Letteratura/Legge/02

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Indice generale

Le istituzioni della Legge biblica, di R. J. Rushdoony

CapitoliPrefazione - Introduzione - 01 - 02 - 03 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 -09 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 16

 

Il secondo Comandamento

1. Il legittimo approccio a Dio

Non ti farai scultura alcuna né immagine alcuna delle cose che sono lassù nei cieli o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non le servirai, perché io, l'Eterno, il tuo DIO, sono un Dio geloso che punisce l'iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano e uso benignità a migliaia, a quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti (Esodo 20: 4-6, cfr. Deuteronomio 5: 8-10).

Il primo comandamento proibisce l’idolatria in senso ampio. Non può esserci nessun altro dio che l’Eterno. Gli altri dèi sono sostituti per il vero Dio creati dall’uomo. Come ha notato Ingram: “Gli altri dèi dei quali ci dobbiamo preoccupare sono, come sono sempre stati, da ricercarsi negli scranni del governo temporale o umano<ref>Ingram, World Under God’s Law, p. 33.</ref>”.

La definizione biblica di idolatria è ovviamente una definizione ampia; così, san Paolo dichiara che “nessun fornicatore o immondo o avaro, il quale è un idolatra, ha alcuna eredità nel regno di Cristo e di Dio” (Ef. 5:5). Di nuovo, in Colossesi 3:5 si fa riferimento ad “avidità, che è idolatria”. Lensky ha notato: “Un sacerdote cattolico dichiara che durante i suoi lunghi anni di servizio gli sono stati confessati ogni sorta di peccati e di crimini nel confessionale ma mai il peccato di concupiscenza<ref>R. C. H. Lensky, The Interpretation of St. Paul Epistle to the Colossians, to the Thessalonian, to Timothy, to Titus and to Philemon; Columbus Ohio, Wartburg Press, 1937, 1946, p. 158.</ref>”.

Così, nell’analizzare il secondo comandamento, dobbiamo dire, primo, che è severamente proibito l’uso letterale di idoli e di immagini nel culto. Le. 26:1, 2 lo rende molto chiaro:

Non vi farete idoli, non vi erigerete immagini scolpite o alcuna stele e non collocherete nel vostro paese alcuna pietra ornata di figure, per prostrarvi davanti ad essa; poiché io sono l'Eterno, il vostro DIO. Osserverete i miei sabati e porterete rispetto al mio santuario. Io sono l’Eterno.

Le. 19:4 comanda inoltre:

Non rivolgetevi a idoli e non fatevi degli dèi di metallo fuso. Io sono l'Eterno, il vostro DIO (cfr. Esodo 34:17).

Altra legislazione dice:

Poi l'Eterno disse a Mosè: Dirai così ai figli d'Israele: "Voi stessi avete visto che ho parlato con voi dal cielo. Non farete altri dèi accanto a me; non vi farete dèi d'argento o dèi d’oro. Farai per me un altare di terra e su questo offrirai i tuoi olocausti, i tuoi sacrifici di ringraziamento, le tue pecore e i tuoi buoi; in ogni luogo in cui farò si che il mio nome sia ricordato, verrò a te e ti benedirò. E se farai per me un altare di pietra, non lo costruirai con pietre tagliate; perché alzando su di esse lo scalpello le contamineresti. E non salirai al mio altare per mezzo di gradini, affinché su di esso non si scopra la tua nudità” (Esodo 20: 22-26). Poiché dunque non vedeste alcuna figura il giorno che l'Eterno vi parlò in Horeb dal mezzo del fuoco, vegliate diligentemente sulle anime vostre, perché non vi corrompiate e vi facciate qualche immagine scolpita, nella forma di qualche figura: la rappresentazione di un uomo o di una donna, la rappresentazione di un animale che è sulla terra, la rappresentazione di un uccello che vola nel cielo, la rappresentazione di ogni cosa che striscia sul suolo, la rappresentazione di un pesce che è nelle acque sotto la terra; perché alzando gli occhi al cielo e vedendo il sole, la luna, le stelle, tutto cioè l'esercito celeste, tu non sia attirato a prostrarti davanti a queste cose e a servirle, cose che l'Eterno, il tuo DIO, ha assegnato a tutti i popoli che sono sotto tutti i cieli, ma l'Eterno ha preso voi e vi ha fatto uscire dalla fornace di ferro, dall'Egitto, per essere suo popolo, sua eredità, come siete oggi. Or l'Eterno si adirò contro di me per causa vostra, e giurò che non avrei passato il Giordano e non sarei entrato nel buon paese che l'Eterno, il tuo DIO, ti dà in eredità. Così io morirò in questo paese, senza passare il Giordano; ma voi lo passerete e possederete quel buon paese. Guardatevi dal dimenticare il patto che l'Eterno, il vostro DIO, ha stabilito con voi, e dal farvi alcuna immagine scolpita nella forma di qualsiasi cosa che l'Eterno, il tuo DIO, ti abbia proibita.Poiché l'Eterno, il tuo DIO, è un fuoco consumante, un Dio geloso (Deuteronomio 4:15-24).

State in guardia affinché il vostro cuore non sia sedotto e non vi sviate, servendo altri dèi e prostrandovi davanti a loro; poiché allora si accenderebbe contro di voi l'ira dell'Eterno e chiuderebbe i cieli e non vi sarebbe più pioggia, e la terra non darebbe più i suoi prodotti e voi presto perireste nel buon paese che l'Eterno vi dà (De 11: 16-17).

Maledetto l'uomo che fa un'immagine scolpita o di metallo fuso, cosa abominevole per l'Eterno, opera delle mani di un artigiano, e la pone in luogo segreto. E tutto il popolo risponderà e dirà: “Amen” (Deuteronomio 27:15).

