Letteratura/Istituzione/2-07

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Indice generale

Istituzioni della religione cristiana (Calvino)

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CAPITOLO VII

LA LEGGE NON È STATA DATA PER VINCOLARE IL POPOLO ANTICO, MA PER NUTRIRNE LA SPERANZA DI SALVEZZA IN GESÙ CRISTO, FINO AL MOMENTO DELLA SUA VENUTA

1. È facile dedurre da quanto detto sin qui, che la Legge non è stata data, circa 400 anni dopo la morte di Abramo, per allontanare da Gesù Cristo il popolo eletto, ma anzi mantenerne viva l'attesa e incitarlo a nutrire un ardente desiderio della sua venuta, e, inoltre, per confermarlo in questa attesa onde non perdesse coraggio per il suo prolungarsi.

Con questo termine "Legge "non intendo solo indicare i dieci comandamenti che ci presentano la norma di una vita giusta e santa, ma i diversi aspetti della religione che Dio ha rivelato per mezzo di Mosè. La funzione di Mosè come legislatore, non è stata l'abolizione della benedizione promessa alla razza di Abramo; vediamo anzi che ripetutamente egli richiama i Giudei a questo patto gratuito stabilito da Dio con i loro padri e di cui erano eredi, quasi fosse stato mandato per rinnovarlo.

Questo fatto risulta chiaramente dalle cerimonie. Nulla infatti è più sciocco e futile dell'offrire grasso delle visceri di animali e fumo puzzolente per riconciliarsi con Dio; o trovare conforto nell'aspersione di sangue e acque per cancellare le macchie dell'anima. Insomma, il culto celebrato sotto la Legge, considerato in se stesso, ci sembra gioco infantile, qualora cioè non se ne considerino gli aspetti di simbolo e prefigurazione, cui corrispondono verità spirituali. Non senza motivo dunque, sia nell'ultimo discorso di santo Stefano (At. 7.44) che nell'epistola agli Ebrei (Eb. 8.5) , è ricordato con tanta cura il testo in cui Dio ordina a Mosè di costruire il tabernacolo e gli altri accessori cultuali secondo il modello che gli era stato mostrato sul Monte (Es. 25.4o). Se tutto questo non avesse avuto uno scopo spirituale gli Ebrei vi avrebbero sprecato fatica, come i pagani nelle loro ciarlatanerie. La gente profana e beffarda che non ha mai applicato i suoi sforzi ad una retta pietà, se l'ha a male con la moltitudine dei riti della Legge e non solo si stupisce del fatto che Dio abbia messo in così grandi difficoltà il popolo antico, caricandolo di tanti pesi, ma si fa beffe di molte cerimonie, quasi fossero solo futili giochetti da bambini. Essi non considerano il fine: scisso dal quale le rappresentazioni della legge appaiono naturalmente vane e inutili.

Il termine di riferimento, di cui si parla, mostra chiaramente che Dio non ha stabilito i sacrifici per impegnare in cose terrene coloro che lo volevano servire, ma piuttosto per innalzare il loro spirito più in alto. Ne è dimostrazione la sua natura stessa che, essendo spirituale, non può prendere piacere che in un culto spirituale. Molte testimonianze dei profeti lo confermano: quando rimproveravano agli Ebrei la loro insipienza perché pensavano che Dio apprezzasse i sacrifici in se stessi. La loro intenzione non era affatto lo sminuire in qualche modo la Legge, ma essendone veraci e retti commentatori volevano ricondurre il popolo ebraico al punto dal quale si era allontanato.

Dobbiamo dedurre che la Legge non era senza Cristo dal solo fatto che la grazia di Dio è stata offerta agli Ebrei. Mosè infatti ha additato loro il fine della loro adozione: essere il regno sacerdotale di Dio (Es. 19.6). E questo non potevano ottenerlo se non fosse esistita riconciliazione più degna e preziosa che quella ottenuta mediante il sangue di animali. Per quale ragione i figli di Adamo, nati schiavi del peccato per contagio ereditario, dovrebbero essere innalzati improvvIs.mente alla dignità reale e in questo modo fatti partecipi della gloria di Dio? Questo bene eccelso ed eccellente può venire loro solo quale dono. Come avrebbero potuto godere del diritto di offrire sacrifici, abominevoli a Dio quali erano a motivo dei loro vizi, se non fossero stati consacrati a questo ufficio dalla santità del Capo?

San Pietro riferendosi alle parole di Mosè si è espresso con notevole sensibilità e pertinenza: alludendo al fatto che la grazia goduta dagli Ebrei sotto la Legge è stata pienamente rivelata in Gesù Cristo, dice: "Siete una razza eletta, un real sacerdozio " (1 Pi. 2.9).

Questo mutamento di termini vuol far rilevare che coloro ai quali Gesù Cristo è apparso attraverso l'Evangelo, hanno ricevuto maggiori beni dei loro padri, dato che sono tutti rivestiti dell'onore sacerdotale e reale, onde avere la libertà di presentarsi liberamente a Dio per mezzo del loro Mediatore.

2. Notiamo qui, per inciso, che il regno stabilito nella dinastia davidica rappresentava una parte dell'incarico attribuito a Mosè e della dottrina di cui era stato fatto ministro. Ne consegue che, sia nella tribù di Levi, che nei successori di Davide, Gesù Cristo è stato presentato agli Ebrei come in un duplice specchio: come ho detto, non avrebbero potuto essere sacerdoti di Dio altrimenti, dato che erano servi del peccato e della morte e macchiati dalla corruzione.

