Letteratura/Legge/01

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Indice generale

Le istituzioni della Legge biblica, di R. J. Rushdoony

CapitoliPrefazione - Introduzione - 01 - 02 - 03 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 -09 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 16

 

I. IL PRIMO COMANDAMENTO

1. Il Primo Comandamento e lo Shema Israel

Il prologo ai Dieci Comandamenti introduce non solo la legge nella sua interezza ma porta direttamente al primo comandamento:

Allora Dio pronunciò tutte queste parole, dicendo: Io sono l’Eterno il tuo Dio, che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla casa di schiavitù. Non avrai altri dèi davanti a me (Esodo 20:1-3).

In questa dichiarazione, Dio si identifica,

  • primo, come l’Eterno, l’Uno assoluto ed auto-esistente.
  • Secondo, egli ricorda ad Israele che è il suo salvatore, e che la loro relazione nei suoi confronti (“il tuo Dio”) è perciò una relazione di grazia. Dio scelse Israele, non Israele Dio.
  • Terzo, la legge è data al popolo della grazia. Tutti gli uomini sono già giudicati, decaduti e perduti; tutti gli uomini sono sotto l’ira di Dio, un fatto che fu sottolineato dal tremare del monte e dalla minaccia di morte per l’avvicinamento non concesso (Esodo 19:16-25). La legge è data al popolo salvato per grazia come loro via di grazia, per spiegare loro i privilegi e le benedizioni del patto.
  • Quarto, ne consegue dunque che la prima risposta alla grazia, quanto il primo principio della legge è questo: “Tu non avrai altri dèi davanti a me”.

Nell’analizzare questo comandamento, dobbiamo esaminare le sue implicazioni citate da Mosè:

Or questo è il comandamento, gli statuti e i decreti che l’Eterno, il vostro Dio, ha ordinato d’insegnarvi, perché li mettiate in pratica nel paese del quale state per entrare per prenderne possesso; affinché tu tema l’Eterno, il tuo Dio, osservando per tutti i giorni della tua vita, tu, tuo figlio, e il figlio di tuo figlio, tutti i suoi statuti e tutti i suoi comandamenti che io ti do, e affinché i tuoi giorni siano prolungati. Ascolta dunque, Israele, e abbi cura di metterli in pratica, affinché ne venga del bene a te e vi moltiplichiate grandemente nel paese dove scorre latte e miele, come l’Eterno, il Dio dei tuoi padri, ti ha detto (Deuteronomio 6:1-3).

Primo, la ragione per cui furono dati questi comandamenti fu per risvegliare il timore di Dio, e che il timore motivasse l’obbedienza. Poiché Dio è Dio, l’assoluto Signore e Legislatore, il timore di Dio è l’essenza del senno e del senso comune. Allontanarsi dal timore di Dio è mancare di qualsiasi senso di realtà. Secondo, “Il mantenimento del timore di Dio avrebbe portato prosperità, e la crescita della nazione promessa ai padri. … La crescita della nazione era stata promessa ai patriarchi fin dal principio (Genesi 12:1: …cfr. Levitico 26:9)<ref>C.F. Keil and Delizsch: Biblical Commentary on the Old Testament; Vol. III, The Pentateuch; Grand Rapids: Eerdmans, 1949, p. 322.</ref>. È perciò necessario mantenere questi timore e obbedienza di generazione in generazione. In Deuteronomio 6:4-9, si giunge ad una centrale e basilare dichiarazione del primo principio della legge:

Ascolta, Israele: l'Eterno, il nostro DIO, l'Eterno è uno. Tu amerai dunque Eterno, il tuo DIO, con tutto i tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua forza. E queste parole che oggi ti comando rimarranno nel tuo cuore; e inculcherai ai tuoi figli, ne parlerai quando sei seduto in casa tua, quando cammini per strada, quando sei coricato e quando ti alzi. Le legherai come un segno alla mano, saranno come fasce tra gli occhi, e le scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte.

I primi due versi (6:4, 5) sono lo Shema Israel, recitato come preghiera del mattino e della sera di Israele, e considerato dai rabbini contenere i principi del decalogo<ref>Rabbi Dr. I. Epstein, ed. : The Babylonian Talmud, Seder Nezikin, Vol. IV, Aboth (Londra. The Soncino Press, 1935), p.22, n° 8.</ref>. La seconda porzione dello Shema, il verso 5, riecheggia in Deuteronomio 10:12, 13:

E ora, o Israele, che cosa richiede da te l’Eterno, il tuo Dio, se non di temere l’Eterno, il tuo Dio, e di camminare in tutte le sue vie, di amarlo e di servire l’eterno il tuo Dio, con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, e di osservare per il tuo bene i comandamenti dell’Eterno e i suoi statuti che oggi ti comando?<ref>The Holy Scriptures According to the Masoretic Text; Philadelphia: Jewish Publication Society of America, 1917, 1961. (Nella traduzione il testo della ND che è identico. n.d.t.)</ref>.

Deuteronomio 6:5 è citato da Cristo come “Il primo e grande comandamento” (Matteo 22:37; Marco 12:30; Luca 10:27), vale a dire come il principio essenziale e basilare della legge. La premessa di questo comandamento, però, è Deuteronomio 6:4 “Ascolta, Israele, l’Eterno il nostro Dio, l’Eterno è uno”. La conferma cristiana di questa verità è la dichiarazione: “Noi adoriamo un Dio nella Trinità, e la Trinità nell’unità”. È la fede nell’unità della divinità in contrapposizione col credere in “molti dii e molti signori”<ref>C. H. Waller: Deuteronomy, in Charles John Ellicott, ed. Ellicott’s Commentary on the Whole Bible, Grand Rapids: Zondervan, II, 25.</ref>.

Le conseguenze di questo fatto per la legge sono totali: significa un Dio, una legge. La premessa del politeismo è che viviamo in un multiverso, non un universo, che esistono una varietà di ordinamenti giuridici e perciò di signori, e che l’uomo non può perciò essere sotto una legge se non in virtù dell’imperialismo. Il moderno positivismo giuridico nega l’esistenza di qualsiasi assoluto; è ostile, a motivo del proprio relativismo, al concetto di un universo e di un universo di legge. Esistono, invece, società di uomini, ciascuna col proprio ordinamento di legge positiva, e ciascun ordinamento giuridico manca di qualsiasi validità assoluta o universale. La legge degli stati buddisti è intesa come valida per le nazioni buddiste, la legge dell’islam per gli stati islamici, la legge del pragmatismo per gli stati umanisti, e le leggi delle Scritture per gli stati cristiani, ma nessuno, si sostiene, ha il diritto di affermare che la loro legge rappresenti il vero in alcun senso assoluto. Ciò, naturalmente, milita contro la dichiarazione biblica che l’ordinamento di Dio è assoluto e assolutamente vincolante su uomini e nazioni.

Ancor di più, poiché una legge assoluta è negata, ciò significa che la sola possibile legge universale è una legge imperialistica, una legge imposta con la forza e senza validità altra che quella della coercizione impositiva. Qualsiasi ordinamento mondiale con tali premesse è necessariamente imperialistico. Avendo negato la legge assoluta, non può appellarsi all’uomo che ritorni al vero ordinamento dal quale l’uomo è decaduto. Una legge relativista, pragmatica, non ha premesse per un’attività missionaria: la “verità” che proclama non ha maggiore validità della “verità” creduta dalla gente che cerca di unire a sé. Se sostiene: “Stiamo meglio da soli” non può giustificare quest’affermazione eccetto dicendo: “Io sostengo che sia così”, a cui, colui che oppone resistenza, può rispondere: “Stiamo meglio in molti”. Sotto la legge pragmatica, si sostiene che ogni uomo sia il proprio sistema giuridico perché non c’è nessun ordinamento giuridico globale assoluto. Ma ciò significa anarchia. Perciò, mentre il pragmatismo o relativismo (o esistenzialismo, positivismo, o qualsiasi altra forma di questa fede) sostiene l’assoluta immunità dell’individuo implicitamente o esplicitamente, in effetti il suo unico argomento è la coercizione dell’individuo, perché non ha nessun altro ponte tra uomo e uomo. Può parlare d’amore, ma non c’è fondamento per dire che l’amore sia più valido dell’odio. Di fatto, il Marchese De Sade logicamente non vide crimine nell’assassinio; su fondamento nominalista, relativista, cosa può esserci di sbagliato con l’assassinio?<ref>Richard Seaver and Austryn Wainhouse, ed. The Marquise de Sade: The Complete Justine, Philosophy in the Bedroom, and Other Writings; New York, Grove Press, 1965; pp. 329-337.</ref>. Se non c’è legge assoluta, ogni uomo è la propria legge. Come dichiarò lo scrittore di Giudici. “In quei giorni non c’era re in Israele (cioè la gente aveva rigettato Dio come Re); ogni uomo faceva ciò che sembrava giusto ai suoi occhi” (Giacomo 21:25; cfr. 17:6; 18:1; 19:1). La legge proibisce che l’uomo sia legge a se stesso: “Non farete secondo tutto ciò che facciamo oggi qui, dove ognuno fa tutto ciò che è giusto ai propri occhi” (Deuteronomio 12:8), e questo vale per il culto quanto per l’ordinamento morale. Il primo principio dello Shema Israel è perciò un Dio, una legge. È la dichiarazione di un ordinamento morale assoluto al quale l’uomo deve conformarsi. Se Israele non può ammettere un altro Dio e un altro ordinamento giuridico, non può riconoscere alcun’altra religione o ordinamento giuridico per sé o per chiunque altro. Siccome Dio è uno, la verità è una. Altri popoli periranno per via a meno che si volgano a Dio e si convertano (Salmi 2:12). La coercizione basilare è riservata a Dio.

Poiché Dio è uno, e la verità è una, l’una legge ha una coerenza interna. L’unità della Divinità appare nell’unità e coerenza della legge. Anziché essere fatta di diversi strati di diverse origini e utilità, la legge di Dio è essenzialmente una parola, un insieme unificato.

Gli ordinamenti politici moderni sono degli stati imperialisti politeisti, ma le chiese non sono messe meglio. Sostenere, come fanno le chiese, cattolico romana, greco ortodossa, luterana, calvinista, e virtualmente tutte le altre, che la legge di Dio era per Israele, ma che i cristiani e la chiesa sono sotto la grazia e senza legge, o sotto qualche legge più alta o più recente, è implicitamente politeismo. L’eresia di Gioachino da Fiore ha profondamente infettato la chiesa. Secondo questa eresia, la prima età dell’uomo fu l’età del Padre, l’epoca della giustizia e della legge. La seconda età fu quella del Figlio, della cristianità, della chiesa e della grazia. La terza età è l’età dello Spirito, quando gli uomini diventano dii e la propria legge.

Anche il dispensazionalismo è o evoluzionista o politeistico o entrambi. Dio cambia o altera le sue vie con l’uomo talché la legge è amministrata in un’epoca e non in un altra. Un’epoca vede la salvezza per opere, un’altra per grazia, e così via. Ma le Scritture ci danno un’affermazione contraria: “Io sono l’Eterno, io non muto” (Malachia 3:6). Cercare di contrapporre la legge alla grazia è politeista o come minimo manicheo: assume due vie o poteri ultimi in contraddizione l’uno con l’altro. Ma la parola di Dio è una parola, e la legge di Dio è una legge, perché Dio è uno. La parola di Dio è una parola-legge, ed è una parola-grazia: la differenza sta nell’uomo in virtù dell’elezione, non in Dio. La parola benedice e la parola condanna nei termini della nostra risposta ad essa. Pregare per grazia è anche pregare per giudizio ed è un affermare la verità e la validità della legge e la giustizia della legge. L’intera dottrina dell’espiazione di Cristo sostiene l’unità di legge, giudizio e grazia.

Ogni forma di antinomismo ha in sé elementi di politeismo. Degli antinomisti Fairbairn ha scritto:

Alcuni magnificano tanto la grazia per poter mettere a tacere le loro coscienze riguardo alle richieste di santità, e reclamano per sé una libertà di peccare affinché abbondi la grazia o, ed è anche peggio, negano che qualsiasi cosa facciano possa avere il carattere del peccato, perché mediante la grazia essi sono assolti dai requisiti della legge, e perciò non possono peccare. Questi sono antinomisti del tipo più indecente, che non hanno meramente qualche testo particolare della Bibbia ma il suo intero tenore e spirito contro di essi. Altri, comunque, e questi sono i soli rappresentanti dell’idea che al tempo presente può considerarsi avere una notevole presenza, sono promotori di santità secondo l’esempio e gl’insegnamenti di Cristo. Sono pronti a dire: “La conformità alla volontà Divina, e ciò come fosse obbedienza ai comandamenti, somiglia alle gioie e ai doveri della mente rinnovata. Alcuni hanno timore della parola obbedienza, come se indebolisse l’amore e l’idea di una nuova creazione. La Scrittura non ne ha. L’obbedienza e l’osservanza dei comandamenti di uno che amiamo è la prova di quell’amore, e la delizia della nuova creatura. Se avessi fatto tutto bene, e non l’ho fatto in obbedienza, non avrei fatto bene niente, perché la mia vera relazione e il riferimento del mio cuore a Dio sarebbero stati lasciati fuori. Questo è l’amore, che osserviamo i suoi comandamenti” (Darby: “On the Law”, pp. 3, 4). Fin qui tutto benissimo, ma poi c’informano che questi comandamenti non si trovano nella rivelazione della legge, così definita, distintamente. La legge, sostengono, aveva un carattere e uno scopo specifici, da cui non può essere dissociata, e che fa di essa un ministro del male in tutti i tempi. “È un metodo di trattare con gli uomini che necessariamente li distrugge e li condanna. Questo è il modo (continua l’autore) che lo Spirito di Dio usa in contrasto con Cristo, e mai, nell’insegnamento cristiano, pone l’uomo sotto di essa. Né la Scrittura pensa mai di dire: Tu non sei sotto la legge in un modo, ma lo sei in un altro; non lo sei per la giustificazione, ma lo sei come regola di vita. Essa dichiara: Tu non sei sotto la legge ma sotto la grazia, e se sei sotto la legge sei condannato e sotto maledizione. Come può essere obbligatoria se l’uomo non le è sotto ma ne è stato liberato?” (Ibid. p. 4). L’antinomismo di questa descrizione, che fa una distinzione tra gli insegnamenti o comandamenti di Cristo e i comandamenti della legge, che sostiene che i primi siano vincolanti per la coscienza del cristiano e gli altri no, è apertamente nient’altro che parziale antinomismo; essenzialmente non è diverso dal neonomismo, poiché viene ripudiata solo la legge connessa con la precedente dispensazione, mentre è ricevuta come l’incarnazione dei principi della moralità cristiana ed associata con la vita e la potenza dello Spirito di Cristo<ref>Patrick Fairbairn: The Revelation of Law in Scripture; Grand Rapids. Zondervan, 1957 [1869], pp. 29-31.</ref>.

Un’associazione “evangelistica” dedicata al lavoro tra universitari ha di fatto insegnato che “La legge fu data da Satana”. (Raccontato dalla figlia di questo scrittore, da un corso insegnato nel campus universitario da un leader di quel movimento.) Una tale posizione può essere descritta solamente come una bestemmia.

Un esempio di questo antinomismo da qualche circolo luterano non ufficiale viene da un manuale di scuola domenicale. Il Vecchio Testamento è trattato, e pure il Nuovo, come un libro da scavare o da investigare per trovarvi delle “verità”, talché gli studi dei vari libri hanno una prefazione con alcune dichiarazioni sommarie intitolate: “Verità che troverete nel libro di Abakuk”, o “Verità che troverete nel libro di Matteo”, e così via. Dobbiamo assumere che il resto del libro sia fatto di menzogne? Nella “Introduzione al Nuovo Testamento” ci viene detto: “Il Nuovo Testamento è la presentazione della vita sotto la grazia nelle sue diversità dalla vita sotto la legge”<ref>Dr. J. A. Huffman and Knute Larson, Through the Bible in Two Years; Libro 6, pp. 32-33. Secondo anno, secondo quadrimestre (Winona Lake, Ind. Lambert Huffman, 1962.</ref>. Ma anche il Vecchio Testamento presenta la vita sotto la grazia, ed entrambi il Vecchio e il Nuovo Testamento presentano la vita sotto la grazia come vita sotto la legge, mai come in assenza di legge. L’alternativa alla legge non è la grazia; è l’assenza di legge. La grazia e l’elezione si muovono nei termini della legge e sotto la legge; i reprobi sono anti-legge e anti-grazia. Il proposito di uomini di chiesa è forse fare delle chiese delle scuole di riprovazione?

Tutto questo illustra un secondo principio dello Shema Israel: un Dio assoluto, immutabile, significa una assoluta immutabile legge. Le applicazioni sociali dell’uomo e la sua approssimazione della giustizia di Dio possono modificarsi, variare ed essere incerte, ma la legge assoluta non lo è. Parlare della legge come “per Israele” ma non per i cristiani significa non solo abbandonare la legge ma anche abbandonare il Dio della legge. Poiché c’è solo un vero Dio, e la sua legge è l’espressione delle sue immutabili natura e giustizia, abbandonare la legge biblica per un altro sistema giuridico è cambiare Divinità. Il collasso morale della cristianità è un prodotto di questo corrente processo di cambiamento di dii.

Il barthianismo, nell’affermare la “libertà” di Dio di cambiare (implicando l’evolversi di un dio imperfetto), afferma il politeismo. Il politeismo afferma molti dii e molte vie di salvezza. Non sorprende che Carl Barth sia quantomeno implicitamente universalista. Per Barth tutti gli uomini possono essere o saranno salvati perché non c’è una assoluta, immutabile legge che giudica tutti gli uomini. Nella sua prospettiva politeista, tutti gli uomini possono trovare una strada per la salvezza tra tante se, effettivamente, è la salvezza di cui hanno bisogno. Per Barth la salvezza dev’essere intesa più realisticamente come auto-realizzazione; è la gnosi dell’elezione, la realizzazione che tutti gli uomini sono eletti in Cristo, Vale a dire: liberi da un Dio assoluto e da un assoluto decreto e legge.

