Letteratura/Istituzione/3-22

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Indice generale

Istituzioni della religione cristiana (Calvino)

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CAPITOLO 22.

TESTIMONIANZE DELLA SCRITTURA CHE CONFERMANO QUESTA DOTTRINA

1. Le cose dette sin qui, e soprattutto l'elezione gratuita dei credenti, sono contestate da molti. Infatti pensano che Dio scelga fra gli uomini questo o quello, in base alla previsione dei meriti di ognuno. Perciò egli adotterebbe coloro che prevede non saranno indegni della sua grazia, lasciando coloro che sa essere, inclini alla cattiveria e all'empietà nella loro condanna. Orbene, tali persone rendono la prescienza di Dio simile ad un velo che non solo oscura la sua elezione, ma fa credere che essa tragga altrove la sua origine. È un'opinione comunemente diffusa, non solo in mezzo al popolo ma anche fra coloro che si ritengono molto dotti; in ogni tempo ci sono state persone famose che l'hanno seguita. E lo riconosco apertamente affinché non si creda, citando il loro nome, di aver tratto un gran vantaggio contro la verità, che su questo punto è così certa, da non poter essere oscurata dall'autorità degli uomini.

Altri, privi di conoscenza scritturale, non sono degni di credito né considerazione alcuna; sono però tanto più arditi e temerari nel diffamare un insegnamento che è loro sconosciuto: perciò non v'è ragione di sopportare la loro arroganza. Costoro intentano un processo a Dio per il fatto che, eleggendo gli uni secondo la sua volontà, lascia da parte gli altri. Ma poiché è noto che la cosa sta in questi termini, che cosa guadagneranno a biasimare e a mormorare contro Dio? Non diciamo nulla che non sia provato dall'esperienza: Dio è sempre stato libero di far grazia a chi gli pareva.

Non chiederò loro come e perché la stirpe di Abramo è stata preferita fra tutte le nazioni, benché sia chiaro che ciò è avvenuto per un privilegio la cui motivazione risiede in Dio solo. Ma lasciando questo, mi dicano perché essi stessi sono uomini anziché buoi o asini; infatti, benché fosse nel potere di Dio di crearli cani, li ha invece formati a sua immagine. Concederanno forse agli animali il diritto di lamentarsi della loro condizione, accusando Dio come se si fosse comportato crudelmente verso di loro? Certo, il motivo per cui godono di una prerogativa ottenuta senza alcun merito, di essere cioè degli uomini, non differisce dal fatto che è permesso a Dio di distribuire in modo diverso i suoi doni, secondo il metro del suo giudizio.

In quanto alle persone, la cui ineguaglianza dispiace loro maggiormente, dovranno per lo meno tremare quando sarà messo loro innanzi l'esempio di Gesù Cristo e frenarsi un po', per non cianciare in modo così ardito di quel grande mistero. Si tratta di un uomo mortale concepito dal seme di Davide; per quali virtù diranno che abbia meritato, fin dal ventre della vergine, sua madre, di essere capo degli angeli, figlio unico di Dio, immagine e gloria del Padre, luce, giustizia e salvezza del mondo? Sant'Agostino ha considerato con saggezza un tal mistero: nel capo della Chiesa abbiamo un chiaro esempio dell'elezione gratuita, affinché essa non ci sembri strana nelle membra; il Signor Gesù non è stato fatto figlio di Dio vivendo con rettitudine, ma un tale onore gli è stato dato perché rendesse partecipi gli altri dei suoi doni. Se uno chiedesse perché gli altri non sono quello che egli è, perché una così lunga distanza ci separa da lui, perché siamo corrotti mentre lui è puro, rivelerebbe, con quelle domande, la sua demenza e la sua spudoratezza. Se quelle canaglie continuano a voler togliere a Dio la libertà di scegliere o di respingere chi gli piace, comincino a privare Gesù Cristo di quel che gli è stato dato.

Ora è necessario ascoltare con attenzione quanto la Scrittura dice di ognuno. Certo san Paolo, insegnando che siamo stati eletti in Cristo prima della creazione del mondo (Ef. 1.4) , toglie ogni riguardo alla nostra dignità, poiché è come se dicesse: dato che in tutta la discendenza di Adamo il Padre celeste non trovava nulla che fosse degno della sua elezione, ha rivolto gli occhi verso il suo Cristo, per eleggere quali membra del suo corpo coloro che voleva accogliere nella vita. Sia dunque chiaro ai credenti che Dio ci ha adottati in Cristo affinché fossimo suoi eredi, poiché non eravamo capaci da per noi stessi di eccellere tanto. San Paolo lo sottolinea pure in un altro passo, quando esorta i Colossesi a render grazie a Dio del fatto che egli li aveva resi atti a partecipare all'eredità dei santi (Cl. 1.12). Se l'elezione di Dio precede la grazia per mezzo della quale ci rende atti ad ottenere la gloria della vita futura, che cosa troverà in noi che lo spinga ad eleggerci?