È anche evidente la verità dell'affermazione di san Paolo che gli Ebrei sono stati tenuti sotto la Legge come sotto la direzione di un pedagogo (Ga 3.24) finché spuntasse il seme per il quale la grazia doveva essere data. Non essendo Gesù Cristo rivelato loro, erano, in quel tempo, simili a fanciulli, la loro ignoranza e la loro debolezza non potevano condurre ad una conoscenza piena delle cose celesti.

Questa guida a Gesù per mezzo dell'aspetto cerimoniale della legge è già stato esposto, e lo si può comprendere ancor meglio in base alle molte testimonianze dei profeti. Infatti sebbene fossero obbligati ad offrire, quotidianamente, sempre nuovi sacrifici per soddisfare Dio, tuttavia Isaia promette loro che tutti i peccati saranno cancellati di colpo da un sacrificio unico e perpetuo (Is. 53). Anche Daniele lo conferma (Da 9). I sacerdoti, scelti nella tribù di Levi, entravano nel santuario; tuttavia nel Salmo era detto che Dio ne aveva eletto uno solo, stabilendolo con giuramento solenne ed immutabile perché fosse sacerdote secondo l'ordine di Melchisedec (Sl. 110.4). Era allora praticata l'unzione con olio, ma Daniele, in séguito ad una visione, dichiara che ve ne sarà un'altra.

Non insisterò ulteriormente su questo punto, tanto più che l'autore dell'epistola agli Ebrei, dal capo 4all'11, ne tratta ampiamente e mostra chiaramente che tutte le cerimonie della Legge sono prive di valore e di utilità alcuna fin quando non si giunga a Gesù Cristo.

San Paolo si riferisce anche ai dieci comandamenti quando dice che Gesù Cristo è il fine della Legge per la salvezza di tutti i credenti (Ro 10.4) , e quando afferma che Gesù Cristo è l'anima o lo spirito che vivifica la lettera, che in se sarebbe mortale (2 Co. 3.6). Nel primo passo vuol dire che non serve conoscere la vera giustizia, se Gesù Cristo non ce la concede per imputazione gratuita, oppure rigenerandoci con il suo Spirito. Giustamente quindi definisce Gesù Cristo l'adempimento o il fine della Legge; infatti non servirebbe a nulla conoscere quel che Dio ci richiede se Gesù Cristo non ci soccorresse alleggerendo il giogo e l'insopportabile fardello sotto il quale soffriamo e da cui siamo schiacciati.

In un altro passo dice che la Legge è stata formulata per le trasgressioni (Ga 3.19) , allo scopo di umiliare gli uomini, convincendoli della loro dannazione. Questa è la preparazione autentica ed unica per giungere a Cristo; quanto vien detto a questo proposito con parole diverse, si armonizza molto bene. Dovendo polemizzare con seduttori, secondo cui la possibilità di giustificarsi e meritare salvezza esisteva unicamente nell'adempimento delle opere della Legge, e dovendo distruggere le loro argomentazioni, è stato talvolta costretto ad assumere la Legge in una accezione più limitata, come se essa si limitasse ad ordinare di vivere bene, sebbene non ne debba essere eliminato il patto di adozione, quando la si considera nella sua totalità.

3. È utile vedere in breve come siamo resi più inescusabili dal fatto di aver conosciuto la legge morale, essendo così sollecitati a chiedere perdono.

Se è vero che nella Legge è rivelata la perfezione della giustizia, ne consegue che l'osservanza completa della Legge costituisce giustizia perfetta nel cospetto di Dio, mediante la quale l'uomo può essere ritenuto giusto davanti al tribunale celeste. Per questo Mosè, dopo aver fatto conoscere la Legge, non esita a invocare il cielo e la terra quali testimoni del fatto che ha posto dinanzi al popolo di Israele la vita e la morte' il bene e il male (De 30.19). E non possiamo negare che l'osservanza perfetta della Legge sia ricompensata con la vita eterna, come il Signore ha promesso

Dobbiamo d'altra parte considerare se siamo in grado di realizzare una obbedienza tale da poter nutrire qualche speranza di salvezza. A che serve infatti comprendere che, obbedendo alla Legge, possiamo meritarci la vita eterna, se nello stesso tempo non conosciamo il mezzo per pervenire alla salvezza? Qui appare la debolezza della Legge: questa obbedienza non può infatti essere riscontrata in alcun uomo; di conseguenza siamo esclusi dalle promesse di vita e cadiamo nella eterna maledizione. Non parlo solo di quello che avviene di fatto, ma di quello che necessariamente deve accadere. Dato che l'insegnamento della Legge supera di molto le facoltà umane, possiamo contemplare da lontano le promesse in essa formulate, ma non possiamo trarne alcun giovamento.

Non otteniamo dunque altro se non prendere ancor meglio coscienza della nostra miseria, dato che ci è tolta ogni speranza di salvezza e la morte viene rivelata. D'altra parte vi sono le minacce formulate, che non si riferiscono a qualcuno di noi in particolare ma genericamente a tutti. Esse ci incalzano e ci perseguitano con rigore inesorabile, di sorta che la Legge si offre a noi come una maledizione ineluttabile.

4. Così dunque se ci raffrontiamo solo con la Legge non possiamo che perdere coraggio in modo assoluto, rimanere confusi e disperarci, dato che in essa siamo tutti maledetti e condannati e ciascuno di noi è escluso dalla beatitudine promessa a chi l'osserva.

Qualcuno domanderà se Dio prende piacere nell'ingannarci. Infatti sembra un inganno quello di far balenare una qualche speranza di felicità all'uomo, di chiamarvelo ed esortarvelo, promettergli che è pronta e poi impedirgliene l'accesso.