Un terzo principio dello Shema Israel è che un Dio, una legge, richiede una totale, costante, incondizionata obbedienza: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua forza” (Deuteronomio 6:5). Il Talmud traduce “forza” con “denaro”<ref>Talmud: Seder Mo’ed, vol. I, p. 246, n° 9.</ref>. Il significato è che l’uomo deve obbedire Dio totalmente, in ogni e qualsiasi condizione, con tutto il suo essere. Poiché l’uomo è totalmente la creatura di Dio, e poiché non c’è una fibra del suo essere che non sia opera di Dio e perciò soggetto alla totale legge di Dio, non c’è un’area di vita e dell’essere d’un uomo che possa essere tenuta in disparte da Dio e dalla sua legge. Perciò, come dichiara Deuteronomio 6:6: “E queste parole che oggi ti comando rimarranno nel tuo cuore”. Il commento di Lutero su questo verso è interessante perché contiene i semi dell’antinomismo che più tardi divenne così profondamente radicato nel luteranesimo:

Egli (Mosè) vuole che sappiate che il primo Comandamento è la misura e il criterio di tutti gli altri, al quale essi devono dare ascolto e obbedienza. Perciò, se è a motivo di fede e carità, potete uccidere, in violazione del quinto Comandamento, proprio come Abrahamo uccise i re (Genesi 14:15) e Re Achab peccò perché non uccise il Re di Siria (1 Re 20:34 s.). Simile il caso per furto, imboscata, e inganno contro i nemici di Dio; potete prendere le spoglie, beni, mogli, figlie, figli e servi dei nemici. Così dovreste odiare padre e madre per poter amare il Signore (Luca 14:26). In breve, dove qualsiasi cosa sia contro fede ed amore, lì non riconoscerete altro comando che sia da Dio o dall’uomo. Dove invece è per la fede e l’amore, saprete che tutto è comandato in qualsiasi situazione, dovunque. Poiché la frase dice: “Queste parole saranno nel tuo cuore”; lì esse dirigeranno. Inoltre, a meno che esse siano anche nel cuore, certamente nessuno comprenderà o seguirà questa epieikeia, o mai utilizzerà leggi con successo, sicurezza e legittimità. Perciò Paolo dice anche in 1 Timoteo 1: 9 che “La legge non è stata istituita per il giusto”, per la ragione che il compimento della legge è l’amore da un cuore e da una fede non finta (1 Timoteo 1:5), il quale [l’amore] usa la legge legittimamente quando non ha leggi ed ha tutte le leggi-non leggi, perché nessuna vincola a meno che serva fede e amore; tutte, perché tutte vincolano se servono fede ed amore.

Perciò, questo è ciò che Mosè intende in quel passo: Se desideri comprendere il primo Comandamento correttamente e veramente: non avere altri dèi, agisci in modo da credere ed amare un Dio, rinnega te stesso, ricevi ogni cosa per grazia, e fa ogni cosa con gratitudine<ref>Jaroslav Pelikan, Daniel Poellot ed., Luther’s Works, vol. 9, Lectures on Deuteronomy; S. Louis: Concordia, 1960; p. 70</ref>.

La confusione di questa dichiarazione può generare solo confusione.

Un quarto principio che deriva dallo Shema Israel è affermato in Deuteronomio 6:7-9, 20-25: l’istruzione nella legge è basilare e inseparabile dall’obbedienza ad ambedue la legge e il culto. La legge richiede istruzione nei termini della legge. Qualsiasi altra cosa che un’educazione fondata sulla Bibbia è perciò un atto d’apostasia per un credente: concerne l’avere un altro dio e prostrarsi davanti a lui per imparare da lui. Non può esserci vero culto senza vera istruzione, perché la legge prescrive ed è assoluta, e nessun uomo può avvicinarsi a Dio in disprezzo delle sue prescrizioni.

Da Deuteronomio 6:8 Israele derivò l’uso del tefillin (filatterie), le porzioni della legge legate al capo o al braccio durante la preghiera. Di 6:8-9 è stato osservato:

<blocquote>Proprio come queste parole sono figurative, e denotano una ferma osservanza dei comandi divini, così anche il comandamento che segue, cioè di scrivere le parole della legge sugli stipiti e sulle porte devono essere intesi spiritualmente; e il compimento alla lettera di questo comando avrebbe potuto essere un’usanza degna d’onore o di compiacimento per il Signore quando si ricorresse ad essa come modo di tenere i comandamenti di Dio costantemente davanti agli occhi. Il precetto stesso, comunque, presuppone l’esistenza di questa usanza, che non solo è ancora attiva nelle nazioni maomettane dell’Est al giorno d’oggi ma fu anche un’usanza comune nell’antico Egitto<ref>Keil and Delizsch, op. cit., III, 324.</ref>.

Ciò che è richiesto, sicuramente, è che mente ed azione, famiglia e casa, la visione d’un uomo e il suo operare, siano viste tutte nella prospettiva della parola-legge di Dio.

Ma non è tutto. Il compimento letterale del comando riguardante il filatterio al capo e alla mano (Deuteronomio 6:8-9) è chiaramente richiesto come rende chiaro Numeri 15:37-41 (cfr. Deuteronomio 11:18-20). I cordoni violetto richiesti non possono essere dismessi spiritualmente. Dio richiede di essere adorato secondo la sua parola. Su questo punto il commento di Calvino a Numeri 15:38 è centrato:

E, prima di tutto, contrapponendo “i cuori e gli occhi” degli uomini alla sua legge, egli dimostrò che vuole che il suo popolo sia contento con quella regola che egli prescrive, senza mescolarci alcuna delle loro immaginazioni; e, di nuovo, egli denuncia la vanità di qualsiasi cosa gli uomini inventino per sé stessi, e per quanto attraente possano trovare qualsiasi progetto umano, lo stesso egli lo ripudia e condanna. E ciò è espresso ancor più chiaramente con l’ultima parola, con la quale dice che gli uomini “fornicano” (letteralmente: “vanno a bagasce” n.d.t.) ogni qual volta sono governati dal proprio consiglio. Questa dichiarazione merita la nostra particolare attenzione, poiché mentre quelli che adorano Dio secondo la loro propria volontà hanno molta auto-soddisfazione, e mentre considerano che il loro zelo sia molto buono e molto giusto, non fanno nient’altro che contaminare se stessi con adulterio spirituale. Poiché ciò che è considerato dal mondo la più santa devozione, Dio, con la propria bocca, denuncia essere fornicazione. Con la parola “occhi” egli indubbiamente significa la capacità dell’uomo di discernere<ref>Giovanni Calvino: Commentaries on the Four Last Books of Moses in the Form of a Harmony; Grand Rapids: Eerdmans, 1950, I, 265.</ref>.

Dispiace che Calvino deturpi quest’insegnamento chiamandolo un “bisogno di rozzi rudimenti”<ref>Ibid.</ref>. Nostro Signore adempì questa legge, e una donna toccò la frangia o lembo della sua veste per essere guarita (Matteo 9:20). Gesù criticò i farisei perché allargavano le loro filatterie e allungavano le frange (Matteo 23:5) per vantarsi della loro pretesa superiore lealtà alla legge. Il comandamento è ripetuto in Deuteronomio 22:12, così da renderne chiara l’importanza. Gli uomini si vestono in modi strani e diversi per conformarsi al mondo e ai suoi stili. Cosa c’è di “rozzo” circa qualsiasi conformità alla legge di Dio o qualsiasi moda Dio specifichi? Non c’è nulla di difficile o strano riguardo a questa legge, né alcunché di assurdo o impossibile.

Non è osservata dai cristiani, perché come la circoncisione, il sabato, e altri aspetti della forma mosaica del patto, fu superata da nuovi segni del patto come sono stati rinnovati da Cristo. La legge del patto rimane, i riti e i segni pattizi sono stati cambiati. Ma le forme dei segni pattizi non sono meno onorevoli, profondi e belli nella forma mosaica che in quella cristiana. Il cambiamento non rappresenta un avanzamento evolutivo o una relazione più alta o più bassa. Il patto fu compiuto in Gesù Cristo; ma Dio non trattò Mosè, Davide, Isaia, Ezechia, o alcuno del suo popolo pattizio del Vecchio Testamento come minore ai suoi occhi o più puerile nella capacità e perciò bisognoso di “rozzi rudimenti”. In ogni epoca, il patto è completamente santo e saggio; in ogni epoca il popolo del patto si regge nei termini della grazia, non in ragione di una “più alta” capacità o maturità personale.

Adorare in una lingua sconosciuta (1 Corinzi 14) è una violazione di questo comandamento, come lo è un culto che manchi della fedele proclamazione della parola di Dio, o sia senza l’istruzione del popolo del patto nei termini della parola-legge del patto.

Un quinto principio che è pure proclamato in questo stesso passo, in Deuteronomio 6: 20-25, è che, in questa istruzione comandata, deve essere sottolineato che la risposta alla grazia è l’osservanza della legge. Ai bambini dev’essere insegnato che il significato della legge è che Dio ha redento Israele dalla schiavitù, e, “perché egli ci conservasse in vita” “ci comandò di mettere in pratica tutti questi statuti, temendo l’Eterno il nostro Dio per il nostro bene” (6:24). Non c’è autorizzazione d’accantonare questo né nel Vecchio né nel Nuovo Testamento. Dove le chiese del Vecchio o del Nuovo Testamento abbiano istituito un falso significato della legge, quel falso significato viene attaccato da profeti e da apostoli, ma mai la legge di Dio in sé stessa. Poiché Dio è uno, la sua grazia e la sua legge sono uno nel loro scopo e direzione. Questo passo rende estremamente chiara la priorità della grazia elettiva di Dio nel chiamare e redimere il suo popolo scelto. La relazione d’Israele era una relazione di grazia, e la legge fu data in modo da provvedere al popolo di Dio la necessaria e richiesta risposta alla grazia ed essa stessa manifestazione della grazia: l’osservanza della legge.

In Deuteronomio 6:10-15, viene fatto un altro punto centrale con riguardo alle implicazioni dello Shema Israel:

Ed avverrà, quando l’Eterno, il tuo Dio, ti avrà fatto entrare nel paese che giurò ai tuoi padri, ad Abrahamo, Isacco e Giacobbe, di darti grandi e belle città che tu non hai costruito, e case piene di ogni bene che tu non hai riempito, pozzi scavati che tu non hai scavato, e vigne e uliveti che tu non hai piantato; quando dunque avrai mangiato e ti sarai saziato, guardati dal dimenticare l’Eterno che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla casa di schiavitù. Temerai l’Eterno il tuo Dio, lo servirai e giurerai per il suo nome. Non seguirete altri dèi , fra gli dèi dei popoli che vi circondano, perché l’Eterno. il tuo Dio, che sta in mezzo a te, è un Dio geloso; altrimenti l’ira dell’Eterno, il tuo Dio si accenderebbe contro di te e ti farebbe scomparire dalla faccia della terra<ref>L’autore qui cita il testo Masoretico, della Jewish Publication Society, da qui in poi MTV. Non riscontrando differenze viene qui riportato il testo della ND. (n.d.t.)</ref>.

Perciò, il sesto principio è la gelosia di Dio. Questo è un fatto di cardinale importanza. Il popolo scelto viene avvertito, quando occuperanno e possederanno un ricca terra che essi non hanno sviluppato, di non dimenticare Dio, che li ha liberati e fatti prosperare. Vedendo la ricchezza che proveniva da una cultura ostile a Dio, il popolo pattizio di Dio sarebbe stato tentato di prendere in considerazione mezzi di successo e prosperità altri dal Signore. La tentazione sarebbe stata di “seguire altri dèi, gli dèi dei popoli circostanti”. Questo equivale a credere che esista un ordinamento giuridico altro da quello di Dio, è dimenticare che il successo e la distruzione dei canaaniti fosse altrettanto opera di Dio. È un provocare l’ira di Dio e la sua gelosia. Il fatto che la gelosia sia ripetutamente associata con la legge, ed invocata da Dio nella promulgazione della legge, è di cardinale importanza per capire la legge. La legge di Dio non è una forza operativa meccanica, cieca e impersonale. Non è né Karma né fato. La legge di Dio è la legge del Creatore assoluto e totalmente personale, la cui legge opera dentro al contesto dei suoi amore e odio, la sua grazia verso il suo popolo e la sua ira verso i suoi nemici. La corrente elettrica è impersonale: fluisce nella propria specifica energia quando esistano le condizioni per un fluire o per una scarica; altrimenti non fluisce. Ma la legge di Dio non è così: è personale; Dio trattiene la sua ira in pazienza e grazia, o distrugge i suoi nemici con una straripante inondazione di giudizio (Nahum 1:8). Da una prospettiva umanistica e impersonalistica, sia la misericordia di Dio verso l’Assiria (Giona 3:1-4:3) sia il giudizio di Dio sull’Assiria (Nahum 1:1- 3:19) sembrano sproporzionate, perché una legge impersonale è anche una legge esogena: conosce solo i fatti, non il cuore. L’uomo, quando applica la legge di Dio, deve giudicare le azioni dell’uomo, ma Dio, essendo assoluto, giudica l’uomo totale con giudizio totale. La gelosia di Dio è perciò la certa assicurazione dell’infallibilità del tribunale di Dio. Il male che così facilmente sfugge ai tribunali dello stato non possono sfuggire al giudizio di Dio il quale, tanto nel tempo e che oltre il tempo, si muove nei termini dei requisiti totali della sua legge. La gelosia di Dio è la garanzia di giustizia. Una giustizia impersonale in un mondo di persone significa che il male, essendo personale, può sfuggire alla rete della legge e regnare ridendo trionfante. Ma il Dio geloso previene il trionfo sia di Canaan o sia di un Israele o di una chiesa apostati. Senza un Dio personale, geloso, nessuna giustizia è possibile. La dottrina del karma non fa altro che porre l’ingiustizia sul trono: conduce all’esternalismo e all’impersonalismo più crudeli e callosi. Il popolo del karma risparmia le proprie scimmie ma le persone si distruggono l’un l’altro, il karma non conosce grazia perché in essenza il Karma non conosce persone, solo azioni e conseguenze. Sfuggire dal karma diventa Nirvana, la fuga dalla vita.

Questo stesso passo dichiara: “Temerai l’Eterno il tuo Dio, lo servirai e giurerai per il suo nome” (Deuteronomio 6:13). Il commento di Lutero qui è eccellente:

Perciò giuri per il nome di Dio se colleghi ciò che giuri a Dio e lo afferri nel nome di Dio, altrimenti non giureresti se sapessi che gli dispiace. Similmente servi Dio solo quando servi l’uomo nel nome di Dio, altrimenti non serviresti. Con un tal modo di giurare tu salvaguardi il tuo servizio a Dio solo e non sei attirato verso un’opera o un giuramento empi. Perciò anche Cristo dice in Matteo 23:16-22 che chi giura per il tempio e per l’altare e per il cielo giura per Dio, ed in Matteo 5: 35-36 egli proibisce di giurare per Gerusalemme, per il capo di qualcuno, per il cielo o per qualsiasi altra cosa, perché in tutti questi uno giura per Dio. Ma giurare per Dio in modo frivolo o vuoto è nominare il nome di Dio invano.

Quando, perciò, egli desidera che un giuramento sia fatto sul nome di Dio e di nessun altro, la ragione non è solo questa, che per la verità (che è Dio) non sia introdotta la conferma di alcuno eccetto quella di Dio stesso, ma anche questo, che l’uomo debba restare nel servizio di Dio solamente, imparare a porre tutto in relazione con lui, e fare, possedere, usare, e sopportare tutto nel suo nome. Altrimenti, se utilizzano un altro nome, verrebbero sviati e si abituerebbero a giurare come se non avessero nulla a che vedere con Dio, ed infine, attraverso il cattivo uso comincerebbero a fare distinzione tra le opere con cui Dio è servito e quelle con le quali non è servito, mentre egli vuole essere servito in tutte e vuole che tutte le cose siano fatte con timore, perché egli è presente per vedere e giudicare.

Perciò il giuramento dev’essere usato nello stesso modo in cui usiamo la spada e il rapporto sessuale. È proibito mettere mano alla spada, come Cristo dice (Matteo 26:52): “Tutti quelli che mettono mano alla spada, periranno di spada”, perché la usano senza un comando e a motivo della propria concupiscenza. Ma è un comando e un servizio divino portare la spada se questo è stato assegnato da Dio o per mezzo dell’uomo; perché allora è portata nel nome del Signore, per il bene del prossimo, come dice Paolo: “[il magistrato] è un servo di Dio per il bene” (Romani 13:4). Così l’uso carnale del sesso è proibito perché è una disordinata lussuria. Però, dove il sesso è associato a te in matrimonio, allora la carne dovrebbe essere usata, e tu rendi alla legge divina, cioè, all’amore ciò che è richiesto. Uno dovrebbe fare uso del giuramento nello stesso modo: dovresti giurare non per il tuo proprio bene ma per il bene di Dio o del tuo prossimo nel nome del Signore. In questo modo resterai sempre nel servizio di Dio solamente<ref>Lutero: Deuteronomy, p. 73 s.</ref>.

Nella tentazione di Gesù, due risposte a Satana su tre sono da Deuteronomio 6: “Sta anche scritto: ‘Non tentare il Signore Dio tuo’” (Matteo 4:7; Deuteronomio 6:16) , e “Vattene Satana, poiché sta scritto: ‘Adora il Signore Dio tuo e servi lui solo’” (Matteo 4:10; Deuteronomio 6:13; 10:20). La terza risposta è presa da un passo collegato, Deuteronomio 8:3: Ma egli rispondendo disse: “Sta scritto: ‘L’uomo non vivrà di solo pane, ma di ogni parola che procede dalla bocca di Dio’” (Matteo 4:4). Tutte tre le risposte furono reazioni alla tentazione di mettere Dio alla prova, implicite alla quali non c’era solo un mettere in questione ma in realtà uno sfidare Dio e la sua parola-legge.

Un settimo principio che consegue dalla Shema Israel è dichiarato in Deuteronomio 6: 16-19:

Non tenterete l’Eterno, il vostro Dio, come faceste a Massa. Osserverete diligentemente i comandamenti dell’Eterno, il vostro Dio, i suoi precetti e i suoi statuti che egli vi ha ordinato. Perciò farai ciò che è giusto e buono agli occhi dell’Eterno, affinché ne venga del bene a te ed entri ad occupare il buon paese che l’Eterno giurò di dare ai tuoi padri, scacciando tutti i tuoi nemici davanti a te, come l’Eterno ha promesso.

Fu questo che Satana cercò di far fare a Gesù: tentare Dio, mettere Dio alla prova. Israele aveva tentato Dio a Massa sollevando la domanda: “È l’Eterno in mezzo a noi, o no?” (Esodo 17:7).