La legge non proibisce di fare sculture, di dipingere, o lavoro artistico in generaLe. Le vesti del sacerdote, per esempio, raffiguravano melegrane (Esodo 28:33-34; 39:24), e il santuario nel suo insieme era riccamente ornato. Non è l’uso religioso di tali cose ad essere proibito, poiché le melegrane e i cherubini avevano una funzione religiosa, ma è fortemente proibito, da un lato il loro uso non autorizzato, e dall’altro e il loro uso come mediazione o come via a Dio. Essi non possono “aiutare” ad adorare; l’uomo non ha bisogno di aiuto nell’adorazione oltre a ciò che Dio ha comandato.

Pertanto, l’idolatria è bandita in senso generale dal primo comandamento, mentre la seconda parola-legge la proibisce più specificamente con riferimento all’adorazione. L’uomo può avvicinarsi a Dio solo nei termini stabiliti da Dio; non può esserci mediazione tra Dio e l’uomo eccetto quella che è ordinata da Dio.

Il fondamento razionale dell’idolatria è assai logico. Come ha sottolineato uno scrittore, riferendosi agli idoli indù, lo scopo degli idoli è di veicolare concetti astratti alla mente semplice. Il dio raffigurato con molte mani simbolizza in quel modo l’onnipotenza dell’essere supremo, e il dio con molti occhi presenta la sua onniscienza, e così via. Questa è una tesi intelligente e logica ma è anche totalmente errata. È proibita da Dio e pertanto lo disonora e quindi non riceve benedizione. Ha anche prodotto decadenza sociale e depravazione individuaLe. Ovunque l’uomo cominci stabilendo il proprio approccio a Dio, finisce con lo stabilire la propria volontà, la propria concupiscenza, ed infine, se stesso come dio. Se i termini dell’approccio dell’uomo a Dio sono determinati dall’uomo, allora anche i termini della vita e della prosperità sono dettati dall’uomo piuttosto che da Dio. Ma l’iniziativa appartiene interamente a Dio, e perciò, il solo approccio legittimo a Dio è nei suoi termini ed interamente per la sua grazia. Questo è pertanto il secondo aspetto del secondo comandamento: l’approccio legittimo a Dio è istituito interamente da Dio. Per questo l’altare doveva essere di materiali naturali, non di fabbricazione umana; anche per questo il sacerdote non doveva rivelare la propria nudità: doveva essere coperto interamente da vesti che esprimevano l’ufficio di mediazione, il mediatore designato da Dio. Poiché l’ordine del culto esprimeva l’opera di mediazione di Cristo che è l’approccio a Dio da lui designato, non poteva esserci allontanamento da quell’ordine senza apostasia.

Un terzo aspetto di questa parola-legge è questo: proprio come è proibita un’idolatria molto concreta, così benedizioni e maledizioni molto concrete sono attaccate alla legge. Questo è enunciato chiaramente nella dichiarazione del comandamento. È nitidamente evidente in Le. 26: i versi 1-3 proibiscono l’idolatria, ordinano l’osservanza del sabato, e riverenza per il santuario, e richiamano inoltre a camminare negli statuti e nei comandamenti di Dio in generaLe. Nei versi 4-46, sono descritte dettagliatamente le conseguenza concrete e materiali per la nazione. Una legge molto concreta ha conseguenze molto concrete. Obbedienza e disobbedienza hanno nevralgiche conseguenze e risultati storici.

In breve, la religione, la vera religione, non è una questione di scelta volontaria che è senza ripercussioni. È comandata da Dio, e mancare di soddisfare i suoi requisiti porta al suo giudizio. Assumere che gli uomini siano liberi di adorare o di non adorare senza radicali conseguenze per la società è negare il reale significato della fede biblica. La vita di una società è la sua religione, e se quella religione è falsa, allora la società è diretta verso la morte. Benedizioni materiali eccezionali e cospicue sono promesse per l’obbedienza, ma: “E se nonostante queste cose non vi correggete per tornare a me, ma con la vostra condotta vi comportate come miei nemici, anch'io diventerò nemico vostro, e vi colpirò sette volte di più per i vostri peccati” (Le. 26:23-24). L’obbedienza non è dunque una questione di gusto: è una questione di vita o di morte.

Quarto, la salute sociale richiede la proibizione dell’idolatria perché tollerarla significa suicidio sociaLe. L’idolatria pertanto non è solo punibile per legge in quanto socialmente nociva, è di fatto un crimine capitaLe. Costituisce tradimento del Re o Sovrano, di Dio onnipotente.

Se si trova in mezzo a te, in una delle città che l'Eterno, il tuo DIO, ti dà, un uomo o una donna che faccia ciò che è male agli occhi dell'Eterno, il tuo DIO, trasgredendo il suo patto, e che vada a servire altri dèi e si prostri davanti a loro, davanti al sole o alla luna o a tutto l'esercito celeste, cosa che io non ho comandato, e ti è stato riferito e ne hai sentito parlare, allora investiga diligentemente; e se è vero e certo che tale abominazione è stata commessa in Israele, farai condurre alle porte della tua città quell'uomo o quella donna che ha commesso quell'azione malvagia, e lapiderai con pietre quell'uomo o quella donna; così moriranno. Colui che deve morire sarà messo a morte sulla deposizione di due o di tre testimoni; ma non sarà messo a morte sulla deposizione di un solo testimone. La mano dei testimoni sarà la prima a levarsi contro di lui per farlo morire; poi seguirà la mano di tutto il popolo; così estirperai il male di mezzo a te (Deuteronomio 17: 2-7).