Rispondo che le promesse della Legge non sono state date invano, essendo però in forma condizionale non possono realizzarsi se non per coloro che avranno attuata tutta la giustizia, il che non si verifica tra gli uomini. Quando avremo compreso che esse hanno efficacia per noi a condizione che Dio, per sua bontà gratuita, ci accolga senza considerare le nostre opere; e quando avremo accolto per fede questa bontà, offertaci nell'Evangelo, allora queste stesse promesse, con le loro condizioni, non risulteranno vane. Perché allora il Signore ci darà gratuitamente ogni cosa, in modo che la sua liberalità giunga al punto di non respingere la nostra obbedienza imperfetta; ma perdonandoci le sue lacune, l'accetti come se fosse valida e assoluta e ci consenta così di ricevere i frutti delle promesse della Legge, come se le condizioni preliminari fossero state osservate.

Il problema sarà più compiutamente trattato quando parleremo della giustificazione per fede; non voglio perciò svilupparlo oltre.

5. Dobbiamo ora brevemente spiegare, confermando quanto abbiamo già detto, perché l'osservanza della Legge sia impossibile. Sembra un'affermazione completamente assurda, tanto che san Girolamo non ha esitato a condannarla come perversa. Non ci interessano le ragioni che lo hanno spinto ad assumere questa posizione; ci basti di comprendere la verità.

Non farò distinzione tra vari tipi di possibilità. Definisco "impossibile "quello che mai si è verificato e Dio ha esplicitamente dichiarato non si verificherà mai. Affermo che, dall'inizio del mondo, nessuno fra tutti i santi, chiuso nel carcere di questo corpo mortale, ha manifestato tale perfezione di senti menti da amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze. Aggiungo che non ce n'è uno solo che non sia stato contaminato da qualche concupiscenza. Chi potrà contraddirmi? Conosco il tipo di santi inventati dalla superstizione popolare: di una tale purezza che a stento gli angeli del cielo possono essere loro paragonati; ma questo è in contrasto con la Scrittura e con l'esperienza. Dico di più: non ci sarà mai nessuno che raggiunga questo livello di perfezione prima di essere liberato dal corpo. Molti testi della Scrittura lo dimostrano esplicitamente.

Dedicando il Tempio, Salomone diceva che non c'è sulla terra uomo che non pecchi (2 Re 8.46). Davide dichiara che nessun essere vivente sarà giustificato nel cospetto di Dio (Sl. 143.2). Questo è spesso ripetuto anche nel libro di Giobbe. San Paolo lo afferma più chiaramente di tutti: "La carne ha desideri contrari allo Spirito, e lo Spirito ha desideri contrari alla carne " (Ga 5.17). Per dimostrare che quanti sono sotto la Legge sono maledetti si limita a questa sola spiegazione: è scritto che quanti non obbediranno ai comandamenti saranno maledetti (Ga 3.10; De 27.26). Con questo presuppone, anzi è per lui cosa certa, che nessuno è in grado di obbedire. Ora tutto ciò che viene predetto nella Scrittura deve essere considerato eterno, anzi necessario.

I Pelagiani pungolavano sant'Agostino con questa sottigliezza: sarebbe recare ingiuria a Dio pensare che egli ordini più di quel che i credenti siano in grado di fare, con l'aiuto della sua grazia. Per rispondere alle loro calunnie egli ammetteva che il Signore potrebbe esaltare un mortale fino alla perfezione angelica, qualora lo volesse; ma aggiungeva che non l'ha fatto mai né lo farebbe in avvenire avendo affermato il contrario. Non ho nulla da obbiettare a questa affermazione; aggiungo solo che è privo di senso contrapporre la potenza e la verità di Dio. Affermo dunque che il problema della possibilità o impossibilità che si verifichino cose che il Signore ha dichiarato non si verificheranno, è fuori discussione.

La disputa sorge anche intorno al termine. Interrogato dai suoi discepoli su chi potesse essere salvato, Gesù Cristo risponde che questo è impossibile agli uomini ma che a Dio ogni cosa è possibile (Mt. 19.25). Sant'Agostino fa notare, con validi argomenti, che nella vita presente non rendiamo mai a Dio l'amore che gli dobbiamo: "L'amore "egli dice "deriva dalla conoscenza, nessuno può dunque amare Dio perfettamente senza aver prima conosciuto la sua bontà. Durante il nostro pellegrinaggio terreno, non la vediamo che oscuramente e come in uno specchio; di conseguenza l'amore che le portiamo è imperfetto ".

Sia dunque chiaro che ci è impossibile adempiere la Legge fin quando siamo in questo mondo, come san Paolo dimostra in altro testo (Ro 8.3).

6. Per illustrare più chiaramente l'insieme del problema, riassumiamo quale siano la funzione e il compito della Legge che vien definita morale: in esso, a mio giudizio, vi sono tre elementi.

In primo luogo, mostrando la giustizia di Dio, la Legge fa prendere coscienza a ognuno della propria ingiustizia, convincendolo e condannandolo. È necessario che l'uomo, altrimenti accecato e ubriacato dall'amore di se, sia costretto a riconoscere e confessare la propria debolezza e la propria impurità. Se la sua vanità non è messa a nudo, egli si gonfia di folle tracotanza e non può giungere a riconoscere la piccolezza e la debolezza delle proprie forze, in quanto le commisura alla propria fantasia. Quando invece le mette alla prova nell'adempimento della legge di Dio, si vede costretto a umiliare il proprio orgoglio a causa delle difficoltà che incontra. Se infatti nutriva in precedenza una grande opinione di se, sente poi quale peso gravi sulle sue forze fino a farlo inciampare, vacillare, cadere ed infine venir meno. In questo modo la conoscenza della dottrina di Dio sottrae l'uomo alla naturale presunzione.