L’adorazione di Jehovah non solo preclude ogni idolatria, che il Signore, in quanto Dio geloso, non tollererà (vedi Esodo 20:5), ma punirà con la distruzione dalla terra (“sterminarli dalla faccia della terra” come in Esodo 32:12): ma esclude anche il tentare il Signore con un incredulo mormorio contro Dio, se egli non toglie ogni tipo di difficoltà immediatamente, come il popolo aveva già peccato a Massa, cioè a Refidim (Esodo 17: 1-7)<ref>Keil and Delizsch: op. cit., III, 325 s.</ref>

Questo settimo principio perciò proibisce l’incredula messa alla prova di Dio: la legge di Dio è la prova per l’uomo; e dunque l’uomo non può presumere di essere dio e di mettere alla sbarra Dio e la sua parola-legge. Tale agire è di suprema arroganza e di bestemmia, è l’opposto dell’obbedienza perché è l’essenza della disobbedienza alla legge. Per questo è messo in contrasto con la diligente osservanza della legge. Questa obbedienza è la condizione della benedizione: è il fondamento della conquista e del possesso, nei termini della quale il popolo pattizio di Dio, il suo popolo della legge, entra in possesso dell’eredità.

Tentare, o mettere Dio alla prova ha anche altre implicazioni. Secondo Lutero:

Il primo modo consiste nel non usare le cose necessarie che sono sotto mano ma cercarne altre che non lo sono … Così tenta Dio chi russa e non vuol lavorare, dando per scontato ch’egli debba essere sostenuto da Dio senza lavorare, benché Dio abbia promesso di provvedere per lui tramite il suo lavoro, come dice Proverbi 10:4: “La mano dei solerti fa arricchire, ma chi lavora con mano pigra impoverisce”. Anche questo volgare celibato è in questa categoria … In secondo luogo, Dio è tentato quando niente di ciò che è necessario sia a portata di mano fatta eccezione per la sola e nuda Parola di Dio … Poiché in questi casi gli empi non si contentano con la Parola; e a meno che Dio faccia ciò che ha promesso nel tempo, luogo e modo che essi prescrivono da sé, si arrendono e non credono. Ma prescrivere tempo, luogo e modo a Dio è in realtà un tentarlo e un cercare di percepire, per così dire, se egli esista. Ma questo non è nient’altro che voler mettere dei limiti a Dio e assoggettarlo al nostro volere; di fatto, privarlo della sua divinità. Egli dovrebbe essere libero, non soggetto a vincoli e limiti, ed essere lui a prescrivere luoghi, mezzi e tempi per noi. Perciò, ambedue le tentazioni sono contro il primo Comandamento … <ref> Lutero, op.cit., p. 74 s.</ref>.

La negligenza nei confronti dello Shema Israel e di Deuteronomio 6 è stato parte integrante della negligenza nei confronti della legge.

 

2. La parola compatta (indivisa)

Nella legge compare un certo numero di prologhi o dichiarazioni introduttive che non sono generalmente considerati parte della legge. Calvino chiamò questi passi “L’introduzione alla legge”, che, in un senso accurato, è una definizione corretta, ma sono egualmente una parte della legge, nel primo Comandamento in particolare, perché affermano la natura esclusiva dell’unico vero Dio e proibiscono che Israele faccia alleanza con altri dèi. Questi passi sono Esodo 20:1, 2; 23:20-31; Levitico 19:36, 37; 20:8; 22:31-33; Deuteronomio 1:1-4:49; 5:1-6; 7:6-8; 8:1-18; 10:14:17; 11:1-7; 13:18; 26:16-19; 27:9, 10.

Primo, è asserita la premessa del comandamento, come nello Shema Israel, che Dio è l’Eterno (Jehovah o Yahweh, Colui Che È, l’Uno auto-esistente, assoluto ed eterno) e, secondo, che Israele sta davanti a Dio in ragione della sua grazia elettiva:

Allora DIO pronunziò tutte queste parole, dicendo: “Io sono l'Eterno, il tuo DIO, che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla casa di schiavitù” (Esodo 20: 1, 2).

Mosè convocò tutto Israele e disse loro: «Ascolta, Israele, gli statuti e i decreti che oggi io proclamo ai tuoi orecchi, perché li impari e ti impegni a metterli in pratica. L'Eterno, il nostro DIO, stabilì con noi un patto in Horeb. L'Eterno non stabilì questo patto con i nostri padri, ma con noi, che oggi siamo qui tutti quanti in vita. L'Eterno vi parlò faccia a faccia sul monte, di mezzo al fuoco. Io stavo allora fra l'Eterno e voi per riferirvi la parola dell'Eterno, perché voi aveste paura del fuoco e non saliste sul monte. Egli disse: “Io sono l'Eterno, il tuo DIO, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla casa di schiavitù” (Deuteronomio 5:1-6).   Ma l'Eterno ha preso voi e vi ha fatto uscire dalla fornace di ferro, dall'Egitto, per essere suo popolo, sua eredità, come siete oggi (Deuteronomio 4:20).

In questi e molti altri passi citati sopra, sono dichiarate la sovranità di Dio e la sua grazia elettiva. In Deuteronomio 5:3, i “padri” che perirono nel deserto, mentre esternamente appartenenti al patto, sono esclusi da esso con la dichiarazione di Dio: il patto è “con noi che siamo qui tutti quanti in vita”. Quelli che perirono erano stati tagliati fuori da Dio per la loro incredulità. Il “popolo dell’eredità” (Deuteronomio 4:20) sono gli Israeliti credenti.

La storia della grazia, e il fatto della grazia salvifica di Dio verso Israele, è citato ripetutamente per dissuadere il popolo dalla presunzione e dall’orgoglio (Deuteronomio 1-4; 7:6-8; 8:1-6, 11-18; 9:1-6, 10:14-17, 21-22; 11:1-8; 26:16-19; 27:9, 10; 29:2-9). La storia della grazia è anche una promessa di grazia se la risposta dell’uomo è una di grata obbedienza alla legge e un’indefettibile devozione al solo vero Dio.

Terzo, l’Angelo dell’Eterno sarebbe andato davanti al suo popolo, per custodirli e introdurli nella terra promessa:

"Ecco, io mando un Angelo davanti a te per vegliare su di te lungo la via, e per farti entrare nel luogo che ho preparato.Stai attento davanti a lui e ubbidisci alla sua voce; non ribellarti a lui, perché egli non perdonerà le vostre trasgressioni, poiché il mio nome è in lui. Ma se ubbidisci pienamente alla sua voce e fai tutto quello che dirò, io sarò il nemico dei tuoi nemici e sarò l'avversario dei tuoi avversari; poiché il mio Angelo andrà davanti a te e ti farò entrare nel paese degli Amorei, degli Hittei, dei Perezei, dei Cananei, degli Hivvei e dei Gebusei, e li sterminerò. Non ti prostrerai davanti ai loro dei, e non li servirai. Non farai ciò che essi fanno; ma li distruggerai interamente e spezzerai le loro colonne. Servite all'Eterno, il vostro DIO, ed egli benedirà il tuo pane e la tua acqua; ed io allontanerò la malattia di mezzo a te. Nel tuo paese non ci sarà alcuna donna che abortisca, né alcuna donna sterile. Io farò completo il numero dei tuoi giorni. Io manderò davanti a te il mio terrore e metterò in rotta ogni popolo presso il quale arriverai, e farò voltare le spalle davanti a te a tutti i tuoi nemici. E manderò davanti a te i calabroni, che scacceranno gli Hivvei, i Cananei e gli Hittei davanti a te. Non li scaccerò davanti a te in un anno, affinché il paese non diventi un deserto e le bestie dei campi non si moltiplichino contro di te. Li scaccerò davanti a te a poco a poco, affinché tu cresca di numero e prenda possesso del paese. E fisserò i tuoi confini dal Mar Rosso al mare dei Filistei e dal deserto fino al Fiume; poiché io darò nelle tue mani gli abitanti del paese e tu li scaccerai davanti a te Non farai alleanza alcuna con loro, né coi loro dei. Essi non abiteranno nel tuo paese, perché non ti facciano peccare contro di me: tu serviresti ai loro dei e questo ti sarebbe un laccio" (Esodo 23:20-33).

L’Angelo dell’Eterno (Genesi 16:10, 13; 18:2-4, 13, 14, 33; 22:11, 12, 15, 16; 31:11, 13; 32:30; Esodo 3:2, 4; 20:20 s.; 32:34; 33:14; Gs. 5:13-15; 6:2; Isaia 63:9; Zaccaria 1:10-13; 3:1-2) identifica sé stesso con l’Eterno; coloro ai quali si rivela lo riconoscono come Dio; è chiamato l’Eterno (Yhwh) dagli scrittori della Bibbia; la Scrittura qui implica una pluralità di persone nella Divinità<ref>H.C. Leupold, Exposition of Genesis, Columbus, Ohio: The Wartburg Press, 1942, p. 500 s.</ref>. Inoltre, c’è la dichiarazione fatta espressamente da Dio che “Il mio nome è in lui”, che è lo stesso che “Io sono in lui” (Esodo 23:20)<ref>Oswald T. Allis, God Spoke By Moses, Philadelphia: Presbyterian and Reformed Publishing Co., 1951, p. 62 s.</ref>. L’Angelo dell’Eterno compare nel Nuovo Testamento ripetutamente, per esempio in Atti 5:19; 12:7-11,17, ecc. San Paolo identifica l’Angelo con Gesù Cristo (1 Corinzi 10:9).

Quarto, saranno preservati da peste ed epidemie (Esodo 23:25-27), cosicché l’obbedienza è seguita da benedizioni materiali. Queste benedizioni materiali includono scacciare i loro nemici davanti a loro e dare loro una grande eredità (Esodo 23:27-31). Che tutto ciò sia legato al primo comandamento è evidente da Esodo 23: 32-33; Essi si devono separare da altri dèi: “Nessuna alleanza” può essere fatta con i non credenti (per mezzo di matrimonio, trattato o comunità) o con i loro dèi. Un verso importante che viene dalla conclusione della legge è comunque un’esposizione di quale approccio l’uomo debba avere con la legge. In Deuteronomio 29:29, Mosè, dopo averli avvertiti della maledizione sulla disobbedienza, dichiarò:

Le cose occulte appartengono all’Eterno, il nostro Dio, ma le cose rivelate sono per noi e per i nostri figli per sempre, perché mettiamo in pratica tutte le parole di questa legge.

Un interpretazione che è molto rilevante per il contesto di quest’affermazione commenta:

Le cose rivelate include la legge con le sue promesse e minacce: conseguentemente, ciò che è occulto può riferirsi solo al modo in cui Dio nel futuro compirà il proprio consiglio e volontà, che ha rivelato nella legge, e completerà la sua opera di salvezza nonostante l’apostasia del popolo<ref>Keil and Delizsch, op. cit., III, 451.</ref>.

Questo significa, quinto, che la legge, la rivelazione di Dio ha dietro a sé la segreta volontà di Dio per cui il suo consiglio reggerà e la ribellione dell’uomo verrà confusa, per il trionfo del suo regno nei suoi tempi e modi. In breve, la legge è rivelata; il suo compimento è assicurato perché Dio è Dio; modi e tempi sono ampiamente nascosti. Il tribunale è convocato da Dio, non dall’uomo.

Sesto, la legge è una parola compatta:

Non aggiungerete nulla quanto vi comando e non toglierete nulla, ma impegnatevi ad osservare i comandamenti dell’Eterno, il vostro Dio, che io vi prescrivo (Deuteronomio 4:2).

Il significato è chiaramente che tutta la Scrittura, legge, profeti e vangelo è una parola. Parole possono essere aggiunte, fino alla chiusura della rivelazione anche mentre addizione o (sottrazione) sono proibite (Apocalisse 22:18,19). Non ci può essere arbitraria separazione della legge dal vangelo: un Dio significa una parola. Dividere la parola è negare Dio.

 

3. Dio contro Molek

Calvino, nella sua eccellente classificazione della legge nel suo Commentaries on the Four Last Books of Moses Arranged in the Form of a Harmony, cita Deuteronomio 18:9-22; 13:1-4; Levitico 18:21; 19:26, 31 e Deuteronomio 12:29-32, come basilari per il primo comandamento. Questi passi sono in relazione ai tentativi dell’uomo di conoscere e controllare il futuro. Poiché Dio è l’Eterno, il creatore del cielo e della terra, e il determinatore di tutte le cose, ogni tentativo di conoscere e controllare il futuro al di fuori di Dio è istituire un altro dio in disprezzo dell’Eterno.

Ogni forma illecita d’investigare il futuro è citata da Mosè:

Quando entrerai nel paese che l'Eterno, il tuo DIO, ti dà, non imparerai a seguire le abominazioni di quelle nazioni. Non si trovi in mezzo a te chi faccia passare il proprio figlio o la propria figlia per il fuoco, né chi pratichi la divinazione, né indovino, né chi interpreta presagi, né chi pratica la magia, né chi usa incantesimi, né un medium che consulta spiriti, né uno stregone, né chi evoca i morti, perché tutti quelli che fanno queste cose sono in abominio all'Eterno; e a motivo di queste abominazioni, l'Eterno, il tuo DIO, sta per scacciarli davanti a te. Tu sarai integro davanti all'Eterno, il tuo DIO; poiché quelle nazioni, che tu scaccerai, hanno dato ascolto a indovini e a maghi; ma, quanto a te, l'Eterno, il tuo DIO, non ha permesso che tu faccia così (Deuteronomio 18:9-14).

Non permetterai che alcuno dei tuoi discendenti sia offerto a Molek; e non profanerai il nome del tuo DIO. Io sono l'Eterno (Levitico 18:21).

Non mangerete nulla che contenga sangue. Non praticherete alcun genere di divinazione o di magia (Levitico 19:26).

Quando l'Eterno, il tuo DIO, avrà sterminato davanti a te le nazioni che tu stai per andare a spodestare, e quando le avrai spodestate e dimorerai nel loro paese, guardati bene dal cadere nel laccio, seguendo il loro esempio, dopo che sono state distrutte davanti a te, e dall'informarti dei loro dèi, dicendo: "Come servivano queste nazioni i loro dèi Farò anch'io così". Tu non farai così con l'Eterno, il tuo DIO, perché con i loro dèi esse hanno fatto tutto ciò che è abominevole per l'Eterno che egli detesta; hanno persino bruciato nel fuoco i loro figli e le loro figlie, in onore dei loro dèi. Avrete cura di mettere in pratica tutte le cose che vi comando; non vi aggiungerai nulla e nulla toglierai da esse (Deuteronomio 12:29-32).

Il commento di Calvino su Deuteronomio 18:9-14 va al cuore della questione:

In questo passo Mosè spiega chiaramente cosa significhi avere altri dèi, cioè mescolare l’adorazione di Dio con cose profane, poiché la sua purezza è mantenuta tale solamente bandendo da essa tutte le invise superstizioni. Il succo, perciò, è che il popolo di Dio si astenga da tutte le invenzioni degli uomini con cui è adulterata la religione pura e semplice<ref> John Calvin, Commentaries on the Last Four Books of Moses, Vol. I, p. 424.</ref>.

Egualmente puntuale è l’osservazione di un altro commentatore:

Mosè raggruppa insieme tutte le parole che la lingua conteneva per i differenti modi d’esplorare il futuro e scoprire la volontà di Dio, allo scopo di proibire ogni descrizione di divinazione, e colloca in testa la proibizione del culto di Molek per dimostrare la connessione interna tra la divinazione e l’idolatria, probabilmente perché la februatio, ovvero il passare figli attraverso il fuoco nel culto di Molek era più intimamente connesso con la divinazione e la magia che qualsiasi altra descrizione dell’idolatria<ref>eil and Delizsch, The Pentateuch, III, 393 (La Parola ‘februation’ usata da K. e D. in latino “februatio” non ha traduzione in Italiano ed è scarsamente conosciuta anche in Inglese. Significa purificazione o rinnovamento attraverso il fuoco. N. d.T.)</ref>.

Viene citata un’ampia varietà di pratiche. Un “incantatore” è un bisbigliatore o incanta-serpenti; una strega, una che usa incantesimi o fatture; un mago, uno che reclamava di conoscere i segreti dell’altro mondo; un negromante, uno che richiama i morti, e così via<ref>C. H. Waller “Deuteronomy” in Ellicott, II, p. 54.</ref>. Ma il male critico è il culto di Molek. La parola Molek (o Melech, Melek, Malik) che significa re, è una parola ottenuta cambiando le vocali al nome di un dio pagano, sono mantenute le consonanti di re e vengono usate le vocali di vergogna. A questo dio che è identificato come il dio di Ammon in 1 Re 11:7, 33 venivano offerti sacrifici umani. Ci sono riferimenti a Molek (Malkam) in Geremia 49:1,3; Amos 1:15 (re), Sofonia 1:5 (Malkam); Levitico 18:21; 20:2-5; 2 Re 23:10; Geremia 32:35; ecc., e il sito del culto di Molek in Israele era la valle di Hinnom (Genesi 32:35; 2 Re 23:10). Il culto di Molek non era limitato ad Ammon<ref>J. Gray, “Molech, Moloch”, in The Interpreter’s Dictionary of the Bible, K-Q, p. 422s.</ref>.

Molek è “il re” o “regalità”. Il nome di Melek è dato anche come Milcom (1Re 11:5, 33) e Malkam (Genesi 49:1; So. 1:5). Molek era un aspetto di Baal (Genesi 32:35), Baal significa signore. Sotto il nome di Melcart, re di Tiro, Baal era adorato a Tiro con sacrifici umani<ref>John D. Davies: A Dictionary of the Bible; Philadelphia: Westminster press, (1924), 1936, p. 510.</ref>.

Mentre si conosce relativamente poco di Molek, si sa molto di più del concetto di regalità divina, il re come dio, e il dio come re, quale anello di congiunzione divino-umano tra cielo e terra. Il dio-re rappresentava l’uomo in un’entità più grande, l’uomo asceso, e il culto di un tale dio, cioè di un tale Baal, era l’affermazione della continuità di cielo e terra. Era il credo che ogni essere fosse parte di un solo essere, e il dio, perciò, era un uomo asceso su quella scala dell’essere. Il potere manifestato nell’ordinamento politico era pertanto una manifestazione della cattura e conquista del potere divino. Rappresentava il trionfo di un uomo e del suo popolo. Il culto di Molek era dunque una religione politica.

