geremia si lamenta aspramente, e anche Amos, perché i Giudei non ammettevano che il bene e il male provenissero dalla volontà di Dio (Am 3.6) . A questo si riferisce pure la frase di Isaia: "Io sono l'Iddio che crea la luce e forma le tenebre, che fa la pace e crea il male: si, sono io che faccio tutte queste cose " (Is. 45.7) .

9. Non chiudiamo tuttavia gli occhi alle cause secondarie. Consideriamo bensì coloro da cui riceviamo qualche bene come ministri della benignità di Dio: senza tuttavia disprezzarli come se non avessero meritato alcuna riconoscenza da parte nostra per la loro bontà. Anzi, ci riconosceremo obbligati nei loro confronti e lo dichiareremo volentieri e ci sforzeremo di rendere altrettanto secondo la nostra possibilità, quando si presenti l'opportunità. In breve, renderemo a Dio l'onore riconoscendolo autore principale di ogni bene, ma onoreremo anche gli uomini come ministri e dispensatori dei suoi benefici e penseremo che egli ha voluto spingerci ad essere loro riconoscenti mostrandosi nostro benefattore attraverso le loro mani. Se soffriamo qualche difficoltà o per negligenza nostra o per nostra incuria, penseremo che questo è avvenuto per volere di Dio ma non dimenticheremo di imputarne la responsabilità a noi stessi. Se qualcuno dei nostri parenti o amici, del quale dovevamo aver cura, muore senza essere stato ben curato, noi, pur non ignorando che era giunto al termine insuperabile, non alleggeriremo per questo il nostro peccato: non avendo fatto il nostro dovere considereremo la sua morte come avvenuta per colpa nostra. A maggior ragione dunque, se vi è stata frode o malvagità deliberata nel commettere omicidio o ladrocinio, non dovremo scusare questi crimini giustificandoli con la provvidenza di Dio; ma in uno stesso fatto vedremo la giustizia di Dio e l'iniquità dell'uomo, poiché l'una e l'altra appaiono chiaramente.

Soprattutto per quanto riguarda le cose future terremo conto di quelle cause secondarie di cui abbiamo parlato. Reputeremo benedizione di Dio il fatto che egli ci dia i mezzi umani per mantenerci e conservarci; e tuttavia rifletteremo su quello che dobbiamo fare secondo il nostro intelletto e non rinunceremo a chiedere l'aiuto di quanti vedremo essere capaci di aiutarci. Considerando anzi che è Dio a farci incontrare le creature dalle quali possiamo essere aiutati, le utilizzeremo come legittimi strumenti della sua provvidenza. Essendo incerti sul risultato delle nostre imprese, pur con la fiducia che Dio provvederà in tutto e per tutto al nostro bene, ci impegneremo in ciò che ci sembrerà utile secondo il giudizio della nostra intelligenza. Tuttavia, prendendo le nostre decisioni, non seguiremo il nostro proprio sentimento ma ci raccomanderemo e abbandoneremo alla sapienza di Dio perché ci conduca rettamente.

Infine la nostra fiducia negli aiuti e nei mezzi terrestri non sarà tale da abbandonarci completamente quando essi saranno in nostro favore o da perdere coraggio quando ci verranno meno: perché la nostra comprensione sarà tesa verso la sola provvidenza di Dio e non ci lasceremo distrarre da essa nella considerazione delle cose presenti. In questo modo Ioab, sebbene sapesse che l'esito della battaglia in cui stava per entrare dipendeva dal volere di Dio ed era nella sua mano, non ebbe un atteggiamento di noncuranza al punto da lasciare a Dio la guida di tutto e non preoccuparsi di eseguire quanto era suo compito. "Terremo duro "egli disse "per il nostro popolo e per le città del nostro Dio. Il Signore faccia quello che a lui piacerà! " (2 Re 10.12) . Questo pensiero ci libererà della temerarietà e della presunzione per incitarci ad invocare del continuo Dio; d'altra parte sosterrà i nostri cuori nella buona speranza, onde non abbiamo timore di affrontare coraggiosamente e con animo forte i pericoli che ci attorniano.

