Letteratura/Istituzione/2-11

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Indice generale

Istituzioni della religione cristiana (Calvino)

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CAPITOLO XI

DIFFERENZA TRA L'ANTICO ED IL NUOVO TESTAMENTO

1. Qualcuno dirà: Non c'è dunque nessuna differenza tra l'Antico ed il Nuovo Testamento? Che dire dei molti passi della Scrittura che li contrappongono come realtà molto diverse?

Accetto volentieri tutte le differenze che si trovano menzionate nella Scrittura, purché non deroghino dall'unità che vi abbiamo già riscontrato, come sarà facile vedere quando le esamineremo ordinatamente.

Dall'esame diligente della Scrittura ne ho potuto notare quattro, ma non faccio obiezioni se qualcuno volesse aggiungerne una quinta. Non esito ad affermare che esse si riferiscono non alla sostanza ma al diverso modo seguito da Dio nel dispensare il suo insegnamento. Nulla impedisce quindi che le promesse dell'Antico e del Nuovo Testamento rimangano le stesse e che Cristo sia considerato il fondamento unico delle une e delle altre.

La prima differenza è questa: sebbene Dio abbia sempre voluto volgere la mente del suo popolo alla celeste eredità, tuttavia, per meglio mantenere viva la speranza delle cose invisibili, le faceva contemplare attraverso i suoi doni terreni quasi a darne un assaggio. Ora che ha rivelato più chiaramente nell'Evangelo la grazia della vita futura, guida e conduce direttamente le nostre menti a meditarla senza ricorrere, come nel caso degli Ebrei, a strumenti pedagogici inferiori.

Chi non pone mente a questa intenzionalità divina, crede che l'antico popolo non sia mai andato oltre una speranza relativa al benessere corporale. Constatano che la terra di Canaan è spesso considerata il supremo premio per compensare chi obbedisce alla legge di Dio, e d'altra parte la più grave minaccia di Dio agli Ebrei è di cacciarli dalla terra, che aveva loro dato e disperderli tra i popoli stranieri. Constatano anche che le benedizioni e le maledizioni di Mosè si riferiscono quasi sempre a questa realtà. Ne deducono, senza esitazioni, che Dio aveva messo a parte gli Ebrei rispetto agli altri popoli non per loro vantaggio ma per il nostro affinché la Chiesa cristiana avesse un'immagine Ma questo è semplicistico ed anzi sciocco: ricordiamo che secondo la Scrittura Dio con tutte le promesse terrene voleva condurli come per mano alla speranza delle grazie celesti.

Questo è il punto che deve essere discusso con costoro: affermano che la terra di Canaan, dal popolo di Israele considerata sommo dono, ha per noi unicamente il valore di un simbolo della celeste eredità. Affermiamo invece che in questo possesso terreno, di cui godeva, anche il popolo eletto ebraico ha contemplato l'eredità futura preparatagli in cielo.

2. Questo è chiarito dal paragone esposto da san Paolo nella lettera ai Galati. Paragona il popolo ebraico ad un erede che è ancora fanciullo ed essendo incapace di governarsi è guidato da un tutore o da un pedagogo (Ga 4.1). È vero che si parla qui specialmente dei riti: ma questo non impedisce di applicare l'affermazione alla nostra questione. Vediamo dunque che è loro stata assegnata la stessa eredità che a noi, ma che non sono stati in grado di goderne pienamente. Vi fu tra loro la stessa Chiesa che vi è tra noi: ma essa era in età infantile.

Il Signore li ha dunque guidati con questo sistema pedagogico: non presentare chiaramente le promesse spirituali, ma offrirne una qualche immagine e un simbolo per mezzo delle promesse terrene. Volendo accogliere Abramo, Is.cco e Giacobbe e tutta la loro stirpe nella speranza dell'immortalità, prometteva loro in eredità la terra di Canaan: non perché l'animo loro vi si attaccasse ma perché contemplandola fossero confermati nella certa speranza della autentica eredità ancora nascosta. E perché non si sbagliassero, aggiungeva anche una promessa più alta, per mostrar loro che non era questo il dono supremo e ultimo che voleva elargire.

Così Abramo, ricevendo questa promessa del possesso della terra di Canaan, non si ferma a ciò che vede ma è guidato verso l'alto dalla promessa che l'accompagna, vale a dire: "Abramo, io sono il tuo protettore e colui che ti premia generosamente " (Ge 15.1). Il coronamento della sua ricompensa è situato in Dio, onde non si aspetti una ricompensa provvisoria in questo mondo, bensì una incorruttibile in cielo, e il possesso della terra di Canaan gli è promesso quale segno della benevolenza di Dio e immagine dell'eredità celeste.