Per la mente moderna, il tradimento nei confronti dello stato è logicamente punibile con la morte, ma non il tradimento nei confronti di Dio. Ma nessun ordinamento giuridico può sopravvivere se non difende con sanzioni rigorose la fede che sta nel proprio nucleo. L’ordinamento giuridico dell’umanesimo porta all’anarchia. Privo di assoluti, un ordinamento giuridico umanista tollera qualsiasi cosa neghi gli assoluti mentre combatte contro la fede biblica. La sola legge dell’umanesimo in ultima analisi è questa: che non c’è legge eccetto l’affermazione di se stessi. È: “Fa ciò che vuoi”. Il risultato è l’arrogante disprezzo per la legge manifestato in una bordata sparata dalla commissione ‘Cleaver for President’ che promuoveva la candidatura di Eldridge Cleaver, pantera nera, a “ministro dell’informazione” e come candidato alla presidenza degli Stati Uniti del partito Peace and Freedom Party. La dichiarazione descrive Cleaver in parte così:

Si consideri ora Eldridge Cleaver. La sua “storia americana” si può dire molto in breve. Dapprima fu invisibile e irrilevante - un ragazzino della baraccopoli di Little Rock, un trascurabile ghetto di Watts. Poi fu un fastidio locale - nel 1954, quando fu arrestato per la prima volta, a 18 anni, per aver fumato droga. Poi divenne una Minaccia Bestiale - questo quando fu incarcerato per la seconda volta, nel 1958, per aver disturbato il sonno di bellezza di qualche dea bianca dei sobborghi di Los Angeles. Più tardi, quando nella sua meravigliosa maniera e contro ogni probabilità raggiunse la sua distinta mascolinità, cos’era in quel momento? Un prigioniero politico, in una nazione che pretende di non sapere nemmeno il significato di questo termine<ref>Peace and Freedom Party, Riverside County Cleaver for President Committee: Edridge Cleaver for President; Riverside, California, 1968. Per altro su Cleaver, si veda Peace and Freedom News, edizione speciale 6 maggio, 1968, Berkeley, California.</ref>.

I termini nei quali è descritta la documentazione di una violenza sessuale indica il totale disprezzo per l’ordinamento giuridico biblico da parte della commissione. Tollerare un ordinamento giuridico alieno equivale realmente a sussidiarlo: è una garanzia di vita per quell’ordinamento giuridico alieno, e una sentenza di morte contro l’ordine giuridico stabilito.

Sir Patrick Devlin ha additato il dilemma della legge oggi:

Penso sia chiaro che il diritto penale come lo conosciamo è basato su principi morali. In un numero di crimini la sua funzione è semplicemente di mettere in atto un principio morale e nient’altro. Il diritto, sia penale che civile, asserisce di essere in grado di parlare di moralità e di immoralità genericamente. Donde prende la sua autorità per farlo e come stabilisce i principi morali che mette in atto? Indubbiamente, per la storia, deriva entrambi dall’insegnamento cristiano. Ma io penso che il pensatore logico rigoroso abbia ragione quando dice che la legge non può più appoggiarsi a dottrine che i suoi cittadini hanno il diritto di non credere. È pertanto necessario cercare qualche altra fonte della legge<ref>Sir Patrick Devlin, The Enforcement of Morals, Maccabean Lecture in Jurisprudence of British Academy, 1959, London: Oxford University Press, 1959, 1962, p. 9.</ref>

La crisi del Diritto è dovuta al fatto che la legge dell’occidente è stata legge cristiana, ma la sua fede è sempre più l’umanesimo. La vecchia legge perciò non è né compresa, né obbedita, né imposta. Ma la nuova “legge” semplicemente fa di ogni uomo la sua propria legge e conduce sempre più all’anarchismo e al totalitarismo. La legge, dice Devlin, non può funzionare “In questioni di moralità riguardo alle quali la comunità nel suo insieme non è profondamente pervasa con un senso di peccato; la legge cede sotto un peso che non è congegnata per sopportare e potrebbe deformarsi in modo permanente.” Inoltre:

Un uomo che conceda che la moralità sia necessaria deve sostenere l’uso di quegli strumenti senza i quali la moralità non può essere mantenuta. I due strumenti sono quelli dell’insegnamento, che è dottrina, e dell’applicazione, che è la legge. Se i principi morali potessero essere insegnati semplicemente sulla base che sono necessari per la società, non ci sarebbe necessità sociale per la religione, potrebbe essere lasciata come affare puramente personaLe. Ma la moralità non può essere insegnata in quel modo. E nemmeno la fedele aderenza può esserlo. No, la società non ha ancora risolto il problema di come insegnare la moralità senza la religione. Perciò la legge deve basarsi su moralità cristiane e metterle in atto al massimo delle sue possibilità, non semplicemente perché sono la moralità della maggioranza, né semplicemente perché sono i principi morali insegnati dalla Chiesa — su questi punti la legge riconosce il diritto di dissentire — ma per la pressante ragione che senza l’aiuto dell’insegnamento cristiano la legge non raggiungerà i suoi propositi.<ref> Ibid., p. 25.</ref>

In breve, le leggi di una società non possono innalzare un popolo al di sopra del livello della fede e della moralità della gente e della società. Un popolo non può legiferare se stesso al di sopra del proprio livello. Se si attiene alla fede cristiana in verità e nei fatti, può stabilire e mantenere un ordinamento giuridico pio. Se la su fede sarà umanistica, le persone saranno traditori nei confronti di qualsiasi ordinamento giuridico che non condoni la loro auto-affermazione e la loro irresponsabilità.

La domanda è dunque molto basilare: cosa costituisce tradimento in una cultura? L’idolatria, cioè il tradimento di Dio, o il tradimento dello stato? Qual’è il principio fondamentale dell’ordine, l’imprescindibile ambito dell’esistenza e della salvezza dell’uomo, Dio o lo stato? Il tradimento nei confronti dello stato è un concetto che può essere usato per distruggere i pii, ed è messo in atto con questa finalità nei paesi marxisti. Il tradimento può essere definito accuratamente e cautamente, come lo definisce la Costituzione Americana, Articolo III Sezione 3<ref>La sezione 3 vieta al Congresso di cambiare o modificare la legge federale sul tradimento con lo statuto della maggioranza semplice. Questa sezione definisce anche il tradimento, come un atto palese di fare la guerra o aiutare materialmente coloro che sono in guerra con gli Stati Uniti. Le accuse devono essere confermate da almeno due testimoni. Il Congresso è un organo politico e le divergenze politiche incontrate abitualmente non dovrebbero mai essere considerate tradimento. Ciò consente una resistenza non violenta al governo perché l'opposizione non è una proposta di vita o di morte. Tuttavia, il Congresso prevede altri reati minori sovversivi come la cospirazione.</ref>, ma che succede se il nemico dei cittadini si scopre essere lo stato che è diventato traditore nei confronti della propria costituzione? Per il cristiano, è l’idolatria a costituire sopra ogni altra cosa tradimento contro l’ordinamento sociaLe.