Quanto intendo dire sarà espresso meglio ancora da un'altra affermazione: "Dio ci ha scelti "dice "prima di gettare le fondamenta del mondo, secondo quanto piaceva alla sua volontà, affinché fossimo santi, immacolati ed irreprensibili al suo cospetto " (Ef. 1.4). Egli contrappone quel che piace a Dio a tutti i meriti possibili.

2. Perché la prova sia più certa, è opportuno discutere più dettagliatamente questo passo, i cui elementi, ben raccolti, non lasciano dubbi.

Parlando degli eletti, è certo che egli rivolge le sue parole ai credenti, come dichiara subito dopo. Perciò coloro che interpretano questa affermazione, nel senso che san Paolo magnificherebbe la grazia fatta in generale al secolo in cui l'Evangelo è stato predicato, ne distorcono il senso con un'esegesi grossolana.

Inoltre, dicendo che i credenti sono stati scelti prima della creazione del mondo, san Paolo stronca ogni considerazione di dignità. Infatti, quale motivo di diversità ci sarebbe in coloro che non erano ancora nati, e che per nascita dovevano essere simili in Adamo?

Aggiunge che sono stati eletti in Cristo; di conseguenza ciascuno è eletto al di fuori di se stesso, e gli uni sono separati dagli altri: è chiaro infatti che non tutti sono membra di Gesù Cristo.

Il seguito del passo, cioè che sono stati eletti per essere santi, abbatte l'errore cui abbiamo accennato: che l'elezione derivi dalla prescienza. Queste parole lo contraddicono esplicitamente, sottolineando che tutto quel che vi è di bene e di buono negli uomini, è frutto ed effetto dell'elezione.

Se si cerca qualche causa più profonda del perché sono eletti gli uni anziché gli altri, san Paolo risponde che Dio li ha predestinati a suo piacimento. Con queste parole annulla tutti i mezzi che ogni uomo pensa aver avuto in se per essere eletto; infatti dichiara che tutti i beni che Dio ci concede per la vita spirituale sgorgano da questa sola fonte: egli ha scelto quelli che ha voluto e, prima che fossero nati, ha preparato e riservato la grazia che voleva dare loro.

3. Laddove regna questo volere di Dio, nessuna opera è presa in considerazione. È: vero che non lo afferma nel passo citato, ma bisogna comprendere il paragone come lo spiega altrove. "Ci ha chiamati "dice "nella sua santa vocazione, non secondo le nostre opere ma secondo il suo volere e la sua grazia, che ci è stata data in Cristo da ogni eternità " (2Ti 1.9). Ho già detto che le parole che seguono: affinché fossimo santi ed immacolati ci liberano da ogni scrupolo. Poiché se diciamo che ci ha scelti in quanto prevedeva che saremmo santi, rovesciamo l'ordine di san Paolo.

Possiamo dunque affermare con certezza che ci ha eletti affinché fossimo santi, non in quanto prevedeva che dovessimo esser tali; infatti sono cose opposte, che i credenti abbiano la loro santità dall'elezione e che per questa santità siano stati eletti.

Il cavillo a cui ricorrono sempre, qui non vale: se Dio non retribuisce i meriti che precedono la grazia dell'elezione, tuttavia la conferisce per i meriti futuri. Non vale perché quando è detto che i credenti sono stati eletti affinché fossero santi, ciò implica che tutta la loro santità inizia dall'elezione. E come sarà possibile che quanto è prodotto dall'elezione ne sia la causa? L'Apostolo conferma inoltre quel che aveva detto, aggiungendo che Dio ci ha eletti secondo il decreto della sua volontà, che aveva determinato in se stesso (Ef. 1.5). È come se dicesse che non ha preso in considerazione nulla all'infuori di se stesso, nulla a cui abbia avuto riguardo nel prendere una tal decisione. Subito dopo aggiunge che il centro della nostra elezione deve tendere allo scopo di lodare la grazia di Dio (Ef. 1.6). Certo, la grazia di Dio non meriterebbe di essere lei sola esaltata nella nostra elezione, se questa elezione non fosse gratuita. Orbene essa non è gratuita se Dio, eleggendo i suoi, considera quali saranno le opere di ciascuno.

Ciò che Cristo diceva ai suoi discepoli vale per tutti i credenti: "Non mi avete scelti voi, ma io vi ho scelti " (Gv. 15.16). E con questo non solo esclude tutti i meriti precedenti, ma intende dire che non avevano nulla in se per essere eletti, se non il fatto che li ha prevenuti con la sua misericordia. In questo senso bisogna intendere anche l'affermazione di san Paolo: "Chi gli ha dato per il primo, e gli sarà contraccambiato? " (Ro 11.35). Vuole infatti indicare che la bontà di Dio previene gli uomini, senza trovare nulla in loro, né per il passato né per il futuro, da cui possa essere condizionata.

