Letteratura/Istituzione/4-01

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Indice generale

Istituzioni della religione cristiana (Calvino)

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CAPITOLO I

DELLA VERA CHIESA CON CUI DOBBIAMO MANTENERCI UNITI, IN QUANTO È MADRE DI TUTTI I CREDENTI

1. È stato illustrato nel libro precedente in qual modo, mediante la fede nell'evangelo, Gesù Cristo diventi nostro e noi siamo resi partecipi della salvezza da lui recata e della beatitudine eterna.

Ma, poiché la nostra pigrizia, la nostra ignoranza, e altresì la vanità dei nostri spiriti, necessitano di aiuti esterni, mediante cui la fede sia generata in noi, cresca e progredisca, Dio non ha dimenticato di fornirceli a sostegno della nostra debolezza. Affinché la predicazione dell'evangelo proseguisse il suo corso, egli ha affidato questo tesoro in deposito alla sua Chiesa: ha istituito dei pastori e dei dottori (Ef. 4.2) , per bocca dei quali rivolgerci i suoi insegnamenti; non ha insomma trascurato nulla che potesse produrre fra noi un santo consenso di fede ed un buon ordine. Ha istituito anzitutto i sacramenti, che sappiamo essere, per esperienza, strumenti particolarmente utili ad alimentare e confermare la nostra fede. Dato che, rinchiusi nella nostra carne come in un carcere, non siamo ancora pervenuti ad un livello angelico Dio, adeguandosi alle nostre capacità, ha scelto, nella sua mirabile provvidenza, questo procedimento per permetterci di accedere a lui quantunque siamo lontani.

La disposizione della materia richiede che tratti ora della Chiesa e del suo regime, degli uffici connessi con la sua opera, della sua autorità, dei sacramenti ed infine della disciplina ecclesiastica; e cerchi di liberare i lettori dalla corruzione e dagli abusi con cui Satana ha cercato di imbastardire nel papismo quanto Dio aveva prescelto per la salvezza nostra.

Inizierò con la Chiesa, in seno alla quale Dio ha voluto raccogliere i suoi figli, affinché non solo fossero nutriti dal ministero di lei in età infantile ma affinché essa eserciti una cura materna costante nel guidarli sino al raggiungimento della maturità, anzi della meta finale della fede. Non è lecito infatti scindere queste due realtà, che Dio ha congiunte: essere la Chiesa madre di tutti coloro di cui egli è padre.

Questo fatto non si è verificato soltanto sotto la Legge, ma permane tuttora valido, anche dopo l'avvento di Gesù Cristo; lo attesta san Paolo dichiarando che siamo figli della nuova Gerusalemme celeste (Ga 4.20).

2. Allorquando nel Credo confessiamo di credere la Chiesa, questo articolo di fede non si riferisce solo alla Chiesa visibile, di cui stiamo ora parlando, ma a tutti gli eletti di Dio, fra cui sono inclusi coloro che sono già trapassati. Perciò viene adoperato il termine "credere", spesso infatti non siamo in grado di discernere chiaramente la differenza tra i figli di Dio e la gente profana, tra il suo santo gregge e le bestie selvatiche.

In quanto alla preposizione "in", che alcuni inseriscono a questo punto, essa non è motivata da validi argomenti. Ammetto che si tratti della forma oggi maggiormente in uso e sia stata adoperata anche nell'antichità; lo stesso simbolo di Nicea, citato nella storia ecclesiastica, dice "credere nella Chiesa ". Risulta tuttavia dai testi degli antichi Padri, che era altresì accolta senza difficoltà l'espressione "credere la Chiesa ", anziché "credere nella Chiesa". Sant'Agostino, infatti, e l'autore del trattato sul Simbolo, attribuito a san Cipriano, non solo si esprimono in questi termini, ma sostengono anzi che l'espressione risulterebbe.

Impropria qualora vi fosse aggiunta la preposizione "in ". E questa loro tesi poggia su un argomento per nulla frivolo. Infatti noi confessiamo di credere "in Dio ", in quanto a lui il nostro cuore si affida, sapendolo veritiero, ed in lui ripone la sua fiducia. Questo non si addice alla Chiesa, né alla remissione dei peccati, né alla risurrezione dei morti. Pur non volendo polemizzare su questioni formali, preferisco dunque far uso di termini appropriati, che permettano di chiarire il problema, anziché ricorrere ad espressioni che inducano in errore senza necessità.

Il senso dell'espressione "credere" è di garantirci che, malgrado le macchinazioni del Diavolo e la congiura dei nemici di Dio e i loro sforzi violenti in vista di annullare la grazia di Cristo, questa non può essere soffocata, e il sangue di Gesù Cristo, non può essere reso sterile si che non produca i suoi frutti. È perciò necessario, a questo punto, fare riferimento all'elezione di Dio e altresì alla sua vocazione interiore, mediante la quale egli trae a se i suoi eletti, perché lui solo conosce coloro che gli appartengono e li custodisce nascosti sotto il suo sigillo, come dice san Paolo (Il Timoteo 2.19) , finché portino i suoi segni, mediante cui si possano discernere dai reprobi.

Trattandosi però soltanto di una manciata di uomini, per di più spregevoli e frammisti ad una grande moltitudine, nascosti come un po' di grano sotto un mucchio di paglia sull'aia, è d'uopo lasciare a Dio solo il privilegio di conoscere la sua Chiesa, a fondamento della quale sta la sua elezione eterna.

In realtà, non è sufficiente avere in mente il concetto che Dio ha i suoi eletti, occorre realizzare nello stesso tempo il fatto dell'unità della Chiesa, avendo la convinzione di essere realmente inseriti in essa. Se non siamo infatti uniti a tutte le altre membra sotto il comune Capo, cioè Gesù Cristo, non possiamo in alcun modo sperare nell'eredità futura. La Chiesa è perciò detta cattolica o universale, in quanto non se ne possono costituire due o tre, qualora la cosa fosse a noi possibile, senza lacerare Gesù Cristo. Anzi, gli eletti di Dio essendo così strettamente uniti in Gesù Cristo, in quanto dipendono tutti da uno stesso capo, sono resi tutti insieme uno stesso corpo, legati da quel vincolo che esiste tra le membra di un corpo umano. Sono dunque tutti uno, viventi della medesima fede, speranza e carità per lo Spirito di Dio, essendo chiamati non solo ad una stessa eredità, ma a diventare partecipi della gloria di Dio e di Gesù Cristo. Quantunque la terribile desolazione, che ovunque si riscontra, lasci supporre che nulla sussista della Chiesa, riteniamo dunque come un fatto certo che la morte di Cristo continua a recare frutto e Dio custodisce miracolosamente la sua Chiesa come in un nascondiglio, come fu detto ad Elia riguardo al suo tempo: "mi sono riservato settemila uomini, che non hanno piegato il ginocchio davanti a Baal " (3Re 19.18).

3. L'articolo del simbolo si riferisce però anche alla Chiesa nel suo aspetto esteriore, affinché ognuno di noi sia condotto a mantenersi in fraterno accordo con tutti i figli di Dio, ad attribuire alla Chiesa l'autorità che le compete e infine a comportarsi come una pecora del gregge. Perciò viene aggiunta "la comunione dei santi ", elemento questo da non sottovalutarsi, quantunque risulti trascurato dagli antichi, in quanto esprime molto bene la natura della Chiesa. Viene fatto così allusione al fatto che i santi sono raccolti nella comunità di Cristo in modo tale, che si debbono scambiare mutuamente i doni dati da Dio. Tuttavia non viene con questo annullata la diversità delle manifestazioni della grazia; vediamo infatti che i doni dello Spirito sono distribuiti in modi diversi, e altresì l'ordine dei rapporti non è sovvertito al punto che ognuno non abbia facoltà sue personali, poiché è necessario per il mantenimento della pace fra gli uomini che ognuno disponga delle sue facoltà. Questa comunità deve essere intesa nel senso dell'espressione di san Luca: "Non vi era che un cuore e un'anima nella moltitudine dei credenti " (At. 5.32) , e parimenti di san Paolo, quando esorta gli Efesini ad essere un corpo e uno spirito, in quanto sono chiamati ad un'unica speranza (Ef. 4.4). Persone convinte del fatto che Dio è loro padre comune e Cristo loro signore, non possono non essere unite fra loro dall'amore fraterno sì da scambiarsi reciproca. Mente i propri beni a vantaggio l'uno dell'altro. Giustamente ci è richiesto, ed è per noi utile, intendere quali frutti derivino da questo fatto; poiché dobbiamo credere la Chiesa, avendo la certezza di farne parte.

La nostra salvezza sarà saldamente fondata e stabilita, in modo che quand'anche tutto il mondo fosse sconvolto, ne permarrebbe la certezza intatta quando avremo inteso che essa poggia sull'elezione di Dio e non può venir meno senza che l'eterna provvidenza sia distrutta. Che inoltre riceve conferma dal fatto che Cristo deve permanere nella sua interezza e non permetterà che i suoi credenti siano separati da lui più di quanto tollererà che siano disperse le sue membra. Che abbiamo inoltre la certezza, che la verità permane con noi fintantoché dimoriamo in seno alla Chiesa. E infine sentiamo che sono rivolte a noi le promesse quando ci vien detto che vi sarà salvezza in Sion Dio dimorerà in perpetuo in Gerusalemme e non si allontanerà mai da essa (Gl. 2.32; Ob. 17; Sl. 16.6).