Quinto, abbiamo visto che mentre l’idolatria è definita accuratamente, è definita anche in senso ampio, cioè come concupiscenza. Ma l’idolatria è presente in qualsiasi ed ogni tentativo dell’uomo di essere guidato dalla propria parola piuttosto che dalla parola-legge di Dio. Questo è spesso fatto in modi ritenuti devoti e pii. Molti genitori sono peccaminosamente pazienti o indulgenti coi loro sregolati figli, o mariti con le mogli, e mogli con mariti, nell’amorevole speranza che miracolosamente Dio cambi i capricciosi. “Sono in continua preghiera” asseriranno, aggiungendo che tutte le cose sono possibili con Dio. Ma questa è una terribile arroganza e peccato. Certamente, tutte le cose sono possibili con Dio, ma noi non possiamo vivere nei termini di ciò che Dio potrebbe fare ma solo nei termini di ciò che la sua parola-legge richiede. Attendere la conversione o muoversi in speranza è un sostituto peccaminoso, per quando possa essere piamente mascherato come obbedienza a Dio e di accettazione della realtà sotto Dio. Tale corso d’azione è fare della nostra speranza la parola-legge e la parola-legge di Dio di nessuna efficacia. Samuele lo disse in faccia a Saul, dichiarando: “Poiché la ribellione è come il peccato di divinazione, e l'ostinatezza è come il culto agli idoli e agli dèi domestici. Poiché hai rigettato la parola dell'Eterno anch'egli ti ha rigettato come re” (1 Sa. 15:23). Non ci è permesso chiamare la nostra ostinatezza e ribellione nient’altro che peccato.

Il solo legittimo approccio a Dio è perciò la via che egli provvede, e quella via è riassunta nella persona di Gesù Cristo. Qualsiasi altra via è idolatria, anche quando si presenta nel nome del Signore.

2. Il trono della Legge

In Esodo 25-31; 35:4-39:43, è data la legge riguardante la costruzione del tabernacolo, cioè della tenda di convegno: “Mi facciano un santuario, perché io abiti in mezzo a loro. Voi lo farete secondo tutto quello che io ti mostrerò, sia per il modello del tabernacolo che per il modello di tutti i suoi arredi” (Esodo 25:8, 9). Questa forma doveva essere seguita rigorosamente, senza variazioni. Quando il tempio ideale o simbolico del futuro, cioè il regno di Cristo, viene presentato per mezzo di Ezechiele, è nuovamente richiesta l’aderenza alla forma (Ezechiele 43:11 s.). Quest’enfasi sull’assolutezza della forma è rammentata anche in Ebrei 8:5; 9:23.

In Esodo 25-31; 35:4-39:43, è data la legge riguardante la costruzione del tabernacolo, cioè della tenda di convegno: “Mi facciano un santuario, perché io abiti in mezzo a loro. Voi lo farete secondo tutto quello che io ti mostrerò, sia per il modello del tabernacolo che per il modello di tutti i suoi arredi” (Esodo 25:8, 9). Questa forma doveva essere seguita rigorosamente, senza variazioni. Quando il tempio ideale o simbolico del futuro, cioè il regno di Cristo, viene presentato per mezzo di Ezechiele, è nuovamente richiesta l’aderenza alla forma (Ezechiele 43:11 s.). Quest’enfasi sull’assolutezza della forma è rammentata anche in Ebrei 8:5; 9:23.

Pertanto, la forma del tabernacolo è data da Dio ed è interamente opera sua. J. Edgar Park la vede come opera dell’uomo e “risposta dell’uomo a Dio”. “Come il Creatore ha fatto la terra perché l’uomo ci viva dentro, così l’uomo deve fare una dimora per il Creatore”. Park non lo intende né come resoconto storico né come rivelazione<ref>J.Edgar Park: Exodus in “The Interpreter’s Bible”, I, 1021.

</ref>  Questo può essere un pensiero carino ma non è vero. La forma e i materiali sono indicati da Dio che si aspetta che i suoi sudditi obbediscano. Quando i sudditi costruiscono un palazzo per il loro monarca, non lo fanno come “risposta” a lui ma in obbedienza al loro re.

Ciò, naturalmente, indica un secondo aspetto della legge del santuario: il santuario è più che una tenda di convegno: “È il palazzo reale in cui il popolo rende omaggio al suo sovrano”<ref>Vos, Teologia Biblica, p. 236.</ref>. A questo punto diventa evidente un’importante fallacia dell’approccio ecclesiaLe. Nonostante affermassero la propria fede nei fondamenti, sinceri studiosi biblici hanno lo stesso condiviso il moderno credere che la religione sia una questione di chiesa. Nella loro analisi della tipologia e del simbolismo del tabernacolo, essi sottolineano la sua correlazione col culto ecclesiale<ref>Vedi W. G. Moorhead: The Tabernacle; Grand Rapids, Kregel, 1895, 1957.</ref>. Ma la riduzione della religione alla chiesa è un’eresia moderna; l’ambito della religione è la vita intera, e l’interesse del santuario era la totalità della vita. Il tabernacolo era il palazzo di Dio il Re, Signore pattizio d’Israele, dal quale governava la nazione in modo assoluto. Israele si presentava a palazzo, non solo per adorare ma per ricevere ordini in ogni ambito e in ogni area di vita.