10. Si può vedere in questo una particolare beatitudine dei credenti. La vita umana è circondata e quasi assediata da infinite miserie. Basti notare che il nostro corpo è ricettacolo di mille malattie e anzi le nutre in se stesso, e dovunque vada l'uomo porta con se ogni specie di morte, talché conduce una vita quasi circondata dalla morte. Non è forse vero che non possiamo aver freddo oppure sudare senza correre pericolo? Anzi, dovunque ci volgiamo, quanto ci circonda non solo è sospetto, ma apertamente ci minaccia come se volesse darci la morte. Saliamo su una nave e non vi è che un piede tra la morte e noi; saliamo a cavallo e basta che esso inciampi per farci rompere il collo; andiamo per le strade, tante sono le tegole sui tetti e tanti sono i pericoli su di noi; portiamo una spada o qualcuno vicino a noi la porta e basta un nonnulla per esserne feriti. Tutti gli animali che vediamo selvaggi o ribelli o difficili da domare, tutti sono armati contro di noi. Ci chiudiamo in un bel giardino in cui tutto è fatto per piacere ed ecco, forse, un serpente nascosto. Le case in cui abitiamo: soggette del continuo al fuoco talché rischiamo di perderle durante il giorno e di soccombervi di notte. Possiamo avere dei possedimenti; ma soggetti come sono al gelo, alla grandine, alla siccità e ad altre tempeste non ci annunciano che sterilità e di conseguenza carestia. Lascio da parte gli avvelenamenti, le imboscate, le violenze da cui è minacciata la vita dell'uomo, sia nella propria casa, sia nei campi. In mezzo a tali preoccupazioni, non dovrebbe l'uomo sentirsi più che miserabile? Vive solo a metà, tirando avanti a grande fatica fra debolezze e difficoltà come se, ad ogni ora, si vedesse il coltello alla gola.

Qualcuno farà notare che queste cose si verificano poco sovente o per lo meno non sempre, né a tutti; e d'altra parte che esse non possono capitare tutte assieme. Lo riconosco. Ma dall'esempio degli altri siamo avvertiti che esse possono accadere e che la nostra vita non può esserne esente più di quella degli altri: e dobbiamo dunque temerle come se ci dovessero capitare. Si potrebbe immaginare una miseria peggiore che l'essere sempre in tale angoscia e timore? Anzi non si potrebbe dire questo senza fare ingiuria a Dio, quasi egli avesse abbandonato l'uomo, la più nobile delle sue creature, in balia alla fortuna. La mia intenzione qui è di parlare solamente della misera condizione in cui l'uomo si troverebbe se vivesse sotto il dominio del caso.

11. Se al contrario, la provvidenza di Dio splende nel cuore del credente, non solo esso sarà liberato dal timore e dalla distretta che prima lo opprimevano, ma sarà sollevato da ogni dubbio. Mentre abbiamo buoni motivi per temere la fortuna, abbiamo buone ragioni per osare affidarci liberamente a Dio. Ed è un sollievo meraviglioso sapere che il Signore tiene in mano ogni cosa con la sua potenza, governa con la sua volontà e modera con la sua sapienza, di sorta che nulla avviene senza esser stato da lui stabilito. Anzi ci ha presi sotto la sua protezione, ci ha affidati alla cura dei suoi Angeli affinché né acqua, né fuoco, né spada possano nuocerci se non Cl. suo beneplacito. È detto nel Salmo: "Egli ti libererà dai lacci del cacciatore e dalla peste mortifera. Ti coprirà con le sue penne e sotto le sue ali sarai in sicurezza. La sua verità ti sarà scudo, non temerai gli spaventi notturni, né la freccia che colpisce di giorno, né i mali che avvengono nelle tenebre, né il danno che ti si vorrà fare alla luce del giorno, ecc. " (Sl. 91.3-6) . Da qui trae origine la fiducia dei santi che si gloriano: "Il Signore è il mio aiuto, io non temerò quello che la carne potrebbe farmi. Il Signore è il mio protettore, cosa temerò? Se un accampamento è alzato contro di me, se cammino nell'oscurità della morte, non cesserò di sperare " (Sl. 118.6; 27.3; 56.5e altrove) .

Donde trarrebbe il credente questa incrollabile sicurezza se non dalla fiducia (in mezzo a coloro che credono il mondo vada avanti a capriccio) che Dio si adopera a condurlo? Avendo la fiducia che quanto viene da lui gli è salutare? Vedendosi assalito o molestato dal Diavolo o dai malvagi, egli si rassicura pensando alla provvidenza di Dio, senza la quale non potrebbe che disperarsi. Quando al contrario, si accorge che il Diavolo e tutta la compagnia dei malvagi sono tenuti dalla mano di Dio comeda una briglia, di sorta che non possono concepire male alcuno, né qualora l'avessero concepito, possono adoperarsi ad attuarlo né quand'anche si impegnassero, possono eseguirlo e neppure muovere un mignolo senza che Dio lo comandi loro; e non solo sono tenuti legati dalle sue manette ma sono costretti dal freno della sua briglia ad obbedirgli, questo è sufficiente a consolarlo. Dio solo può fornire strumenti al loro furore, dirigerlo e indirizzarlo dove gli sembra bene, così è in suo potere di limitarlo onde essi non agiscano secondo la propria intemperanza.