Tale è infatti la forza della comunione della Chiesa da mantenerci nella comunione con Dio. Parimenti il termine "comunione ", è in grado di procurarci grande conforto: dato che tutta quanta la grazia conferita dal nostro Signore alle sue membra e alle nostre ci appartiene, tutti i beni che possediamo risultano conferma della speranza nostra.

Del resto non è necessario per mantenerci nella comunione di quella Chiesa il vedere una comunità visibile e toccarla con mano. Anzi ci viene ricordato che, essendo oggetto di fede, la dobbiamo riconoscere quando è invisibile non meno che quando siamo in grado di riconoscerla chiaramente. E la nostra fede non risulta in nulla sminuita dal fatto di dover riconoscere alla Chiesa, una esistenza che la nostra intelligenza non può percepire. Tanto più che non ci viene richiesto in questo caso di distinguere gli eletti dai reprobi (giudizio che appartiene a Dio e non a noi ) , ma di avere nei nostri cuori la certezza che tutti coloro che, per clemenza di Dio padre e virtù dello Spirito Santo, sono resi partecipi di Cristo, sono messi a parte per costituire l'eredità di Dio; e che essendo noi nel numero di costoro siamo eredi di tale grazia.

4. Essendo ora mia intenzione discorrere della Chiesa visibile, impariamo dal solo titolo di madre quanto utile, anzi necessaria, sia la conoscenza di lei; non c'è infatti alcuna possibilità di entrare nella vita eterna, se questa madre non ci ha concepiti nel suo seno e non ci partorisce, ci allatta, ci custodisce infine sotto la sua direzione e la sua autorità finché, spogliati di questa carne mortale, siamo resi simili agli angeli (Mt. 22.30) .

La nostra debolezza infatti non ci consente, durante tutto il corso della nostra vita, di sottrarci all'apprendimento. È altresì da notare che fuori dal suo grembo non si può sperare di ottenere remissione dei peccati o salvezza alcuna come attestano Isaia e Gioele (Is. 37.32; Gl. 2.32); con cui Ez.chiele concorda affermando che coloro che Dio vuole escludere dalla vita celeste non faranno parte del suo popolo (Ez. 13.9).

Viceversa è detto che coloro che si convertono al servizio di Dio e alla vera religione verranno ad accrescere il numero dei cittadini di Gerusalemme. Per questa ragione è affermato in un altro salmo: "O Eterno ricordati di me con la benevolenza che usi verso il tuo popolo; visitami con la tua salvazione; affinché io veda il bene dei tuoi eletti, mi rallegri dell'allegrezza della tua nazione, e mi glori con la tua eredità " (Sl. 106.4-5). Queste parole limitano la benevolenza paterna di Dio e le manifestazioni particolari della vita spirituale al gregge di Dio a ricordarci quanto sia pernicioso e mortale il distaccarsi o l'allontanarsi dalla Chiesa.

5. Proseguiamo ora nell'esame di questo argomento. San Paolo dice che Gesù Cristo per compiere ogni cosa ha stabilito gli uni apostoli, gli altri profeti, gli altri evangelisti, gli altri pastori e dottori per il perfezionamento dei santi, per l'opera del ministero al fin di edificare il corpo di Cristo finché tutti siamo.

Arrivati all'unità della fede e della piena conoscenza del figlio di Dio, allo stato di uomini fatti, all'altezza della statura perfetta di Cristo (Ef. 4.2). Constatiamo che Dio, pur potendo far giungere in un momento i suoi alla perfezione, vuole invece farli crescere a poco a poco sotto le cure della Chiesa. Ne costituisce prova il fatto che la predicazione sia affidata ai pastori; ed a tutti è richiesto di lasciarsi con spirito docile ed umile condurre dai pastori a ciò preposti. Perciò il profeta Isaia aveva molto tempo innanzi descritto in questi termini il Regno di Cristo: "Il mio spirito che riposa su te e le mie parole che ho messe nella tua bocca non si dipartiranno mai dalla tua bocca né dalla bocca della tua progenie né dalla bocca della progenie della tua progenie " (Is. 59.21). Onde si deduce che coloro che rifiutano di essere nutriti dalla Chiesa, o respingono il cibo spirituale che essa offre loro, sono degni di morire di fame.

Certo è Dio che ci ispira la fede, ma egli lo fa mediante lo strumento del suo Evangelo, come ricorda san Paolo dicendo che la fede viene dall'udire (Ro. 10.17) , così come in Dio risiede la potenza della salvezza ma egli la manifesta nella predicazione dell'evangelo, come lo stesso apostolo ricorda in altri testi. Per questo Dio volle al tempo della Legge che il suo popolo si raccogliesse nel santuario affinché la dottrina insegnata dai sacerdoti mantenesse l'unità della fede. Espressioni singolari ed eccezionali riferite al tempio quali: il luogo del riposo di Dio (Sl. 132.14) , il SUO santuario e domicilio, il luogo dove egli siede fra i cherubini (Sl. 80.2) , hanno lo scopo di far amare e tenere in dovuta considerazione la predicazione della dottrina celeste e garantirne la dignità che potrebbe essere sminuita qualora ci si limitasse a considerare gli uomini mortali che ne sono messaggeri. Ed affinché prendiamo coscienza del fatto che quanto ci viene presentato in vasi di terra (2 Co. 4.7) e un tesoro inestimabile, Dio stesso interviene e chiede che venga riconosciuta la sua presenza in ciò che ha istituito perché egli è autore di queste disposizioni.

Per questo motivo, dopo aver proibito al suo popolo, di occuparsi di divinazione, arti magiche, negromanzia ed altre superstizioni (Le 9.31) aggiunge che gli darà come unica possibilità di essere istruito la presenza costante di profeti. Così come non ha innalzato il popolo antico sino agli angeli, ma gli ha suscitato.

Dottori in terra che avessero l'ufficio di messaggeri nei suoi confronti, egli intende oggi ammonirci mediante uomini. E come in antico Dio non si è limitato a dare per iscritto la sua Legge, ma ha stabilito i sacerdoti per esserne commentatori, ed ha voluto che venisse proclamata per bocca loro, così egli vuole oggi che non solo ognuno si impegni in una lettura personale, ma vi siano maestri e dottori per esserci guida ed aiuto.

Il vantaggio che ne deriva è duplice. Da un lato è prova opportuna per saggiare l'obbedienza della nostra fede il dover ascoltare i maestri che Dio ci manda come se fosse lui stesso a parlare. In secondo luogo egli si adegua, così facendo, alla nostra debolezza e preferisce rivolgersi a noi in modo umano mediante i suoi messaggeri per attirarci con dolcezza anziché spaventarci tuonando nella sua maestà. Ed in realtà ogni credente sente quanto questo modo familiare di insegnare sia confacente alla nostra natura dato che è impossibile non essere spaventati quando Dio parla nella sua maestà. Coloro che considerano l'autorità della parola annullata dalla spregevole e misera condizione dei ministri che l'annunziano si rivelano ingrati, poiché, fra i molti doni eccellenti con cui Dio ha arricchito il genere umano, risulta eccezionale il fatto che egli degni consacrare la bocca e la lingua degli uomini al suo servizio, acciocché in esse la sua voce risuoni. Non ci sia dunque gravoso accogliere con piena obbedienza la dottrina della salvezza che per suo esplicito comandamento ci viene offerta in questa forma. Poiché, quantunque la sua potenza non sia vincolata ad alcun strumento esterno, il voler rifiutare, come fanno molti insensati, questa forma ordinaria a cui ha voluto assoggettarci, significa immobilizzarsi in lacci mortali.

Non sono pochi coloro che, per orgoglio, presunzione, disprezzo o invidia, sono indotti a pensare che ricaveranno sufficiente profitto da una lettura ed una meditazione privata della Scrittura e sono perciò indotti a disprezzare le assemblee pubbliche ed a considerare superflua la predicazione. Ora, in quanto sciolgono e spezzano, così facendo, quel vincolo unitario che Dio vuole sia mantenuto inviolabile, è giusto che essi raccolgano il frutto di questa rottura autosuggestionandosi con sogni e fantasticherie.

Che li conducono alla confusione. Affinché una pura semplicità di fede permanga fra noi non ci sia gravoso e fastidioso il ricorrere a questo esercizio pedagogico che Dio ha considerato necessario, avendolo istituito, e che ci raccomanda così insistentemente.

Non si è mai trovato alcuno, neppure fra quei cani rabbiosi che si abbandonano senza ritegno alla beffa, che osi affermare che ci si possa tappare le orecchie quando Dio parla. Ma i profeti ed i santi dottori hanno spesso sostenuto lunghi ed impegnativi combattimenti contro i malvagi per sottometterli alla dottrina da loro predicata, perché costoro, nella loro arroganza, non possono tollerare il giogo rappresentato dal fatto di dover ricevere insegnamenti dalla bocca e per mezzo del ministero degli uomini. Fare questo significa cancellare l'immagine di Dio che risplende nella predicazione. Per questo è stato anticamente comandato ai credenti di cercare Dio nel tempio (Sl. 105.4) , comandamento ripetuto altresì spesso nella Legge: perché l'insegnamento e le esortazioni dei profeti rappresentavano per loro la vivente immagine di Dio, nel senso delle espressioni di Paolo quando si vanta del fatto che la gloria di Dio apparsa sul volto di Cristo risplende nella sua predicazione (2 Co. 4.6).