4. Inoltre, nell'epistola ai Romani, dove esamina più a fondo questo argomento, afferma che non tutti coloro che sono nati i da Israele sono Israeliti (Ro 9.6). Infatti, benché fossero tutti benedetti per diritto ereditario, non tutti sono giunti in egual misura alla successione.

La polemica che egli qui conduce proveniva dall'orgoglio e dalla millanteria del popolo ebraico; attribuendosi il nome di Chiesa, volevano che ci si fermasse a loro, e che non si credesse all'evangelo se non Cl. Loro consenso. Oggi ancora, i papisti si sostituirebbero volentieri a Dio, protetti da quell'ombra del nome di Chiesa, dietro cui si nascondono.

San Paolo, sebbene ammetta che la stirpe di Abramo è santa a causa del Patto, sostiene tuttavia che molti sono estranei ad esso, non solo in quanto si sono imbastarditi rispetto ai loro padri ma perché l'elezione particolare di Dio è al di sopra, e lei sola ratifica l'adozione. Se gli uni fossero ammessi alla speranza della salvezza per la loro pietà, e gli altri ne fossero respinti per la loro sola ingratitudine e rivolta, san Paolo si esprimerebbe impropriamente e stoltamente con l'indirizzare i lettori all'elezione segreta, che non giungerebbe a proposito. Ma se la volontà di Dio, la cui causa non è visibile all'infuori di lui, e che non è lecito cercare altrove, distingue gli uni dagli altri i figli di Israele, è assurdo immaginare che la condizione di ognuno tragga origine da quel che hanno in loro stessi.

San Paolo prosegue facendo l'esempio di Esaù e di Giacobbe. Benché fossero entrambi discendenti di Abramo, ed in quel tempo rinchiusi nel ventre della loro madre, il trasferire a Giacobbe l'onore della primogenitura è stato un cambiamento quasi prodigioso, da cui, afferma san Paolo, è stata attestata l'elezione dell'uno e la riprovazione dell'altro.

Quando si cerca l'origine e la causa di questa decisione, gli esperti di prescienza la vedono nei vizi e nelle virtù: infatti ritengono sia per loro un buon espediente l'affermare che Dio ha fatto vedere, nella persona di Giacobbe, che elegge coloro che sono degni della sua grazia e, nella persona di Esaù, che respinge quanti ne sono indegni. Ecco quel che asserisce quella gente ardita e sicura.

Consideriamo invece quel che dice san Paolo: "Prima che fossero nati, e che avessero compiuto alcunché di bene o di male, onde rimanesse fermo il proponimento dell'elezione di Dio che dipende non dalle opere ma dalla volontà di colui che chiama, fu detto: il maggiore servirà al minore; poiché è scritto: ho amato Giacobbe, ho odiato Esaù " (Ro 9.2.13). Se la prescienza servisse a qualcosa per distinguerli fra loro, a che scopo sarebbe fatta menzione del tempo? Poniamo il caso che Giacobbe sia stato eletto in quanto una tal dignità gli è stata acquisita dalle sue virtù future, che motivo avrebbe avuto san Paolo di dire che non era ancora nato? Anche l'aggiunta che né l'uno né l'altro avevano agito in bene o in male sarebbe fuori luogo, poiché la risposta sarebbe a portata di mano; che nulla è nascosto a Dio e che la pietà di Giacobbe gli è stata sempre presente. Se le opere meritano ricompensa, è certo che Dio le apprezza prima della nascita come nella vecchiaia.

Ma l'Apostolo, proseguendo, scioglie benissimo questo nodo: Riguardo a e opere, non mischia né il passato né il futuro; e opponendole in modo preciso alla vocazione di Dio, è chiaro che con l'una distrugge le altre, come se dicesse: dobbiamo considerare quale è stata la libera volontà di Dio, non quello che gli uomini hanno portato da per se stessi. Infine, è certo che con i termini "elezione "e "piano, "ha voluto respingere, su questo punto, tutte le cause che gli uomini si creano all'infuori del volere segreto di Dio.

5. Che pretesto prenderanno, per oscurare queste parole, coloro che danno qualche importanza alle opere precedenti o future, in riferimento alla nostra elezione? Significa capovolgere completamente l'affermazione dell'apostolo, secondo cui la differenza fra i due fratelli non dipende affatto dalle loro opere ma dalla pura vocazione di Dio, poiché Dio ha deciso quel che ne doveva fare prima che nascessero. La sottigliezza di cui si valgono i sofisti non sarebbe sfuggita a san Paolo, se avesse avuto qualche fondamento. Ma, che consiste nel causa ed origine. Molte parole dell'apostolo ci dicono che la salvezza dei credenti è fondata sulla libera decisione dell'elezione di Dio, e che un tal favore non è loro procurato da alcuna opera, ma deriva loro dalla sua bontà gratuita. Abbiamo anche uno specchio o un dipinto, per raffigurarci questo, in Esaù e Giacobbe: sono fratelli gemelli generati dagli stessi genitori. Quando erano ancora nel ventre della loro madre, prima di nascere, ogni cosa era simile in loro; tuttavia il giudizio di Dio li distingue, poiché ne sceglie uno e respinge l'altro. C'era solo la primogenitura a far sì che l'uno fosse preferito all'altro; ma anche quella è tralasciata e viene dato all'ultimo quel che è negato al primo.