Poiché Molek rappresentava regalità e potere, i sacrifici a Molek rappresentavano l’acquisizione, come minimo, d’immunità e protezione; alla sua massima asserzione: l’acquisizione di potere. I sacrifici “più alti” nel paganesimo, e specialmente nel culto di Baal, erano sacrifici d’umanità, e cioè auto-mutilazione, notoriamente la castrazione, il sacrificio di bambini e di posterità e simili. Il sacerdote veniva identificato col dio nella misura in cui aveva “abbandonato” l’umanità per mezzo della sua castrazione, la sua separazione da relazioni umane normali, e le sue anormalità. Il re veniva identificato con il dio nella misura in cui manifestava potere assoluto. Il sacrificio di bambini era il supremo sacrificio a Molek. Il culto di Molek fu introdotto in Israele quando Salomone costruì un altare a Molek per le sue mogli straniere, le Ammonite in particolare. Apparentemente, Salomone limitò la portata sacrificale di quell’altare perché passarono molte generazioni avanti che fosse fatto il primo sacrificio umano, ma l’azione di Salomone (1 Re 11:7,8) aveva introdotto il culto in Israele.

Il culto di Molek era dunque il culto dello stato. Lo stato era il vero ordine ultimo, e la religione era un dipartimento dello stato. Lo stato asseriva la totale giurisdizione sull’uomo; aveva perciò il diritto al sacrificio totale. T. Robert Ingram, nel suo eccellente studio della legge, virtualmente l’unico lavoro sulla legge di valore in generazioni, concatena giustamente il primo comandamento con la proscrizione dello statalismo e del totalitarismo. Parlando del “governo che vorrebbe arrogare a sé stesso ogni potere e non inchinarsi davanti a nessun altro,” Ingram commenta:

La parola moderna per un tale governo è totalitarismo: un governo che arroga a sé stesso il potere totale. Il coronamento del proposito di Satana è d’avere un governo mondiale totalitario. Noi che abbiamo conosciuto qualcosa di Dio il creatore sappiamo che il potere totale può risiedere solo in lui. Ovviamente il creatore di tutto è più grande di qualsiasi cosa possa fare. La reale possibilità di un mostro di Frankenstein, la creazione di mani umane che può distruggere gli umani e non essere da essi distrutto, è una figura falsa della mente distorta. Presuppone un genio del male soprannaturale che inganna gli uomini a pensare che hanno fatto qualcosa mentre in realtà non sono stati altro che agenti passivi di un potere sconosciuto. Il vasaio può fare ciò che vuole con la sua creta.

È certo che la supremazia ultima, il potere più grande che ci sia, è il potere di dare esistenza a tutto ciò che c’è. Dio solo non deve la propria esistenza ad alcun altro e possiede esistenza eterna in se stesso. La mera possibilità che il potere totale risieda da qualche parte ci costringe a riconoscerlo nel Creatore. Il potere totale non può risiedere da nessun altra parte. Qualsiasi persona che rifiuti di riconoscere che tutte le cose sono state fatte (e perciò c’è un Creatore) semplicemente esclude qualsiasi considerazione del fatto che il potere totale esista da qualsiasi parte. In questo modo possiamo dire che sia per i cristiani sia per i non-cristiani non c’è modo ragionevole di stabilite il potere totale da qualsiasi parte se non nel Creatore di tutte le cose. Eccetto che con lui, ogni potere è diviso e perciò limitato<ref>T. Robert Ingram: The World Under God’s Law; Houston: St. Thomas Press, 1962, p. 24.</ref>.

Per uno stato pretendere la giurisdizione totale, come fa lo stato moderno, è pretendere di essere come dio, d’essere il governatore totale dell’uomo e del mondo. Al posto di una legge limitata e di una giurisdizione limitata, lo stato moderno anti-cristiano reclama giurisdizione dalla culla alla tomba, dall’utero al cimitero, su welfare, educazione, culto, famiglia, commercio o agricoltura, capitale e lavoro, e ogni altra cosa. Lo stato moderno è un Molek, che richiede il culto di Molek: afferma la sua giurisdizione totale sull’uomo e perciò richiede il sacrificio totale.

Ma, come osserva Ingram, riguardo al culto: “Solo il potere che dev’essere adorato può ordinare il modo in cui egli dev’essere adorato”<ref>Ibid., p. 25.</ref>. Per analogia, solo il potere che è ultimo ha il diritto d’essere la fonte della legge. Dio è la sola vera fonte della legge; lo stato è un organismo della legge, un organismo tra molti (chiesa, scuola, famiglia, ecc.), ed ha una una specifica e limitata area di legge da amministrare sotto Dio. Lo stato Molek nega qualsiasi limite di questo tipo: insiste nel tassare a volontà, espropriare a piacere per “pubblica utilità”, e reclama il diritto di costringere i giovani ad andare in guerra a suo piacimento.

Lo stato Molek è il prodotto dell’apostasia. Quando un popolo rigetta Dio come proprio Re e fa proprio re un uomo o lo stato (1 Samuele 8:7-8), Dio dichiara le conseguenze:

E disse: “Questi saranno i diritti del re che regnerà su di voi. Egli prenderà i vostri figli, per destinarli ai suoi carri e farli suoi cavalieri, e perché corrano davanti ai suoi carri; per farli capitani di migliaia e capitani di cinquantine, per metterli ad arare i suoi campi, a mietere la sua messe, a fabbricare le sue armi da guerra e gli attrezzi dei suoi carri. Prenderà le vostre figlie per farne profumiere, cuoche e fornaie. Prenderà i vostri campi, le vostre vigne, i vostri oliveti, i migliori che avete, per darli ai suoi servi. Prenderà la decima delle vostre sementi e delle vostre vigne per darla ai suoi eunuchi e ai suoi servi. Prenderà i vostri servi, le vostre serve, i vostri giovani migliori e i vostri asini per usarli nei suoi lavori. Prenderà anche la decima delle vostre greggi, e voi sarete suoi schiavi.Allora in quel giorno griderete a motivo del re che avete scelto per voi, ma l'Eterno non vi risponderà” (1 Samuele 8:11-18).

Sono qui citati vari aspetti dello stato che rigetta Dio: Primo, sarà istituita e imposta un’anti-biblica coscrizione militare. Secondo, ci saranno reggimenti di lavoro forzato coscritti per servizi allo stato. Terzo, la coscrizione sarà di giovani, uomini e donne, come pure di animali. Quattro, lo stato eseguirà espropri sia di terreni sia di bestiame. Quinto, poiché lo stato ora sta facendo il dio-re, come Dio richiederà una parte della ricchezza, la decima della produzione. Sesto, Dio non ascolterà un popolo che si sta lamentando perché sta pagando il prezzo del proprio peccato.

Tutte queste condizioni sono raggiunte e sorpassate dal moderno stato Molek, che rifiuta di accontentarsi della decima ma esige una tassa eguale a diverse decime. In alcune nazioni la tassazione richiesta è un’incredibile confisca. Così: “Luigi Einaudi, l’economista principale d’Italia e suo ex Presidente della repubblica, calcolò che, se fosse stata pienamente raccolta ogni tassa, lo stato assorbirebbe il 110% del prodotto interno lordo”<ref>Luigi Barzini, The Italians; New York: Bantam Books, 1965, p.109.</ref>.

Lo stato Molek rappresenta semplicemente lo sforzo supremo dell’uomo per comandare il futuro, di predestinare il mondo, e di essere come Dio. Sforzi minori, divinazione, spiritismo, magia e stregoneria, sono egualmente anatema per Dio. Tutti rappresentano tentativi d’avere il futuro in termini altri da quelli di Dio, d’avere un futuro senza Dio e in sfida a Dio. Sono attestazioni che il mondo non è di Dio ma dei crudi fatti e che l’uomo può in qualche modo impadronirsi del mondo e del futuro andando direttamente al loro materiale grezzo. Così re Saul esternamente si conformò alla legge di Dio, abolendo tutte le arti magiche, ma quando fu confrontato con una crisi, si rivolse alla strega di Endor (1 Samuele 28:15-19): ricevette la parola di giudizio. L’astrologia dev’essere inclusa con le empie investigazioni che non possono stornare o incantare il giudizio (Isaia 47:10-14).

In Levitico 19:26, magia e divinazione sono proibite nella stessa frase che proibisce di mangiare il sangue. La definizione di Davies del significato di sangue nella Bibbia merita di essere citato interamente quale succinta dichiarazione in materia:

SANGUE. Il fluido vitale che circola attraverso il corpo e trasportato da un sistema di arterie situato più in profondità dal cuore alle estremità, e da un sistema di vene più superficiali ritorna al cuore … La vita è nel sangue (Levitico 17: 11, 14): o il sangue è la vita (Deuteronomio 12: 23), benché non esclusivamente (Salmi 104:30). Il sangue rappresentava la vita, la vita è talmente sacra davanti a Dio che il sangue dell’Abele assassinato poteva essere descritto che gridava a Dio dalla terra per vendetta (Genesi 4: 10); e immediatamente dopo il Diluvio mangiare il sangue degli animali fu proibito mentre fu autorizzata la loro uccisione per cibo (Genesi 9:3,4; Atti 15:20, 29), e fu definita la legge: “Chiunque spargerà il sangue di un uomo, il suo sangue sarà sperso per mezzo di un uomo” (Genesi 9:6). La perdita della vita è la pena per il peccato e la resa vicaria della vita, tipizzata dai sacrifici, era necessaria per la remissione (Ebrei 9:22), e così, sotto la legge mosaica il sangue di animali era utilizzato in tutte le offerte per il peccato, e il sangue di bestie uccise nella caccia o scannate per cibo veniva versato e coperto con terra, perché da Dio negato all’uomo per la consunzione e riservato per scopi espiatori (Levitico 17:10-14; Deuteronomio 12: 15, 16). Il “sangue di Gesù,” il “sangue di Cristo,” il “sangue di Gesù Cristo,” o il “sangue dell’Agnello” sono espressioni figurative della sua morte espiatrice (1 Corinzi 10:16; Efesini 2:13; Ebrei 9:14; 10:19; 1 Pietro 1: 2, 19; 1 Giovanni 1:7; Apocalisse 7:14; 12:11) <ref>Davis: Dictionary of the Bible; p. 99.</ref>.

Poiché la vita è data da Dio e deve essere vissuta solo nei suoi termini, la vita d’un uomo o d’un animale può essere presa solamente nei termini di Dio, sia da parte dello stato, sia per mangiare o per difesa personale. Tentare di governare o prendere la vita senza il permesso di Dio, e separatamente dal suo servizio, è come tentare di governare il mondo e il futuro senza Dio. Per questo motivo, Levitico 19:26 colloca mangiare sangue, divinazione e magia tutti sullo stesso livello come essenzialmente lo stesso peccato.

Deuteronomio 18:13 comanda: “Tu sarai perfetto” (KJV, o, integro N.D. ; senza macchia NASB) “davanti all’Eterno il tuo Dio”. Questo è parte del comandamento spesso ripetuto: “Siate santi, perché io, l’Eterno, il vostro Dio, sono santo” (Levitico 19:2; 11:44; Esodo 19:6; Levitico 20:7,26; 1 Tessalonicesi 4:7; 1 Pietro 1:15, 16; ecc.). Essere santi significa letteralmente essere separati, cioè messi da parte da un uso comune ad uno sacro. Gli utensili e i vasi del santuario, i ministri e certi giorni, erano separati per un servizio speciale a Dio e quindi santi (Esodo 20:8; 30:31; 31:10, 11; Numeri 5:17; Zaccaria 14:21). La contaminazione da mancanza di separazione poteva essere cerimoniale e fisica (Esodo 22:31; Levitico 20:26), o poteva essere spirituale e morale (2 Corinzi 7:1: 1 Tessalonicesi 4:7; Levitico 20:6,7; 21:6). La santità di Dio è la sua separazione da tutti gli esseri creati quale Essere non creato e creatore, infinito in sapienza, potenza, giustizia, bontà, verità e gloria. La vera santità dell’uomo è la separazione a Dio in fede e obbedienza alla legge di Dio. La legge è perciò la via specificata per essere santi.

Il culto di Molek ricerca una via di santità non teistica, non biblica. Cerca di separare sé stesso quale potenza e gloria per mezzo di sacrifici designati a trascendere l’umanità. San Paolo specificò alcune di queste vie di falsa santità come “vietare il matrimonio e astenersi da cibi che Dio ha creato, affinché siano presi con rendimento di grazie: poiché è santificato dalla parola di Dio e dalla preghiera” (1 Timoteo 4:3-5).

Molto spesso, delle società hanno sacrificato uomini allo scopo di dedicare e santificare un edificio, per dargli potenza. Scrivendo nel 1909, Lawson riportò, nel suo studio sul persistere del paganesimo in Grecia: “…fu riportato da Zacinto solo una generazione fa che vi esisteva ancora un forte sentimento in favore di sacrificare un maomettano o un giudeo alla fondazione di ponti importanti e di altri edifici; e c’è una leggenda che racconta che un uomo di colore sia stato effettivamente murato in un ponte di un acquedotto vicino a Lebadea in Beozia”<ref>John Cuthbert Lawson:Modern Greek Folkore and Ancient greek Religion; New Hyde Park, N.Y. University Books [1909], 1964, p. 276 s.</ref>. Strak, nel cercare di confutare qualsiasi rito razziale sanguinario tra i giudei, richiamò però l’attenzione su ampie evidenze di sacrifici umani e animali per superstizione nell’Europa moderna<ref>Hermann L. Strak: The Jews and Human Sacrifice (London: Cope and Fenwick, 1909.</ref>.

Il tentativo dell’uomo di controllare il mondo e di essere la fonte della predestinazione porta anche a falsi profeti. La legge che governa quest’aspetto dichiara:

Se sorge in mezzo a te un profeta o un sognatore di sogni che ti proponga un segno o un prodigio, e il segno o il prodigio di cui ti ha parlato si avvera e dice: "Seguiamo altri dèi che tu non hai mai conosciuto e serviamoli”, tu non darai ascolto alle parole di quel profeta o di quel sognatore di sogni, perché l'Eterno, il vostro DIO, vi mette alla prova per sapere se amate l'Eterno, il vostro DIO, con tutto il vostro cuore e con tutta la vostra anima. Seguirete l'Eterno, il vostro DIO, lui temerete, osserverete i suoi comandamenti, ubbidirete alla sua voce, lo servirete e rimarrete stretti a lui (Deuteronomio 13:1-4).

L'Eterno, il tuo DIO, susciterà per te un profeta come me, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli; a lui darete ascolto, in base a tutto ciò che chiedesti all'Eterno, il tuo DIO, in Horeb, il giorno dell'assemblea, quando dicesti: "Che io non oda più la voce dell'Eterno, il mio DIO, e non veda più questo gran fuoco, perché non muoia". E l'Eterno mi disse: "Ciò che hanno detto, va bene; io susciterò per loro un profeta come te di mezzo ai loro fratelli e porrò le mie parole nella sua bocca, ed egli dirà loro tutto ciò che io gli comanderò. E avverrà che se qualcuno non ascolterà le mie parole che egli dice in mio nome, io gliene domanderò conto. Ma il profeta che ha la presunzione di dire in mio nome una cosa che io non gli ho comandato di dire o che parla in nome di altri dèi, quel profeta sarà messo a morte". E se tu dici in cuor tuo: "Come faremo a riconoscere la parola che l'Eterno non ha proferito?". Quando il profeta parla in nome dell'Eterno e la cosa non succede e non si avvera, quella è una cosa che l'Eterno non ha proferito; l’ha detta il profeta per presunzione; non aver paura di lui (Deuteronomio 18:15-22).

Deuteronomio 13 cita tre casi di istigazione all’idolatria, primo, nei versi 1-5, da parte di un falso profeta; secondo, nei versi 6-11, da un individuo privato; e,terzo, nei versi 12-18, da una città<ref>Waller, in Ellicott; II, p. 42.</ref>. La pena in ciascun caso è la morte senza misericordia. Alla mente moderna, questo sembra drastico. Perché la morte per l’idolatria? Se l’idolatria è senza importanza per un uomo, allora una pena per essa è scandalosa. Ma l’uomo moderno usa ampia tolleranza verso la pena di morte per crimini contro lo stato, o contro “il popolo”, o contro “la rivoluzione”, perché queste cose sono importanti per lui. La pena di morte non è richiesta qui per il credo privato: è per il tentativo di sovvertire altri e di sovvertire l’ordinamento sociale seducendo altri a diventare idolatri. Poiché, per la legge biblica il fondamento è l’unico vero Dio, l’offesa principale dell’idolatria è perciò nei confronti di quel Dio. Ogni ordinamento giuridico ha il proprio concetto di tradimento. Nessun ordinamento giuridico può permettere un attacco al suo fondamento senza commettere suicidio. Quegli stati che asseriscono di abolire la pena di morte la ritengono lo stesso per lo più per i crimini contro lo stato. Il fondamento dell’ordine giuridico deve essere protetto.

I reati penali esigono sempre una pena. La domanda critica in qualsiasi società è questa: chi sarà penalizzato? La legge biblica dichiara che deve prevalere la restituzione: se un uomo ruba 100 Euro, deve restituire 100 euro più altri 100; il criminale è penalizzato. In certi crimini la sua restituzione è la propria morte. Nelle società moderne umaniste, la vittima è penalizzata. Non c’è restituzione, e c’è una punizione sempre più leggera per il criminale. Senza restituzione il crimine diventa potenzialmente vantaggioso, e la vittima è penalizzata dallo stato. La vittima è penalizzata dal crimine, dal costo processuale, e dal costo della detenzione carceraria che compaiono nella tassazione.

L’integrità del proprio fondamento è basilare alla salute di una società. Permettere che si manomettano i fondamenti è permettere la totale sovversione. La legge biblica non può permettere la propagazione dell’idolatria più di quanto il marxismo possa permettere la contro-rivoluzione, o la monarchia un tentativo di assassinare il re, o una repubblica un tentativo di distruggere la repubblica e instaurare una dittatura.

Si dovrebbe notare che Deuteronomio 13:5-18 non richiede la pena di morte per l’incredulità o per l’eresia. Condanna falsi profeti (vv. 1-5) che cercano con segni e prodigi di indurre il popolo nell’idolatria. Condanna individui che cercano segretamente di dar vita ad un movimento che induca all’idolatria. (vv. 6-11). Condanna città che stabiliscono un’altra religione e sovvertono l’ordine giuridico della nazione (vv. 13-18), e questa condanna deve essere imposta dall’uomo per stornare il giudizio di Dio (v. 17).