Tanto più odiosi ci debbono apparire quegli apostati che si sforzano di disperdere le chiese, quasi volessero cacciare le pecore dai loro recinti o dalle loro stalle, per gettarle nelle fauci dei lupi. Per quanto ci concerne ricordiamo il detto di san Paolo secondo cui la Chiesa può essere edificata solo mediante la predicazione esterna e il solo legame che sussiste fra i santi è quello di imparare e ricevere istruzioni di comune accordo secondo l'ordine stabilito da Dio. A questo scopo essenzialmente, come già abbiamo detto, Dio ha ordinato, un tempo, ai credenti sotto la Legge di raccogliersi nel santuario. Mosè lo chiama, per questa ragione, il luogo del nome di Dio, perché egli ha voluto che quivi fosse celebrato il suo ricordo (Es. 20.24). Con questo egli insegna chiaramente che l'uso del tempio risultava nullo senza l'insegnamento della verità. Non vi è dubbio che in questosenso deve intendersi la lagnanza angosciata ed amara di Davide perché l'accesso del tabernacolo gli è precluso dalla tirannia e dalla malvagità dei suoi nemici (Sl. 84.2).

Alcuni giudicano puerili queste espressioni: il non potersi avvicinare al santuario non dovrebbe essere privazione eccessiva, in quanto egli gode pur sempre dei suoi agi e piaceri. La tristezza ed il dolore che lo brucia e lo tormenta, anzi lo consuma interamente, nasce dal fatto che, per i credenti, nulla deve essere maggiormente apprezzato di questo mezzo mediante cui Dio li innalza a se quasi di grado in grado. Si deve anche notare che Dio si è rivelato anticamente ai padri nello specchio della sua dottrina in modo tale che risultasse chiaro che egli voleva essere conosciuto spiritualmente. Il tempio perciò non è solo detto suo volto ma anche suo sgabello al fine di evitare ogni superstizione (Sl. 132.7; 99.5; ). È l'incontro benedetto, di cui parla san Paolo, che ci procura la perfezione nell'unità della fede, quando tutti dal maggiore al minore si volgono al capo.

Per quanto concerne i templi che i pagani hanno edificato a Dio, con altro fine ed altre intenzioni, essi non hanno servito ad altro che a profanare il suo culto. Gli stessi Ebrei sono caduti in tale errore, sia pure in forma meno grossolana, e non sono mancate colpe da parte loro, come dice santo Stefano ricordando loro, per bocca di Isaia, che Dio non abita in edifici fatti da mano d'uomini (At. 7.48); lui solo ha l'autorità di consacrarsi dei templi con la sua parola e santificarli ad uso legittimo. Non appena assumiamo iniziative in modo sconsiderato, senza suo ordine, immediatamente ad un male ne segue un altro e molte fantasticherie vengono ad aggiungersi al principio già in se errato, talché la corruzione si moltiplica a dismisura.

Tuttavia Serse, re dei Persiani, agì stoltamente, ed in modo irresponsabile, distruggendo, dietro suggerimento dei filosofi del suo paese, tutti i templi della Grecia, con la scusa che gli dei, essendo liberi, non debbono essere rinchiusi fra le mura e sotto le tegole! Quasi Dio non avesse il potere di scendere sino a noi per mostrarsi più vicino, pur senza muoversi o cambiare sede, o vincolarsi ad alcuna forma terrestre, ma, anzi, per farci salire sino alla gloria celeste che riempie ogni cosa della sua grandezza infinita, sorpassando anzi in altezza i cieli.

6. Non possiamo evitare a questo punto, di affrontare il problema che ha suscitato, in tempi recenti, violenti dispute riguardo all'efficacia del ministero; alcuni infatti, volendo estenderne la dignità, hanno ecceduto oltrepassando i limiti ed altri hanno ritenuto che si giunge ad un generale pervertimento Cl. Trasferire all'uomo mortale ciò che è peculiare dello Spirito Santo, affermando che ministri e dottori penetrano nell'intendimento e nei cuori per porre rimedio sia alla cecità che alla durezza che vi si trovano. Si stabilirà facilmente un accordo fra le due tesi esaminando con attenzione la duplice serie dei testi in cui da un lato Dio, in qualità di autore della predicazione, congiungendo a quest'ultima il suo Spirito, promette che essa non passerà senza frutto, e d'altra parte, svincolandosi da ogni intervento esterno, attribuisce a se stesso sia l'inizio che il compimento della fede.

La missione del secondo Elia è consistita, secondo il profeta Malachia, nell'illuminare gli spiriti, convertire i cuori dei padri ai figli, e gli increduli alla sapienza dei giusti (Ma.6.4). Gesù Cristo afferma che manda i suoi apostoli acciocché traggano frutto dalla loro fatica (Gv. 15.16). San Pietro, dal canto suo, definisce brevemente in che consiste questo frutto dicendo che siamo rigenerati dalla parola predicata che è semenza incorruttibile di vita (1 Pi. 1.23). Paolo si gloria perciò di aver generato i Corinzi al Signore mediante l'Evangelo (1 Co. 4.15) , e del fatto che essi sono il suggello del suo apostolato (1 Co. 9.2) , e di non esser stato ministro di lettera, che ha colpito solo le orecchie Cl. Suono della voce, ma che l'efficacia dello Spirito gli è stata conferita affinché la sua dottrina non risultasse inutile (2 Co. 3.6). Secondo lo stesso concetto egli afferma altrove che il suo evangelo non ha consistito in parole ma in potenza di Spirito (1 Co. 2.4). Dice anche che i Galati hanno ricevuto lo Spirito Santo mediante l'ascolto della fede (Ga 3.2). Insomma non solo si considera cooperatore di Dio ma, in molti testi si attribuisce l'ufficio di amministratore della salvezza (1 Co. 3.9). È indubbio che egli non ha inteso con tali parole usurpare per se una sia pur minima parte di lode svincolandosi da Dio, come altrove afferma: "la nostra fatica non è stata vana in Dio in virtù della sua forza che ha operato potentemente in me " (1 Ts. 3.5). E ancora: "Colui che aveva agito in Pietro per farlo apostolo della circoncisione ha anche agito in me per farmi apostolo dei Gentili " (Ga 2.8). Anzi in altri testi è evidente che egli non concede nulla ai ministri quando siano considerati in se stessi: "colui che pianta e colui che annaffia non sono nulla, ma Dio che fa crescere è tutto " (1 Co. 3.7): "ho fatica più di loro tutti; non già io, però, ma la grazia di Dio che è con me " (1 Co. 15.10).

È necessario considerare con attenzione, e ricordare, quelle espressioni in cui Dio, attribuendosi l'illuminazione dei nostri spiriti ed il rinnovamento dei nostri cuori, dichiara sacrilega ogni persona che si vanti di aver parte a quest'opera. Ciò nonostante, nella misura in cui saprà comportarsi docilmente nei riguardi dei ministri che Dio stabilisce, ognuno sperimenterà, a suo profitto, che in realtà questo modo di insegnare non è piaciuto a Dio invano, e non è senza ragione che egli ha imposto questa norma di modestia a tutti i suoi credenti.

7. Ritengo sufficientemente chiarito, in base a quanto è stato detto, come si debba considerare la Chiesa visibile che siamo in grado di conoscere.

Abbiamo notato infatti che la sacra Scrittura parla della Chiesa in duplice modo. A volte il termine indica la Chiesa quale essa è nella sua realtà dinanzi a Dio, in cui sono inclusi soltanto coloro che per grazia di adozione sono figli di Dio e, mediante la santificazione dello Spirito, sono veramente membra di Gesù Cristo. In tal caso non solo fa allusione ai santi che abitano in terra, ma a tutti gli eletti che hanno vissuto sin dall'inizio del mondo.

Spesso invece col nome di Chiesa è indicata la moltitudine degli uomini che, sparsa in diverse parti del mondo, fa professione comune di amare Dio e Gesù Cristo, ha il battesimo come attestazione di fede, e partecipando alla Cena dichiara avere unità nella dottrina e nella carità, dà il suo assenso alla Parola di Dio e ne vuole mantenere la predicazione secondo il comandamento di Gesù Cristo. In questa Chiesa parecchi sono gli ipocriti frammisti ai buoni che non hanno nulla di Gesù Cristo fuorché il nome e l'apparenza, ambiziosi gli uni, avari gli altri, maldicenti alcuni, dissoluti altri, tollerati per un certo tempo sia perché non si possono convertire con provvedimenti giuridici, sia perché la disciplina non è sempre esercitata con la fermezza che sarebbe richiesta. Pure, come è necessario credere quella Chiesa, a noi invisibile e nota solo a Dio, così ci è chiesto di onorare questa Chiesa visibile e di mantenerci in comunione con essa.

8. Il Signore perciò l'ha indicata con indizi e prove evidenti essendo per noi opportuno conoscerla. È bensì vero che a lui soltanto appartiene il privilegio di sapere chi siano i suoi, come ho già mostrato nella citazione di san Paolo (2Ti 2.19).

Egli infatti, affinché la temerarietà degli uomini non si spingesse sino a quel punto, ha provveduto opportunamente a ricordarci, con esperienze quotidiane, quanto i suoi giudizi superino nostri sensi Poiché, da un lato, coloro che sembravano doversi considerare del tutto perduti e in situazioni disperate sono ricondotti sulla retta via, e d'altro lato inciampano quelli che sembravano sicuri.