Anche da un altro vizio deve essere liberato: l'arroganza, di cui già abbiamo parlato. Fin quando si attiene al giudizio che può dare di se, anziché considerare la vera giustizia, si pone in una situazione ipocrita, di cui si compiace, inorgogliendosi nei riguardi della grazia di Dio e giustificandosi con invenzioni costruite di testa propria. Quando però è costretto ad esaminare la propria vita al metro della Legge di Dio, lasciando da parte l'immagine della propria giustizia, frutto della sua fantasia e perciò falsa, scopre di essere incredibilmente lontano dalla vera santità, e al contrario, di essere pieno di vizi, di cui, prima, si considerava esente. Le concupiscenze sono così nascoste e sottili da ingannare facilmente il giudizio dell'uomo. Non senza motivo l'Apostolo dice di non aver saputo che cosa fosse la concupiscenza fino a quando la Legge non gli disse: "Non concupire! " (Ro 7.7). Se essa non è denunciata dalla Legge e tratta fuori dal suo nascondiglio, essa uccide l'infelice uomo, senza che se ne accorga.

7. La Legge è dunque come uno specchio in cui contempliamo in primo luogo la nostra debolezza, poi l'iniquità che ne deriva, e infine la maledizione che le colpisce ambedue, così come in uno specchio percepiamo le macchie del nostro viso. Colui infatti che è privo di ogni capacità a vivere rettamente, non può che rimanere nel fango del peccato. Al peccato fa séguito la maledizione. Perciò quanto più la Legge ci convince della nostra colpa tanto più ci rivela che siamo meritevoli di condanna e di gravi pene.

Questo intende l'Apostolo allorché dice che, mediante la Legge, sorge la coscienza del peccato (Ro 3.20). Ne sottolinea così la prima funzione che concerne i peccatori non rigenerati. Nello stesso senso sono da intendersi queste affermazioni: la Legge è sopravvenuta per aumentare il peccato (Ro 5.20) , essa quindi è ministra di morte (2 Co. 3.7) , produce l'ira di Dio (Ro 4.15) e ci uccide. Senza dubbio quanto più la coscienza è toccata sul vivo dalla conoscenza del suo peccato, tanto più aumenta l'iniquità, perché allora la ribellione verso il legislatore si aggiunge alla trasgressione. Ne consegue dunque che essa fornisce argomenti alla vendetta di Dio nei riguardi del peccatore, perché non può che accusare, condannare e condurre a perdizione.

Dice sant'Agostino: "Se si toglie lo Spirito di grazia, la Legge non serve ad altro che ad accusare e ad uccidere ". Esprimendosi in questi termini non condanna la Legge, né toglie alcunché alla sua eccellenza. Se la nostra volontà fosse interamente fondata sull'obbedienza e radicata in essa, allora sarebbe sufficiente conoscere l'insegnamento per essere salvi. Dato però che la nostra natura, corrotta e carnale, si oppone con ostilità alla Legge spirituale di Dio e non può esserne corretta, ne consegue che la Legge data in vista della salvezza, si trasforma in occasione di peccato e di morte. Ogniqualvolta ci pone di fronte alle nostre trasgressioni, ci rivela anche la giustizia di Dio e d'altra parte scopre la nostra iniquità. Quanto più ci conferma il premio preparato per la giustizia, tanto più ci assicura della confusione preparata per gli iniqui. Lungi dunque dal voler sminuire la Legge!

Non potremmo lodare maggiormente la bontà di Dio! È evidente che la nostra perversità soltanto ci impedisce di ottenere la beatitudine eterna che ci era offerta nella Legge. Vedendo come Dio non si stanca di beneficarci e di aggiungere benevolenza a benevolenza, abbiamo motivo di gustare maggiormente la sua grazia che ci soccorre in ciò che manca all'adempimento della Legge, e di mirare più a fondo la sua misericordia che ci conferisce questa grazia.

8. La nostra condanna è decretata dalla Legge non in vista di farci cadere nella disperazione, o perché perdiamo coraggio. Questo non avverrà se sapremo trarne profitto. È vero che i malvagi si abbandonano in questo modo allo sconforto, ma ciò avviene per l'ostinazione del loro cuore.

I figli di Dio devono pervenire ad altre conclusioni. San Paolo dichiara infatti che siamo tutti condannati dalla Legge, onde ogni bocca sia chiusa e tutti prendano coscienza del loro debito verso Dio (Ro 3.19) : tuttavia, in un altro passo insegna che Dio ha racchiuso ogni cosa nell'incredulità, non per perdere, né per lasciar perire, ma per fare misericordia a tutti (Ro 11.32) , vale a dire, affinché rinunciando ad una falsa presunzione della propria virtù, gli uomini riconoscano di essere sostenuti solamente dalla sua mano. Affinché, svuotatisi e spogliatisi, ricorrano alla sua misericordia, affidandosi solamente ad essa, nascondendosi sotto la sua ombra, considerandola giustizia valida unicamente nella forma in cui è offerta in Gesù Cristo a tutti quelli che la cercano, la desiderano e la aspettano con vera fede. Nei comandamenti della Legge il Signore ci si presenta come colui che retribuisce solo una giustizia perfetta, della quale tutti siamo sprovvisti, e colui che, al contrario, attua con severità le pene dovute a nostri errori. Ma in Cristo il suo volto riluce pieno di grazia e di dolcezza, sebbene noi siamo poveri e indegni peccatori.