Questa condanna non si applica a situazioni missionarie, dove il paese è anti-Dio fin dal principio: questa è una situazione per la conversione. Richiede una nazione che sia fondata sul sistema giuridico di Dio per preservare tale ordine punendo il tradimento fondamentale contro di esso. Nessuna società è senza prova, e Dio prova l’uomo per mezzo di queste sfide per vedere se si mantiene fermo nei termini dell’ordinamento di Dio oppure no (v.3).

Avendo trattato con i falsi profeti, cioè coi falsi mediatori, la legge si volge adesso all’unico vero mediatore:

L’Eterno, il tuo Dio, susciterà per te un Profeta come me, in mezzo a te, a lui darete ascolto (Deuteronomio 18:15).

Questo Profeta e la sua opera sono descritti nei versi 15-19. Gli uomini gli devono obbedire, oppure Dio ne chiederà loro conto. (v. 19). Il commento di Waller, concernente il Profeta è particolarmente buono:

Il collegamento tra questi versi e quelli che li precedono è ben illustrato dall’argomento di Isaia (8:19): “Se vi si dice: ‘Consultate i medium e i maghi che sussurrano e bisbigliano’, rispondete: ‘Non deve un popolo consultare il suo Dio? Deve forse rivolgersi ai morti per conto dei vivi?’”. O, come l’angelo cambiò la frase la mattina di Pasqua: “Perché cercate il vivente tra i morti?”<ref>Waller, in Ellicott; II, p. 54.</ref>.

Secondo Calvino: “L’espressione ‘un profeta’ è usata per enallage per un numero di profeti … Non è affatto più corretta l’opinione di quelli che l’applicano solo a Cristo”<ref>Calvino, op. cit., I, p. 434.</ref>. Chiaramente, il passo fa sì riferimento a i profeti in senso generale, e nei versi 20-22, il falso profeta è identificato e chiamato presuntuoso: “Non aver paura di lui”. Il termine, però, altrettanto chiaramente e ancor più ovviamente si applica all’unico grande Profeta e Mediatore, contrapposto ai tanti falsi mediatori. Tutti i profeti sono portavoce dell’unico grande Profeta che profferisce la parola dell’Eterno. Poiché c’è un solo vero Dio, c’è una parola e un portavoce. Tutti i profeti furono portavoce per quell’unico profeta, Gesù Cristo, la seconda persona della Trinità.

Il comandamento è: “Non avrai altri dèi davanti a me.” Nel nostro mondo politeista, i molti altri dèi sono le molte persone, ciascun uomo il proprio dio. Sotto l’umanesimo ogni uomo è la propria legge e il proprio universo. L’anarchismo è il credo personale, e lo statalismo totalitario è il credo sociale, poiché in un mondo politeista, solo la coercizione può tenere insieme gli uomini.

Durante la recente occupazione della Sorbona uno studente ha obliterato una grande insegna recante “Vietato Fumare” vicino all’entrata dell’auditorio e ha scritto: “Hai il Diritto di Fumare”. A tempo debito, un altro studente ha aggiunto: “È Proibito Proibire.” Questo slogan s’è diffuso e compare ora in molti luoghi che sono stati occupati da studenti. In caratteri alti trenta centimetri nel grande atrio della Sorbona, qualcuno ha scritto: “Io prendo i miei desideri come verità perché credo nella verità dei miei desideri”<ref>The Review of the News, Vol. IV, n° 22, 29 Maggio 1968, p. 16</ref>.

Questi studenti fuorilegge, mentre affermavano che nessuno ha il diritto di proibire loro cosa alcuna, di coartarli cioè a qualsiasi comportamento, erano determinati a coartare un’intera nazione. L’anarchia totale significa coercizione totale. Questo è culto di Molek moltiplicato: tutta la società dev’essere sacrificata per soddisfare questi moderni adoratori della distruzione. La rivoluzione studentesca è il culmine appropriato per l’educazione statale. Arrendere i figli allo stato è consegnarli al nemico. Per i figli arresi allo stato, come nuovi giannizzeri dei nuovi turchi, rivoltarsi contro la società che li ha partoriti e distruggerla è un giudizio sul culto di Molek dei loro genitori. Avere altri dèi ed altre leggi, altre scuole, e speranze altre dall’unico vero Dio è attirare tutto il peso del giudizio della legge.

La nostra cultura odierna rassomiglia alla leggenda di Empedocle, il filosofo greco:

Persino durante la sua vita Empedocle fu una figura carismatica, Diodoro lo descrive coronato di lauro, ammantato di viola, come un dio, calzare sandali d’oro. Egli insegnava che le forme più alte di vita umana, le più vicine al divino, fossero il profeta e il medico. Egli era entrambe le cose. Come mito vivente, suscitò la leggenda: la più spettacolare delle storie fantastiche che lo riguardano è il resoconto della sua morte con un salto suicida nel cratere dell’Etna: auto-immolazione nell’aspettativa di diventare, o almeno essere adorato come un dio. Si dice che la montagna che abbia più tardi restituito uno dei suoi sandali d’oro<ref>Helen Hill Miller: Sicily and the Western Colonies of Greece; New York, Charles and Scribner’s Sons, 1965, p. 146. Per il riferimento al sacrificio di un ragazzo a Molek da parte di Himilcòne di Cartagine, si veda p. 165.</ref>.

Come il leggendario Empedocle dell’antichità, il nostro mondo oggi sta cercando di farsi dio auto-immolandosi.

 

4. Le leggi dell’appartenenza al Patto

Coloro i quali obbediscono il primo comandamento: “Non avrai altri dèi davanti a me”, sono membri del patto. I due riti basilari del patto nel Vecchio Testamento furono la Circoncisione e la Pasqua, e, nel Nuovo Testamento sono il Battesimo e la Santa Cena.

Genesi 17:9-14 ci da l’istituzione della Circoncisione come segno del patto. La condizione del patto è obbedienza alla legge morale (Genesi 17:1; 18:17-18). “Per di più, il carattere etico della religione veterotestamentaria è simboleggiato dalla Circoncisione”<ref>Geerardus Vos: Teologia Biblica Antico e Nuovo Testamento, Caltanissetta, Alfa e Omega, 2005, p. 151.</ref>. La Circoncisione era largamente prevalente in tutte le culture, e sempre religiosa. È l’atto di tagliare via il prepuzio dell’organo genitale maschile.

Per la comprensione dottrinale sono importanti due fatti: il primo è che essa fu istituita prima della nascita di Isacco e, il secondo è che, nella rivelazione che l’accompagna, si fa riferimento solo alla seconda promessa, relativa alla discendenza numerosa. Questi due fatti, insieme considerati, mostrano che la Circoncisione ha qualcosa a che fare con il processo della procreazione, non nel senso che l’atto in sé sia peccaminoso, perché non esiste traccia di questa idea in nessun’altra parte dell’Antico Testamento; non è l’atto, ma il prodotto, cioè la natura umana, ad essere impura e ad aver bisogno di purificazione e di rinnovamento. Quindi la Circoncisione non è, come per i pagani, praticata sui giovani divenuti adulti, ma sui neonati di otto giorni di età. La natura umana è impura e inadeguata fin dalla sua origine. Il peccato, di conseguenza, non è solo una questione individuale, ma di razza. Nell’Antico Testamento, il bisogno di una modificazione dovette essere posto in particolare rilievo. A quel tempo, le promesse di Dio avevano un immediato riferimento a cose naturali e temporali, quindi c’era il pericolo di ritenere che la discendenza naturale avesse diritto alla grazia di Dio. La Circoncisione insegna che la discendenza fisica di Abraamo non è sufficiente per fare dei veri Israeliti: devono essere rimosse l’impurità e l’inadeguatezza della natura. Dogmaticamente parlando, pertanto, la Circoncisione rappresenta la giustificazione e la rigenerazione, più la santificazione (Romani 4:9-12; Colossesi 2:11-13)<ref>Ibid. p.153, 154.</ref>.

La Circoncisione è richiesta dalla legge in Levitico 12:3, all’ottavo giorno. Chiunque desiderasse partecipare della Pasqua, sia ebreo che forestiero, doveva essere circonciso (Esodo 12:48-49). Sia Gesù, sia Giovanni Battista furono circoncisi (Luca 1:59; 2:21), come pure san Paolo (Filippesi 3:5), il quale insistette che Timoteo, che aveva madre ebrea e padre greco, fosse circonciso (Atti 16:3), ma Paolo non lo ritenne un requisito per Tito (Galati 2:3).

Il significato e le conseguenze spirituali della Circoncisione furono comprese fin dal principio:

Circonciderete perciò il prepuzio del vostro cuore e non indurite più il vostro collo (Deuteronomio 10:16). L'Eterno, il tuo DIO, circonciderà il tuo cuore e il cuore dei tuoi discendenti, affinché tu ami l'Eterno, il tuo DIO, con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, e così tu viva (Deuteronomio 30:6).

Simili espressioni si trovano in Levitico 26:41; Geremia 4:4; 6:10; Romani 2:28-29; Colossesi 2:11, ecc.

I commentatori moderni non notano una grande distinzione tra la Circoncisione ebraica e quelle pagane<ref>Vedi, ad es. Nathaniel Miklem: “Levitico” in The Interpreter’s Bible, vol II, p.60 s. e J.P. Hyatt: “Circumcision” in The Interpreter’s Dictionary of the Bible, A-D, pp. 629-631.</ref>. Le differenze, invece, sono molto grandi. Per il cristiano, la differenza principale è che il rito biblico fu ordinato da Dio come parte della sua rivelazione. Per quanto concerne il significato del rito, nel paganesimo è un rito d’iniziazione alla mascolinità, e d’ingresso nella tribù o nel clan. Mentre altre religioni riconoscono comunemente un difetto nella natura umana, sostengono anche che il difetto possa essere rimediato dall’uomo; di qui il collegamento della Circoncisione con l’arrivo della virilità. Il giovane uomo assume le proprie responsabilità nella società e anche la sua responsabilità religiosa di conformarsi allo standard religioso con un atto di volontà. Il paganesimo è pelagiano fino al midollo. La Circoncisione nell’ottavo giorno toglie all’uomo il potere del rito e lo dà a Dio: il giovane bambino non è capace di giustificare, rigenerare, santificare sé stesso: nel rito è completamente passivo. È in questo modo esibito il fatto della grazia divina. Proprio come il patto rappresenta interamente l’iniziativa e la grazia di Dio, così anche il segno del patto rappresenta le stesse cose. Il comandamento perciò era chiaro: la Circoncisione doveva avvenire nell’ottavo giorno (o dopo), quando il sangue del bambino sarebbe coagulato correttamente e quindi permesso l’operazione.

Una cerimonia relativa alla Circoncisione è la purificazione delle donne dopo il parto (Levitico 12). L’impurità della donna è riferita all’impurità religiosa e sacramentale. Di Levitico 12:2 Micklem ha osservato:

La traduzione con impura è qui peculiarmente infelice perché suggerisce inevitabilmente disapprovazione o disgusto e anticipa una visione manichea del male come inerente la carne. Il passo può essere parafrasato: “Quando una donna ha partorito un figlio, il sentimento appropriato richiede che rimanga seclusa per una settimana, poi il figlio deve essere circonciso; anche allora deve rimanere in casa per un mese, e il suo primo tragitto all’esterno sarà alla chiesa”<ref>Micklem, Interpreter’s Bible, II, 60.</ref>.

Il punto riguardo al manicheismo è molto pertinente, ma in ballo c’è molto di più che del “sentimento appropriato”! Né la carne né lo spirito dell’uomo caduto sono puri davanti a Dio. Non c’è nelle cose dello spirito maggior speranza che nelle cose materiali. La Circoncisione testimonia del fatto che la speranza dell’uomo non è nella generazione ma nella rigenerazione, e la testimonianza della cerimonia di purificazione della donna è la stessa.

I giorni dell’impurità per un maschietto erano sette: la Circoncisione, con la sua testimonianza alla grazia pattizia, terminava quel periodo. Per una femminuccia i giorni d’impurità erano quattordici, durante i quali la donna non toccava cose santificate e le era proibito l’ingresso al santuario. Questi periodi di tempo erano seguiti dal tempo della purificazione, trentatré dopo la nascita d’un figlio e sessantasei dopo la nascita d’una figlia, dopo i quali la madre veniva al santuario con un’offerta: un agnello d’un anno, o, in caso di povertà, come per Maria (Luca 2:21-24), due piccioni o colombe. La Circoncisione serviva ad accorciare il tempo riguardo al parto d’un maschio, e il rito di purificazione era la testimonianza dell’appartenenza pattizia per le figlie. Serviva a ricordare che la giustizia pattizia proveniva dalla grazia di Dio, alla madre e al bambino/a, e che la grazia, e non la razza o il sangue, è la sorgente della salvezza.

Il servizio continua nella chiesa, e compare, ad esempio, nel Libro di Preghiera Comune come “Il rendimento di grazie della donna dopo il parto”. Comincia con la dichiarazione del pastore: “Poiché è piaciuto a Dio Onnipotente, per la sua benignità, darti una sicura liberazione, e preservarti nel grande pericolo del parto: tu renderai grazie a Dio di tutto cuore,” e conclude con la presentazione da parte della donna di un dono prescritto.

Il rito ha riferimento, non al peccato attuale, ma al peccato originale ed è un riconoscimento della caduta dell’uomo e della grazia del patto. La vecchia ribellione di Adamo è reintrodotta per nascita nella casa pattizia nella forma di un bambino la cui natura è ereditata da Adamo. Questa corruzione ereditaria è riconosciuta e la grazia pattizia è implorata nel rito di purificazione delle donne. Non c’è una ragione valida per la sua cessazione. È stato ridotto ad un semplice ringraziamento nel Libro di Preghiera Comune, che è un’atrofia del suo significato, ma questo comunque supera di gran lunga la pratica di altre chiese.

Il Battesimo è il segno del patto rinnovato che rimpiazza la Circoncisione. Era stato un segno di purificazione religiosa e di consacrazione nel Vecchio Testamento (Esodo 29:4; 30:19, 20; 40:12; Levitico 15; 16:26, 28; 17:15; 22:4, 6; Numeri 19:8). In Ezechiele 36:25, 26 ci è dato il Battesimo (“spanderò” per aspersione) come segno della rigenerazione del popolo pattizio dopo la cattività, ed è associato con un “cuore nuovo”. Geremia 31:31-34 associa questo “cuore nuovo” col nuovo patto in Cristo. Nei termini di questi testi, i proseliti che desideravano diventare Israeliti venivano battezzati prima della Circoncisione il che indica che si pensava al nuovo patto. Giovanni Battista, chiamando al Battesimo tutto Israele, creò un’agitazione, perché ciò indicava che l’epoca del Messia era vicina.

In quanto segno dell’appartenenza al patto per grazia, il Battesimo, come la Circoncisione, dev’essere amministrato ai bambini, a meno che non si tratti di un adulto che sia stato convertito. Non sorprende che la maggior parte degli oppositori del Battesimo degl’infanti siano logicamente pure pelagiani o quantomeno arminiani. Costoro insistono nel reclamare per l’uomo le prerogative in salvezza.

L’altro rito di appartenenza al patto, la Pasqua, fu istituito in Egitto (Esodo 12; 13:3-10; Numeri 9:1-14; Deuteronomio16:3-4; Esodo 23:18) per celebrare l’atto culminante della redenzione da parte di Dio nel suo giudizio sull’Egitto. Tutti i primogeniti d’Egitto furono uccisi da Dio, che passò oltre le case di quegli Israeliti e di altri credenti che avevano spruzzato il sangue di un agnello o di un capretto sugli stipiti e sull’architrave, e i membri di quelle case stettero alzati col bastone nella mano, aspettando di muoversi nei termini della liberazione promessa. L’agnello o il capretto fu arrostito intero e mangiato con pane azzimo (per significare l’incorruttibilità del sacrificio: Levitico 2:11; 1 Corinzi 5:7-8) e con erbe amare per significare l’amarezza della loro schiavitù in Egitto.

Centrale, per la Pasqua, è il sangue. Nel patto con Abrahamo (Genesi 15:17-21), ad Abrahamo fu richiesto di passare tra gli animali tagliati a metà, a rappresentare la morte dello stipulante il patto, cioè la morte del vero sacrificio che doveva venire, Gesù Cristo, e il giudizio di morte su chi tradisse il suo patto. Mosè, al Sinai, prese il sangue e lo spruzzò sia sull’altare sia sul popolo (Esodo 24:4-8) per indicare sia che il patto fondava su una espiazione provveduta interamente da Dio, e sia che la pena per l’apostasia dal patto è la morte. Stibbs ha abilmente riassunto il significato principale di “sangue” nelle Scritture:

Il sangue attesta visibilmente di una vita terminata violentemente; è un segno di vita data o presa con la morte. Tale dare o prendere la vita è in questo mondo l’estremo sia del dono o del premio sia del crimine e della pena. L’uomo non ne conosce uno più grande. Perciò, primo, l’offerta o servizio più grande che si possa rendere è dare il proprio sangue ovvero la propria vita. “Nessuno ha amore più grande di questo: dare la propria vita per i suoi amici” (Giovanni 15:13). Secondo, il crimine o la malvagità più grande sulla terra è prendere il sangue o la vita, cioè l’omicidio colposo o assassinio. Terzo, la pena, o la perdita più grande che si possa subire è d’avere il proprio sangue sparso o la propria vita presa. Così, sta scritto di chi sparge sangue: “Il suo sangue sarà sparso dall’uomo”; e pertanto Paolo dice del magistrato: “…Non porta la spada invano: poiché egli è un ministro di Dio, un vendicatore con ira contro colui che fa il male” (Romani 13:4). “Il salario del peccato è la morte” (Romani 6:23). Quarto, la sola espiazione possibile o adeguata è vita per vita e sangue per sangue. L’uomo non può fare questa espiazione. (Salmi 49:7, 8; Marco 8: 36, 37). In quanto peccatore, non solo la sua vita è già perduta, ma anche la sua vita appartiene già a Dio (Salmi 50:9, 10). Pertanto l’uomo non ha “sangue” che possa dare. Questo dono, necessario ma non ottenibile in altro modo, l’ha dato Dio. Egli ha dato il sangue per fare espiazione (Levitico 7:11). L’espiazione, perciò, è possibile solamente per mezzo del dono di Dio. O come l’ha espresso P. T. Forsyth: “Il sacrificio è il frutto e non la radice della grazia”. Inoltre, quando nostro Signore dichiarò di essere venuto “per dare la sua vita in riscatto per molti” (Marco 10:45), affermò implicitamente sia la sua divinità sia la sua umanità senza peccato, indicando il compimento di ciò che il sacrificio di animali aveva meramente tipizzato. Qui in Gesù, il Figlio incarnato, c’era Dio venuto in persona per dare come uomo l’unico sangue che può fare espiazione. La chiesa di Dio è pertanto acquistata col suo proprio sangue (Atti 20:28).