Perciò secondo la segreta e nascosta predestinazione di Dio, come dice sant'Agostino, si trovano molte pecore fuori della Chiesa e molti lupi dentro. È fra coloro che esteriormente recano il suo contrassegno i suoi occhi soltanto sono in grado di discernere chi siano i santi senza finzione e coloro che debbono perseverare sino alla fine secondo la sostanza stessa della nostra fede.

Tuttavia poiché il Signore sapeva che ci è utile conoscere quali debbano essere considerati suoi figli, si è adattato, su questo punto, alla nostra capacità di intendimento. E per il fatto che non si richiedeva per questo una certezza di fede ha stabilito un giudizio di carità, in base al quale dobbiamo riconoscere quali membri della Chiesa tutti coloro che per confessione di fede, vita esemplare, partecipazione ai sacramenti, confessano con noi un medesimo Dio ed un medesimo Cristo. Essendo per noi necessario riconoscere il corpo della Chiesa per unirci ad esso egli lo ha indicato con segni per noi evidenti.

9. Ecco i dati in base ai quali riconosciamo l'esistenza della Chiesa visibile: ovunque riscontriamo la Parola di Dio essere predicata con purezza, ed ascoltata, i sacramenti essere amministrati secondo l'istituzione di Cristo, non deve sussistere alcun dubbio che quivi sia la Chiesa; non può infatti venir meno la promessa che Cristo ci ha fatto: "dovunque due o tre sono radunati nel nome mio, quivi sono io in mezzo a loro " (Mt. 18.20). Per intendere rettamente questa materia nella sua complessità occorre procedere per gradi considerando i seguenti punti: la Chiesa universale è costituita dalla moltitudine di coloro che sono concordi nella accettazione della verità di Dio e della dottrina della sua Parola, malgrado le diversità di nazionalità e le distanze geografiche che possano sussistere, in quanto è unita da un vincolo di fede.

Le Chiese sparse in ogni città e villaggio sono partecipi di questa Chiesa universale, in modo che ognuna di esse ha il titolo e l'autorità di Chiesa, e le persone che sono dichiarate appartenervi per professione di fede, quantunque possano in realtà non costituire la Chiesa, sono da considerarsi appartenenti ad essa finché non ne siano state escluse per giudizio pubblico. Diverso è infatti il criterio di valutazione della Chiesa e dei singoli.

Può infatti accadere, che in virtù del comune consenso della Chiesa che le tollera nel corpo di Cristo, siamo chiamati a considerare fratelli e credenti persone che non riteniamo tali. Non riconosceremo a queste persone la qualità di membri della Chiesa dal punto di vista di una valutazione personale, ma concederemo loro di aver posto nel popolo di Dio finché questo non sia loro tolto legalmente.

Nei confronti di una comunità invece occorre procedere diversamente. Quando essa possieda il ministero della Parola e lo onori, e mantenga l'amministrazione dei sacramenti, deve essere riconosciuta quale Chiesa in quanto è un fatto certo che la Parola ed i sacramenti non possono sussistere senza frutti. In tal modo noi manterremo quell'unità della Chiesa universale che spiriti diabolici hanno sempre tentato di spezzare, e non annulleremo l'autorità che spetta alle assemblee ecclesiastiche, stabilite in ogni luogo per il bene degli uomini.

10. Abbiamo considerati segni della Chiesa la predicazione della Parola di Dio e l'amministrazione dei sacramenti. Non si può verificare il caso infatti che sussistano questi due elementi senza che fruttifichino con la benedizione di Dio. Non intendo dire che automaticamente ovunque c'è predicazione se ne manifestino i frutti, ma che laddove essa è ricevuta in modo stabile risulta efficace. Perché ovunque la predicazione dell'evangelo è ascoltata con rispetto ed i sacramenti non sono trascurati quivi appare, Cl. Tempo, una forma di Chiesa evidente che non è lecito contestare e di cui non è lecito discutere l'autorità, disprezzare gli ammonimenti, rifiutare le decisioni o avere in non cale le punizioni; e da cui ancor meno è lecito separarsi spezzandone l'unità.

Perché Dio tiene in tale conto la comunione con la sua Chiesa da considerare traditore della cristianità ed apostata colui che si estranei da una comunità cristiana in cui siano presenti il ministero della Parola ed i sacramenti. In tanta considerazione tiene la di lei autorità da identificarla con la sua quando sia violata. Poiché non è titolo di poca importanza l'esser definita colonna e base della verità; e la casa di Dio (1 Ti. 3.15). Con questi termini san Paolo afferma che la Chiesa è stabilita custode della verità di Dio affinché questa non venga meno nel mondo, che Dio si serve del ministero ecclesiastico per custodire e mantenere la pura predicazione della sua Parola e mostrarsi paterno nei nostri riguardi, nutrendosi del cibo spirituale e procurandoci con amore quanto risulta necessario alla nostra salvezza. Né si tratta di lode di poco conto quando è detto che Gesù Cristo ha eletto e presa la sua Chiesa quale sposa per renderla pura e senza macchia (Ef. 5.27) , anzi che è il suo compimento (Ef. 1.23).

Ne consegue che chiunque si diparte dalla Chiesa rinuncia a Dio ed a Gesù Cristo. Tanto più dobbiamo evitare una così grave rottura con cui, per parte nostra, causiamo la rovina della verità di Dio, rendendoci meritevoli di essere distrutti dai fulmini scagliati con tutto l'impeto della sua ira. Non c'è infatti delitto più odioso che spezzare con la nostra slealtà il santo matrimonio che il figlio unico di Dio si è degnato contrarre con noi.

11. Occorre pertanto osservare diligentemente i contrassegni suddetti e tenerli in dovuta considerazione secondo il giudizio di Dio. Perché le macchinazioni di Satana a nulla mirano con tanto sforzo quanto condurci a una di queste due posizioni: toglierci ogni possibile discernimento della Chiesa, abolendo o cancellando quei segni autentici a cui si possa distinguere, ovvero indurci a disprezzarli alla scopo di separarci dalla comunità della Chiesa e porci in stato di ribellione nei suoi confronti.

Il fatto che la pura predicazione dell'evangelo sia stata nascosta per lunghi anni è opera della sua astuzia, e la stessa malizia si manifesta ora nello sforzo di abbattere il ministero che Gesù Cristo ha connesso con la sua Chiesa in modo tale che l'edificazione ne sia compromessa quando esso venga a mancare.

Non è forse una tentazione pericolosa anzi perniciosa, che si insinua nel cuore dell'uomo, quando nasce il pensiero di separarsi da una congregazione in cui siano presenti i segni in base ai quali nostro Signore ritiene sia chiaramente evidenziata la sua Chiesa? Ben si vede quanto risulti necessario il vigilare sia da una parte che dall'altra.

Onde evitare di essere tratti in inganno dal solo termine di Chiesa occorre perciò saggiare ogni comunità che rivendica questo titolo mediante la prova offertaci dalla Parola di Dio, così come si saggia l'oro. Qualora essa possieda nella Parola di Dio e nei suoi sacramenti l'ordine da lui stabilito, non ci inganneremo nel tributarle l'onore che spetta alla Chiesa. Qualora invece, indipendentemente dalla parola di Dio e dai suoi sacramenti, essa pretenda essere riconosciuta quale Chiesa, ci è chiesto di smascherare questo inganno con chiarezza come ci viene chiesto di evitare, nell'altro caso, la temerarietà.

12. Il fatto che il ministero della Parola rettamente esercitato e la pura amministrazione dei sacramenti siano pegno sicuro e valida garanzia per attestare la presenza della Chiesa in una comunità, è di fondamentale importanza, perché ci ricorda che non dobbiamo respingere alcuna assemblea che mantenga l'uno e l'altra quand'anche sia inficiata da molti difetti.

Gli errori, anzi, che si potranno riscontrare nella stessa dottrina o nel modo di amministrare i sacramenti non dovranno allontanarci dalla comunione di una Chiesa in modo definitivo. Gli articoli della dottrina divina infatti non sono tutti dello stesso tipo. La conoscenza di alcuni è fondamentale talché non è lecito avere al loro riguardo il minimo dubbio, in quanto costituiscono i princìpi e gli statuti stessi della cristianità. Vi è un solo Dio, ad esempio, Gesù Cristo è Dio e Figlio di Dio, la nostra salvezza si fonda sulla sua misericordia soltanto e altri simili.

Altri sono oggetto di discussione fra le Chiese e non di meno non rompono l'unità della fede. Facciamo un esempio: qualora una Chiesa ritenesse che le anime, separate dal corpo, sono trasferite immediatamente in cielo, ed un'altra, senza voler dare determinazioni precise, pensasse semplicemente che esse vivono in Dio, e questa diversità di opinioni fosse priva di testardaggine e di contestazione, perché dovrebbero queste due Chiese dividersi l'una dall'altra? Se vogliamo essere perfetti dobbiamo avere uno stesso sentimento, e per il rimanente, se abbiamo qualche divergenza, Dio ci rivelerà la soluzione: sono parole dell'apostolo. Non dimostra forse con questo che l'esistenza di qualche dissenso fra i cristiani nelle materie non fondamentali non deve essere fra loro motivo di contrasto e di rottura? È bensì vero che la cosa principale è un accordo in tutto e su tutto ma, considerando che tutti sono contaminati da qualche elemento di ignoranza occorrerà: ovvero negare ogni Chiesa, ovvero perdonare l'ignoranza di coloro che sbagliano in quelle cose che si possano ignorare, senza pericolo per la propria salvezza, e senza che la fede venga meno.