Le dichiarazione dei credenti dimostrano che essi hanno condiviso questa convinzione. Davide era spinto dalle benedizioni temporali di Dio a riflettere alla sua grazia sovrana e diceva: "Il mio cuore ed il mio corpo languiscono per il desiderio di vederti, o Signore. Il Signore è la mia eredità perenne " (Sl. 84.3) : "Il Signore è la mia parte di eredità e tutto il mio bene " (Sl. 16.55) : "Ho gridato al Signore dicendo: Sei la mia speranza e la mia eredità nella terra dei viventi " (Sl. 142.6). Chi osa parlare in questo modo, dimostra di guardare oltre questo mondo e tutte le cose presenti.

Anche i profeti descrivono frequentemente la felicità del secolo futuro ricorrendo a immagini e simboli tratti dalle realtà ricevute da Dio. In questo senso dobbiamo intendere le frasi in cui si dice che i giusti possederanno la terra in eredità e gli iniqui ne saranno sterminati (Sl. 37.9; Gb. 18.17; Pr 2.21-22) , Gerusalemme sarà arricchita di beni e Sion sarà sovrabbondante (vari passi di Isaia). Ovviamente questo non si riferisce alla vita mortale, che è come un pellegrinaggio, né alla città terrena di Gerusalemme; ma si riferisce più propriamente alla vera patria dei credenti, alla città celeste, in cui Dio ha preparato benedizione e vita imperitura (Sl. 133.3).

3. Per questa ragione i santi nell'Antico Testamento hanno valutato questa vita mortale più di quanto dobbiamo fare noi oggi. Pur essendo consci di non doverla considerare fine ultimo, tuttavia, sapendo che Dio raffigurava in essa la sua grazia per confermarli nella speranza, nonostante le loro indegnità, vi ponevano un interesse maggiore che se l'avessero considerata soltanto in se stessa. Come il Signore, mostrando il suo amore per i credenti, presentava loro con doni terreni la beatitudine spirituale cui dovevano tendere, così inversamente le pene corporali che impartiva ai malfattori erano segni del suo futuro giudizio contro i reprobi. Come i doni di Dio risultavano allora più evidenti nelle cose temporali, così lo erano le punizioni.

Gli ignoranti non considerando l'analogia intercorrente tra le pene e i doni di quel tempo si stupiscono che vi sia stato un tale cambiamento di atteggiamento da parte di Dio: nel passato si dimostrava pronto a punire rigorosamente gli uomini non appena l'avessero offeso, mentre invece ora punisce più debolmente e meno frequentemente, come se avesse calmato la propria collera. E poco manca che immaginino divinità diverse nell'Antico e nel Nuovo Testamento, come appunto hanno fatto i Manichei.

Sarà facile districarci da tutte queste incertezze tenendo presente la dispensazione effettuata da Dio che abbiamo già notato: nel periodo in cui ha presentato al popolo d'Israele il patto parzialmente velato, intendeva rappresentare per mezzo dei doni terreni la felicità eterna promessa e per mezzo delle pene corporali l'orribile condanna incombente sugli iniqui.

4. La seconda differenza tra l'Antico ed il Nuovo Testamento è da cercare nelle immagini: l'Antico Testamento rappresentava la verità, ancora assente, mediante immagini; invece del corpo, aveva l'ombra. Il Nuovo invece contiene la verità e la sostanza. A questa differenza devono essere riferiti tutti i passi in cui l'Antico Testamento viene contrapposto al Nuovo.

Questo è trattato nel modo più esauriente nella epistola agli Ebrei. L'Apostolo vi polemizza contro chi riteneva che abolendo i riti di Mosè sarebbe crollata ogni religione. Per refutare questo errore, menziona in primo luogo quanto il Profeta aveva detto riguardo al sacrificio di Gesù Cristo. Se il Padre l'ha costituito eterno sacerdote ciò significa che senza dubbio è abolito il sacerdozio levitico che si tramandava da una persona all'altra. Che questo nuovo sacerdozio sia superiore all'altro è dimostrato dal fatto che è stabilito con un giuramento. Successivamente aggiunge che con questo trasferimento del sacerdozio, vi è stato anche trasferimento di patto. Insiste anzi che questo era necessario, data la impotenza della Legge a condurre alla perfezione. In seguito illustra queste limitazioni: si trattava di giustizie esterne che non potevano rendere perfetti secondo coscienza quanti le osservavano, dato che il sangue degli animali bruti non può cancellare i peccati, né produrre vera santità. Ne conclude quindi che nella Legge vi era l'ombra dei beni futuri, non la loro presenza viva che ci è data nell'Evangelo (Sl. 110.4; Eb. 7.11-19; 9.9; 10.1).