Terzo, di conseguenza, ci poteva essere solamente un santuario perché c’è solo un vero Dio: un Dio, un trono, un reame di governo. Poiché c’era una sola legge a governare il reame di Dio, c’era una sola fonte di legge: il palazzo. A motivo della prospettiva ecclesiale, è difficile per l’uomo vedere il tabernacolo principalmente ed essenzialmente come il palazzo o dimora di Dio, era principalmente ed essenzialmente un luogo di culto. Solo un attimo di riflessione chiarirà questo punto. La legge richiedeva che tutti i maschi comparissero a palazzo tre volte all’anno:

Tre volte all'anno mi celebrerai una festa (Esodo 23:14). Tre volte all'anno tutti i tuoi maschi compariranno davanti al Signore, l’Eterno (Esodo 23: 17). Tre volte all'anno comparirà ogni vostro maschio davanti al Signore, l'Eterno, il DIO d’Israele (Esodo 34: 23).

Qualcuno obbietterà che queste tre festività sono descritte come “sante” convocazioni (Le. 23:4) e che perciò sono chiaramente ed essenzialmente culto. Ma associare santità con culto è un serio errore; il culto in sé non è santo e può essere blasfemo; la santità non fa riferimento al culto ma a Dio in tutte le sue vie e in tutto il suo essere. Pertanto, tutte le attività pie, in casa, nel campo, in tribunale, in chiesa o a scuola sono attività sante. La prospettiva “medievale”, benché corrotta dal neo-platonismo, era era comunque più biblica del moderno concetto dello stato come un’agenzia profana e terrena, vale a dire fuori dal palazzo di Dio e separata da lui. Poiché il monarca rappresentava il ministero di giustizia di Dio, e poiché egli governava in qualità di vice reggente di Cristo il Re, l’ufficio del monarca era visto come una funzione santa.

Il re era, di fatto, un’immagine di Cristo. Il rito dell’incoronazione lo trasformava sacramentalmente in un Christus Domini, cioè non solo in una persona di rango episcopale, ma in un’immagine di Cristo stesso. Con questo rito, scrive il professor Kantorowicz: “Il nuovo governo veniva collegato col governo divino e con quello di Cristo, il vero governatore del mondo; e le immagini del re e di Cristo [erano] collocate il più vicino possibile”. Tali teatrali rappresentazioni del significato della monarchia non erano confinate all’incoronazione del re. Nelle grandi feste religiose dell’anno: “Il giorno d’esaltazione del re era fatto coincidere con …l’esaltazione del Signore” in modo da rendere “la regalità terrestre ancor più trasparente collocandola sullo sfondo della regalità di Cristo”. Nella Francia dei Capetingi come altrove, tali festività religiose erano fatte diventare occasioni per la festiva incoronazione del re e, poiché le assemblee politiche del reame erano similmente tenute durante queste feste, l’intrecciarsi delle due sfere veniva sottolineata da sfilate liturgiche che evidenziavano la dignità sacerdotale del ruolo del re. Ciò che a noi sembra nulla di più che una processione festiva era, di fatto, un atto di significato tanto sacramentale quanto costituzionaLe. Era precisamente la sua unzione come Christus Domini che innalzava il re al di sopra persino dei duchi più potenti. Nelle controversie politiche del primo 1200 si adduce continuamente questo fatto<ref>Otto von Simson: The Gothic Cathedral, Origins of Gothic Architecture and the Medieval concept of Order, Bollingen Series XLVIII, revised edition; New York: Pantheon Books, 1962, 1965, p. 138</ref>.

Purtroppo, a motivo nel neo-platonismo, il concetto di continuità produsse l’unità d’essenza tra Dio e il re che portò al culto del governante e ad un ordinamento anti-cristiano. La tipologia del re come vice-reggente deve essere mantenuta nei termini della biblica discontinuità di essenza tra Dio e l’uomo. La tipologia non può essere trasformata in un concetto di continuità<ref>Si vedano gli scritti di Ernst H. Kantorowicz, specialmente Laudes Regiae, A Study in Liturgical Acclamation and Medieval Ruler Worship; University of California Press, 1946; The King’s Two Bodies, A Study in Medieval Political Theology; Princeton University Press, 1957; Frederick the Second, 1194-1250; New York: Frederick Ungar, 1931, 1957.</ref>.

La santità, perciò, fa riferimento principalmente ed essenzialmente a Dio e, secondariamente, a tutte le cose fatte nel suo nome, secondo la sua parola e alla sua gloria. Tutte le cose sono state create da Dio completamente buone e perciò sante, separate e dedicate a lui. Gli uomini, per la loro caduta, sono diventati profani. L’obbiettivo della redenzione è la restaurazione dell’universo alla santità, la sua ri-creazione, e la separazione dei reprobi o canaaniti dalla “casa del Signore degli eserciti” (Za. 14:20-21).

Il tabernacolo era il palazzo di Dio; era santuario perché era il palazzo o dimora di Dio. Nel deserto, e nei primi anni, Dio faceva il suo palazzo come il popolo faceva dimora, in una tenda. Fu tardivamente, con Davide, che il popolo divenne consapevole del contrasto tra le loro case e il palazzo di Dio ancora in una tenda (2 Sa. 7:2). La costruzione di questo tempio, casa o palazzo di Dio, fu differita da Dio fino al regno di Salomone (2 Sa. 7:4-29).

Il tabernacolo, e dopo di esso il tempio, rimase principalmente come palazzo, non casa di culto. Il culto era locale e la sua ubicazione era nella famiglia. Il sabato era osservato a casa, non nel santuario. Vedere il tabernacolo e il tempio come strutture ecclesiali è stravolgere la Bibbia. Che ci fosse adorazione nel santuario non altera questo fatto. L’uomo adorava Dio dovunque: quando uccideva animali domestici o selvaggina, il sangue veniva versato in adorazione. Preghiere e sacrifici erano offerti prima di entrare in battaglia, e il peccato di Saul fu non aspettare che Samuele arrivasse e officiasse l’offerta (1 Sa. 13). Ma il normale luogo del culto era la casa, dove veniva osservato il sabato.