Non intendo affatto giustificare gli errori, sia pure minimi, e non vorrei che aumentassero con il relativizzarli o lodarli; affermo però che non si deve per un lieve dissenso abbandonare una Chiesa in cui siano mantenuti, nella loro integrità, la dottrina fondamentale della nostra salvezza ed i sacramenti così come il Signore li ha istituiti. Sforzandoci però di porre rimedio agli errori che in essa ci dispiacciono compiamo solo il nostro dovere. A questo ci induce la parola di san Paolo: se una rivelazione è data a uno di quelli che stanno seduti, si alzi a parlare e il precedente si taccia (1 Co. 14.30). Risulta così in base a questo testo che ad ogni membro della Chiesa è affidato il compito di edificare gli altri secondo la misura della grazia che ha in lui, purché questo sia fatto con ordine e decoro, e che non dobbiamo rinunciare alla comunione della Chiesa ma anzi dimorare in essa senza turbarne l'ordine e la disciplina.

13. Nel caso di manchevolezze di natura etica si richiede una sopportazione ancor maggiore. Perché è facile cadere in questo campo ed il Diavolo ricorre a macchinazioni straordinariamente abili per sedurci.

Sono sempre esistiti quelli che dando ad intendere di possedere una santità perfetta, quasi fossero angeli di paradiso hanno disprezzato ogni comunità umana in cui si riscontrasse qualche debolezza. Tali furono anticamente i Catari, i sedicenti puri i Donatisti, che si avvicinarono alla follia di costoro. Qualche cosa di simile si verifica al giorno d'oggi fra gli Anabattisti fra quelli che si considerano più abili e più dotti degli altri.

Altri peccano per uno sconsiderato zelo di giustizia più che per presunzione. Quando infatti constatano che fra coloro cui l'Evangelo è annunziato i frutti non corrispondono alla dottrina ne deducono subito che quivi non c'è Chiesa. Questo loro risentimento è pienamente giustificato e certo forniamo da parte nostra anche troppi argomenti, né possiamo in alcun modo giustificare la nostra maledetta pigrizia, che Dio non lascia impunita, che anzi ha già iniziato a castigare con terribili verghe. Guai a noi dunque che causiamo scandalo e turbamento, con la nostra sregolata licenza, a quelle coscienze più deboli.

Tuttavia anche costoro cadono in errore in quanto oltrepassano i limiti. Laddove il Signore richiede sia adoperata clemenza essi la mettono da parte ed assumono un atteggiamento di intransigenza e di severità. Giudicando non esservi alcuna Chiesa, ove non si riscontri una purezza ed una santità di vita perfette, Cl. Pretesto di odiare il vizio si allontanano dalla Chiesa di Dio, pensando allontanarsi dalla compagnia dei malvagi. Dicono che la Chiesa di Gesù Cristo è santa (Ef. 5.26). Dovrebbero però prestare ascolto a quanto dice egli stesso: È commista di buoni e di malvagi. Corrisponde infatti a realtà la parabola che paragona la Chiesa ad una rete che raccoglie ogni sorta di pesci che permangono indistinti finché non sono tutti giunti a riva (Mt. 13.47). Prestino attenzione a quanto è detto in un'altra parabola: la Chiesa è simile ad un campo seminato a frumento rovinato però dalla zizzania da cui la messe non può essere liberata finché non sia stata portata nel granaio (Mt. 13.24). Ascoltino infine quanto ci è detto in un'altra parabola: È simile ad un'aia su cui il grano è ammucchiato e nascosto sotto la paglia finché non sia riposto nel granaio dopo essere stato passato al vaglio (Mt. 3.12). Il Signore dichiara che sino al giorno del giudizio la sua Chiesa sarà nella triste situazione di essere sempre gravata dalla presenza di uomini malvagi, risultano dunque vani i loro sforzi di volerla in assoluto pura e limpida.

14. Non si può tollerare, affermano costoro, che i vizi regnino ovunque in questo modo. Voglio ammettere che sarebbe augurabile una situazione diversa ma citerò in risposta il ragionamento di san Paolo. Tra i Corinzi le persone che avevano errato non si riducevano ad un piccolo gruppo ma tutto il corpo era quasi interamente corrotto, né vi era solo un tipo di mali ma parecchi. Riguardo alle colpe non si trattava di piccole trasgressioni ma di errori gravissimi. La corruzione non risultava solo di natura morale ma altresì dottrinale. Come si comporta in questa situazione il santo Apostolo, uno strumento cioè scelto dallo Spirito Santo, sulla cui testimonianza è fondata la Chiesa? Cerca forse di separarsi da loro? Li esclude dal Regno di Cristo? Proclama una maledizione definitiva per sterminarli? Nulla di tutto ciò, anzi riconosce in essi la Chiesa di Dio e la comunione dei santi.

Se la Chiesa permane fra i Corinzi, quantunque regnino contese, sette, gelosie, si verifichino in gran numero liti e processi, trionfi la malizia, si dia aperta adesione ad un atteggiamento di malvagità che dovrebbe essere esecrato fra gli stessi pagani, quantunque san Paolo sia diffamato, lui che dovrebbe essere riverito come un padre, alcuni si beffino della risurrezione dei morti, distrutta la quale tutto l'Evangelo risulta annientato, quantunque le grazie di Dio siano volte non a favorire la carità ma l'ambizione e molte cose siano fatte in modo disonesto e disdicevole (1 Co. 1.2; 3.3; 5.1; 6.7; 9.1; 15.12) , se dunque la Chiesa permane fra di loro malgrado tutto ciò, e permane in quanto mantengono la predicazione della Parola ed i sacramenti, chi oserà rifiutare il titolo di Chiesa a coloro cui non si può rimproverare neppure la decima parte di quelle colpe? Coloro che giudicano le Chiese attuali con tanto rigore che avrebbero fatto ai Galati che si erano quasi ribellati all'evangelo?

Anche fra loro tuttavia san Paolo riconosce l'esistenza di una qualche forma di comunità cristiana.

15. Obiettano altresì che san Paolo rimprovera aspramente ai Corinzi di tollerare nella loro comunità un uomo dalla condotta immorale (1 Co. 5.2); ed aggiunge la considerazione generale secondo cui non è lecito bere e mangiare con un uomo di cattivi costumi. Da questo deducono: se non è lecito mangiare il pane con un peccatore, a maggior ragione non sarà lecito mangiare con lui il pane del Signore che è sacro.

Riconosco che è certo grandemente disonorevole che i cani ed i porci abbiano posto fra i figli di Dio, e ancor più lo è il fatto che il sacro corpo di Cristo sia loro offerto. E infatti quando una Chiesa ha norme adeguate non tollera nel suo seno i malvagi per nutrirli né riceve alla Cena buoni e cattivi indifferentemente.

Ma poiché i pastori non esercitano sempre una vigilanza rigorosa, ed a volte sono anche più accondiscendenti e tolleranti di quanto converrebbe, o si trovano impediti nell'esercitare la necessaria severità accade che i malvagi non siano sempre esclusi dalla compagnia dei buoni. Ammetto trattarsi di un grave errore né lo voglio sminuire, visto che san Paolo lo condanna con severità, il fatto però che la Chiesa non compia il suo dovere non significa che ognuno debba sentirsi libero di separarsi dagli altri. Ammetto anche che sia compito dei buoni credenti l'astenersi da ogni familiarità con i malvagi, ed il non associarsi, per quanto possibile, ad essi in qualsiasi affare. Una cosa è però il fuggire la compagnia dei malvagi, un'altra il rinunciare la comunione della Chiesa per odio nei loro confronti.

Considerando sacrilego il partecipare con i malvagi alla Cena di nostro Signore, si dimostrano molto più intransigenti di San Paolo. Quando infatti egli ci esorta a prendere la Cena con purezza non chiede di procedere all'esame del proprio compagno o della Chiesa tutta ma di se stessi (1 Co. 11.28).

Dovessimo considerare peccato il partecipare alla Cena con un uomo indegno, certamente ci avrebbe ordinato di guardarci attorno per controllare che nessuno ci contamini con la sua impurità; limitandosi però ad ordinare che ognuno esamini se stesso egli intende indicare con ciò che la presenza dei malvagi non è tale da nuocere. Conforme a questo è il seguito del suo ragionamento quando afferma che chi mangia indegnamente mangia la sua condanna (nello stesso versetto 29). Non dice la condanna altrui ma la propria; giustamente. Poiché non spetta alla decisione del singolo stabilire chi debba essere accolto o respinto. Questa autorità compete alla Chiesa in quanto una decisione di questo tipo non si può attuare senza legittimo ordinamento, come sarà detto appresso. Sarebbe dunque assurdo che un singolo risultasse contaminato dalla indegnità di un altro visto che non ha né la facoltà né l'autorità di respingerlo.

16. Ora, quantunque la tentazione di uno zelo sconsiderato di giustizia minacci anche i migliori, constatiamo che è l'orgoglio e l'errata opinione di essere più santi degli altri a muovere quelli che si dimostrano così pignoli e scrupolosi più che una autentica santità o il desiderio di essa. Coloro che si dimostrano più degli altri audaci nel separarsi dalla Chiesa e si fanno vessilliferi di questi atteggiamenti scismatici non hanno, il più delle volte, altra preoccupazione che mostrarsi migliori di tutti, disprezzando gli altri.