Dobbiamo considerare in che modo egli contrappone il patto della Legge e il patto dell'Evangelo, il ministero di Mosè e quello di Cristo. Se questa contrapposizione si riferisse alla sostanza delle promesse, vi sarebbe una grande divergenza tra i due Testamenti. Ma vediamo che l'Apostolo ha un altro fine e dobbiamo cogliere la sua intenzione per giungere alla verità.

Il fatto centrale da considerare è dunque il patto di Dio, fatto una volta per tutte per durare in eterno. Il suggello, per il quale è ratificato e confermato, è Gesù Cristo. Quando bisognava aspettarlo, il Signore ha prescritto, per bocca di Mosè, dei riti che ne fossero segni simbolici. La controversia verteva su questo punto: se le cerimonie prescritte dalla Legge dovessero cessare per lasciare il posto a Gesù Cristo.

Sebbene esse non siano che accidenti o accessori dell'Antico Testamento, tuttavia erano strumenti con cui Dio manteneva il popolo nella dottrina di questo Testamento e di conseguenza ne portano il nome; così come la Scrittura usa attribuire ai sacramenti il nome di quello che rappresentano. Ecco perché qui è definita "Antico Testamento "la maniera solenne in cui il patto del Signore era ribadito agli Ebrei per mezzo di sacrifici ed altre cerimonie.

In queste cerimonie non vi è nulla di sicuro e di definitivo, occorre andare oltre, di conseguenza l'Apostolo sostiene che esse dovevano prendere fine ed essere abrogate per essere sostituite da Gesù Cristo, che è garante e mediatore di un patto migliore (Eb. 7.22); il quale ha procurato agli eletti, una volta per tutte, una eterna santificazione e ha abolito le trasgressioni che permanevano nell'Antico Testamento.

Se qualcuno preferisce, possiamo arrischiare una definizione: l'Antico Testamento è stata la dottrina data da Dio al popolo giudaico, espressa nell'osservanza di cerimonie prive di efficacia e di durevolezza. Perciò è stato limitato nel tempo, essendo provvisorio, in attesa di essere garantito dal proprio adempimento e confermato nella propria sostanza; ma è stato fatto nuovo ed eterno allorché è stato consacrato e stabilito dal sangue di Cristo.

Per questo motivo Cristo definisce il calice che offriva ai discepoli durante la Cena: "calice del nuovo patto " (Mt. 26.28) , per significare che quando il patto di Dio era suggellato dal suo sangue, la verità era adempiuta e così il Patto era rinnovato e reso eterno.

5. Siamo così in grado di comprendere in che senso san Paolo dica che gli Ebrei sono stati condotti a Cristo dalla pedagogia della Legge, prima che egli fosse manifestato nella carne (Ga 3.24; 4.1). Riconosce che sono stati figli ed eredi di Dio: ma essendo ancora nell'infanzia erano affidati ad un pedagogo. Prima che il sole di giustizia sorgesse, non poteva logicamente esservi chiarezza di rivelazione né di intelligenza. Il Signore ha dunque dato loro la luce della sua Parola in modo che la vedessero solo da lontano e in modo oscuro.

San Paolo per esprimere questa limitatezza della comprensione ha adoperato il termine "pedagogia "dicendo che il Signore, in quell'epoca, ha voluto istruirli per mezzo delle cerimonie come di strumenti adatti all'età infantile, fino a quando la manifestazione di Cristo accrescesse la loro conoscenza e li maturasse, per farli uscire dall'infanzia.

Gesù Cristo stesso ha posto questa distinzione affermando che la Legge ed i Profeti sono stati in vigore fino a Giovanni Battista (Mt. 11.13); e successivamente il regno di Dio è stato manifestato. Cos'hanno insegnato Mosè ed i profeti, nel loro tempo? Hanno fatto gustare parzialmente il sapore della sapienza che doveva un giorno essere rivelata e l'hanno indicata da lontano. Ma il regno di Dio è rivelato quando Gesù Cristo può essere mostrato a dito. In lui sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza (Cl. 2.3) per farci salire quasi al punto più alto del cielo.