Anche in molti altri sembra che Dio abbia deliberatamente vilipeso la primogenitura, onde togliere alla carne ogni motivo di gloria. Respingendo Ismaele, dà il suo cuore a Isacco; abbassando Manasse, preferisce Efraim (Ge 48.20).

6. Se qualcuno controbatte che non bisogna decidere della vita eterna con simili argomenti inferiori e di poco peso, e che è una beffa dedurre che colui che è stato esaltato dall'onore della primogenitura sia stato accolto nell'eredità celeste (come molti che non risparmiano neanche san Paolo, dicendo che ha abusato delle testimonianze della Scrittura applicandole a questo argomento ) , rispondo, come già ho fatto, che l'Apostolo non ha parlato in modo sconsiderato né ha voluto distorcere le testimonianze della Scrittura. Ma vedeva ciò che quella gente non può capire: che Dio ha voluto, mediante un segno corporeo, render palese l'elezione spirituale di Giacobbe, che altrimenti sarebbe rimasta nascosta nel suo piano segreto. Infatti, se non riferiamo alla vita futura la primogenitura che è stata data a Giacobbe, la benedizione che egli ricevette sarebbe alquanto ridicola, visto che non ne ha ricavato altro che miseria e calamità, ed è stato cacciato dal paese di nascita ed ha sofferto grande angoscia. San Paolo dunque, vedendo che quella benedizione esteriore di Dio ne attestava una permanente e non caduca, preparata nel regno dei cieli per il suo servitore, non ha esitato a considerare la primogenitura ricevuta da Giacobbe come prova dell'elezione di Dio. Dobbiamo altresì ricordare che la terra di Canaan è stata un pegno dell'eredità celeste. Non dobbiamo dunque dubitare che Giacobbe sia stato incorporato in Gesù Cristo, per essere compagno degli angeli in una medesima vita. Giacobbe dunque è eletto ed Esaù respinto: essi sono discriminati dall'elezione di Dio, quantunque non differiscano riguardo ai meriti.

Se se ne chiede il motivo, san Paolo lo spiega con quanto è stato detto a Mosè: "Avrò pietà di colui di cui avrò pietà, e farò misericordia a colui al quale farò misericordia " (Ro 9.15). E che cosa significa ciò? Certo, il Signore afferma chiaramente che non trova in noi alcun motivo che lo spinga a farci del bene; ma che trae tutto dalla sua misericordia, poiché la salvezza dei suoi è opera sua. Se Dio collocala salvezza che ci dà soltanto in se stesso, perché scenderesti fino a te? E se indica la sua sola misericordia come causa di tutto, perché ti volgeresti verso i tuoi meriti? Se vuol fissare tutto il tuo pensiero nella sua sola bontà, perché lo volgerai in parte a considerare le tue opere?

Perciò bisogna giungere a quella piccola frazione del popolo, della quale san Paolo dice in un altro passo che è stata preconosciuta da Dio (Ro 11.2); non già come immaginano quegli imbroglioni, che Dio prevede pur rimanendo ozioso e senza immischiarsi di nulla: ma nel senso in cui questo termine è spesso utilizzato nella Scrittura. Infatti quando san Pietro dice, negli Atti, che Gesù Cristo è stato mandato a morte per il Dio (At. 2.23) non parla di Dio come di uno che se ne sta fantasticando in ozio, ma come autore della nostra salvezza Ne consegue che la sua prescienza implica un impegno. Lo stesso apostolo, dicendo che i credenti, ai quali scrive, sono eletti da Dio secondo la sua prescienza (1 Pi. 1.2) , esprime con questo termine la predestinazione per mezzo della quale Dio si è scelti i figli che ha voluto. Aggiungendo il termine "proponimento "come sinonimo, non c'è dubbio che egli voglia dire che Dio non cerca fuori di se la causa della nostra salvezza, visto che questo termine esprime una decisione certa. Nello stesso senso afferma, in quel capitolo, che Gesù Cristo è l'agnello che è stato preconosciuto prima della creazione del mondo (1 Pi. 1.19); nulla infatti sarebbe più insipido o più freddo dell'affermare che Dio si è limitato a guardare dall'alto, da dove la salvezza doveva giungere al genere umano. Pertanto il popolo preconosciuto equivale ad una piccola porzione, mescolata ad un gran numero di gente che si fregia a torto del nome di Dio.