Quarto, il tabernacolo non ha controparte nella chiesa. Quando il velo del tempio fu stracciato in due alla morte di Cristo (Matteo 27:51), fu apertamente dichiarata la fine del tempio come palazzo di Dio. Il nuovo tempio è Gesù Cristo, che fu crocifisso per essersi dichiarato il vero tempio, costruito con la sua resurrezione (Matteo 26:61; 27:40; Giovanni 2:19-21; ecc.). Con la dimora dello Spirito santo, i credenti sono ora, in un senso, templi di Dio (1 Corinzi 3:16, 17), come pure la chiesa, di cui si parla come “il tempio di Dio” (1 Timoteo 3: 15; 1 Pi. 4:17), ma la “chiesa” così designata non è un’abitazione o struttura visibile ma l’intera visibile congregazione o chiesa di Cristo. Il tempio o, più accuratamente il tabernacolo, ha il suo compimento in Cristo, e il vero luogo santissimo è ora aperto agli uomini di fede nel fatto che per mezzo del “sangue di Cristo” il popolo pattizio di Dio ha accesso al trono.(Eb. 10:19-22).

Il tabernacolo aveva tra stanze. Prima c’era il cortile, aperto solo al popolo pattizio e, benché recintato, era a cielo aperto. La seconda stanza era aperta solo ai sacerdoti ed era velata ma comunque illuminata. Il terzo, il luogo santissimo, era velato e buio, e vi entrava solo il sommo sacerdote, una volta l’anno. In cielo, Dio dimora come Governatore dell’universo; nel tabernacolo, Dio dimorava “nella sua grazia condiscendente” come governatore del suo popolo pattizio<ref>Oehler: Theology of the O.T., p. 254s.</ref>.

Con l’incarnazione, la presenza dimorante nel tabernacolo lasciò il posto all’uomo-Dio incarnato, Gesù Cristo. Con l’ascensione, lo Spirito Santo continua l’opera di governo; lo Spirito santo perciò non può essere separato da legge e governo in alcun senso. Comunque, in più, è apparso un nuovo stadio con Cristo che governa come di Dio il Re. Il santuario celeste, il trono del mondo, è diventato il trono di Cristo, che ora regna per sottoporsi tutti i suoi nemici (1 Corinzi 15:25), cosicché si compia la trionfante profezia: “I regni del mondo sono divenuti il regno del Signor nostro e del suo Cristo, ed egli regnerà nei secoli dei secoli” (Apocalisse 11:15). Nei termini di questo proposito, agli uomini pattizi fu detto da Gesù Cristo: “Ogni potere (autorità o dominio) mi è stata data in cielo e sulla terra. Andate dunque e insegnate a tutte le nazioni …” (Matteo 28:18-19). La chiesa è mandata nel mondo come parte dell’imperialismo di Cristo, per soggiogare il mondo al suo regno.

Quinto, nel luogo santissimo, il trono di Dio è la legge. Fairbairn ha chiaramente richiamato l’attenzione proprio su questo:

Il collegamento ora indicato tra la rivelazione della legge nel senso più stretto, e la struttura e l’uso della dimora sacra, si manifesta in modo molto impressionante nella descrizione data del tabernacolo, che dopo aver menzionato i diversi tipi di materiali che dovevano essere procurati, comincia per primo con l’arca del patto — il tabernacolo, come potrebbe essere egualmente chiamato, del Decalogo, visto che era meramente un cassone per contenere le tavole della legge, e in quanto tale fu preso come il vero e proprio sedile o trono dal quale Jehovah manifestò la sua presenza e gloria (Esodo 25:2, 9, 40, ecc.). Era, perciò, il pezzo di arredo più sacro appartenente al Tabernacolo — il centro da cui sarebbe proceduto tutto ciò che fosse stato in relazione alla comunione dell’uomo con Dio, e da cui derivava il carattere essenziale di tale relazione<ref>Fairbairn: The Revelation of Law in Scriptures; p. 136.</ref>.

L’arca conteneva il trattato, la legge del patto tra Dio e l’uomo. L’arca era perciò il tabernacolo della legge e simboleggiava la legge. La dazione della legge era grazia di Dio al suo popolo pattizio, e il suo trono è quella stessa legge. La legge esibisce la giustizia e la rettitudine di Dio ed è il suo governo dichiarato nei suoi propri dettagli e principi. Il significato centrale dell’arca deve essere visto nei termini della legge. “Non può esserci alcun dubbio — che il contenuto proprio dell’arca fossero le due tavole del patto, e che essere il loro tabernacolo fosse il proposito speciale per cui fu costruita”<ref>Fairbairn: “Ark of the Covenant”, in Fairbairn’s Imperial Standard Bible Cyclopedia, I, 194.</ref>. L’arca non era una normale sedia. Era più ovviamente un baule, e l’enfasi era nel contenuto del baule in quanto cardine del patto tra Dio e l’uomo, in quanto il fondamento del governo di Dio, e il trono della sua regalità. Fa impossibile violenza alla regalità di Cristo, perciò, separarla dalla legge, o vedere la sua opera come la fine della legge.

Dio non fece dell’altare il proprio trono, perché l’altare, per quanto importante, esprime l’espiazione, l’inizio di vita nuova per il popolo di Dio. Lo scopo dell’espiazione, della redenzione, è il governo di Dio sopra un regno completamente sottoposto alla legge del patto, e sottoposto ad essa nella gioia. Questa gioiosa sottomissione alla legge fu pienamente manifesta in Gesù Cristo che dichiarò: “Ecco, sono venuto a fare la tua volontà, o Dio” (Eb. 10:5-9) e che, come Re, regna nei termini di una legge che egli aveva dato e che egli ha compiuto.

Il tabernacolo, perciò, ha un significato centrale per la legge biblica: dichiara che il trono di Dio è la sua legge, e dichiara che il trono della legge governa il mondo.