9. Sant'Agostino parla sovente della spinta che riceviamo dalla Legge, ad implorare l'aiuto di Dio. Dice ad esempio: "La Legge ordina affinché, dopo esserci sforzati di adempiere i comandamenti ed aver fallito a causa della nostra infermità, impariamo ad implorare l'aiuto di Dio,": "L'utilità della Legge è di convincere l'uomo della sua infermità e costringerlo a chiedere la medicina della grazia, che è in Cristo " "La legge comanda; la grazia dà la forza di far bene " "Dio comanda quel che non possiamo fare, onde sappiamo quel che gli dobbiamo domandare ", "La Legge è stata data per renderci colpevoli, onde essendo colpevoli temessimo, e temendo domandassimo perdono e non presumessimo nulla dalle nostre forze " "La Legge è stata data per farci sentire piccoli, anziché grandi, per mostrarci che da soli non abbiamo la forza di ottener giustizia; onde, sentendoci poveri ed indigenti, ricorressimo alla grazia di Dio ". Di conseguenza aggiunge una preghiera: "O Signore, comandaci quello che non possiamo realizzare, o piuttosto comandaci quello che non possiamo realizzare senza la tua grazia, affinché quando gli uomini non potranno realizzare quel che Tu dici, ogni bocca sia chiusa e nessuno si stimi grande; tutti siano piccoli e tutti siano resi colpevoli di fronte a Dio ".

È superfluo che io mi metta a raccogliere le affermazioni di sant'Agostino, dato che egli ha scritto un libro apposta, intitolato: Dello spirito e della lettera. Egli non si occupa espressamente del secondo aspetto della Legge: forse perché pensava che lo si sarebbe potuto dedurre dal primo, o perché non lo vedeva così chiaramente o non riusciva a trattarne come avrebbe voluto.

Sebbene il primo ufficio della Legge, del quale abbiamo ora trattato, si riferisca propriamente ai figli di Dio, tuttavia esso concerne anche i reprobi. Essi non giungono al punto di essere umiliati secondo la carne per ricevere forza spirituale nello spirito, come i credenti, ma vengono meno cadendo in disperazione; tuttavia è bene che le loro coscienze siano messe in crisi, per manifestare l'equità del giudizio di Dio. Fin quando possono, cercano di sfuggire al giudizio di Dio. Sebbene il giudizio non sia ora manifestato, tuttavia la testimonianza della Legge e la loro propria coscienza li gettano nella disperazione talché risulta evidente ciò che hanno meritato.

10. La seconda funzione della Legge consiste nel ricorrere alle sanzioni per mettere un freno alla malvagità di quanti si curano di fare il bene solo quando siano costretti, in quanto li inquieta con le terribili minacce che contiene. Questo avviene non perché il loro cuore sia interiormente toccato o mosso, ma perché sono come imbrigliati ed impediti di dar corso ai loro malvagi propositi, che altrimenti attuerebbero con sfrenata licenza. Non risultano, per questo, più giusti e migliori di fronte a Dio. Sebbene siano trattenuti dal timore o dalla vergogna, per cui non osano eseguire quello che concepiscono in fondo al cuore e non danno libero corso alla furia della loro intemperanza, tuttavia il loro cuore non è mosso dal timore e dall'obbedienza a Dio; anzi più si trattengono, più sono infiammati dalle loro concupiscenze, pronti a commettere ogni azione vile o turpe, se il timore della Legge non li trattenesse. E non solo il cuore rimane sempre malvagio, ma anche nutrono un odio radicale contro la Legge di Dio e dato che Dio ne è l'autore, odiano lui. Se fosse loro possibile, lo toglierebbero volentieri di mezzo perché non possono tollerare che ordini quel che è buono, santo e retto, facendo giustizia di quanti sprezzano la sua maestà.

Questo atteggiamento risulta più evidente in alcuni, più nascosto in altri; ma è presente in tutti quelli che non sono rigenerati, i quali sono costretti, bene o male, a sottomettersi alla Legge, non per libera scelta ma per costrizione e con grande riluttanza; e null'altro ve li costringe se non il timore della severità di Dio.

Tuttavia questa giustizia imposta risulta necessaria alla comunità umana, la cui tranquillità il Signore garantisce, impedendo che ogni cosa sia rovesciata disordinatamente; e questo avverrebbe se ciascuno ritenesse lecita ogni cosa.

Per di più, non è inutile per i figli di Dio essere governati da questa pedagogia nel tempo in cui non hanno ancora lo spirito di Dio ma si smarriscono nelle intemperanze della carne.

Talvolta avviene che il Signore non si riveli immediatamente ai credenti ma li lasci camminare per qualche tempo nell'ignoranza prima di chiamarli. Grazie a questo timore servile sono trattenuti dal diventare dissoluti e sebbene il loro cuore, non essendo ancora domato e soggiogato, non ne tragga molto vantaggio tuttavia si abituano a poco a poco a portare il giogo del nostro Signore; sicché non saranno indocili del tutto, quando egli li chiamerà a sottomettersi ai suoi comandamenti, quasi fosse cosa nuova e sconosciuta.

È probabile che l'Apostolo intendesse accennare a questa funzione della Legge quando diceva che essa non è data per i giusti, ma per gli ingiusti ed i ribelli, gli increduli e i peccatori, i malvagi e gli scellerati, gli assassini dei genitori, gli omicidi, i fornicatori, i ladroni, i mentitori e gli spergiuri e tutti quelli macchiati dai vizi contrari alla sana dottrina (1 Ti. 1.9-10). Egli mostra che la Legge è come una briglia per frenare le concupiscenze della carne che altrimenti dilagherebbero senza limite.

2. Quanto dice in un altro passo può essere inteso in questi due sensi: la Legge è stata un pedagogo per gli Ebrei, per condurli a Cristo (Ga 3.24). Vi sono infatti due tipi di uomini che essa conduce a Cristo con la sua pedagogia.