Anche san Paolo, in un altro passo, per annullare il vanto di coloro che si ricoprono del titolo esteriore, come di una maschera, per usurpare un posto onorevole nella Chiesa, dice che Dio conosce i suoi (2Ti 2.19). Con questa espressione egli indica due popoli: uno è rappresentato da tutta la discendenza di Abramo, l'altro, dalla parte che ne è estratta, e che Dio si riserva come un tesoro nascosto, tanto che essa non è esposta alla vista degli uomini. E senza dubbio egli ha preso questo da Mosè, il quale afferma che Dio farà misericordia a chi vorrà, anche in mezzo al popolo eletto, quantunque la loro condizione sia apparentemente uguale. È come se dicesse che, malgrado l'adozione sia comune a tutto il popolo, tuttavia Dio si è riservato una grazia particolare come tesoro singolare verso coloro a cui gli piace darla, e che il patto comune non impedisce che egli tragga dalla schiera comune un piccolo numero di eletti. E volendosi proclamare signore e dispensatore in tutta libertà, afferma precis.mente che non farà misericordia a questo piuttosto che a quello, se non in quanto gli piacerà agire così. Se la misericordia si presenta solo a coloro che la cercano, è vero che essi non ne sono respinti, ma prevengono o acquistano in parte il favore di cui Dio si riserva la lode.

7. Ascoltiamo ora quel che, su tutta la questione, afferma il maestro e giudice sovrano. Vedendo una così grande insensibilità nei suoi uditori, che ostacolava il suo insegnamento, rendendolo quasi inutile, per rimediare allo scandalo che i deboli nella fede avrebbero potuto riceverne, esclama: "Tutto quel che il Padre mi affida verrà a me; infatti la volontà del Padre è che io non perda nulla di tutto quel che mi avrà dato " (Gv. 6.37). Notate bene che il nostro essere affidati alla protezione del nostro Signor Gesù deriva dal dono del Padre, e questo è il punto di partenza.

Qualcuno forse rovescerà la situazione, replicando che Dio riconosce nel numero dei suoi coloro che si danno a lui di buon grado, per fede. Ma Gesù Cristo insiste su questo punto soltanto: che cioè quando tutto il mondo fosse scosso da infinite rivolte, la decisione di Dio riguardo all'elezione rimane stabile, anzi più stabile dei cieli. È detto che gli eletti appartenevano al Padre celeste prima che questi li desse al suo unico figlio. Bisogna sapere se ciò accade per natura. Al contrario, egli rende suoi sudditi coloro che gli erano estranei, attirandoli a sé. Le parole che seguono sono troppo chiare per poterle travisare, tergiversando in qualche modo: "Nessuno "dice "può venire a me se il Padre non ve lo attira; ma colui che ha udito il Padre e imparato da lui, viene a me " (Gv. 6.44). Se tutti piegassero indifferentemente il ginocchio dinanzi a Gesù Cristo, l'elezione sarebbe comune; ma si manifesta una gran diversità nel piccolo numero dei credenti.

Perciò Gesù Cristo stesso, dopo aver detto che i discepoli che gli sono stati dati sono possesso di suo Padre, aggiunge poco oltre: "Io non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dati, poiché sono tuoi " (Gv. 17.6.9). Da questo deriva che non tutto il mondo appartiene al suo Creatore, se non nella misura in cui la grazia allontana dalla maledizione e dall'ira di Dio un piccolo nucleo di persone che altrimenti sarebbe perito, e lascia il mondo nella perdizione a cui è destinato. Del resto, per quanto Cristo si metta come in mezzo fra il Padre e noi, continua ad attribuirsi anche il diritto di eleggere in comune Cl. Padre: "Non parlo di tutti "dice "so quali ho eletto" (Gv. 13.18). Se si vuol sapere da dove li ha scelti, risponde: "Dal mondo " (Gv. 15.19) , che esclude dalle sue preghiere quando raccomanda al Padre i suoi discepoli. Notiamo tuttavia che dicendo di conoscere quelli che ha scelto, delimita una parte del genere umano, e non la distingue dagli altri in base alle virtù che avrebbero in loro, ma in quanto è messa a parte da un decreto celeste; ne deriva che tutti gli eletti, di cui Gesù Cristo si fa autore, non eccellono al disopra degli altri per loro iniziativa.

Quando, in un altro passo, mette Giuda nel numero degli eletti (Gv. 6.70) malgrado fosse un figlio di perdizione, si riferisce soltanto all'ufficio di apostolo; e benché un simile ufficio sia come uno specchio del favore di Dio, come san Paolo lo riconosce spesso nella sua persona, non porta con se la speranza della salvezza eterna. Giuda, dunque, comportandosi slealmente nella sua carica, ha potuto essere peggio di un diavolo; o, non permetterà che (Gv. 10.28) , -visto che per attuare la loro salvezza spiegherà la potenza di Dio, che, secondo la promessa, è più forte di ogni cosa. Quanto a quel che dice altrove: "Padre, nulla di quel che tu mi hai dato è perito, se non il figlio di perdizione " (Gv. 17.12) , sebbene sia un'espressione impropria, non contiene alcuna ambiguità.