6. Questo non è contraddetto dal fatto che difficilmente si troverebbe qualcuno degno di essere paragonato ad Abramo nella Chiesa cristiana riguardo a fermezza di fede: o dal fatto che i profeti hanno avuto una intelligenza spirituale tale da poter illuminare ancor oggi gli altri. Noi non stiamo ora considerando le grazie conferite ad alcuni dal Signore, ma la regola generale a cui si è attenuto allora. Essa manifesta anche nell'insegnamento dei profeti, che pure avevano ricevuto dei privilegi speciali in confronto agli altri. Infatti la loro predicazione è oscura, come sfocata, ed è espressa in immagini.

Inoltre, nonostante le rivelazioni ricevute, erano anch'essi compresi nel numero dei fanciulli, perché era necessario che anch'essi fossero sottomessi alla pedagogia comune a tutto il popolo. La conoscenza di quei tempi, per quanto viva fosse, risentiva in qualche modo l'oscurità di quel tempo di preparazione. Per questo motivo Gesù Cristo diceva: "Molti re e profeti hanno desiderato vedere le cose che voi vedete, senza poterle vedere; di udire le cose che udite, senza poterle udire. Beati i vostri occhi che le vedono e le vostre orecchie che le odono " (Mt. 13.17; Lu 10.24). La presenza di Gesù Cristo ha avuto la prerogativa di portare nel mondo una intelligenza più ampia che nel passato dei misteri celesti. A questo si riferisce anche la citazione già ricordata della prima epistola di san Pietro (1 Pi. 1.6.10-12) : è stato loro comunicato che la loro fatica era fruttuosa essenzialmente in vista del nostro tempo.

7. Veniamo adesso alla terza differenza che deduciamo dalle parole di Geremia: "Ecco il giorno viene "dice il Signore "che farò un nuovo patto con la casa d'Israele e con la casa di Giuda; non come quello che ho fatto con i vostri padri, quando li presi per mano per trarli fuori dalla terra d'Egitto; patto che essi violarono e distrussero benché io fossi il Signore. Ma questo sarà il patto che farò con la casa d'Israele: Scriverò la mia Legge nel loro intimo e la scolpirò nei loro cuori e sarò disposto a rimettere le loro offese. E non insegneranno più al proprio compagno, perché tutti mi conosceranno, dal più grande al più piccolo " (Gr. 31.31).

San Paolo ha preso lo spunto da questo passo per operare il paragone tra la Legge e l'Evangelo; definisce la Legge: dottrina letterale, predicazione di morte e di condanna scritta su tavole di pietra; l'Evangelo invece dottrina spirituale di vita e di giustizia scolpita nei cuori; afferma inoltre che la Legge deve essere abolita e che l'Evangelo permane (2 Co. 3.6).

Essendo intenzione di san Paolo commentare le parole del Profeta, basterà esaminare le affermazioni dell'uno per comprenderli ambedue, sebbene differiscano un poco l'uno dall'altro. L'Apostolo infatti considera la Legge più severamente del Profeta.

E questo non semplicemente perché consideri la natura di essa, ma perché alcuni confusionari, impegnandosi con zelo inopportuno nell'osservanza delle cerimonie si sforzano di oscurare la luce dell'Evangelo, egli è costretto a polemizzare con i loro folli errori. Bisogna dunque tener presente questa particolarità nel caso dell'Apostolo.

Per quanto riguarda la contrapposizione dell'Antico al Nuovo Testamento, comune anche a Geremia, essi considerano nella Legge solo quanto le è specifico. Esempio: la Legge contiene qua e là le promesse della misericordia di Dio; ma dato che esse hanno altrove la loro origine, non sono da prendere in considerazione quando si esamini la natura della Legge. Essi le attribuiscono solo il compito di fissare quanto è buono e giusto, proibire ogni malvagità, promettere remunerazione a chi osservi la giustizia, minacciare i peccatori della vendetta di Dio: senza che essa possa cambiare o correggere la malvagità presente nella natura di ogni uomo.

8. Esaminiamo ora punto per punto il paragone proposto dall'Apostolo. L'Antico Testamento, egli dice, è "letterale perché è stato promulgato senza l'efficacia dello Spirito Santo; il Nuovo è "spirituale "perché il Signore lo ha scolpito nel cuore dei suoi. La seconda contrapposizione ha dunque il fine di spiegare la prima: cioè che l'Antico Testamento è mortale perché non può che includere nella maledizione tutto il genere umano mentre il Nuovo è strumento di vita perché liberandoci dalla maledizione ci affida alla grazia di Dio.