Tutti questi quattro significati di “sangue” in quanto sparso, s’incontrano sulla croce di Cristo. Lì, il Figlio dell’Uomo nei nostri sangue e carne, per noi uomini e per la nostra salvezza, fece l’offerta più grande. Diede la sua vita (vedi Giovanni 10:17, 18). Secondo, egli divenne la vittima del più grande peccato dell’umanità. Fu ignobilmente e ingiustamente messo a morte. Terzo, “Egli fu annoverato tra i trasgressori” (Luca 23: 37 da Isaia 53:12), e soffrì la pena estrema dei malfattori. La mano della Legge (di Dio) e del magistrato romano lo misero a morte. Il suo sangue fu sparso dall’uomo. Quarto, in quanto Dio fatto carne, diede, come solo egli poteva fare, il suo sangue umano per compiere l’espiazione. Il pentimento e la remissione dei peccati possono perciò essere ora predicati nel suo nome. Noi siamo giustificati per il suo sangue<ref>A. M. Stibbs: The Meaning of the Word ‘Blood’ in Scriptures; London, The Tindale Press, 1948, 1962, p. 30 s.</ref>.

La Pasqua celebrava la redenzione d’Israele, proprio come il sacramento della Santa Cena celebra la redenzione della vera chiesa di Dio per mezzo del sangue di Gesù Cristo. La celebrazione del sacramento significa la ricezione per fede della redenzione e della purificazione dal peccato, e la benedizione della vita pattizia in Cristo per mezzo del suo sacrificio espiatorio.

La Pasqua era doppiamente una testimonianza che il sangue fosse il requisito. Il sangue era dovuto, primo, da tutto l’Egitto per la loro incredulità. I primogeniti rappresentavano il tutto, e la sentenza di morte loro comminata era una sentenza di morte contro tutti. Secondo, Israele era sotto sentenza di morte non meno dell’Egitto. Non c’erano in essi meriti che potessero salvarli, né potevano esserci. Ma la sentenza di morte passata contro il popolo pattizio fu presa su di sé da Dio il Figlio nel tipo del sangue dell’agnello.

La stessa duplice testimonianza al sangue compare nella croce. Primo, Israele fu sentenziato a morte (Matteo 24) e destinato alla distruzione per il suo tradimento del patto. Secondo, il popolo di Cristo fu redento dai loro peccati per il sangue del patto e furono liberati dal giudizio passato su Gerusalemme e sulla Giudea.

Il sacramento della Santa Cena è la Pasqua cristiana: “La nostra Pasqua infatti, cioè Cristo, è stata immolata per noi. Celebriamo perciò la festa non con vecchio lievito, né con lievito di malvagità e di malizia, ma con azzimi di sincerità e di verità” (1 Corinzi 5: 7b, 8). La prima celebrazione della Santa Cena, nella stanza superiore, avvenne alla conclusione e in compimento della Pasqua.

La stessa duplice testimonianza è fondamentale per la Santa Cena, e non può essere celebrata veramente se quest’aspetto è negato o trascurato. Primo, la Pasqua di Israele fu celebrata nell’aspettativa della vittoria. Gli ebrei dovevano mangiare in fretta: Dio li avrebbe liberati quella stessa notte dal loro oppressore e nemico con un potente giudizio contro l’Egitto e la spoliazione degli egiziani (Esodo 12:11, 29-36). La Pasqua cristiana esprime la liberazione del credente dal peccato e dalla morte e la sua liberazione dal nemico. È una salvezza sia spirituale sia materiale. Celebrare la morte del primogenito di Dio per la nostra salvezza è celebrare la morte dei nemici di Dio, dei loro primogeniti, la loro totalità, sotto il suo giudizio. Richiede che ci muoviamo nei termini della vittoria (Esodo 12:11) se abbiamo da riceverla. Limitare il sacramento ad una vittoria spirituale è agire da manichei piuttosto che da cristiani, è vedere Dio come Signore solo del reame spirituale e non anche di quello materiale. Perciò, secondo, come è chiaramente evidente, la Santa Cena è vittoria perché è giudizio. San Paolo dichiarò che il sacramento è un giudizio contro i credenti che ne partecipassero “indegnamente … non discernendo il corpo del Signore” (1 Corinzi 11: 27-30). Se è giudizio contro credenti che trasgrediscono, quanto più la Santa Cena proclama dannazione ad un mondo in ribellione contro Dio?

Ma, terzo, i bambini nel patto, vale a dire i bimbi maschi circoncisi e le figlie del patto, ne partecipavano. Di fatto, il servizio era disegnato per dichiarare il significato del sacramento al più giovane dei figli maschi capace di parlare al quale era riservato il ruolo rituale di chiedere: “Che significa per voi questo servizio?”. A quel punto il padre dichiarava il suo significato a tutti. Secondo tutte le documentazioni nella chiesa primitiva i bambini partecipavano del sacramento. L’evidenza di san Paolo indica che le famiglie intere attendevano a partecipavano: era il pasto serale (1 Corinzi 11). In Antiquities of the Christian Church, Joseph Bingham cita l’evidenza di una pratica ben consolidata di partecipazione da parte di bambini e infanti. Questa pratica era chiaramente presa dalla Pasqua di Israele, e non c’è evidenza scritturale di un suo abbandono. Gli argomenti contro questa inclusione sono più razionalisti e pelagiani che biblici. Allo stesso tempo, si deve notare che la chiesa primitiva escludeva rigorosamente dal sacramento “quelli di fuori”.

Il comandamento: “Non avrai altri dèi davanti a me” richiede, primo, che una persona sappia che la sua sola speranza di salvezza è nel sangue del sacrificio di Dio, l’Agnello di Dio, e che viva in grata obbedienza. Secondo, la persona deve riconoscere che tutto il sangue è governato da Dio e dalla sua parola-legge, e che fare qualsiasi cosa senza la sua parola-legge è peccato, “perché tutto ciò che non viene da fede è peccato” (Romani 14: 23). Come ha scritto Stibbs:

Inoltre, la convinzione che permea le scritture del Vecchio Testamento è che la vita fisica è creazione di Dio. Perciò appartiene a lui e non all’uomo. Inoltre, in modo particolare nel caso dell’uomo creato ad immagine di Dio questa vita è preziosa davanti a Dio. Perciò, non solo nessun uomo ha alcun diritto indipendente o libertà di spargere sangue e prendere la vita, ma inoltre, se lo fa, renderà conto a Dio per la sua azione. Dio richiederà il sangue di chiunque lo sparga. L’assassino attira sangue su se stesso non solo agli occhi degli uomini ma prima di tutto agli occhi di Dio. E la pena che era dovuta a Dio e che altri uomini erano stati fatti responsabili di infliggere, era che la vita dell’assassino deve essere presa. Tale uomo non è più degno di godere ulteriormente dell’amministrazione del dono divino della vita. Deve pagare la pena terrena estrema e perdere la propria vita nella carne. Inoltre, il carattere della pena era anche significativamente descritto dall’uso della parola “sangue”. “Chiunque spargerà il sangue di un uomo, il suo sangue sarò sparso per mezzo di un uomo” (Genesi 9: 5-6)<ref> Stibbs, op. cit., p. 11.</ref>.

Non avere alcun altro Dio, significa non avere legge altra che quella di Dio, e nessuna attività o pensiero separato dalla sua parola-legge. Che sia per cibo, per tutelare la legge civile, in guerra, o in autodifesa, il sangue può essere sparso solo nei termini della parola di Dio. Dove Dio lo permetta, l’uomo non può contraddire Dio o proporre una via “migliore” o “superiore” senza commettere peccato. Pertanto, considerare il vegetarianismo, il pacifismo, o la non-resistenza in tutti i casi, una via “superiore” è trattare la via di Dio come inferiore a quella dell’uomo.

Correlata molto strettamente alla dottrina della Pasqua è la redenzione dei primogeniti e la loro santificazione.

L'Eterno parlò a Mosè, dicendo:  “Consacrami ogni primogenito, quello che apre il grembo tra i figli d'Israele, tanto di uomini che di animali; esso mi appartiene” (Esodo13: 1-2). Quando l'Eterno ti avrà fatto entrare nel paese dei Cananei, come giurò a te e ai tuoi padri, e te lo avrà dato, consacrerai all'Eterno tutti quelli che aprono il grembo e ogni primo parto del bestiame che ti appartiene: i maschi apparterranno all'Eterno. Ma riscatterai ogni primo parto dell'asino con un agnello; se però non lo vuoi riscattare, gli spezzerai il collo; così riscatterai ogni primogenito dell'uomo fra i tuoi figli. Quando in avvenire tuo figlio ti interrogherà dicendo: "Che significa questo?", gli risponderai: "L'Eterno ci fece uscire dall'Egitto, dalla casa di schiavitù, con mano potente; e avvenne che, quando il Faraone si ostinò a non lasciarci andare, l'Eterno uccise tutti i primogeniti ne paese d'Egitto tanto i primogeniti degli uomini che i primogeniti degli animali. Per questo io sacrifico all'Eterno tutti i maschi che aprono il grembo, ma riscatto ogni primogenito dei miei figli". Ciò sarà come un segno sulla tua mano e come un frontale fra i tuoi occhi, poiché l'Eterno ci ha fatto uscire dall'Egitto con mano potente (Esodo 13:11-16).

Non indugerai a offrirmi il tributo del tuo raccolto e di ciò che cola dai tuoi strettoi. Mi darai il primogenito dei tuoi figli.Lo stesso farai del tuo bue e della tua pecora: il loro primo parto rimarrà sette giorni presso la madre; l'ottavo giorno me lo darai (Esodo 22: 29,30).

Chiunque apre il grembo è mio; e mio è ogni primo parto maschio di tutto il tuo bestiame, sia bovino che ovino.Ma riscatterai con un agnello il primo nato dell'asino; se non lo vuoi riscattare, gli romperai il collo. Riscatterai pure ogni primogenito dei tuoi figli. Nessuno comparirà davanti a me a mani vuote (Esodo 34:19,20).

Ma nessuno potrà consacrare i primogeniti del bestiame, perché come primogeniti appartengono già all'Eterno; sia esso un bue o un agnello, appartiene all’Eterno (Levitico 27:26).

Consacrerai all'Eterno, il tuo DIO, tutti i primogeniti maschi che nasceranno dalla tua mandria e dal tuo gregge. Non farai alcun lavoro con il primogenito della tua vacca e non toserai il primogenito della tua pecora.Li mangerai ogni anno, tu e la tua famiglia, davanti all'Eterno, il tuo DIO, nel luogo che l'Eterno ha scelto (Deuteronomio 15: 19,20).

Ora, se le primizie sono sante, anche la massa è santa; e se la radice è santa, anche i rami sono santi (Romani 11: 16).

La redenzione è qui una questione molto fisica perché la redenzione non deve mai essere separata dal mondo fisico o da quello spirituale. Israele era fisicamente asservito all’Egitto così come in schiavitù al peccato. La caduta dell’uomo lo ha posto, corpo e anima, in schiavitù, e la redenzione di conseguenza è totale, interessa l’essere totale dell’uomo, non meramente un suo aspetto. Limitare la salvezza all’anima dell’uomo e non al suo corpo, alla sua società e a tutti i suoi aspetti e relazioni, è negarne il significato biblico. Di fatto, l’intera creazione è alla fine coinvolta nella redenzione (Romani 8:20-21).

Il primo parto a cui si riferisce la legge è il primo nato di una madre piuttosto che d’un padre: è “quello che apre il grembo” (Esodo 13:2)<ref>The Torah, The Five Books of Moses, A New Translation; Philadelphia: Jewish Pubblication Society, 1962.</ref>. L’analisi di Fairbairn della redenzione del primo nato è particolarmente buona:

Abbiamo una triplice azione di Dio, primo, l’atto di infliggere la morte ai primogeniti di uomini e bestie in Egitto; l’esenzione da questo giudizio da parte di Israele in considerazione del sacrificio Pasquale; e infine, come commemorazione di quell’esenzione, la consacrazione al Signore di tutti i primogeniti a venire. L’elemento fondamentale su cui il tutto procede, è evidentemente il carattere rappresentativo del primogenito; la prima prole dei due genitori rappresenta l’intero frutto del grembo, essendo quello nel quale il tutto prende il proprio inizio; in modo che l’uccisione dei primogeniti d’Egitto fu virtualmente l’uccisione di tutti - implicò che uno e lo stesso destino era sospeso sul capo di tutti e, conseguentemente, che la salvezza dei primogeniti d’Israele e la loro susseguente consacrazione al Signore, fu, per quanto concerne le intenzioni divine e l’efficace virtù, la salvezza e la consacrazione di tutti. Pertanto, Israele nel suo insieme fu chiamato il primogenito di Dio: E tu dirai al Faraone: "Così dice l'Eterno: Israele è il mio figlio, il mio primogenito. Perciò io ti dico: Lascia andare il mio figlio, affinché mi serva; ma se tu rifiuti di lasciarlo andare, ecco io ucciderò il tuo figlio, il tuo primogenito” (Esodo 4: 22, 23)<ref>Patrick Fairbairn: “First Born”, in Fairbairn’s Imperial Standard Bible Encyclopedia; Grand Rapids, Zondervan, [1891], 1957, II. p. 297 s.</ref>.

L’atto di redenzione fu così il rituale di confermazione dell’appartenenza pattizia. Tutto Israele, uomini e bestie, fu riconosciuto come proprietà di Dio, il suo “primogenito” per grazia e adozione. Israele meritava di morire non meno dell’Egitto: la sua redenzione fu un atto di grazia sovrana. Questo fatto era stato dimostrato ad Abrahamo nella richiesta del sacrificio di Isacco. La Bibbia non condanna il sacrificio umano in principio. “Tutti i sacrifici biblici si fondano sul principio secondo cui il dono della vita a Dio, sia nell’atto della consacrazione che dell’espiazione, sia necessario ai fini del ristabilimento religioso”. Dall’altro lato, “l’uomo, a causa della sua condizione anomala dovuta al peccato, non è idoneo ad offrire questo dono della vita mediante la propria persona, per cui entra in gioco il principio della sostituzione: una vita prende il posto di un’altra vita”<ref>G. Vos. Teologia Biblica, p. 157.</ref>. Ma anche senza peccato, l’uomo non può dare a Dio niente che non abbia già ricevuto da Dio. Il fatto che il riscatto del primogenito fosse normalmente collegato con l’ottavo giorno, il tempo della Circoncisione, dell’ingresso nel patto, ne faceva al contempo una confermazione del patto da parte dei genitori. Gli animali erano spesso dati direttamente al sacerdote. La tribù di Levi divenne una tribù sacerdotale sostitutiva, devota a Dio, come i primogeniti (Numeri 3: 40, 41). La legge si premuniva di proteggere i genitori da un costo esorbitante del riscatto (Levitico 27: 1-8). Altre leggi che concernono i primogeniti, cioè la ri-affermazione della consacrazione, sono Numeri 8:16, 17, che collega il diritto di Dio ai primogeniti d’Israele con l’uccisione dei primogeniti d’Egitto; Numeri 8:18, che stabilisce i Leviti come sostituto, e Numeri 3:11-13, 44-51, che dà dettagli specifici di questa sostituzione. I primi parti di greggi e armenti sono specificati in Esodo 13:11-13 ed Esodo 22:30, come anche in Esodo 34:19, 20; Levitico 27:26, 27; e Numeri 18:15-17. In Numeri 18:15-17, è specificato che il primo parto di una mucca, una pecora o una capra non possono essere riscattati, ma devono, secondo Deuteronomio 14:23; 15:19-22, insieme alla decima del frumento, del mosto e dell’olio, essere mangiati davanti a Dio come seconda decima. Waller ha commentato su Deuteronomio 14: 22, 23, 28, quanto segue:

(22) Tu darai accuratamente la decima. - Il Talmud e gli interpreti giudaici in genere concordano col parere che la decima menzionata in questo passo, sia qui sia nel verso 28, e anche la decima descritta nel capitolo 26: 12-15, siano una cosa sola: “la seconda decima”; ed interamente distinta dalla decima ordinaria assegnata ai Leviti per la loro sussistenza in Numeri 18: 21, e da cui essi davano a loro volta la decima per i sacerdoti (Numeri 18:26) …

(23) Mangerai davanti all’Eterno, il tuo Dio - Cioè tu mangerai la seconda decima: Questo era da farsi per due anni; ma nel terzo e sesto anno c’era una disposizione diversa (cfr. vs. 28). Nel settimo anno, che era sabbatico, probabilmente non c’era decima, perché non c’era raccolto. Il prodotto della terra era per tutti, e ognuno era libero di mangiarne a piacere…

(28) Alla fine di ogni tre anni, metterai da parte tutte le decime dei tuoi prodotti - Questo è chiamato dai Giudei Ma’ser ’Ani, “la decima dei poveri” . Essi la considerano identica alla seconda decima, che era ordinariamente mangiata dai proprietari a Gerusalemme; ma che ogni terzo e sesto anno era elargita ai poveri<ref> Waller, in Ellicott, II, p. 44 s.</ref>.

Si nota che questa seconda decima non era strettamente un decimo, perché un secondo decimo non era messo da parte dal bestiame specificato, “ma i primi nati prendono il posto della seconda decima degli animali”<ref>P. W. Thompson: All the Tithes or Terumah; London: The Covenant Publishing Co., 1946, p. 19.</ref>. 

In aggiunta al riscatto dei primogeniti, un testatico era richiesto a ogni maschio dai vent’anni in su (Esodo 30:11-16), che originariamente fu usato per la costruzione del tabernacolo (Esodo 38:25-28). Era pagato dai Leviti e da tutti gli altri. Era un memento che tutti erano preservati in vita solo per la grazia di Dio. Dopo che fu costruito il tabernacolo (la stanza del trono e il palazzo di governo di Dio), questo introito fu usato per mantenere l’ordine civile. La messa a ruolo formale al raggiungimento della maturità significava il pagamento di mezzo siclo in riconoscimento della grazia provvidenziale di Dio. Tutti pagavano la stessa somma. “Era un riconoscimento di peccato, che accomunava tutti in modo eguale, e perciò fatto uguale per tutti, e salvava dalla vendetta di Dio quelli che se fossero stati troppo orgogliosi per pagarlo, sarebbero stati puniti da qualche piaga”<ref>Rev. George Rawlingson, in H.D.M. Spence e J. s. Exell, editori: The Pulpit Commentary: Exodous,Vol II; New York: Funk & Wagnalls, p. 305, Si veda anche J. C. Connell: “Exodous”, F. Davidson, A. M. Stibbs, E.F. Kevan, Editori: The New Bible Commentary; Grand Rapids: Eerdamns, 1953, p. 128; Keil & Delitzsch: The Pentateuch, III, p. 210-212.</ref>.