Il punto centrale è che Dio crea per adozione gratuita coloro che vuole avere come figli; e che la causa intrinseca, come si suol dire, dell'elezione, risiede in lui, visto che prende in considerazione soltanto quanto gli piace.

8. Ma qualcuno mi obietterà che sant'Ambrogio, Girolamo, Origene, hanno scritto che Dio distribuisce la sua grazia fra gli uomini nella misura in cui sa che ciascuno ne farà buon uso. Aggiungerò, anzi, che sant'Agostino è stato dello stesso parere; ma dopo aver meglio approfondito la conoscenza della Scrittura, non solo ritratta una tale opinione come falsa, ma la confuta con fermezza. Rimproverando i Pelagiani che persistevano in questo errore, dice testualmente: Chi non si meraviglierebbe che sì grande intelligenza sia mancata all'apostolo? "Poiché, avendo messo avanti il caso, molto strano, concernente Esaù e Giacobbe, ed essendosi chiesto: "C'è forse iniquità in Dio? "Avrebbe dovuto rispondere che Dio aveva previsto i meriti dell'uno e dell'altro, se avesse voluto cavarsela rapidamente. Invece non fa una affermazione del genere, ma riferisce tutto al giudizio e alla misericordia di Dio". E in un altro passo, dopo aver affermato che l'uomo non ha alcun merito dinanzi all'elezione, dice: "l'argomento della prescienza di Dio, che alcuni mettono avanti contro la sua grazia, è qui abbattuto come inconsistente. Affermano che siamo eletti prima della creazione del mondo, poiché Dio ha previsto che saremmo buoni, e non che ci farebbe tali. Ma egli non afferma questo, quando dice: "Non mi avete scelto, ma io ho scelto voi " (Gv. 15.16; infatti se ci avesse scelti in quanto prevedeva che saremmo buoni, avrebbe anche previsto che l'avremmo scelto ".

La testimonianza di sant'Agostino sia dunque presa in considerazione da coloro che si basano volentieri sull'autorità dei Padri! Tanto più che sant'Agostino non tollera di essere disgiunto dagli altri antichi dottori, e afferma che i Pelagiani gli facevano torto accusandolo di essere il solo di quella opinione. Cita dunque, nel libro Sulla Predestinazione dei Santi, cap. 19, l'affermazione di sant'Ambrogio, che Gesù Cristo chiama coloro ai quali vuol fare grazia. E ancora: "Se Dio avesse voluto, avrebbe reso devoti coloro che non lo erano; ma egli chiama chi gli pare, e converte chi vuole "Si potrebbe comporre un intero volume con citazioni di sant'Agostino su questo punto; ma non voglio affliggere i lettori con una simile prolissità.

Ma immaginiamo che né sant'Agostino né sant'Ambrogio parlino, e consideriamo la cosa in se. San Paolo aveva posto un problema molto difficile, cioè se Dio agisce con giustizia facendo grazia soltanto a chi gli pare. Poteva risolverlo rapidamente, presumendo che Dio consideri le opere. Perché dunque non lo fece? Perché insiste talmente nella sua affermazione da lasciarci nella stessa difficoltà? L'unica ragione è che così doveva fare; poiché lo Spirito Santo, che parlava per bocca sua, non avrebbe omesso nulla per dimenticanza. Risponde dunque senza tergiversare che Dio accetta per grazia i suoi eletti perché così gli piace; che fa loro misericordia perché così gli piace. La testimonianza di Mosè che egli cita: "Avrò pietà di colui di cui avrò pietà, e faro misericordia a colui al quale farò misericordia " (Es. 33.19) , vale come se egli dicesse che Dio non è mosso a pietà e bontà se non perché lo vuole.

Quel che sant'Agostino dice in un altro passo rimane dunque vero: la grazia di Dio non trova nessuno che essa debba eleggere, ma rende gli uomini atti ad essere scelti.

9. E non mi preoccupo affatto di questa sottigliezza di Tommaso d Aquino: benché dalla parte di Dio la preconoscenza dei meriti non possa essere definita causa della predestinazione, la possiamo chiamare così da parte nostra; come quando è detto che Dio ha predestinato i suoi eletti a ricevere gloria per i loro meriti, perché ha voluto dar loro la grazia per mezzo della quale meritano questa gloria. Al contrario, poiché Dio non vuole che consideriamo altro, nella nostra elezione, all'infuori della sua pura bontà, è ambizione perversa il voler considerare qualcosa di più. Se volessi imboccare la via delle sottigliezze avrei ampiamente di che controbattere questa trovata di Tommaso. Egli deduce che la gloria e in qualche modo preordinata agli eletti per i loro meriti, poiché Dio dà loro in primo luogo la grazia per meri. Tarla. Ma che accadrà se, al contrario, replico che la grazia dello Spirito Santo che il Signore dà ai suoi, serve alla loro elezione, e la segue anziché precederla, visto che è conferita a coloro ai quali l'eredità della vita era già assegnata? Infatti, giustificare dopo aver eletto, è l'ordine voluto da Dio. Da ciò deriverà che la predestinazione di Dio, per mezzo della quale egli delibera di chiamare i suoi alla salvezza, è la causa del suo proposito di giustificarli, piuttosto che il contrario.