Convinto di questo san Paolo dopo aver detto in un testo che il suo viaggio era stato impedito da Satana, in un altro lo affida al volere di Dio, se vorrà permetterlo (1 Ts. 2.18; 1 Co. 16.7) . Se avesse detto solamente che Satana lo aveva ostacolato, si sarebbe potuto pensare che gli dava troppa autorità quasi questi avesse potuto annullare il volere di Dio; ma quando costituisce Dio quale suprema autorità, riconoscendo che ogni viaggio dipende dal suo beneplacito, dimostra che Satana non può nulla quando non ne abbia ricevuto licenza. Per lo stesso motivo Davide, di fronte ai movimenti che volgono e rivolgono la vita umana in su e in giù, trova rifugio nel pensiero che i tempi sono nella mano di Dio (Sl. 31.16) . Avrebbe potuto scrivere: il corso o il tempo della vita, al singolare, ma ha voluto esprimere meglio il fatto che, sebbene la condizione dell'uomo non abbia alcuna solidità e cambi dal giorno all'indomani e persino più sovente, tuttavia essa è nell'insieme governata da Dio, quanti siano i cambiamenti che avvengono. Così è detto che Retsin e il re di Israele cospirando per distruggere il paese di Giuda sembravano torce ardenti, tali da infiammare tutta la terra, mentre non erano, in realtà, che tizzoni spenti da cui non poteva uscire altro che fumo (Is. 7.4) . Così Faraone che stupiva tutti, a causa della sua forza e della moltitudine del suo esercito, è paragonato ad una balena ed i suoi soldati a dei pesci (Ez. 29.4) . E Dio dice che prenderà con il suo amò capitano e soldati e li tirerà a suo piacimento.

Per non dilungarmi oltre su questo punto, dirò soltanto che l'ignoranza della provvidenza di Dio costituisce per l'uomo la massima disgrazia, mentre una retta conoscenza di essa significa per lui una eccezionale beatitudine.

12. Abbiamo sufficientemente trattato il problema della provvidenza divina per servire da consolazione ed istruzione dei credenti (per quanto concerne gli insensati la loro curiosità è insaziabile e non vale certo la pena perdere tempo a soddisfarla) ; vi sono però alcuni passi nella Scrittura i quali sembrano dire che le decisioni di Dio non sono definitive ed immutabili, come abbiamo detto, ma cambiano a seconda delle disposizioni delle realtà inferiori.

In primo luogo è fatta talvolta menzione del pentimento di Dio; così quando è detto che si pentì d'aver creato l'uomo (Ge 6.6) e anche di aver innalzato Saul al trono (1 Re 15.2) , che si pentirà del male che si era proposto di gettare sul suo popolo allorché vedrà in esso qualche ravvedimento (Gr. 18.8) .

Leggiamo inoltre che in alcuni casi ha abolito e annullato quanto aveva deciso. Aveva fatto annunciare da Giona ai Niniviti che la loro città sarebbe distrutta dopo quaranta giorni e poi è stato piegato alla clemenza dalla loro conversione (Gv. 3.4) . Aveva anche preannunciato la morte a Ez.chia per bocca di Isaia e tuttavia la differì essendo stato commosso dalle sue lacrime e preghiere (Is. 38.1-5; ) . Da questo passo molti arguiscono che Dio non ha stabilito con decreto eterno quel che vuol fare nei riguardi degli uomini ma che in ogni anno e in ogni momento egli stabilisce quanto sa essere buono e ragionevole, a seconda dei meriti di ciascuno.

Per quanto riguarda il pentirsi di Dio, dobbiamo tener per certo che questo pentimento non si addice a lui più dell'ignoranza, dell'errore o della debolezza. Dato che nessuno di propria volontà e coscientemente si pone nella condizione di pentirsi, non possiamo dire che Dio si pente senza ammettere o che egli abbia ignorato quanto sarebbe avvenuto o che non abbia potuto evitarlo o che abbia sconsideratamente preso una decisione precipitata. Tutto questo è così lontano dall'intenzione dello Spirito Santo che, infatti, menzionando il pentimento di Dio, nega che egli possa pentirsi, dato che non è uomo. Bisogna notare che in uno stesso capitolo gli elementi sono uniti in tal sorta che paragonando l'uno all'altro si può facilmente mettere d'accordo quanto a prima vista sembra contraddittorio. Dio afferma di pentirsi di aver creato re Saul; in seguito si aggiunge: "Colui che è la forza di Israele non mentirà e non si piegherà a pentirsi: egli non è uomo perché abbia a pentirsi " (1 Re 15.29) . Vediamo da queste parole che Dio non varia affatto e quanto egli crea di nuovo l'aveva per l'innanzi stabilito.