Il testatico era un promemoria che essi vivevano per la grazia di Dio, e che avevano perso il diritto alla loro vita e le loro sostanze per tradimento contro Dio. Era perciò una cerimonia il cui significato era associato con la redenzione dei primogeniti, la Pasqua, e col giorno dell’espiazione, piuttosto che con la decima.

Ambedue le primizie del gregge e del campo, con le eccezioni descritte, dovevano essere date al Signore per il mantenimento dei Leviti, secondo la legge del patto<ref>U. Z. Rule: Old Testament Institutions: Their Origin and Development London: S.P.C.K., 1910, p. 322.</ref>. La legge delle primizie compare in Levitico 23: 10-17 e Deuteronomio 26:1-11, anche Numeri 15:17-21; Esodo 22: 29; 23: 19. Il Nuovo Testamento fa rifermento alle primizie in Romani 8:13; 11:16; 16:5; 1 Corinzi 15:20-23; 16:15; Giacomo 1:18; Apocalisse 14:4. Gesù Cristo è dichiarato essere, quando risorto dai morti: “il primo covone agitato davanti al Signore nel secondo giorno Pasquale, proprio come Cristo infatti ha fatto saltare i legami della morte proprio in quel periodo liturgico”<ref>A. Edersheim: The Temple, Its Ministry and Services as they were at the time of Chist; New York: Harper, 1894, III, p. 574.</ref>. San Paolo ha dichiarato: “Anche noi stessi, che abbiamo le primizie dello Spirito santo; noi stessi, dico, soffriamo in noi stessi, aspettando l’adozione, la redenzione del nostro corpo” (Romani 8:23).

L’offerta dei primi nati e delle primizie era strettamente collegata con la decima, e con essa, costituiva un’offerta simbolica del tutto. La decima, comunque, era in aggiunta all’offerta dei primi nati e delle primizie.

La chiesa primitiva vide l’offerta dei primogeniti compiuta in Cristo, essendo l’offerta stata fatta da Dio in compimento dei requisiti per la casa della fede. Si seguitò, però, a fare l’offerta delle primizie, benché fosse stata in egual misura adempiuta da Cristo. La colletta delle primizie avveniva con forme diverse tipo le prebende sul primo raccolto dell’anno richieste dal papa in Inghilterra dalle prebende che erano state destinate agli stranieri. Enrico VIII s’impadronì di queste collette, ma la regina Anna le restituì alla chiesa d’Inghilterra per incrementare piccole parrocchie<ref>John M’Clintock e James Strong: Cyclopedia of Biblical, Theological and Ecclesiatical Literature, New York: Harper, 1894, III. p. 574.</ref>.

Rispetto alla decima, secondo Bingham: “Gli antichi credevano che la legge della decima non fosse semplicemente un comando cerimoniale o politico, ma un obbligo morale perpetuo”<ref>Joseph Bingham: The Antiquities of the Christian Church; London, Bohn, 1850, I. p. 189.</ref>. Per molti secoli la decima fu pagata in natura, cioè letteralmente un decimo del raccolto piuttosto che il suo equivalente in moneta. Furono costruiti granai per immagazzinare la decima<ref>Per immagini di granai per la decima nell’Inghilterra medievale, vedi Sacheverell Sitwell, Perks, Monks, Nuns, and Monasteries; New York, Holt, Rinehart e Wisnton, 1965. Illustrazioni a pp. 42 e 43. </ref>. La decima fu comandata dal Concilio di Trento pena la scomunica, ma fu abolita in Francia nel 1789 ed è gradualmente caduta in disuso. Era richiesta nei circoli protestanti una volta, ma anche qui è stata negletta o è semplicemente divenuta una decima alla chiesa<ref>George C. M. Douglas: “Tithe” in Fairbairns Bible Encyclopedia, IV, p. 290.</ref>.

La decima compare molto presto, molto prima di Mosè; quando Abrahamo la pagò (Genesi 14:20; Ebrei 7: 4, 6) era apparentemente una pratica in uso, cosicché la sua origine potrebbe risalire alla rivelazione originale ad Adamo. Anche Giacobbe parlò della decima (Genesi 28:20-22). Porzioni appartenenti al Signore collegate alla decima compaiono nella guerra contro Madian, ove Dio fissò la proporzione delle spoglie in una su cinquanta, e una su cinquecento, a seconda del bottino (Numeri 31: 25-54).

La legge della decima compare in Levitico 27:30-33; Numeri 18:21-26; Deuteronomio 14:22-27; 26:12, 15. I rabbini e molti studiosi ortodossi distinguono tre decime; alcuni studiosi ortodossi e virtualmente tutti i modernisti ne vedono solo una<ref>Per la decima, vedi Oswald T. Allis: “Leviticus”, in Davidson, Stibbs e Kevan, op. cit., p. 161s.; H.H. Guthrie, Jr. “Tithe” in Interpreter’s Dictionary of the Bible, R-Z, p. 654 vede le tre decime come la pratica del Giudaismo posteriore, cioè prima dell’epoca del NT e inclusivo di essa.</ref>. L’esistenza di tre decime fin dal primo periodo è una questione documentata; vale a dire dal primissimo periodo dei documenti ebraici collegati alle Scritture, cioè dagli Apocrifi. Tobia, datato dal 350 a.C., o dal 250 al 200 a.C. da Davis<ref>Davis: op. cit., p. 44.</ref>, e “verso la fine del terzo secolo a.C.” da Gehman<ref>Revisione di John D. Davis da parte di Henry Snyder Gehman: The Westminster Dictionary of the Bible; Philadelphia, The Westminster Press, 1944, p. 34.</ref>, da evidenze molto chiare di tre decime (Tobia 1: 5-8). Evidenze simili si trovano nelle Antichità di Giuseppe Flavio, Libro IV, e in Girolamo, ad una data posteriore<ref>Henry Lansdell: The Tithe in Scriptures; London, SPCK, 1908, p. 32s.</ref>. L’evidenza storica rivela la pratica; le Scritture fanno riferimento a tre tipi di decima. L’onere della prova è su chi insiste a ridurle a una.

Nell’analizzare la decima, perciò, diventa manifesto che, primo, ci sono tre tipi di decima, una prima decima, la decima del Signore (Numeri 18:21-24), che andava ai leviti che ne rendevano un decimo ai sacerdoti (Numeri 18:26-28); una seconda decima, una decima festiva da godere davanti al Signore (Deuteronomio 12: 6-7, 17-18); una terza decima, la decima per i poveri, ogni terzo anno, da condividersi localmente con i leviti del posto, gli stranieri, gli orfani e le vedove (Deuteronomio 14:27-29)<ref>Ibid., pp. 23-36.</ref>.

Secondo, il Signore in quanto creatore di tutte le cose, stabilisce i termini della vita dell’uomo e dell’uso delle proprietà dell’uomo. Certe specifiche somme sono sante al Signore. La decima era in natura, cioè dei nuovi nati del gregge o del bestiame, o del prodotto della terra. Se riscattata, cioè pagata in denaro al Signore, doveva essere aggiunto un quinto della somma. Nel dare la decima, un uomo non doveva scegliere il buono o il cattivo per il Signore, ma doveva prendere ogni decimo nato. Se uno avesse contato un incremento di sedici vitelli, ne avrebbe dato solo uno, il decimo. Aggiungendo un quinto alla decima in moneta si tendeva a pareggiare il conto, ma, nel complesso, il requisito favoriva l’uomo (Levitico 27:3-33).

Terzo, la seconda decima doveva essere usata per gioire davanti al Signore nelle tre festività annuali. Poteva essere portata al santuario in forma monetizzata, per spenderla per sé durante la Pasqua, la festa dei Tabernacoli, la festa delle Settimane, più di due settimane di vacanze “religiose” (Deuteronomio 12:6-7; 14:22-27; 16:3, 13, 16). Eccetto che per i Leviti, coi quali era condivisa una porzione, questa decima rimaneva al datore ed era usata per il proprio piacere. Non c’era seconda decima degli animali nella seconda decima; i primogeniti del gregge prendevano il loro posto nella seconda decima (Deuteronomio 12:17-18).

Quarto, la terza decima era per i poveri, da usarsi in loco con i poveri, le vedove, gli orfani, stranieri senza mezzi, persone incapaci di aiutarsi da sole a motivo di età, malattia o altre condizioni speciali. Anche i Leviti dovevano essere ricordati (Deuteronomio 14:27-29).

Quinto, la decima, secondo Thompson, ammontava in questo modo a un decimo per il Signore, un decimo per i poveri, e una piccola somma per i Leviti dalla seconda decima. Thompson la definì “un sesto del reddito di una persona” visto che la seconda decima era dovuta due volte ogni periodo di sei anni<ref>P. W. Thompson: All the Tithes, p. 30.</ref>. In questi termini, Thompson vide la decima complessiva come un giorno di lavoro su sei<ref>ibid., p. 22 s.</ref>. Potrebbe essere un conteggio un po’ alto, ma è vicino alla realtà. Senza calcolare la seconda decima come costo (cioè la porzione dei Leviti), si arriva al 13,33 per cento annualmente, mentre i calcoli di Thompson la portano ad una percentuale più alta.

Sesto, non c’era decima del prodotto della campagna il settimo anno o anno sabbatico (Levitico 25:1-7). In quell’anno non doveva esserci mietitura, potatura, vendemmia o raccolta. Gli alberi e le vigne dovevano far cadere a terra i loro frutti, eccetto tutto ciò che i poveri avrebbero raccolto per i propri bisogni, o che bestiame e animali selvatici avrebbero mangiato, o usati sulla tavola del proprietario (Esodo 23:11). Rawlinson ha commentato:

Sotto il sistema così divinamente imposto agli Israeliti, si compivano tre scopi benefici. 1. Ne beneficiava il proprietario. Non solo era prevenuto dall’esaurire la sua campagna con l’uso intensivo, e quindi finire in povertà, ma era anche obbligato a sviluppare abitudini di accortezza e di previdenza. Necessariamente doveva mettere da parte qualcosa per il settimo anno e in questo modo imparava a calcolare i propri bisogni, a immagazzinare il suo frumento, e a tenere qualcosa da parte per un futuro avverso. In questo modo furono sviluppate la sua ragione e le sue capacità riflessive, ed egli fu fatto avanzare, da mere braccia produttive a coltivatore di buon senso. Ne beneficiavano i poveri. Poiché qualsiasi cosa fosse cresciuta nel settimo anno sarebbe cresciuta spontaneamente, senza spese o problemi da parte del proprietario, non poteva legittimamente essere considerata appartenere esclusivamente a lui. La legge mosaica la collocava alla pari con i frutti selvatici, e a disposizione del primo venuto. (Levitico 25:5, 6) Con questa disposizione i poveri erano abilitati ad approfittare, visto che erano essi in particolare a raccogliere ciò che la generosità della natura aveva provveduto. Nel clima secco della Palestina, dove molti chicchi di frumento andavano sicuramente dispersi durante la mietitura, la crescita spontanea dev’esser stata considerevole e sarebbe stata ampiamente sufficiente al sostentamento di chi non aveva altre risorse. Ne beneficiavano le bestie. Dio si prende “cura del bestiame”. Egli istituisce l’anno sabbatico, in parte, in modo che “gli animali dei campi” possano avere abbondanza da mangiare. Quando l’uomo raziona loro il loro cibo, essi hanno spesso una porzione risicata. Dio desidera che almeno un anno su sette possano mangiare a sazietà<ref>Rawlinson in Pulpit Commentary, Exodous, II, p. 205.</ref>.

Contrariamente a Rowling su un punto, l’uso sabbatico dei campi e delle vigne era senza dubbio simile alla spigolatura, vale a dire che il proprietario governava l’ammissione concedendola ai poveri meritevoli. Tratteremo ulteriormente del sabato agricolo più avanti.

Settimo, dare la decima significava dare proporzionatamente. La decima di un povero è piacevole agli occhi di Dio quanto quella di un ricco. Il principio della decima è dichiarato chiaramente nella legge: “Ognuno da parte sua secondo la benedizione che l’Eterno, il tuo Dio, ti ha dato” (Deuteronomio 16:17). Questo stesso principio è ripetuto da san Paolo in 2 Corinzi 8:12 quale essenza del dare cristiano. San Paolo ha scritto, riguardo alla colletta per i poveri, ed ha citato il principio della decima per raccogliere dai cristiani la decima per i poveri. Mediante l’offerta proporzionata, non era posto peso indebito su nessuno: non ci aspettava che i ricchi facessero tutte le donazioni, né l’onere era lasciato ai solerti.

Ottavo, mediante la decima esisteva una realistica relazione con Dio. Secondo Malachia 3:7-12, la maledizione di Dio è contro quelli che negano il comando di Dio di dare la decima, perché questo equivale ad allontanarsi dalla legge di Dio (Malachia 3:7). Similmente, la benedizione di Dio è riversata come un diluvio su quelli che obbediscono la legge della decima. Come scrisse Samuel Rutheford (1600-1661): “Sono persuaso che Cristo è responsorio e ligio alla legge nel ricompensare qualsiasi cosa sia arrischiata o elargita per lui; le perdite per Cristo non sono altro che beni messi in banca nelle mani di Cristo”<ref>P. W. Thompson: All Thine Increase; London: Marshall, Morgan &, 1937, terza edizione, p. 109. Scott</ref>. Non si tratta di salario da Dio, che non deve nulla a nessuno, ma di benedizione. Primariamente, Malachia promette una benedizione nazionale, come vedremo più tardi, ma l’aspetto personale non è assente. G. H. Pember ha scritto, in Earth’s Erliest Ages:

Noi sappiamo in senso generale che la grazia di Dio segue ogni azione di diretta obbedienza da parte nostra. Se noi andiamo alla ricerca perfino dei comandi più piccoli della sua legge, e li mettiamo in pratica: se dimostriamo che non permetteremo che una sola parola pronunciata dalla sua bocca cada a terra, noi rendiamo testimonianza a noi stessi e agli altri che proprio con i fatti e non solo con le parole riconosciamo lui come nostro Dio e nostro Re … Nè egli, da parte sua, sarà lento nel riconoscere noi come suoi sudditi, come quelli che vantano un diritto al suo aiuto e alla sua protezione<ref>Citato in: ibid., p. 140.</ref>.

E, come ha scritto il Rev. Samuel Chadwick (1860-1912): “Nessun uomo può derubare Dio senza affamare la propria anima”<ref>Ibid., p. 216.</ref>.

Nono, La decima del Signore e la decima dei poveri assolvevano le funzioni sociali basilari che, sotto il moderno totalitarismo, sono diventate territorio dello stato: educazione e welfare. L’educazione era una delle funzioni dei Leviti (non del santuario). I Leviti assistevano i sacerdoti nei doveri religiosi collegati al santuario (1 Cronache 23:28-31; 2 Cronache 29:34; 35:11), e come funzionari, giudici, e musicisti (1 Cronache 23:1-5). In un ordinamento civile pio il gruppo meglio istruito nella legge di Dio avrà chiaramente da rendere servizi sociali di ampia portata. Poiché il loro mantenimento è sostenuto dalla decima, il costo basilare del governo civile in una società diventa assai modesto. La decima è un riconoscimento che Dio è Re; in 1 Samuele 8: 14-19, sono citate le conseguenza del rigetto di Dio come Re: sono totalitarismo, oppressione, perdita di libertà, e un aumento del costo del governo civile. Senza la decima, le funzioni sociali basilari cadono dentro a due tipi di trappole: da un lato, lo stato assume queste funzioni e, dall’altro, individui ricchi e fondazioni esercitano un potere preponderante sulla società. Dare la decima libera la società da questa dipendenza dallo stato e da individui ricchi e fondazioni. La decima colloca il controllo basilare della società nelle mani dei datori della stessa. Ad essi è comandato di “portare tutte le decime alla casa del tesoro” (Malachia 3.10). La casa del tesoro che Malachia menziona era letteralmente questo: un magazzino fisico che era del Signore, cioè, apparteneva a quella tradizione religiosa di Leviti i quali, anziché essere apostati o sincretisti, erano fedeli a Dio e alla sua parola-legge. Il donatore della decima non avrebbe dato se la sua decima fosse andata ad una casa del tesoro priva di fede; era suo dovere giudicare dunque tra Leviti pii ed empi. Allo stesso modo, il datore di oggi non dà a meno che la sua decima vada ad opere veramente pie, a chiese, a cause missionarie, e a scuole che insegnano fedelmente la parola-legge. Inoltre, la decima dei poveri è nelle mani del donatore, egli non la può utilizzare, o utilizzare il prodotto dell’anno sabbatico, o la spigolatura dei suoi campi per sussidiare il male, l’ignavia o l’apostasia. La decima per i poveri ha come scopo il rafforzamento di una società pia, non la sua distruzione.

Come abbiamo visto, la decima andava ai Leviti, che davano la decima della decima ai sacerdoti. Pertanto, solo una piccola porzione della decima andava ai sacerdoti per il mantenimento del culto. Nel periodo del deserto, i Leviti ebbero doveri importanti nella cura e nel trasporto del tabernacolo, ma più tardi questi doveri scomparvero. I Leviti assunsero una funzione sociale più ampia, e nessun profeta ha mai criticato o messo indubbio queste più ampie funzioni, il che significa che erano chiaramente dentro la dichiarata vocazione di Dio. I Leviti, in quanto tribù dei “primogeniti” per scelta di Dio, erano pertanto la tribù con le funzioni basilari del primogenito, le quali erano governative nel senso più ampio del termine. Mentre lo “scettro” era stato dato a Giuda (Genesi 49.10), per altri aspetti Levi, in quanto tribù dei primogeniti (Numeri 8:18) aveva le basilari funzioni di governo. C’era in questo modo una basilare divisione dei poteri tra lo stato (Giuda ed il trono) e le ampie funzioni governative (Levi). Questa divisione è stata distrutta dalla scomparsa della decima come fattore di governo.