Tralasciamo questi dibattiti, poiché sono superflui a coloro che ritengono di trovare abbastanza sapienza nella parola di Dio. Molto bene si è espresso un antico dottore: coloro che ripongono nei meriti la causa dell'elezione, vogliono sapere più di quanto sia opportuno.

10. Taluni obiettano che Dio si contraddirebbe se, chiamando in generale tutti gli uomini a se, accogliesse solo pochi eletti. Se si vuol credere loro, l'universalità delle promesse annulla la grazia speciale, affinché tutti siano in condizione di parità. Ammetto che alcuni dotti di spirito moderato parlano in questi termini, non tanto per offuscare la verità, quanto per evitare questioni contorte e porre un freno alla curiosità di molti. In questo il loro intento è lodevole, ma non buono, in quanto le scappatoie non sono mai scusabili.

Quanto a coloro che oltrepassano i limiti abbaiando come cani mastini, i loro cavilli, che ho citato, sono frivoli, oppure grossolani errori.

Come la Scrittura concili queste due cose, che cioè tutti sono chiamati al pentimento ed alla fede per mezzo della predicazione esteriore, e che tuttavia lo spirito di pentimento e di fede non è dato a tutti, l'ho già spiegato altrove, e dovrò ancora ribadire qualcosa.

Non accetto la loro tesi poiché, in effetti, la considero falsa sotto un duplice aspetto. Dio, minacciando di far piovere su una città e di mandare siccità all'altra, e predicendo che altrove vi sarà fame della sua parola (Am 4.7; 8.2) , non si attiene alla norma precis. Di chiamare tutti indistintamente. Proibendo a San Paolo di predicare in Asia e distogliendolo dalla Bitinia per trarlo in Macedonia (At. 16.6.8) , dimostra di esser libero di distribuire il tesoro della salvezza a chi gli pare. Dichiara ancor più apertamente per bocca di Isaia in qual modo particolare assegna le promesse di salvezza ai suoi eletti; infatti è di loro che dice che saranno suoi discepoli, e non di tutto il genere umano (Is. 8.16). Perciò sbagliano in modo grossolano coloro che vogliono che la dottrina della salvezza giovi a tutti senza eccezioni, visto che il frutto ne è riservato ai figli della Chiesa. Ci basti questo per ora: quando Dio chiama tutti ad ubbidirgli, questa generalità non impedisce che il dono della fede sia ben raro.

Isaia ne vede il motivo nel fatto che il braccio di Dio non è rivelato a tutti (Is. 53.1). Se dicesse che l'Evangelo è malamente vilipeso, in quanto molti vi resistono con ostinata ribellione, coloro che sostengono che la salvezza è comune a tutti ne avrebbero qualche motivo; ma è escluso. È vero che il Profeta non intende minimizzare la colpa degli uomini, dicendo che la fonte del loro accecamento è che Dio non ha manifestato loro la sua potenza; soltanto avverte, in quanto la fede è un dono singolare di Dio, che le orecchie sono colpite invano dalla sola predicazione esterna.

Vorrei proprio sapere da questi bravi dottori se a renderci figli di Dio è la sola Parola predicata oppure la fede. Certo, quando è detto, nel primo capitolo di san Giovanni, che tutti coloro che credono in Gesù Cristo sono resi anche figli di Dio, non si raggruppano in modo confuso tutti gli uditori, ma viene assegnato un posto particolare ai credenti, i quali cioè non sono nati da sangue né da volontà di carne né da volontà d'uomo, ma da Dio (Gv. 1.12).

Se obiettano che c'è correlazione fra la Parola e la fede, rispondo che questo è vero, quando c'è la fede. Ma non è una novità che il seme cada fra le spine o sulle pietre, non solo perché la maggior parte degli uomini è ribelle a Dio e si dimostra in effetti tale, ma in quanto non tutti hanno gli occhi per vedere e le orecchie per udire.

Se chiedono che motivo c'è che Dio chiami a se coloro che sa che non verranno, sant'Agostino risponda loro per me: "Vuoi forse"dice "discutere con me di questo argomento? Piuttosto, meravigliati con me ed esclama: oh quale altezza! Meravigliamoci entrambi, per non perire nell'errore ".