È una fede troncata e difettiva quella che si ferma all’altare. L’altare significa redenzione. Illustra perciò la rinascita del credente. Ma rinascita per cosa? Senza la dimensione della legge, alla vita sono negati il significato e lo scopo della nuova nascita. Non sorprende che la fede centrata sull’altare sia centrata sul cielo e centrata sul rapimento piuttosto che centrata su Dio. Chi ricerca una fuga dal mondo piuttosto che il compimento nel mondo della vocazione di Dio e della sua parola-legge non ha conoscenza del trono.

3. L'altare e la pena capitale

Nella legge sono date le direttive per un altare. La prima parola riguardante l’altare compare in Esodo 20:22-26, un altare di materiali naturali per il periodo pre-tabernacolo, fino alla sua costruzione. Quest’altare non doveva essere di disegno o di fattura umana: “Perché l’altare non doveva rappresentare la creatura ma essere il luogo al quale Dio veniva per ricevere l’uomo nella sua comunione. Per questa ragione l’altare doveva essere fatto dello stesso materiale che formava la terra, cioè la collocazione terrena per il regno di Dio: di terra, oppure di pietre<ref>Keil and Delizsch: The Pentateuch, II, p. 127.</ref>”.

La forma di Dio per l’altare fu data successivamente come parte della legge del tabernacolo (Esodo 27:1-8, 38:1-7)<ref>Si veda Fairbairn “Altar” in Fairbairn’s Bible Encyclopedia; I, pp. 136-141</ref>. Era costruito interamente di legno d’acacia e misurava, in cubiti, cinque per cinque per tre<ref>J. C. Rylaarsdam: “Exodous”, Interpreter’s Bible, I. p.1034</ref>.

L’altare, naturalmente, è di significato centrale per la religione. Il sacrificio esprimeva il fatto dell’espiazione: che Dio aveva provveduto per l’uomo peccatore un modo per ottenere salvezza. Questo è chiaramente il primo e principale significato dell’altare. Gli animali offerti sull’altare tipizzavano Gesù Cristo “L’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo” (Giovanni 1:29). In Apocalisse 1:5 Gesù Cristo è descritto come colui che “ci ha amati e ci ha lavati dai nostri peccati nel suo sangue”. Senza l’accettazione del sacrificio espiatorio di Gesù Cristo non ci può essere né salvezza né fede cristiana. Il sacrificio è fondamentale per la fede biblica. Un aspetto molto ampio e fondamentale di tutta la Scrittura è costituito dalla dichiarazione del sacrificio vicario e di una espiazione provveduta da Dio. Capitolo dopo capitolo ci sono date leggi pertinenti al sacrificio. Gesù Cristo dichiarò di essere il Figlio dell’Uomo venuto “a dare la sua vita in riscatto per molti” (Matteo 20:28, Marco 10:45). Questa fu la dichiarazione apostolica: “Vi è infatti un solo Dio, ed anche un solo mediatore tra Dio e gli uomini: Cristo Gesù uomo, il quale ha dato se stesso come prezzo di riscatto per tutti, secondo la testimonianza resa nei tempi stabiliti” (1 Timoteo 2:5, 6). L’altare significava Gesù Cristo e il suo sacrificio espiatorio.

Sfortunatamente, è proprio su questo punto che l’interpretazione ecclesiale della Bibbia inizia e termina. Il significato dell’altare è disquisito abilmente in grande ampiezza, ma quasi sempre riguardo a una transazione basilare per la vita della chiesa, mentre in realtà è basilare per la vita dell’uomo nella chiesa, nello stato e nel tutto della vita.

Fairbairn ha richiamato l’attenzione su questo secondo aspetto dell’altare:

E non può esserci dubbio, che la rappresentazione notata poc’anzi, e di altre di simile descrizione, concernenti la morte di Cristo, comportano, nel loro senso naturale, un’aspetto giuridico: ottemperano i requisiti della legge, o della giustizia di cui la legge è l’espressione. Dichiarano che, per soddisfare questi requisiti al posto del peccatore, Cristo si sottopose a una morte giuridica - una morte che, mentre totalmente immeritata da parte di colui che la soffrì, deve essere considerata come il meritato giudizio celeste sulla colpa umana. Essere fatto maledizione per poter redimere gli uomini dalla maledizione della legge, non può avere alcun altro significato che sostenere la pena, nella quale essi erano incorsi in quanto trasgressori della legge in modo che essi potessero evitarla; e neppure lo scambio, indicato con le parole: “Egli fu fatto peccato per noi, affinché noi potessimo diventare giustizia di Dio in lui” può essere correttamente inteso comportare niente di meno che egli, il Giusto, prese il posto dei peccatori nel soffrire, affinché essi potessero prendere il suo posto nel favore e nella benedizione. E la rigida necessità per quella transazione — una necessità tale che perfino le risorse della sapienza infinita, confrontate col drammatico grido di Gesù, trovarono impossibile evadere (Matteo 26:39) — su cosa poteva fondarsi se non in seno alla legge, i cui requisiti violati richiedevano soddisfazione? Non che Dio si diletti nel sangue, ma che l’interesse assoluto di verità e giustizia deve essere mantenuto, perfino se per confermarlo debba essere sparso del sangue indescrivibilmente prezioso<ref>Parick Fairbairn: The Revelation of Law in Scripture, p. 247 s.</ref>.

L’altare, pertanto, esprime, non meno dell’arca, la legge e la giustizia della legge. La legge di Dio é talmente centrale che le richieste della legge vengono compiute in quanto necessarie condizioni della grazia, e Dio compie le richieste della legge su Gesù Cristo. Gesù Cristo, come nuovo Adamo, capo della nuova umanità, ha osservato la legge perfettamente, per esibire l’obbedienza della nuova razza o umanità, e morì sulla croce come l’agnello di Dio senza peccato, per adempiere i requisiti della legge contro i peccatori. La grazia non accantona la legge, provvede il necessario compimento della legge. Pertanto, la grazia di Dio testimonia la validità della legge e la piena e assoluta giustizia delle richieste della legge.