I primi, di cui abbiamo già parlato, sono quelli che ripieni di fiducia nelle proprie forze e nella propria giustizia, devono esserne privati per diventare capaci di ricevere la grazia di Cristo. La Legge rendendone evidente la miseria, li conduce all'umiltà e li prepara così a desiderare quello di cui non credevano di mancare.

I secondi hanno bisogno di briglia per essere trattenuti e impediti dall'andar vagando secondo le concupiscenze della carne. Dove lo Spirito di Dio non governa ancora, le concupiscenze sono talvolta così enormi e smodate da far sì che l'anima rischi di sprofondare nel disprezzo e nella ribellione contro Dio. Così avverrebbe se Dio non provvedesse con questo mezzo, trattenendo con la briglia della sua Legge quanti sono ancora dominati dalla carne. Di conseguenza, se non rigenera immediatamente un uomo eletto in vista della salvezza, fino al momento della sua visitazione lo mantiene nel timore, per mezzo della Legge; timore non autentico e libero come dovrebbe essere nei suoi figli, ma tuttavia utile, in quel momento, a chi deve essere condotto per mano, pazientemente, fino ad una conoscenza più perfetta.

Tante sono le esperienze che abbiamo di questo fatto da rendere superflui gli esempi. Quanti sono rimasti temporaneamente nell'ignoranza di Dio, riconosceranno di essere stati mantenuti in quel modo nel timore di Dio fino a quando non furono rigenerati dallo Spirito per incominciare ad amarlo con slancio e affetto.

12. La terza funzione della Legge, la principale, pertinente al fine per cui essa e stata data, si esplica fra i credenti nel cui cuore già regna ed agisce lo spirito di Dio. Sebbene abbiano la Legge scritta nei toro cuori dal dito di Dio; sebbene ricevano dallo Spirito Santo il desiderio di obbedire a Dio, tuttavia traggono ancora doppio frutto dalla Legge. Essa è un ottimo strumento per far loro sempre meglio e più sicuramente comprendere quale sia la volontà di Dio, alla quale aspirano, e confermarne in loro la conoscenza. Come un servo, pur desideroso di servir bene e compiacere in tutto al suo padrone, ha bisogno di conoscere con grande famigliarità le sue abitudini e le sue condizioni per potercisi adattare. E nessuno tra noi può esentarsi da questa necessità. Nessuno ancora, infatti, ha raggiunto un sapienza tale da non poter progredire ulteriormente, giorno per giorno, mediante il quotidiano approfondimento della Legge, assimilando la volontà di Dio con sempre più chiara comprensione.

Non abbiamo solamente bisogno di insegnamenti ma anche di esortazioni: il servitore di Dio trarrà dunque dalla Legge e dalla frequente meditazione di essa anche questo giovamento: sarà stimolato all'obbedienza a Dio, vi sarà confermato e sarà liberato dai suoi errori. Bisogna che in questo modo i santi esortino se stessi dato che, per quanto pronti a fare il bene, sono sempre trattenuti dalla pigrizia e dalla pesantezza della carne, per cui non compiono mai appieno il loro dovere. Riguardo alla loro carne la Legge sarà come una frusta che la spinge all'opera: un asino non vuol tirare se non lo si frusta. Per parlar più chiaramente: dato che l'uomo spirituale non è ancora liberato dal fardello della carne, la Legge gli sarà di pungolo perpetuo per non lasciarlo addormentare né rallentare il passo.

A questa funzione si riferiva Davide quando celebrava con grandi lodi la Legge di Dio: "La legge di Dio è immacolata e converte le anime; i comandamenti di Dio sono retti e rallegrano i cuori " (Sl. 19.8) : "La tua parola è una lampada al mio piede, una luce sui miei passi " (Sl. 119.105) e tutto quello che segue nello stesso Salmo. E tutto questo non contrasta con le frasi precedentemente riportate di san Paolo, che non mostrano l'utilità della Legge per l'uomo fedele e già rigenerato, ma quello che essa può da sola offrire all'uomo. Il Profeta mostra al contrario il risultato del fatto che il Signore istruisce i suoi servitori nella dottrina della sua Legge, ispirando interiormente la determinazione di seguirla. E non si limita ai precetti ma vi aggiunge la promessa della grazia, che per i credenti non deve essere tralasciata e che addolcisce quel che sarebbe amaro. Nulla sarebbe meno amabile di una legge che esigesse solamente l'adempimento del proprio dovere, con minacce, e spingesse le nostre anime al timore e alla paura. Davide mostra soprattutto di aver conosciuto in essa ed accolto il Mediatore, senza il quale non esisterebbero dolcezze o piacere alcuno.

13. Alcuni ignoranti, incapaci di percepire questa differenza, respingono in modo assoluto e senza eccezione Mosè e vogliono mettere da parte le due tavole della Legge perché non ritengono convenevole ai cristiani di mantenersi vincolati da una dottrina che contiene in se la dispensazione della morte.

Respingiamo questa opinione: infatti Mosè ha chiaramente dichiarato che sebbene la Legge possa solo generare la morte nell'uomo peccatore, tuttavia reca frutto molto diverso per i credenti. Prossimo alla fine, egli dichiarò al popolo: "Ritenete bene nella vostra memoria e nel vostro cuore le parole che oggi vi comunico, per insegnarle ai vostri figli e istruirli a conservare e mettere in pratica tutte le cose scritte in questo libro. Non vi sono ordinate invano, ma perché per mezzo di esse possiate vivere " (De 32.46-47).

Nessuno può negare vi sia nella Legge l'immagine completa di una perfetta giustizia, oppure bisogna dire che non occorre avere alcuna regola per vivere rettamente, né siamo tenuti ad osservarla. Non vi sono infatti molte norme per vivere rettamente ma una sola, perpetua ed immutabile. Quanto dice Davide: il giusto medita la Legge giorno e notte (Sl. 1.2) , non deve dunque essere riferito ad un'epoca determinata, ma si riferisce a tutti i tempi, fino alla fine del mondo.