Nell’Europa medievale e della Riforma, ampie funzioni di governo appartenevano al mondo della decima. Una ragione per la frequente mancanza di diffidenza nei confronti dello stato era il ruolo generalmente limitato dello stato. Scuole, ospedali, lazzaretti per i lebbrosi, carità verso orfani, vedove, stranieri e i poveri, tutto questo ed altro era ambito della decima. Ammesso che ci sia stata corruzione nella chiesa medievale, pure quella corruzione è stata oscurata dal degenerato e dissoluto stato moderno. Si dovrebbe rammentare anche che la decima andava alla chiesa locale, o diocesi. Le leggi di Edmondo emesse in un’assemblea a Londra, (942-946) capitolo 2, dicono: “Comandiamo ad ogni cristiano nella sua cristianità, di pagare decime, contributi ecclesiali, l’obolo di san Pietro, diritti sulle terre arate. E se alcuno non lo fa, sia egli scomunicato”. Le leggi di Ethereld, (1008) capitolo 11, dichiaravano:

E i contributi ecclesiali saranno pagati ogni anno, specificamente, i diritti sulle terre arate due settimane dopo Pasqua, la decima sull’incremento del gregge a Pentecoste, e i frutti della terra alla messa di Ognissanti, e l’obolo di san Pietro alla messa di Pietro, e il canone delle luci tre volte durante l’anno<ref>William E. Lunt: Papal Revenues in the Middle Ages, vol. II, Records of Civilization, Columbia University, n. XIX; New York: Columbia University Press; 1934, p. 56 s.</ref>.

La Bibbia provvede, quale legge fondamentale di un pio ordinamento sociale, la legge della decima. Per comprendere la piena implicazione della decima, è importante sapere che la legge biblica non ha tasse sulla proprietà; il diritto di tassare immobili è implicitamente negato allo stato, perché lo stato non possiede terra da tassare. “La terra è del Signore” (Esodo 9:29; Deuteronomio 10:14; Salmi 24:1; 1 Corinzi 10:26, ecc.); pertanto, solo Dio può tassare la terra. Per lo stato, reclamare il diritto di tassare la terra è fare di sé stesso Dio e creatore della terra, mentre lo stato è invece il ministro di Dio per la giustizia (Romani 13:1-8). Per lo stato entrare nell’ambito riservato a Dio è attirare il giudizio.

L’immunità della terra dalla tassazione da parte dello stato significa libertà. Un uomo, a quel punto, non può essere spossessato della sua terra, ogni uomo possiede una sicurezza basilare nella sua proprietà. Come ha sottolineato Rand:

Sotto la legge del Signore era impossibile spossessare gli uomini della loro eredità perché non c’erano tasse esatte per i terreni. Indipendentemente dalle responsabilità personali di un uomo, egli non poteva diseredare la propria famiglia con l’essere spossessato della sua terra per sempre<ref>Howard B. Rand: Digest of the Divine Law; Merrimac, Mass.: Destiny Publisher, [1943] 1959, p. 111.</ref>.

Poiché la terra non è proprietà dello stato, né il terreno è parte della giurisdizione dello stato, lo stato non ha perciò diritto sotto Dio di esigere tasse per la terra di Dio. In più, secondo 1 Samuele 8:4-19, per lo stato richiedere tanto quanto Dio, cioè un decimo del reddito di un uomo, è un segno d’apostasia e di tirannia. Lo stato moderno, invero, richiede diverse decime in tasse.

La decima non è un dono a Dio; è la tassa di Dio per l’uso della terra, che è in ogni punto sotto la legge e la giurisdizione di Dio. Solo quando il pagamento al Signore ecceda il dieci per cento è chiamato un dono e “un’offerta volontaria” (Deuteronomio 16:10, 11; Esodo 36:3-7; Levitico 22:21, ecc.).

La decima è stata raccolta legalmente per secoli, vale a dire che lo stato provvedeva i requisiti legali perché la decima fosse pagata alla chiesa. Quando la Virginia abrogò la propria legge che rendeva obbligatorio il pagamento della decima, George Washington espresse la sua disapprovazione in una lettera a George Mason, il 3 Ottobre, 1785. Egli credeva, disse, nel “far pagare alle persone per il sostegno di quelle cose che professano”<ref>Jared Sparks, editore The Writings of George Washington; Boston, Ferdinand Andrews, 1838, IX,p. 137.</ref>. Dal quarto secolo in avanti, i governi civili cominciarono a richiedere la decima, perché si credeva che una nazione potesse negare a Dio la sua tassa solo a proprio rischio e pericolo. Dalla fine del XVIII Secolo, e specialmente in anni recenti, tali leggi sono scomparse sotto l’impatto di movimenti ateistici e rivoluzionari. Anziché liberare gli uomini da una tassa “oppressiva”, l’abolizione della tassa ha aperto la strada ad una tassazione veramente oppressiva da parte dello stato per poter assumere le responsabilità sociali un tempo sostenute dal denaro della decima. Se non sono pagate da un popolo cristiano responsabile nel dare la decima, saranno pagate a uno stato tirannico che userà welfare ed educazione come trampolini di lancio verso il potere totalitario.

La questione è stata abilmente riassunta da Lansdell:

Sembra chiaro, pertanto, alla luce della rivelazione, e dalla pratica di probabilmente tutte le nazioni antiche, che l’uomo che nega a Dio il diritto su una porzione della ricchezza che passa per le sua mani, è molto affine ad un anarchico spirituale; mentre, chi destini così meno di un decimo del suo reddito o dell’incremento è condannato dalle Scritture come ladro. Di fatto, ai giorni di Malachia non versare la decima era considerato furto, può un cristiano che trattenga la decima, essere oggi, diversamente da allora, considerato onesto nei confronti di Dio? Dare in modo giusto è parte del vivere in modo giusto. Il vivere non è giusto quando il dare è sbagliato. Il vivere è sbagliato quando rubiamo la porzione di Dio per spenderla su noi stessi<ref>Lansdell: Tithe in the Scriptures, p. 148.</ref>.

È significativo che in Unione Sovietica, qualsiasi attività caritatevole sia proibita a gruppi religiosi<ref>St. Mary’s School of Religion for Aduts: An Illustrated Digest of the Church and State Under Communism; Port Richmond, Staten Island, N.Y. , 1964, p. 15.</ref>. Se un gruppo ecclesiale dovesse raccogliere fondi o beni per amministrare sollievo a malati e bisognosi della congregazione o della comunità, creerebbe immediatamente un potere indipendente dallo stato come rimedio per i problemi sociali. Creerebbe inoltre un potere che giungerebbe alla gente in modo più diretto, più efficiente e più potente. La conseguenza sarebbe un diretto affronto alla preminenza dello stato. Per questa ragione, nelle democrazie, gli orfanotrofi sono stati stabilmente il bersaglio di legislazioni repressive per eliminarli, e la carità è stata prevenuta sempre più dallo stato come passo importante verso il totalitarismo.

Lansdell aveva ragione. Quelli che non danno la decima sono anarchici spirituali: distruggono sia la libertà che l’ordinamento della società e scatenano i demoni dello statalismo.

5. La Legge come Potere e Discriminazione

Il fatto del potere è inseparabile dalla legge. La legge non è legge se manca del potere di vincolare, di costringere, e di punire. Mentre è una fallacia definire la legge semplicemente come obbligo o coercizione, è un serio errore definire la legge senza riconoscere che la coercizione ne è alla base. Svuotare Dio del potere assoluto è negare che sia Dio. Separare il potere dalla legge è negarle la statura di legge. Il fatto che Dio ripetutamente identifichi se stesso nelle Scritture come “l’Onnipotente” (Genesi 17:1, 35; Esodo 6:3; ecc.) è una parte della sua asserzione di totale sovranità e di qui proviene il suo richiamo all’obbedienza.

Il potere è un concetto religioso, e il dio o gli dèi di qualsiasi sistema di pensiero sono state le fonti del potere di quel sistema. Il monarca, o governante, ha un significato religioso precisamente a motivo del suo potere. Quando lo stato democratico prende il potere, anch’esso si arroga diritti e prerogative religiose. Poiché lo stato marxista ha maggior potere, e reclama più potere degli altri stati contemporanei, il suo rigetto della cristianità è ancor più radicale: non può tollerare che il potere assoluto sia ascritto ad un dio altro da se stesso. Il potere è custodito gelosamente nello stato anti-cristiano, e qualsiasi divisione di poteri nello stato, designati a limitarne il potere e prevenirne la concentrazione sono aspramente contestati.

La legge è potere applicato, altrimenti cessa di essere legge. La legge è più che potere, ma, senza la coercizione non c’è legge. Coloro i quali obbiettano l’elemento coercitivo della legge stanno di fatto obbiettando la legge, consapevolmente o inconsapevolmente. Lo scopo della legge è in parte quello d’essere un “terrore” per chi fa il male (Romani 13:4); la parola “terrore” viene tradotta più dolcemente con timore nelle versioni moderne, ma l’intero tenore delle Scritture richiede l’elemento di timore quando l’uomo sta di fronte a Dio e quando sta di fronte alla legge come uomo peccatore preda della propria anarchia. San Paolo rende chiaro, comunque, che l’autorità è ordinata da Dio: “Poiché non c’è autorità se non da Dio, e le autorità che esistono sono ordinate da Dio” (Romani13:1). Poiché Dio è l’autorità assoluta, tutte le autorità create e subordinate derivano il loro ufficio, potere, e autorità morale solo da Dio, li devono esercitare solo nei suoi termini e sotto la sua giurisdizione o affronteranno il suo giudizio. Il detto di Lord Acton: “Il potere tende a corrompere, e il potere assoluto corrompe in modo assoluto”, è una mezza verità liberale e riflette illusioni liberali. Primo, non tutto il potere tende a corrompere. L’autorità di un pio marito e padre, per governare la propria famiglia, non lo corrompe; egli la esercita sotto Dio e nei termini della parola-legge di Dio. Anziché essere corrotto dal proprio potere, l’uomo pio è benedetto per mezzo di esso, e lo fa essere una benedizione per la sua famiglia e per la società. Un pio governante, che usi il suo potere prontamente per scopi legittimi e morali, fa prosperare la società sotto la sua autorità. I due mali che concernono il potere e il suo esercizio sono, da un lato il timore di usare il potere, e, dall’altro lato, l’uso immorale dello stesso. Entrambi questi mali sono largamente prevalenti in tutte le società umanistiche. Gli uomini che sono timorosi di usare il potere legittimamente e moralmente corrompono le loro famiglie e le loro società. Il mancato esercizio del potere dovuto riduce la società all’illegalità e all’anarchia. L’uso immorale del potere porta alla corruzione della società e alla soppressione della libertà, ma non è l’uso dell’autorità a causare questa decadenza, ma il suo uso immorale. Il potere non corrompe quando è usato propriamente sotto Dio: benedice, fa prosperare, ordina e governa la società a suo vantaggio e benessere.

Secondo, se “il potere assoluto corrompe in modo assoluto”, allora Dio deve essere chiamato corrotto, perché egli solamente possiede autorità assoluta. Ma Acton sbaglia: l’uomo non può avere potere assoluto. Può sforzarsi d’averlo, e lo sforzo è corrotto e corrompe la società, ma l’uomo rimane, con tutte le sue pretese, totalmente sotto l’assoluto potere di Dio.

Non solo ogni autorità è derivata da Dio e decretata dal suo potere assoluto, ma è anche determinata e vincolata dalla sua assoluta giustizia. La legge, perciò è, quando è vera legge, non solo potere ma anche giustizia. In questo modo è un “terrore” per i malfattori ma è la sicurezza e la “lode” dei buoni cittadini. (Romani 13:2-5). Poiché la vera legge ha le proprie radici nel Dio sovrano, la stessa natura di ogni essere collabora per sostenerla. Come ha cantato Debora: “Dal cielo le stelle combatterono, dai loro percorsi combatterono contro Sisera” (Giacomo 5:20.) La legge, o è giusta, o è antinomia: anti-legge mascherata da legge. Il moderno positivismo giuridico, il marxismo, e altre filosofie giuridiche sono pertanto esponenti dell’anti-legge, perché negano la legge come approssimazione di un ordine e verità ultimi e riconoscono solamente una dottrina umanistica della giurisprudenza. Se la legge è scollegata da giustizia e verità, conduce, da un lato all’anarchia e anomia di un mondo privo di significato o, dall’altro, al totalitarismo di un gruppo elitario che impone la propria relativa “verità” su altri uomini per mezzo della pura, di amorale coercizione.

Ma alla legge è richiesto che sia un ministro di giustizia sotto Dio, e il magistrato “un ministro di Dio” (Romani 13:5-6). Questo concetto della legge come ministro di giustizia è oggi quasi completamente dimenticato, e, dove sia ricordato, è deriso. Ciò nonostante è il solo possibile fondamento per un ordine sociale giusto e prospero. La legge come ministero manca dell’arroganza dei teorici giuristi positivisti i quali non vedono alcuna legge o verità al di la di se stessi. Legge ministeriale è legge sotto Dio: le è richiesto d’avere un’umiltà che la legge positiva non può avere. I sostenitori del positivismo giuridico sono inclini ad accusare i cristiani di arroganza, ma il mondo non ha mai visto più spietata arroganza e orgoglio di quella manifestata dai relativisti, che siano della Grecia antica, del Rinascimento, o del ventesimo secolo.

Un altro aspetto della legge è implicito nella dichiarazione di san Paolo in Romani 13:1-6: la legge è sempre discriminatoria. È impossibile sfuggire o evadere quest’aspetto della legge. Se la legge compie la sua funzione: stabilire la giustizia e proteggere gli uomini pii, ligi alla legge, allora la legge deve discriminare contro i trasgressori della legge e perseguire rigorosamente il loro giudizio. La legge non può favorire l’eguaglianza senza cessare d’essere legge: in ogni situazione, la legge definisce, in qualsiasi e in tutte le società, coloro i quali costituiscono i membri legittimi e i membri illegittimi della società. L’abolizione della legge non eliminerà l’ineguaglianza, perché il vero fatto della cruda sopravvivenza creerà una élite e stabilirà una fondamentale ineguaglianza.

La legge è stata spesso usata come preteso strumento per ottenere l’eguaglianza, ma tali tentativi rappresentano o auto-inganno o un tentativo d’inganno da parte del gruppo al potere.

I gruppi rivoluzionari dei “diritti civili” ne sono una fattispecie. Il loro obbiettivo non è l’uguaglianza ma il potere. Il retroterra della cultura negra è africano e magico, e gli scopi della magia sono il controllo e il potere su Dio, l’uomo, la natura e la società. Il voodoo, o magia, era la religione e la vita dei neri americani. Le canzoni voodoo sono all’origine del Jazz, e il vecchio voodoo, con la sua ricerca di potere, è stato meramente rimpiazzato con un voodoo rivoluzionario, una smania di potere modernizzata<ref>Vedi, per il voodoo come sottofondo culturale del Jazz, Robert Tallant: Voodoo in New Orleans; New York, Collier Books, 1946, 1965.</ref>.

La rivoluzione studentesca attacca le ineguaglianze tra studenti e facoltà, tra gli studenti e le autorità di governo, ma ha regolarmente rifiutato concessioni favorevoli in favore di più ampie richieste di potere. Lo scopo, fin dal principio, è il potere.

L’elenco potrebbe essere esteso senza fine. Lo scopo degli egalitari è sempre stato il potere, e l’eguaglianza è stata un argomento per solleticare la coscienza malata di un elemento di governo senza fede e di sicuro crollo. la legge richiederà sempre l’ineguaglianza.

La domanda è semplicemente questa: sarà un’ineguaglianza nei termini di una fondamentale giustizia, cioè il premiare il bene e il punire il male, o sarà l’ineguaglianza del trionfo dell’ingiustizia e del male?

Il comandamento: “Non avrai altri dèi davanti a me” richiede che non riconosciamo alcun potere come vero e in definiva legittimo se non è fondato in Dio e nella sua parola-legge. Richiede che vediamo la vera legge come giustizia, la giustizia di Dio, e come un servizio di giustizia, ed essa richiede il nostro riconoscimento che le ineguaglianze delle giuste leggi applicate fedelmente sono l’ingrediente basilare di una società libera e sana. Il corpo politico, non meno del corpo fisico, non può equiparare la malattia con la salute senza perire.

Il comandamento: “Non avrai altri dèi davanti a me”, significa pure: “Non avrai altre autorità davanti a me”, indipendenti da me o con priorità su di me. Il comandamento si potrebbe leggere anche così: “Non avrai altra legge davanti a me”. Le potenze che oggi più che mai si presentano come gli altri dèi sono gli stati anti-cristiani. Lo stato anti-cristiano vede se stesso come dio e pertanto vede se stesso come la scaturigine sia della legge che del potere. Separatamente dalla prospettiva biblica, lo stato diventa un altro dio e, al posto della legge prevale la legalità Questa devozione per la legalità ha una lunga storia nel mondo moderno. Louis Gohier, ministro della giustizia in Francia durante gli anni del Regno del Terrore, divenne noto come il “casista della ghigliottina” a motivo della sua dedicazione alla legalità. Più tardi, come membro del Direttorio, quando confrontato con la minaccia che Napoleone prendesse il potere, dichiarò: “Al peggio, come ci potrà essere una rivoluzione a Saint Cloud? Come Presidente, io ho qui in mio possesso il sigillo della Repubblica”<ref>Donald J. Goodspeed: Napoleon’s Eight Days; Boston Houghton Mifflin, 1965; pp. 53, 124s.</ref>. Stalin operò il suo terrore continuato sotto l’ombrello della legalità.

Ma la legalità non è la legge. Uno stato può, mediante una stretta legalità, imbarcarsi in un percorso di radicale illegittimità. La legalità fa riferimento alle regole del gioco come stabilite dallo stato e dalle sue magistrature. La legge fa riferimento ad un ordine fondamentale dato da Dio. Lo stato moderno sostiene la legalità come strumento per contrapporsi alla legge. Il risultato è la legale distruzione della legge e dell’ordine.

Come conseguenza, lo stato, anziché essere un “terrore” per i malfattori, è un terrore progressivamente per la cittadinanza ligia alle leggi, alle persone giuste e pie. Delinquenti terrorizzano il paese con manifestazioni e violenze, e senza paura. In più, proprio come Roma aveva dichiarato guerra ai cristiani, così socialismo e comunismo, e progressivamente le democrazie sono in guerra contro la fede ortodossa o biblica. La conseguenza di tale diserzione dello stato dalla sua vocazione come ministro di giustizia può infine solamente essere la caduta dello stato. Lo stato che cessa d’essere un terrore ai malfattori e diventa un terrore ai pii sta commettendo suicidio.

Note