Sant'Agostino si esprime con molto buon senso dicendo: "Visto che la norma di una disciplina ecclesiastica concerne essenzialmente l'unità dello Spirito nel vincolo della pace, che l'Apostolo ci esorta a serbare sopportandoci gli uni gli altri, quando questa unità non sia mantenuta non solo il rimedio risulta superfluo ma dannoso e pertanto non è più rimedio. I maligni, che spinti dalla brama di contesa, più che dall'odio verso l'iniquità, si sforzano di attrarre al loro esempio i semplici ovvero di dividerli e sono in realtà gonfi d'orgoglio, ostinati, astuti nello sparger calunnie, bramosi di sedizioni, fanno appello alla severità, per nascondersi, ed usano, per dividere le Chiese, di questi strumenti che debbono adoperarsi con moderazione per correggere i vizi dei fratelli serbando sincerità di affetto e unità di pace ".

In seguito egli dà questo consiglio ai credenti che hanno a cuore la pace e la concordia: correggano con umanità quanto sarà possibile e quanto risulterà impossibile correggere lo sopportino con pazienza, tollerando con sentimento di carità gli errori del prossimo, finché Dio li corregga o strappi la zizzania e le cattive erbe e ventili il suo grano eliminandone la paglia. Ogni credente deve tenere a mente questi ammonimenti affinché, volendo essere troppo zelante in quest'opera di giustizia, non si allontani dal Regno dei cieli, il solo vero regno di giustizia. Se Dio vuole che manteniamo comunione con la sua Chiesa, rimanendo inseriti nella comunità ecclesiastica quale esiste fra noi, colui che se ne separa corre il grave pericolo di separarsi dalla comunione dei santi.

Chi è tentato di agire in questo modo pensi che nella massa si trovano molti credenti nascosti, e a lui sconosciuti, che pure sono realmente santi davanti a Dio. In secondo luogo consideri che molti fra coloro che gli sembrano viziati, non traggono dai loro vizi motivi di compiacimento o di vanto, ma sono spesso presi dal timore di Dio e si sentono spinti a desiderare una vita migliore e più perfetta. In terzo luogo pensi che non si deve valutare un uomo sulla base di una sola azione perché anche ai più santi accade di cadere gravemente. In quarto luogo consideri che la parola di Dio ha maggior peso ed importanza nel mantenimento della Chiesa di quanto possa avere nel distruggerla la colpa di alcuni malviventi. Consideri infine che il giudizio di Dio e da anteporsi a quello degli uomini quando si tratta di sapere dove è la vera Chiesa.

17. Fanno osservare che, non senza ragione, la Chiesa è detta santa. Dobbiamo però valutare di quale santità si tratti. Se non vogliamo pensare che la Chiesa esista solo laddove è perfetta in ogni sua parte dobbiamo ammettere che non ne troveremo mai una siffatta.

È ben vero quanto dice san Paolo, che Gesù Cristo si è dato per la Chiesa al fine di santificarla e dopo averla purificata Cl. Lavacro dell'acqua mediante la Parola, affin di far comparire dinnanzi a se questa Chiesa gloriosa, senza macchia, senza ruga, o cosa alcuna simile, ma santa ed irreprensibile (Ef. 5.25). Ma non è men vero che il Signore è all'opera ogni giorno per cancellare le sue rughe e purificarla da ogni macchia. Ne consegue che la sua santità non è ancora perfetta. La Chiesa deve dunque considerarsi santa nel senso che quotidianamente ricerca ma non possiede ancora la sua perfezione; quotidianamente progredisce e non è ancora giunta al termine della santità, come verrà ampiamente illustrato altrove.

Pertanto ciò che i profeti dissero, riguardo a Gerusalemme: che sarà santa e gli stranieri non entreranno in essa (Gl. 4.17) , e il tempio di Dio sarà santo cosicché gli impuri non vi entreranno (Is. 35.8) , non si deve intendere nel senso che non vi sia macchia alcuna nei membri della Chiesa; ma nel senso che ai credenti, in quanto aspirano con sincerità ad una santità e purezza integrale, è attribuita, per bontà divina, quella perfezione che ancora non hanno.

Ora quantunque non accada spesso di riscontrare fra gli uomini molti segni di questa santificazione, dobbiamo tuttavia ricordarci che non vi è stata età, dall'inizio del mondo, in cui il Signore non abbia avuto la sua Chiesa, né mai vi sarà. Poiché, quantunque l'intero genere umano, dall'inizio del mondo, sia stato corrotto e pervertito a causa del peccato di Adamo, pure Dio non ha mai cessato di scegliere in questa massa corrotta degli strumenti al suo onore, cosicché non v'è stato periodo della storia che non abbia sperimentato la sua misericordia.

È quanto egli ha attestato con promesse sicure dicendo: "Io ho fatto un patto Cl. Mio eletto; ho fatto questo giuramento a Davide mio servo: io stabilirò la tua progenie in eterno, ed edificherò il tuo trono per ogni età" (Sl. 89.4) "Poiché l'Eterno ha scelto Sion, l'ha desiderata per sua dimora: questo e il mio luogo di riposo in eterno " (Sl. 132.13) , ed ancora: "Così parla l'Eterno, che ha dato il sole come luce del giorno e la luna e le stelle perché siano luce alla notte: se quelle leggi vengono a mancare dinanzi a me allora anche la progenie d'Israele cesserà di essere una nazione nel mio cospetto " (Gr. 31.35-36)

18. Di questo atteggiamento ci hanno dato esempio sia Gesù Cristo che gli apostoli, e quasi tutti i profeti. Orribile impressione suscita la lettura di ciò che scrivono Isaia, Geremia, Gioele, Habacuc e gli altri circa il disordine che regnava, ai loro tempi, nella Chiesa di Gerusalemme. La corruzione, sia nel popolo che fra i governanti ed i preti, era tale che Isaia non esita a chiamare gli uni prìncipi di Sodoma e gli altri popolo di Gomorra (Is. 1.10). La religione stessa appare disprezzata o corrotta.

Nel campo morale si registrano rapine, saccheggi, slealtà, delitti ed altri simili male azioni. Non di meno i profeti non fondavano nuove Chiese per se e non erigevano nuovi altari per offrire i propri sacrifici a parte; ma quali fossero gli uomini, considerando che Dio aveva posto quivi la sua Parola ed aveva prescritto le cerimonie in uso, adoravano anche fra i malvagi con cuore puro ed alzavano le loro mani pure al cielo. Avrebbero preferito morire cento volte piuttosto che partecipare a queste cerimonie se così facendo avessero pensato di contaminarsi in qualche modo. Nessun altro motivo li induceva dunque a rimanere nella Chiesa, in mezzo ai malvagi, se non il desiderio di mantenere l'unità.

Se dunque i santi profeti hanno avuto scrupolo ad allontanarsi dalla Chiesa a motivo dei gravi peccati, non solo di singoli, ma di quasi tutto il popolo, che regnavano allora, troppo grande sarebbe la nostra presunzione qualora osassimo separarci dalla comunione della Chiesa non appena la vita di qualcuno ci sembrasse insoddisfacente, secondo il nostro giudizio, o risultasse non conforme alla professione di fede cristiana.

19. Similmente che dovremmo dire dei tempi di Gesù e dei suoi apostoli? Né l'empietà radicata dei farisei né la vita dissoluta del popolo hanno impedito loro di partecipare ai sacrifici con costoro, recarsi al Tempio per adorare Dio e fare preghiere solenni; azioni che non avrebbero mai compiute se non avessero avuto la certezza che chi partecipa ai sacramenti di Dio con coscienza pura non è contaminato dalla compagnia dei malvagi. Qualcuno si dichiara insoddisfatto dell'esempio dei profeti e degli apostoli? Riconosca almeno l'autorità di Gesù Cristo.

Molto bene si esprime san Cipriano quando dice: "quantunque vi sia del grano cattivo nella Chiesa e dei vasi impuri non dobbiamo per questo ritirarci da essa, al contrario dobbiamo impegnarci ad essere buon frumento e vasi d'oro o d'argento; il compito di spezzare i vasi di terra spetta a Gesù Cristo solo cui è stato affidata, a questo scopo, la verga di ferro. Nessuno si attribuisca ciò che spetta al solo figlio di Dio: strappare la zizzania, pulire l'aia, ardere la paglia per separarla dal buon grano, sulla base di un giudizio umano è valutazione orgogliosa e sacrilega presunzione ".

Ci siano pertanto chiari questi due punti: colui che abbandona di sua spontanea volontà la comunione esterna con una Chiesa in cui la Parola di Dio sia predicata ed i sacramenti di Dio amministrati, non ha giustificazione alcuna. Secondo, i vizi altrui, quantunque numerosi, non ci impediscono di professare quivi la nostra fede cristiana facendo uso, con costoro, dei sacramenti di nostro Signore, poiché una retta coscienza non è ferita dall'altrui indegnità, fosse del pastore stesso, né cessano di essere salutari per un uomo puro ed integro i sacramenti di nostro Signore, anche se ricevuti da cattivi ed impuri.

20. L'arroganza e la presunzione di costoro va oltre, in quanto non riconoscono nessuna Chiesa se non pura da ogni minima traccia di mondanità; anzi si scagliano con violenza contro i pastori che si sforzano di compiere il loro dovere perché, nell'esortare i credenti a migliorare, ricordano loro che saranno, durante tutta la loro vita, macchiati da qualche vizio e li incitano perciò ad umiliarsi davanti a Dio per ottenere perdono. Questi autorevoli censori, infatti, muovono l'obiezione che così facendo si allontana il popolo dalla perfezione.