Né, stupiti del fatto che essa richiede una santità maggiore di quella che possiamo raggiungere mentre siamo nella prigione del nostro corpo, dobbiamo tralasciare il suo insegnamento. Quando siamo sotto la grazia di Dio essa non esercita il suo rigore sì da spingerci all'estremo, come se non fosse soddisfatta qualora non compiamo tutto quello che essa prescrive. Ma esortandoci a seguire la perfezione cui ci chiama, ci mostra la meta cui è utile e convenevole che tutta la nostra vita tenda, e se non cessiamo di fare questo, il suo scopo è raggiunto. La vita intera è infatti una corsa e quando saremo giunti al termine, il Signore ci darà di toccare quella meta che ora perseguiamo, anche se ne siamo ancora lontani.

14. La Legge dunque agisce come esortazione per i credenti, non per incatenare le loro coscienze alla maledizione, ma per risvegliarle dalla pigrizia, sollecitandole a punire la propria imperfezione. Alcuni, volendo esprimere la liberazione della maledizione, affermano che la Legge è abrogata e annullata per i credenti (parlo sempre della legge morale) , non nel senso che essa non debba ordinare sempre quello che è buono e santo, ma nel senso che non ha più il significato di prima: vale a dire che non umilia le loro coscienze con terrore mortale. E infatti san Paolo insegna chiaramente che la Legge è stata abrogata.

Ma Gesù Cristo stesso ha predicato affermando di non voler affatto distruggere o annullare la Legge (Mt. 5.17); non lo avrebbe detto se non lo si fosse accusato di farlo. Queste accuse non erano state formulate senza una qualche giustificazione: è verosimile che fossero originate da una esposizione erronea del suo insegnamento (gli errori prendono spesso lo spunto da una verità). Per non cadere in questo errore dobbiamo distinguere diligentemente ciò che nella Legge è stato abrogato da ciò che permane valido.

Il Signore Gesù afferma di non essere venuto per abolire la Legge ma per adempierla, che non ne passerà una sola lettera fino a che il cielo e la terra sussisteranno; che quanto vi è scritto deve realizzarsi: con questo dimostra che la sua venuta non ha per nulla diminuito il rispetto e l'obbedienza dovuti alla Legge. E a ragione, dato che è venuto per trovar rimedio alle trasgressioni contro di essa. L'insegnamento della Legge non è dunque scalfito da Gesù Cristo: essa ci istruisce in vista di ogni opera buona, ci ammonisce, ci rimprovera, ci castiga.

15. Le affermazioni di san Paolo relative alla maledizione, non hanno la funzione di istruire ma quella di vincolare, impressionare ed avvincere le coscienze. Per sua natura la Legge non solo insegna, ma pretende anche rigorosamente quel che ordina. Se non la si adempie fino in fondo, essa emette senz'altro la sentenza di orribile maledizione. Per questo motivo l'Apostolo dice: Quanti sono sotto la Legge sono maledetti, come è scritto: "Maledetti saranno tutti quelli che non compiranno quanto è prescritto " (Ga 3.10; De 27.26). Di conseguenza egli afferma che permangono sotto la Legge coloro che non fondano la propria giustizia sulla remissione dei peccati, che ci libera dai rigori della Legge. Bisogna dunque essere liberati dai vincoli della Legge, se non vogliamo morire miserevolmente in cattività.

In che consistono tali legami? Nell'inflessibile rivendicazione con cui ci persegue senza tregua, e senza lasciare un solo errore impunito. Per riscattarci da questa infelice situazione, Cristo è stato maledetto per noi, come è scritto: "Maledetto colui che pende dal legno ". Nel capitolo seguente san Paolo dice che Cristo è stato sottoposto alla Legge per riscattare quelli che erano sotto la servitù della medesima. Ma aggiunge subito: "Onde potessimo gioire del privilegio dell'adozione per essere figli di Dio " (Ga 3.13; 4.4; De 21.23). Vale a dire: perché non fossimo sempre stretti dalla servitù che tiene le nostre coscienze avvinte in angoscia mortale. Rimane tuttavia fermo che l'autorità della Legge non è sminuita e dobbiamo sempre continuare ad accettarla con rispetto e nell'obbedienza.

16. Le cose sono differenti riguardo alle cerimonie che sono state abolite nella prassi ma non nel significato. Il fatto che Gesù Cristo le abbia fatte cessare con la sua venuta non toglie nulla alla loro santità, anzi la rende più augusta e più preziosa. Esse non sarebbero state che una commedia o un divertimento per gli sciocchi se in esse non fosse stata manifestata la potenza della morte e della risurrezione di Gesù Cristo; inoltre se esse non avessero avuto fine, non si potrebbe comprendere oggi perché erano state istituite. Perciò san Paolo dice che sono state ombre della realtà apparsa in Gesù Cristo; intende mostrare che la loro osservanza è superflua ed anzi nociva (Cl. 2.17).

Vediamo dunque che la loro abolizione fa sì che la verità brilli meglio che se ci fosse ancora un velo steso e Gesù Cristo, che si è manifestato direttamente, vi fosse ancora raffigurato indirettamente. Ecco perché, alla morte di Gesù Cristo, il velo del tempio si è rotto in due parti ed è caduto a terra (Mt. 27.51); perché risultava manifestata nella sua pienezza l'immagine viva ed esplicita dei beni celesti di cui le cerimonie antiche avevano solo poche ed oscure tracce, come dice l'autore dell'epistola agli Ebrei (10.1). In questo senso Cristo dice che la Legge e i Profeti hanno avuto validità fino a Giovanni e da allora il regno di Dio ha incominciato ad essere annunciato (Lu 16.16) , non che i santi padri fossero privati della predicazione, che contiene in se la speranza della salvezza, ma avevano percepito solo da lontano e velatamente quello che oggi vediamo in piena luce.