Allo stesso fine tende la successiva asserzione: il primo costituisce un "ministero di condanna "perché rivela tutti i figli di Adamo essere colpevoli di iniquità; il secondo è "un ministero di giustizia "perché ci rivela la misericordia di Dio, per la quale siamo giustificati. Il secondo elemento deve essere riferito alle cerimonie, che essendo immagini di cose assenti dovevano dileguarsi con il tempo; mentre la realtà dell'Evangelo permane in eterno perché contiene la sostanza.

Anche Geremia definisce la Legge morale un patto debole e fragile, ma per un altro motivo: perché essa è stata rotta e spezzata dall'ingratitudine del popolo. Ma questa violazione trae la sua origine da un vizio esterno e non può essere attribuita alla Legge stessa. Inoltre, dato che le cerimonie sono state abrogate alla venuta di Cristo per la loro debolezza, esse contenevano in se la causa dell'abrogazione.

La differenza tra lettera e Spirito non deve essere intesa nel senso che il Signore abbia dato, nel passato, la Legge agli Ebrei senza alcun frutto né utilità, senza convertire nessuno a se; ma deve questo paragone servire a magnificare maggiormente l'abbondanza della grazia; di cui lo stesso Legislatore ha voluto arricchire la predicazione dell'Evangelo, quasi fosse divenuto un'altro, per onorare il regno del suo Cristo. Se consideriamo la moltitudine che ha raccolto da molte nazioni attraverso la predicazione dell'Evangelo e ha rigenerato con il suo Spirito, vediamo che il numero di coloro che avevano allora ricevuto con autentica convinzione interiore la dottrina della Legge era davvero esiguo: per quanto, i veri credenti siano stati molti, se si guarda al popolo d'Israele senza fare il paragone con la Chiesa cristiana.

9. La quarta differenza è una conseguenza della terza. La Scrittura definisce l'Antico Testamento un "patto di servitù ", perché genera timore e terrore nel cuore degli uomini; il Nuovo, "patto di libertà "perché li conferma nella sicurezza e nella fiducia.

In questo modo si esprime san Paolo nell'epistola ai Romani: "Non avete ricevuto di nuovo lo spirito di servitù per ricadere nella paura, ma lo spirito di adozione, per il quale gridiamo: Abbà, Padre! " (Ro 8.15). Lo stesso vuole significare l'autore dell'epistola agli Ebrei allorché dice che i credenti non sono venuti come il popolo d'Israele al monte visibile del Sinai dove si vede fuoco, tuono, tempesta, lampi (e tanto spaventevole e impressionante era lo spettacolo che Mosè stesso ne fu spaventato) e Dio non parla più a loro con voce terribile, come faceva allora: "ma sono venuti alla montagna celeste di Sion e a Gerusalemme, città dell'Iddio vivente, per essere in compagnia degli angeli " (Eb. 12.18).

Questa affermazione appena accennata nell'epistola ai Romani, viene sviluppata più ampiamente nell'epistola ai Galati, dove san Paolo utilizza la vicenda dei due figli di Abramo in forma allegorica: Agar la serva è simbolo del monte Sinai dove il popolo d'Israele ha ricevuto la Legge; Sara, la moglie è simbolo di Gerusalemme, da cui procede l'Evangelo. Mentre la discendenza di Agar è schiava e non può raccogliere l'eredità, la discendenza di Sara è libera e avrà l'eredità. La Legge dunque non può che generare servitù in noi e solo l'Evangelo ci rigenera nella libertà (Ga 4.22, ).

Riassumendo: l'Antico Testamento ha avuto il compito di atterrire le coscienze mentre il Nuovo porta gioia e letizia; il primo ha tenuto le coscienze vincolate e sotto il giogo della servitù, il secondo le libera e le affranca nella libertà.

Se si obbietta che i padri dell'Antico Testamento, avendo il nostro stesso spirito di fede, erano partecipi della stessa libertà gioiosa, risponderò che non l'hanno avuta grazie alla Legge: ma piuttosto perché, vedendosi tenuti prigionieri da essa con la coscienza confusa, hanno fatto ricorso all'Evangelo. Ne risulta che sono stati liberi da questa miseria solo per merito speciale del Nuovo Testamento.