È dunque certo che l'imperio di Dio sulle cose umane è costante, perpetuo ed esente da ogni pentimento. Ed anzi persino i suoi avversari sono stati costretti a rendere testimonianza alla sua costanza, della quale non si può dubitare. Balaam, lo volesse o no, non poté trattenersi dall'affermare che Dio non è simile agli uomini nel mentire ne ai figliuoli di Adamo nei cambiare idea; e dunque tutto quanto egli ha detto non può non adempiersi (Nu. 23.19) .

13. Cosa dunque significa questa parola "pentimento "domanderà qualcuno. Rispondo che ha lo stesso significato di tutte le altre locuzioni che ci descrivono Dio umanamente. Dato che la nostra infermità non giunge alla sua altezza, la descrizione che ce ne vien data deve sottomettersi alle nostre capacità per essere compresa da noi. Ora questo avviene rappresentandocelo non quale egli è in se, ma quale lo possiamo intendere. Sebbene egli sia esente da ogni sentimento, afferma di essere corrucciato verso i peccatori. Per questo motivo quando sentiamo che Dio è corrucciato non dobbiamo immaginare qualche emozione in lui; questa locuzione è presa dal mondo dei nostri sentimenti perché presenta l'apparenza di una persona irata che esercita il rigore del suo giudizio. Così il vocabolo: "pentimento "allude unicamente ad un mutamento nel settore delle opere, perché gli uomini cambiando le proprie opere mostrano che esse dispiacciono loro. Infatti, ogni cambiamento per gli uomini è una correzione di quanto dispiace loro, e la correzione nasce dal pentimento; così il cambiamento che Dio fa nelle sue opere è indicato con questo termine "pentimento ". Tuttavia la sua mente non è cambiata, né la sua volontà modificata, né i suoi sentimenti alterati; ma quanto egli aveva previsto, approvato e decretato da ogni eternità lo persegue costantemente senza variare, anche se gli occhi umani credono scorgervi un subitaneo cambiamento.

14. Per questo motivo la Scrittura, raccontando che la calamità preannunciata ai Niniviti da Giona era stata stornata e che la vita era stata prolungata a Ez.chia dopo aver ricevuto l'annuncio della morte, non dice che Dio abbia abrogato i suoi decreti. Chi lo pensa è tratto in inganno dalle minacce le quali sebbene espresse semplicemente, contengono una tacita condizione che può essere intesa dal fine cui tendono. Perché infatti Dio inviava Giona a predire la rovina della città ai Niniviti? (Gv. 3.10) . Perché attraverso Isaia preannunciava ad Ez.chia la morte? (Is. 38.5) . Avrebbe potuto mandarli in perdizione senza darne loro notizia. Ha dunque avuto un fine diverso che di voler far loro conoscere in anticipo la loro futura rovina: in realtà egli non voleva che perissero ma piuttosto che si correggessero per non perire. Dunque la profezia di Giona che la città di Ninive sarebbe stata distrutta dopo quaranta giorni era pronunciata affinché essa non lo fosse. E così la speranza di vivere più a lungo è tolta a Ezechia affinché egli impetri vita più lunga.

Chi non vede ora come Dio ha voluto mediante queste minacce muovere a pentimento quelli che minacciava, onde evitassero il giudizio che avevano meritato con i loro peccati? Se questo è vero, l'ordine naturale ci conduce a introdurre una condizione tacita nelle sue minacce, anche se non espressa. Possiamo confermarlo con esempi simili. Il Signore, rimproverando il re Abimelec di aver rapito la moglie di Abramo, adopera queste parole: "Tu morrai a motivo della donna che ti sei presa; perché ella ha marito " (Ge 20.3) . Dopo che Abimelec si fu scusato, rispose: "Rendi dunque la donna a suo marito: perché egli è profeta ed egli pregherà per te onde tu viva. Altrimenti sappi che morrai di morte, tu e tutto ciò che possiedi ". Vediamo bene che nella prima frase fa uso di un linguaggio forte per intimorirne il cuore e meglio indurlo a fare il suo dovere; e in séguito spiega chiaramente la sua intenzione. Gli altri passi sono da intendere nello stesso modo; non se ne può dedurre dunque che Dio abbia in qualche modo derogato alla sua decisione primitiva annullando quanto aveva detto in precedenza. Al contrario, egli favorisce l'attuazione della sua decisione eterna nel condurre a pentimento coloro ai quali vuol perdonare, facendo loro conoscere le pene che incontreranno se perseverano nei loro vizi. La sua volontà non varia affatto e neanche la sua parola, anche se non spiega sillaba per sillaba il suo proposito, che tuttavia è facile intendere. Bisogna dunque tener per certa questa parola di Isaia: "Il Signore degli eserciti lo ha decretato; chi potrà frustrarlo? La sua mano è stesa; chi gliela farà ritirare? " (Is. 14.27) .