Inoltre, se l'elezione è madre della fede, come san Paolo attesta, la loro argomentazione si ritorce contro di loro: la fede non è generale, in quanto l'elezione da cui proviene è particolare. Infatti, quando san Paolo dice che i credenti sono ripieni di ogni benedizione spirituale, poiché Dio li aveva eletti prima della creazione del mondo (Ef. 1.3) , è facile concludere, secondo la logica della causa e del suo effetto, che tali ricchezze non sono comuni a tutti, poiché Dio ha eletto solo chi ha voluto. Ecco perché in un altro passo parla esplicitamente della fede degli eletti (Tt 1.1) , affinché non paia che ciascuno si procura la fede di sua iniziativa, ma che in Dio risiede la gloria che coloro, i quali ha eletti, sono da lui gratuitamente illuminati. E san Bernardo dice molto giustamente che coloro che egli considera suoi amici l'odono a parte, e si rivolge a loro in maniera particolare dicendo: "Non temete, piccolo gregge, poiché vi è dato conoscere il mistero del regno dei cieli " (Lu 12.32; Mt. 13.2). In seguito domanda chi sono costoro, cioè quelli che egli ha conosciuti e predestinati ad esser resi conformi all'immagine del suo figlio. Ecco una decisione profonda e ammirevole che ci è stata resa nota: Dio solo conosce i suoi; ma ciò che gli era noto è stato manifestato agli uomini; ed egli non ammette alla conoscenza di un tale mistero se non coloro che ha predestinati. Su questo conclude: "La misericordia di Dio d'eternità in eternità su quelli che lo temono. D'eternità, a causa della predestinazione. In eternità, a causa della beatitudine che sperano. L'una non ha principio; l'altra non ha fine ".

Ma perché cito san Bernardo come testimone, visto che udiamo dalla bocca del Maestro che solo coloro che sono da Dio possono vedere? (Gv. 6.46). Con questo intende dire che chi non è rigenerato dall'alto, è abbagliato e stordito dallo splendore del suo volto. È vero che la fede può ben essere unita all'elezione, a condizione che essa sia collocata ad un posto più basso, secondo l'ordine che ci è espresso in un altro passo, in cui Gesù Cristo dice: "É il volere di mio Padre che io non perda nulla di quello che mi ha dato; poiché la sua volontà è che chiunque crede al Figlio non perisca " (Gv. 6.39). Certo, se Dio volesse che tutti siano salvati, darebbe a tutti Gesù Cristo come custode, e li unirebbe tutti al corpo di lui per mezzo del vincolo della fede. È: chiaro che la fede è un pegno singolare del suo amore paterno, pegno che è come nascosto e riservato ai figli che ha adottato. Perciò Gesù Cristo afferma altrove che le pecore seguono il loro pastore, poiché conoscono la sua voce; esse non seguono un estraneo, poiché non conoscono la voce degli estranei (Gv. 10.4). Donde viene un tal discernimento, se non dal fatto che le orecchie sono raggiunte dallo Spirito Santo? Nessuno infatti si fa pecora, ma è formato e preparato ad esserlo per grazia celeste. Perciò il nostro Signor Gesù dice che la nostra salvezza e assicurata, e per sempre fuori pericolo, in quanto è custodita dalla potenza invincibile di Dio (Gv. 10.29). Da ciò conclude che gli increduli non sono inclusi fra le sue pecore (Gv. 10.26) , poiché non sono nel numero di coloro ai quali Dio ha promesso per bocca di Isaia di farli suoi discepoli.

Del resto, poiché nelle testimonianze che ho citato è menzionata in modo chiaro la perseveranza, ciò dimostra che l'elezione e costante e ferma, senza variare affatto.

2. Trattiamo ora dei reprobi, di cui san Paolo parla pure in quel passo. Come Giacobbe è accolto per grazia senza aver nulla meritato per mezzo delle sue buone opere, anche Esaù è respinto da Dio senza averlo offeso in nulla (Ro 9.13). Se volgiamo il nostro pensiero alle opere, accusiamo l'Apostolo, di non aver visto quello che a noi è evidente. Che non l'abbia visto, è chiaro, poiché sottolinea espressamente che sebbene non avessero fatto né bene né male, l'uno è stato eletto, l'altro respinto; da ciò conclude che il fondamento della predestinazione non risiede nelle opere.

Inoltre, avendo sollevato il problema se Dio è ingiusto, non afferma che Dio ha ripagato Esaù secondo la sua malvagità (quella sarebbe stata la difesa più evidente e chiara della giustizia di Dio) ma dà una soluzione del tutto diversa: Dio suscita i reprobi, per esaltare in loro la sua gloria. Infine conclude che Dio fa misericordia a chi gli pare, e indura chi gli pare (Ro 9.18).

Vediamo così che riconduce l'uno e l'altro al buon volere di Dio. Se non possiamo dunque stabilire altra ragione per la quale Dio accetta i suoi eletti, se non perché così gli piace, non avremo parimenti altra ragione del suo respingere gli altri, all'infuori della sua volontà. Poiché quando è detto che Dio indurisce i cuori o fa misericordia secondo quanto gli piace, è per ammonirci a non cercare alcuna spiegazione all'infuori della sua volontà.