Contesto inoltre che essi abbiano avuto tanta libertà e sicurezza da non sentire il timore e la servitù della Legge; sebbene gioissero del privilegio ottenuto dall'Evangelo, erano tuttavia soggetti, come tutti gli altri, ai vincoli, ai pesi ed ai legami allora validi. Se dunque erano costretti ad osservare i riti, che erano strumenti di quella pedagogia che san Paolo considera simile alla servitù, vale a dire atti di condanna con cui si riconoscevano colpevoli davanti a Dio senza liberarsi dei propri debiti, a buon diritto devono essere definiti, in confronto a noi, sotto il Patto di servitù, considerando la linea di condotta tenuta allora dal Signore verso il popolo d'Israele.

10. I tre ultimi confronti che abbiamo fatti sono tra la Legge e l'Evangelo. In essi dunque sotto il nome di Antico Testamento dobbiamo intendere la Legge, così per Nuovo Testamento dobbiamo intendere l'Evangelo. Il primo confronto invece aveva una portata più vasta perché comprendeva anche la situazione dei padri antichi che vissero prima della Legge.

Sant'Agostino ha ragione di negare che le promesse di quel tempo siano da intendersi come parte dell'Antico Testamento 6. Egli intendeva dire esattamente ciò che noi insegniamo: egli teneva presenti i passi di Geremia e di san Paolo che abbiamo citato, nei quali l'Antico Testamento è contrapposto alla dottrina di grazia e di misericordia. Giustamente egli aggiunge anche che tutti i credenti rigenerati da Dio dal principio del mondo e che hanno seguito la sua volontà con fede e carità, appartengono al Nuovo Testamento e non hanno radicato la loro speranza in beni carnali, terreni e temporali, ma in quelli spirituali, celesti ed eterni. Hanno creduto nel mediatore e perciò non dubitavano che lo Spirito Santo fosse stato dato loro per vivere rettamente e che avrebbero ottenuto il perdono ogni volta che avessero peccato.

È quanto ho voluto sostenere: tutti i santi di cui leggiamo nella Scrittura che sono stati eletti fin dalla fondazione del mondo, sono stati partecipi con noi delle stesse benedizioni in vista della vita eterna. Tra la mia posizione e quella di sant'Agostino vi è una sola differenza: ho fatto la distinzione tra la luce dell'Evangelo e l'oscurità che la precedeva, attenendomi alla asserzione di Cristo, secondo cui la Legge ed i Profeti hanno operato fino a Giovanni Battista e successivamente il Regno di Dio ha incominciato ad essere predicato (Mt. 11.13). Agostino si è accontentato di distinguere tra la debolezza della Legge e la stabilità dell'Evangelo.

Bisogna anche notare che gli antichi padri hanno vissuto sotto l'Antico Testamento senza però ridursi nei suoi limiti e hanno sempre desiderato il nuovo, anzi ne sono stati partecipi Cl. cuore. Coloro che accontentandosi delle raffigurazioni esteriori non innalzarono a Cristo la loro mente, sono considerati ciechi e maledetti dall'Apostolo. Ed infatti non si potrebbe immaginare un accecamento maggiore di quello di chi pensa ottenere la purificazione dei propri peccati mediante la morte di un animale! O di chi cerca purificazione della propria anima nell'aspersione corporea di acqua! O di chi vuole placare Dio con cerimonie futili, come se egli vi prendesse molto piacere! Per non tacere di molte altre simili considerazioni. Cadono in queste assurdità tutti coloro che perdono tempo nelle pratiche esteriori della Legge senza mirare a Cristo.

11. La quinta differenza che si può aggiungere, come abbiamo detto, risiede nel fatto che fino alla venuta di Cristo, Dio aveva messo da parte un popolo cui aveva affidato il patto della sua grazia. "Quando l'Iddio onnipotente divise i popoli "dice Mosè "quando divise i figli di Adamo, il suo popolo gli è toccato nella spartizione: Giacobbe è stato la sua eredità " (De 32.8-9). In un altro passo si rivolge al popolo: "Ecco, il cielo, la terra e tutto quel che contengono appartiene al tuo Dio. E tuttavia egli pose affezione ai tuoi padri e li amò, per eleggere poi la loro progenie dopo di loro, tra tutti gli altri popoli " (De 10.14-15)

Il nostro Signore ha concesso dunque solo a questo popolo l'onore di farsi conoscere, quasi gli appartenesse più che gli altri. Gli ha concesso il suo Patto; ha manifestato nel suo seno la presenza della sua divinità e l'ha onorato con molti altri privilegi. Tralasciando gli altri doni, che gli ha concesso, accontentiamoci di quello in argomento: comunicandogli la sua parola si è unito ad esso per essere chiamato e considerato suo Dio.