Riconosco certo che nell'incitare gli uomini a santità non si deve essere né tiepidi né vili, ma anzi ci si deve impegnare con energia. Il far credere però agli uomini che la perfezione sia raggiunta mentre sono ancora per strada significa pascerli di sogni diabolici. È pertinente il nesso stabilito nel Simbolo apostolico tra la remissione dei peccati e la Chiesa; quella infatti non può essere ottenuta se non da coloro che sono membri di questa, come dice il profeta (Is. 33.14). Questa Gerusalemme celeste deve essere anzitutto edificata perché possa attuarsi, in un secondo tempo, questa grazia: che cioè a tutti coloro che ne saranno cittadini siano rimessi i peccati.

Dicendo che la Chiesa deve essere edificata per prima non penso che essa possa esistere in qualche modo senza la remissione dei peccati, ma nel senso che il Signore non ha offerto la sua misericordia se non alla comunione dei santi.

Il nostro ingresso nella Chiesa e nel Regno di Dio è dunque rappresentato dalla remissione dei peccati (senza la quale non abbiamo alcun patto né alcuna comunione con Dio ) , come è dimostrato dal profeta Osea: "In quel giorno io farò per loro un patto con le bestie dei campi, con gli uccelli del cielo e spezzerò l'arco e la spada e farò cessare ogni guerra sulla terra e farò riposare gli uomini in pace. Ed io ti fidanzerò a me per l'eternità: ti fidanzerò a me in giustizia, in equità, in misericordia e in compassione " (Os 2.20). Vediamo come nostro Signore ci riconcilia a se mediante la sua misericordia. Similmente in un altro testo quando annunzia che raccoglierà il popolo che aveva disperso nella sua ira: "Io li purificherò di tutta l'iniquità con la quale hanno peccato contro di me " (Gr. 33.8). Siamo pertanto accolti nella comunione della Chiesa mediante il segno della purificazione e ci è così mostrato che non abbiamo alcun accesso alla famiglia di Dio se non sono prima, per sua bontà, nettate le nostre sozzure.

21. Di fatto la remissione dei peccati non rappresenta solo la forma con cui Dio ci accoglie nella sua Chiesa una volta, ma lo strumento con cui ci mantiene e conserva in essa. A che scopo infatti nostro Signore ci offrirebbe un perdono che non recasse alcuna utilità? In realtà la misericordia di Dio risulterebbe vana ed inefficace se ci venisse concessa solo una volta. Di questo ogni credente può rendersi conto visto che non c'è nessuno che non si senta durante tutta la vita colpevole di molte manchevolezze, bisognoso della misericordia di Dio. Non è senza ragione che Dio promette ai suoi servi, in modo particolare, di essere sempre misericordioso ed ordina che questo messaggio sia loro quotidianamente annunziato. È perciò chiaro che perennemente gravati dai residui del peccato non potremmo, finché viviamo, sussistere un solo istante nella Chiesa se non ci soccorresse assiduamente la grazia di Dio Cl. Perdono dei nostri peccati. Ma il Signore ha chiamato i suoi a salvezza eterna; essi devono dunque sapere che la sua grazia e costantemente pronta a perdonare i loro peccati.

Si deve perciò ritenere questo punto fermamente stabilito: in virtù della misericordia di Dio, i meriti di Gesù Cristo, la santificazione dello Spirito Santo, ci è stata procurata la remissione dei peccati e essa ci è quotidianamente data in quanto siamo uniti al corpo della Chiesa.

22. Per questo il Signore ha dato le chiavi alla sua Chiesa affinché avesse la dispensazione di questa grazia per farcene partecipi. Quando infatti Gesù Cristo ha dato istruzioni ai suoi apostoli ed ha trasmesso loro potestà di rimettere i peccati (Mt. 16.19; 18.18; Gv. 20.23) , non era solo affinché sciogliessero coloro che si convertivano alla fede cristiana e facessero questo una volta soltanto, ma affinché esercitassero questo ufficio in modo costante nel riguardo dei credenti. Questo insegna san Paolo quando scrive che Dio ha affidato ai ministri della sua Chiesa la missione della riconciliazione, per esortare quotidianamente il popolo a riconciliarsi con Dio nel nome di Cristo (Il Corinzi 5.18.20).

Pertanto è nella comunione dei santi che i peccati ci sono continuamente rimessi mediante il ministero della Chiesa quando i preti ed i vescovi, cui è affidato questo incarico, confermano le coscienze dei credenti mediante le promesse dell'evangelo attestando loro che Dio vuole perdonare ed usare misericordia, sia in forma pubblica che privata, secondo le necessità.

Vi sono credenti così deboli da richiedere una consolazione in forma privata e con un carattere particolare e san Paolo afferma di aver ammaestrato il popolo nella fede in Gesù Cristo non solo con discorsi pubblici ma anche nelle case ricordando ad ognuno la sua salvezza (At. 20.20).

Occorre a questo punto prendere nota di tre elementi. I credenti non possono sussistere davanti a Dio, finché abitano in questo corpo mortale, se non in virtù della remissione dei loro peccati in quanto permangono sempre miseri peccatori qual sia il grado di santificazione da essi raggiunto. Il secondo fatto è che tale beneficio è affidato in custodia alla Chiesa cosicché non possiamo ottenere perdono delle nostre colpe dinanzi a Dio se non perseverando nella comunione con essa.

Il terzo fatto è che la distribuzione e la elargizione di questo beneficio avvengono per mezzo dei ministri e dei pastori sia nella predicazione dell'evangelo che nei sacramenti, anzi consiste essenzialmente in questo il potere delle chiavi. Ad ognuno è dunque chiesto di ricercare la remissione dei peccati laddove Dio l'ha posta.

Il problema della riconciliazione pubblica, che fa parte della disciplina, sarà esaminato a suo tempo.

23. È necessario confermare le coscienze nei riguardi di questo errore così pestilenziale, in quanto gli spiriti irrequieti, di cui stiamo discorrendo, si sforzano di sottrarre alla Chiesa questa unica garanzia di salvezza.

Nella Chiesa antica i Novaziani hanno recato turbamento con questa falsa dottrina; ma nel tempo presente alcuni Anabattisti assomigliano loro non poco in questo genere di fantasticherie. Immaginano che il popolo di Dio sia rigenerato mediante il battesimo ad una vita pura ed angelica, che non deve essere contaminata da alcuna macchia carnale. Qualora accada che dopo il battesimo i credenti scadano dalla grazia non rimane loro altra possibilità che l'attesa dell'inesorabile rigore di Dio. Non lasciano in sostanza alcuna speranza di perdono e di misericordia a quei peccatori che siano incorsi a qualche peccato dopo aver ricevuto la grazia di Dio. Questo perché non ammettono nessun'altra remissione dei peccati, se non quella mediante cui siamo rigenerati all'inizio della vita cristiana.

Non c'è menzogna più chiaramente confutata nella Scrittura, tuttavia poiché questa gente trova persone semplici da ingannare (come Novaziano che ebbe anticamente non pochi seguaci) dimostriamo brevemente quanto tale errore sia pericoloso per loro e per gli altri. Primo: tutti i santi, formulando quotidianamente, secondo il comandamento di Dio, la richiesta che i loro peccati siano perdonati (Mt. 6.12) , confessano esplicitamente di essere peccatori. E non chiedono invano, ché il Signore Gesù non ci ha ordinato di domandare cose che non intenda darci. Anzi, avendo promesso che la preghiera da lui insegnataci sarebbe stata esaudita dal Padre nella sua totalità, formula una specifica promessa per questa particolare richiesta. Che potremmo chiedere di più? Il Signore desidera che tutti i santi si riconoscano peccatori quotidianamente durante tutto il corso della loro vita e promette il suo perdono. Non è forse presunzione il voler negare che siano peccatori o il volerli escludere da ogni grazia quando abbiano errato?

Chi dobbiamo perdonare settanta volte sette, cioè sempre? (Mt. 18.22). Non sono forse i nostri fratelli? Perché ci verrebbe chiesto questo perdono se non affinché fossimo imitatori di Dio nella sua clemenza? Dio perdona dunque non una o due volte ma ogni qualvolta il misero peccatore si volge a lui prostrato e turbato dalla coscienza delle sue colpe.

24. Volendo risalire alle origini della Chiesa: i patriarchi erano circoncisi, accolti nel patto di Dio, erano indubbiamente stati educati dai loro padri a seguire giustizia ed integrità eppure tramarono di uccidere il loro fratello (Ge 37.18) : delitto abominevole, degno dei peggiori briganti del mondo. Moderati infine dalle raccomandazioni di Giuda lo vendettero (37.18). Si trattava però sempre di una crudeltà intollerabile. Simeone e Levi, per vendicare la sorella, massacrarono tutta la popolazione di Sichem, provvedimento che non spettava loro di prendere e fu perciò deplorato dal padre (34.25). Ruben commise un esecrabile incesto con la moglie di suo padre (35.22). Giuda, contravvenendo alla naturale moralità, si prostituì con la nuora (38.16). Eppure lungi dall'essere cancellati dal popolo eletto furono stabiliti a capo di esso.