San Giovanni Battista spiega alla Chiesa di Dio perché abbia dovuto iniziare da questi rudimenti per salire più in alto: la Legge è data da Mosè, la grazia e la verità sono state recate da Gesù Cristo (Gv. 1.17). Sebbene l'annullamento e il perdono dei peccati fossero promessi agli antichi sacrifici e l'arca del Patto fosse pegno sicuro del favore paterno di Dio, tutto questo non sarebbe stato che un'ombra se non fosse stato fondato su Gesù Cristo, in cui si trova stabilità e sicurezza permanente.

Questo fatto deve comunque essere chiaro: l'abolizione delle cerimonie della Legge, che hanno avuto termine e non sono più in uso, ne mette in luce l'utilità fino alla venuta di Gesù Cristo, il quale abolendone l'osservanza, ne ha garantito la forza e la validità con la sua morte.

17. Più difficile appare la questione sollevata da san Paolo. Egli dice: "Quando eravate morti nei vostri peccati e nella incirconcisione della vostra carne, Dio vi ha vivificati con Cristo, perdonandovi le colpe, cancellando l'atto accusatore dei precetti, che vi era contrario, inchiodandolo alla croce, ecc. " (Cl. 2.13-14). Sembra che voglia estendere l'abrogazione della Legge al punto che i decreti di essa non ci concernano del tutto. Sbagliano però quanti pensano che questo debba essere riferito semplicemente alla legge morale di cui non considerano però abolito l'insegnamento ma l'eccessiva severità.

Altri, esaminando più da vicino le parole di san Paolo, notano che esse si riferiscono propriamente alla legge cerimoniale e rilevano che san Paolo ha l'abitudine di adoperare questo termine "precetti "quando ne parla. Dice infatti agli Efesini: "Gesù Cristo è la nostra pace: egli ci ha uniti insieme, abolendo la Legge fatta di comandamenti in forma di precetti, ecc. " (Ef. 2.14). Non v'è alcun dubbio che questo si riferisca alle cerimonie, perché dice che questa Legge era come un muro per separare gli Ebrei dai Gentili. Riconosco dunque che la prima interpretazione è giustamente raccolta dai secondi; tuttavia essi stessi non mi sembrano spiegare ancora perfettamente la frase dell'Apostolo; i due passi non possono essere confusi come se fossero del tutto simili. Quello nell'epistola agli Efesini ha questo significato: san Paolo volendo rendere gli Efesini certi del fatto che erano entrati nella comunione del popolo di Israele, dice che è tolto l'impedimento che li separava da quello: si tratta delle cerimonie, in quanto le abluzioni e i sacrifici con cui gli Ebrei si consacravano a Dio li distinguevano dai pagani.

Nell'epistola ai Colossesi è evidente che accenna ad un mistero più profondo. Si tratta in questo caso dell'osservanza delle pratiche mosaiche, cui i seduttori volevano costringere il popolo cristiano. Ma qui, come nell'epistola ai Galati, dove si tratta lo stesso problema, egli va più a fondo e risale alla sorgente.

Se si considera nelle cerimonie solamente la loro celebrazione, perché le definirebbero un "atto accusatore "contro di noi? E perché far consistere la somma della nostra salvezza nell'annullarle e sopprimerle? : È evidente dunque che bisogna qui considerare altro che l'esteriorità delle cerimonie.

Sono certo di aver trovato il vero significato del passo purché si riconosca vera l'affermazione, giustissima, di sant'Agostino, anzi, il pensiero che ha tratto dalle parole evidenti dell'Apostolo: nelle cerimonie giudaiche vi era confessione di peccato più che espiazione (Eb. 7.9-10). Cosa significava infatti il sacrificio, se non riconoscimento di colpevolezza mortale? Offrivano un animale per essere ucciso in vece loro. Cosa facevano con le loro abluzioni, se non riconoscersi immondi e contaminati? Con questo confessavano il debito rappresentato dalla loro impurità e dalla loro offesa. Ma in questo riconoscimento non avveniva alcun pagamento. Per questo motivo l'Apostolo dice: per mezzo della morte di Cristo è stata compiuta la redenzione delle offese che sotto l'antico Patto sussistevano e non erano eliminate (Eb. 9.15). A buon diritto dunque, san Paolo definisce le cerimonie "precetti "contrari a chi li praticava, perché per mezzo loro si riconosceva e firmava la propria condanna. Questo non impediva agli antichi padri di partecipare alla stessa grazia cui noi partecipiamo; infatti lo hanno ottenuto attraverso Cristo, non attraverso le cerimonie; e san Paolo in questo passo le distingue da Cristo perché esse oscuravano la sua gloria dopo la rivelazione dell'Evangelo.

Le cerimonie, dunque, se considerate in se sono giustamente dette "atti accusatori ", contrari alla salvezza dell'uomo, in quanto sono strumenti per costringere le coscienze a confessare i propri debiti. Dato che i seduttori volevano costringere la Chiesa cristiana ad osservarle, san Paolo, considerandone l'origine, ha ragione di far osservare ai Colossesi il pericolo in cui sarebbero caduti lasciandosi soggiogare da tali pratiche, perché in questo modo la grazia di Dio sarebbe stata loro sottratta. Con la purificazione operata dalla sua morte, una volta per tutte, egli ha infatti abolito tutte quelle pratiche esteriori con cui gli uomini si confessano debitori di Dio senza poter essere scaricati dei loro debiti.