Nel frattempo lasciava che tutte le altre nazioni camminassero nella futilità e nell'errore, come se non avesse relazione alcuna con esse (At. 14.16e non offriva loro il rimedio che poteva aiutarle: vale a dire la predicazione della sua parola. Per questo Israele era definito allora "figlio prediletto di Dio ", mentre gli altri erano considerati estranei. Era conosciuto da Dio e da lui protetto, mentre gli altri erano lasciati a se stessi nelle tenebre. Era consacrato a Dio, mentre gli altri erano profani. Era onorato dalla presenza di Dio mentre gli altri ne erano esclusi.

Ma quando è venuta la pienezza dei tempi in cui tutto doveva essere restaurato (Ga 4.4) : quando, dico, il mediatore tra Dio e gli uomini è stato rivelato, ha abbattuto il muro che per lungo tempo aveva limitato la misericordia di Dio ad un solo popolo ed ha fatto sì che la pace fosse annunciata a quanti erano lontani come a quanti erano vicini; onde, essendo tutti quanti riconciliati con Dio, fossero uniti in un solo corpo (Ef. 2.14). Di conseguenza non v'è più distinzione tra Ebreo o Greco, tra circoncisione o incirconcisione, ma Cristo è ogni cosa in tutti (Ga 6.15; Cl. 3.2). A lui sono stati dati in eredità tutti i popoli della terra e i confini della terra quale possesso (Sl. 2.8) affinché domini da un mare all'altro, dall'oriente all'occidente (Sl. 72.8e altrove).

12. La vocazione dei pagani di conseguenza costituisce ancora un segno di rilievo per dimostrare l'eccellenza del Nuovo Testamento rispetto all'Antico. Essa era stata preannunziata anticamente da molte profezie, ma in modo tale che l'adempimento ne era rimandato alla venuta del Messia. Neanche Gesù Cristo, all'inizio della sua predicazione, ha voluto aprire la porta ai pagani ma ha differito la loro chiamata fino a quando non avesse attuato la nostra redenzione e trascorso il periodo della sua umiliazione, avesse ricevuto dal Padre un nome che è al di sopra di ogni nome, onde ogni ginocchio si piegasse dinanzi a lui (Fl. 2.9).

Per questo motivo egli diceva alla donna cananea di essere venuto solo per le pecore perdute della casa d'Israele (Mt. 15.24); e quando mandò i discepoli per la prima volta, vietò loro di oltrepassare questi limiti: "Non andate dai pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; andate piuttosto alle pecore perdute della casa d'Israele " (Mt. 10.5-6) perché non era ancora venuta l'epoca che abbiam menzionato.

Anzi, sebbene la vocazione dei pagani fosse stata prevista da tante testimonianze, tuttavia, quando si è dovuta attuare, sembrò così nuova agli Apostoli che ne ebbero paura come di cosa incredibile. Vi si sono impegnati con molte esitazioni, e non c'è da stupirsi perché sembrava irragionevole che Dio, dopo aver per lungo tempo messo da parte Israele rispetto agli altri popoli, improvvisamente annullasse questa distinzione, quasi avesse mutato parere. Questo fatto era stato bensì predetto dai Profeti, ma la loro intelligenza delle profezie non era tale da far sì che questa novità non li turbasse. Gli esempi, dati precedentemente da Dio per mostrare quanto avrebbe fatto, non erano sufficienti a liberarli dai dubbi. Aveva chiamato solo pochi pagani nella sua Chiesa, e, per di più, chiamandoli li aveva incorporati nel popolo di Israele mediante la circoncisione, talché si potevano considerare appartenenti alla famiglia di Abramo.

Ora con la vocazione pubblica dei pagani, avvenuta dopo l'Ascensione di Gesù Cristo, non solo sono stati posti sullo stesso piano degli Ebrei, ma, anzi, hanno preso il loro posto. C'è di più: gli stranieri integrati non erano mai stati eguali agli Ebrei. San Paolo, dunque, non senza ragione loda questo mistero che dice essere rimasto nascosto attraverso i secoli e lo considera motivo di stupore per gli angeli stessi (Cl. 1.26).

13. Credo di avere correttamente e fedelmente riassunto in questi quattro o cinque punti la differenza tra Antico e Nuovo Testamento, in modo da offrirne una spiegazione semplice e genuina.

Alcuni però considerano del tutto assurda l'esistenza di una diversità tra il governo della Chiesa cristiana e quello della Chiesa d'Israele, il diverso insegnamento e il cambiamento delle cerimonie. Bisogna dunque rispondere loro prima di andare avanti. Si può farlo brevemente perché le loro obbiezioni non sono fondate né ragionate al punto da causare preoccupazioni.