Che diremmo di Davide? Di qual offesa si rese responsabile per soddisfare la sua concupiscenza, spargendo il sangue di un uomo innocente, lui magistrato responsabile della giustizia? (2 Re 11.4-5). Si tratta di un uomo già rigenerato che aveva dato una prova eccellente, al di sopra degli altri figli di Dio. Eppure commise un delitto di cui si sarebbero vergognati i pagani. Questo non impedì che ottenesse misericordia (1 Re 12.13).

Per non soffermarci troppo a lungo su casi particolari quante prove abbiamo della misericordia di Dio verso gli Israeliti? Quante volte ci è mostrato che il Signore fu loro propizio! Quale e infatti la promessa di Mosè al popolo quando ritornerà a Dio dopo essere caduto in idolatria ed aver abbandonato il Dio vivente?: "l'Eterno farà ritornare i tuoi dalla schiavitù, avrà pietà di te, e ti raccoglierà di nuovo di fra tutti i popoli, fra i quali l'Eterno ti aveva disperso. Quand'anche i tuoi esuli fossero all'estremità dei cieli l'Eterno ti raccoglierà di là " (De 30.3-4)

25. Non intendo iniziare un elenco che non avrebbe fine. I profeti infatti sono pieni di queste promesse che annunciano misericordia al popolo che pur si era reso colpevole di infiniti delitti.

Esiste forse iniquità maggiore della ribellione, detta appunto per questo divorzio fra Dio e la sua Chiesa? Non di meno essa pure è perdonata dalla bontà di Dio: "Chi è l'uomo, dice Dio per bocca di Geremia, la cui moglie si prostituisca che la accoglie nuovamente? Ora tutto il paese è contaminato dalla tua prostituzione, popolo di Giuda; la terra ne è piena. Non di meno torna a me e ti accoglierò poiché sono santo e non serbo l'ira in perpetuo " (Gr. 3.1.12). Certo non vi può essere altro sentimento in colui che dichiara non desiderare la morte del peccatore ma la sua conversione e la sua vita (Ez. 18.23.32). Perciò Salomone, dedicando il Tempio, lo consacrava a questo uso: vi fossero esaudite le preghiere fatte per ottenere la remissione dei peccati: "Quando peccheranno contro di te (poiché non v'è uomo che non pecchi ) e tu ti sarai mosso a sdegno contro di loro e li avrai abbandonati in balia del nemico che li menerà in cattività in un paese ostile e lontano, se, nel paese dove saranno schiavi, rientrano in se stessi, se tornano a te e ti rivolgono supplicazioni e dicono Signore abbiamo peccato, abbiamo agito iniquamente, siamo stati malvagi, e così pregando guardano al loro paese, il paese che tu desti ai loro padri, alla casa in cui siamo esaudisci dal cielo le loro preghiere e sii propizio verso il tuo popolo che ha peccato contro di te e perdona le trasgressioni di cui si è reso colpevole verso di te " (3Re 8.46-50)

E non è invano che Dio, nella Legge, ha ordinato sacrifici regolari per il peccato del popolo (Nu. 28.3); egli non avrebbe suggerito questo rimedio se non avesse saputo che i suoi servitori sono costantemente contaminati da vizi.

26. Ora domando se, a causa della venuta di Cristo in cui è stata manifestata ogni pienezza di grazia, i credenti siano stati privati del privilegio di poter chiedere perdono per le loro colpe e ottenere perdono quando abbiano offeso Dio? Questo equivarrebbe ad affermare che Cristo è venuto per la rovina anziché per la salvezza dei suoi in quanto la bontà di Dio, sempre offerta ai santi dell'antico Testamento, risulterebbe ora annullata. Se però prestiamo fede alla Scrittura che afferma in modo chiaro ed esplicito che in Cristo la grazia di Dio ed il suo amore per gli uomini sono stati pienamente manifestati, sono state messe in evidenza le ricchezze della divina misericordia (Tt 1.9; 3.4; 2Ti 1.9) e la riconciliazione con gli uomini è stata realizzata, non v'è dubbio che la sua clemenza sia ora esplicata in modo più abbondante di prima, anziché essere sminuita ed impoverita. Possediamo anche chiari esempi di questo fatto.

San Pietro, pur avendo udito dalla bocca di Gesù Cristo che chiunque non avrebbe confessato il suo nome davanti agli uomini sarebbe stato da lui disconosciuto davanti agli angeli del cielo (Mt. 10.33; Mr. 8.38) , lo rinnegò tre volte, e con imprecazioni (Mt. 26.74). Eppure non è stato escluso dal perdono. Quelli fra i Tessalonicesi che vivevano disordinatamente sono puniti da Paolo, in modo tale però da essere condotti al pentimento (2 Ts. 3.11-12.15). Anche san Pietro non respinge in una situazione disperata Simon Mago ma gli offre una valida speranza invitandolo a pregare Dio per il suo peccato (At. 8.22).

27. Non si dà forse anzi il caso che gravi errori abbiano anticamente dominato interamente una Chiesa? Che faceva san Paolo in tal caso se non ricondurre tutto il popolo sulla retta via piuttosto che abbandonarlo in una situazione di maledizione senza scampo? Il sovvertimento compiuto dai Galati non era colpa leggera (Ga 1.6; 3.1; 4.9). Ancora meno scusabili erano i Corinzi in quanto avevano peccati altrettanto gravi e più numerosi dei Galati. Ciò nonostante né gli uni né gli altri sono esclusi dalla bontà di Dio.

Al contrario, quelli che più degli altri avevano gravemente peccato per immoralità, dissolutezza vengono esplicitamente invitati al ravvedimento (2 Co. 12.21). Poiché il patto che nostro Signore ha stabilito con Cristo e con tutte le sue membra permane e permarrà inviolabile; e questo viene dichiarato quando e detto: che se i suoi figli abbandonano la mia legge e non camminano secondo i miei ordini, se violano i miei statuti e non osservano i miei comandamenti io punirò la loro trasgressione con la verga, e la loro iniquità con percosse; ma non ritirerò loro la mia benignità e non smentirò la mia fedeltà " (Sl. 89.31-34)

Infine nell'ordine del Simbolo ci è mostrato che questa grazia e questa clemenza permangono ed hanno sede nella Chiesa, per sempre; dopo aver posto il fondamento della Chiesa viene infatti aggiunta come conseguenza la remissione dei peccati. Bisogna dunque che essa si attui in coloro che sono nella Chiesa.

28. Altri più astuti, rendendosi conto che la dottrina di Novaziano è riprovata dalla Scrittura in modo così evidente, considerano senza remissione non tutti i peccati ma solo le trasgressioni volontarie in cui si incorre coscientemente ed in modo volontario. Così dicendo pensano che siano perdonati solo i peccati commessi per ignoranza.

Affermazione temeraria cotesta che non lascia alcuna speranza di perdono per un peccato commesso volontariamente, mentre nella Legge il Signore ha stabilito dei sacrifici per cancellare i peccati del suo popolo compiuti volontariamente, ed altri per cancellare quelli compiuti per ignoranza (Le 4).

Ribadisco che non vi è nulla di più chiaro del fatto che il sacrificio unico di Gesù Cristo ha virtù di rimettere i peccati volontari dei credenti, dato che Dio lo ha dichiarato nei sacrifici animali che ne erano prefigurazione.

Chi potrebbe discolpare Davide col pretesto dell'ignoranza visto che è chiara la sua conoscenza della Legge? Ignorava forse qual peccato fosse l'adulterio, l'omicidio, lui che ogni giorno li puniva nei suoi sudditi? Forse che i patriarchi pensavano compiere opera buona ed onesta ammazzando un fratello? I Corinzi avevano così poco appreso da poter considerare gradite a Dio, l'incontinenza, la scostumatezza, l'odio, le contese? San Pietro dopo esser stato così premurosamente ammonito ignorava che fosse delitto rinnegare il Maestro?

Non chiudiamo dunque per nostra mancanza di umanità la porta alla misericordia divina che così liberalmente si offre a noi.

29. Non ignoro che alcuni dottori antichi hanno visto nei peccati quotidianamente perdonati le colpe lievi che si verificano per debolezza della carne. Erano invece d'avviso che la penitenza solenne, richiesta allora per i peccati gravi, non dovesse essere ripetuta più di quanto sia ripetuto il battesimo. Questa opinione non significa che volessero gettare in uno stato di disperazione colui che fosse ricaduto dopo esser stato accolto una volta a penitenza, o che intendessero sminuire le colpe quotidiane, quasi si trattasse di realtà insignificante davanti a Dio. Sapevano bene che i santi inciampano o cadono spesso in qualche infedeltà, che accade loro di giurare senza necessità, di adirarsi oltre misura, giungendo anzi a volte sino ad ingiurie esplicite, e cadere in altri vizi che nostro Signore non considera piccole debolezze. Si esprimevano in questo modo per mettere in evidenza la differenza tra le colpe private e quelle pubbliche che comportano maggior scandalo nella Chiesa.

Il fatto che fossero così restii a perdonare coloro che avevano commesso qualche colpa degna di censura ecclesiastica non deriva dal fatto che essi pensassero che i peccati ottengono difficilmente il perdono divino, con questa severità intendevano creare timore negli altri affinché non cadessero in queste colpe meritevoli della scomunica ecclesiastica.

La Parola di Dio però che dobbiamo tenere normativa a questo riguardo richiede maggior moderazione e umanità. Essa infatti insegna che nella disciplina ecclesiastica il rigore non deve spingersi sino al punto da opprimere di tristezza quello di cui si deve procacciare il bene come abbiamo più sopra dimostrato.