Non è possibile, essi dicono, che Dio, il quale deve essere sempre simile a se stesso, abbia cambiato idea in questo modo; che abbia condannato quanto aveva precedentemente ordinato.

Rispondo che non bisogna considerare Dio mutevole perché ha adattato forme diverse a tempi diversi, secondo quanto sapeva esserci utile. Se un contadino prescrive ai suoi servi dei lavori diversi d'inverno o d'estate, non lo accuseremo di incostanza e non diremo che abbia abbandonato il modo giusto di coltivare, che dipende dal perenne ordine di natura. Parimenti se un padre istruisce, educa e tratta i suoi figli durante la gioventù in modo diverso che durante la fanciullezza: e poi cambia ancora sistema quando sono giunti all'età adulta, non diremo che sia incostante o cambi facilmente opinione. Potremmo dunque accusare Dio di incostanza perché ha caratterizzato i diversi tempi con segni caratteristici che sapeva essere appropriati?

La seconda similitudine deve soddisfarci. San Paolo considera gli Ebrei simili a piccoli fanciulli e i cristiani simili a giovanetti. Quale inconveniente c'è nel fatto che Dio abbia educato gli Ebrei con mezzi adatti al loro tempo, tempo di infanzia, e che ora ci istruisca in una dottrina più alta e più virile?

La immutabilità di Dio si manifesta quindi nel fatto che ha stabilito una identica dottrina per tutti i secoli. Il servizio che ha richiesto al principio, continua a richiederlo ora. Né si dimostra soggetto a cambiamenti per il fatto di aver cambiato le forme ed i modi esterni, perché ha voluto solamente adattarsi alla capacità degli uomini che è mutevole.

14. Replicano ancora: questa diversità non esisterebbe se Dio non l'avesse voluta. Non avrebbe forse potuto, tanto prima quanto dopo la venuta di Cristo, rivelare la vita eterna per mezzo di parole chiare e senza simboli? Non poteva istruire i suoi con sacramenti chiari? Non poteva elargire abbondantemente lo Spirito Santo? Non poteva spandere su tutti la sua grazia?

Porre queste domande è come rimproverare Dio per aver creato il mondo così tardi mentre avrebbe potuto farlo fin dall'inizio; per aver stabilito nell'anno differenti stagioni quali inverno ed estate, e il giorno e la notte.

Per conto nostro assumiamo l'atteggiamento che deve essere di ogni credente: non dubitiamo che quanto Dio fa, è fatto saggiamente, anche se non ne vediamo la causa. Sarebbe folle arroganza da parte nostra non concedere a Dio la conoscenza delle ragioni della sua opera che ci sfuggono.

Stupisce il fatto, dicono, che Dio respinga oggi quei sacrifici di animali e tutta la solennità del sacerdozio levitico che allora gradiva. Come se Dio si dilettasse di cose esterne e caduche, o come se vi avesse mai dato peso! Abbiamo già detto 7che tutto questo non lo ha stabilito per se stesso ma per la salvezza degli uomini. Se un dottore adoperasse un rimedio per guarire un giovane e poi, dovendolo curare nella sua vecchiaia ne adoperasse un altro, diremmo forse che rinnega il trattamento seguito in precedenza? Egli dirà di aver seguito sempre lo stesso metodo terapeutico ma di averlo adattato all'età. Similmente è stato utile che Gesù Cristo, ancora lontano, fosse rappresentato da molti segni che preannunciavano la sua venuta diversi dai segni che ci ricordano ora che è venuto.

Considerando poi la vocazione di Dio e la grazia che è stata elargita più ampiamente che per l'innanzi; e il patto di salvezza stipulato con tutti mentre precedentemente era riservata al popolo d'Israele, vi domando, chi potrà negare a Dio di dispensare liberamente le sue grazie secondo il suo piacimento? Di illuminare i popoli che vuole? Di far predicare la sua parola dove gli sembra bene? Di farne uscire il frutto, grande o piccolo, che gli pare opportuno? Di darsi a conoscere al mondo, quando voglia farlo, per mezzo della sua misericordia, e di ritirare la conoscenza che ne aveva dato, per colpa dell'ingratitudine umana?

Vediamo dunque che si tratta di calunnie: sono tutte obbiezioni adoperate dagli empi per turbare i semplici, allo scopo di porre in dubbio la giustizia di Dio o la verità della Scrittura.