Su questo, Fairbairn ha nuovamente dichiarato la cosa in modo eloquente e chiaro:

Dobbiamo avere un solido fondamento su cui posare i nostri piedi, e un terreno sicuro e vivo per la nostra confidanza davanti a Dio. E ciò possiamo trovarlo solamente nella vecchia visione della chiesa della sofferenza e della morte di Cristo per soddisfare la giustizia di Dio per l’offesa fatta dai nostri peccati alla sua legge violata. Soddisfazione, io dico enfaticamente, alla giustizia di Dio — su cui alcuni, anche scrittori evangelici, sembrano inciampare; essi direbbero: soddisfazione all’onore di Dio, certamente, ma in nessun modo alla sua giustizia. Cosa dunque, chiederei io, è l’onore di Dio separato dalla giustizia di Dio? Il suo onore non può essere altro che le azioni che conseguono, o che esprimono i suoi attributi morali; e nell’esercizio di questi attributi, l’elemento fondamentale e governante è la giustizia. Ognuno dei suoi attributi è condizionato, l’amore stesso è condizionato dai requisiti della giustizia; e provvedere la possibilità per l’operare dell’amore nel giustificare l’empio coerentemente con questi requisiti è il vero fondamento e ragione dell’espiazione — il suo fondamento e ragione primariamente nella mente di Dio, e poiché lì, poi anche nella sua immagine vivente, la coscienza umana, la quale istintivamente considera la punizione come “la giusta ripercussione della legge eterna contro il trasgressore”, e non può pervenire a solida pace se non per mezzo di una valida espiazione. È talmente così, di fatto, che dovunque la vera espiazione sia sconosciuta, o compresa solo parzialmente, va sempre in cerca di procurarsi un’espiazione da sé. La legge è pertanto stata stabilita (Romani 3:31) — più clamorosamente stabilita proprio da quell’aspetto del vangelo, che in modo particolare lo distingue dalla legge — la sua dimostrazione dell’amore redentivo di Dio in Cristo<ref>Ibid, pp. 250-252</ref>.

Negare questo secondo aspetto dell’altare è cadere nell’antinomismo. Tale prospettiva vede l’altare come testimone dell’amore incondizionato di Dio piuttosto che un amore “condizionato dai requisiti della giustizia” per usare la frase di Fairbairn.

Bisogna riconoscere che, o si affermano e sostengono la testimonianza dell’altare alla legge e alla giustizia e il significato dell’altare come legge e giustizia, oppure un’altra religione, che è anticristiana fino al midollo, ha assunto l’aspetto della fede cristiana. Il sangue dell’altare era un’arcigna e corposa dichiarazione dell’inflessibile e permanente richiesta della legge che la giustizia di Dio sia compiuta.

Terzo, l’altare era dunque chiaramente anche una testimonianza che la pena capitale è fondamentale per la legge. La dottrina della pena di morte non è normalmente associata con l’altare o col secondo comandamento, ma piuttosto col sesto: “Tu non ucciderai”. Questa fallacia limita il significato del sesto comandamento e priva inoltre la pena capitale del suo profondo fondamento teologico. Se la pena di morte non è fondamentale per la legge di Dio, allora Cristo è morto invano, perché si sarebbe potuto trovare qualche modo più facile per soddisfare la giustizia di Dio. Se la pena capitale non è fondamentale per il secondo Comandamento, allora l’altare era un cruento errore, e Dio è stato adorato inutilmente per mezzo di sangue sparso senza ragione. Ma immaginare che l’espiazione sia possibile senza morte, o che l’altare possa essere eluso nell’approccio dell’uomo a Dio, è innalzare un’immagine scolpita dell’uomo e della capacità dell’uomo di salvare se stesso, al posto del Dio trino.

Non solo la pena di morte è richiesta dalla legge, ma è specificato che non ci può essere remissione della pena: “Non accetterete alcun prezzo di riscatto per la vita di un omicida che è condannato a morte, perché dovrà essere messo a morte” (Numeri 35:31). Pertanto, quando svariati leader protestanti e cattolico romani, Paolo VI incluso, e autorità civili come la Regina Elisabetta II, cercarono di persuadere le autorità della Rodesia di accantonare la pena di morte per alcuni assassini in quanto questi erano “freedom fighters” combattenti per la libertà, essi stavano contestando e disprezzando la legge di Dio. Stavano pure esprimendo il loro disprezzo della croce di Cristo, che presenta la necessità della pena di morte agli occhi di Dio, e stavano stabilendo la loro parola al di sopra di quella di Dio.

Le leggi concernenti la pena di morte si possono riassumere brevemente:

  • Numeri 35: 31: Non si può condonare.
  • Genesi 9: 5,6; Numeri 35: 16-21, 30-33; Deuteronomio 17: 6; Le. 24: 17: Inflitta per omicidio.
  • Le. 20: 10; Deuteronomio 22: 21-24: Per adulterio
  • Le. 20: 11, 12, 14: Per incesto.
  • Esodo 22: 19; Le. 20: 15, 16 Per rapporti sessuali con animali.
  • Le. 18: 22; 20: 13: Per sodomia.
  • Deuteronomio 22: 25: Per violenza carnale su una vergine promessa in sposa.
  • Deuteronomio 19: 16-20: Per falsa testimonianza in casi che prevedevano la pena di morte.
  • Esodo 21: 16; Deuteronomio 24: 7: Per rapimento.
  • Le. 21: 9: Per la figlia di un sacerdote che avesse commesso fornicazione.
  • Esodo 22: 18: Per stregoneria
  • Le. 20: 2-5: Per aver offerto sacrifici umani.
  • Esodo 21: 15, 17; Le. 20: 9: Per avere percosso o maledetto padre o madre.
  • Deuteronomio 21: 18-21: Per giovani delinquenti incorreggibili.
  • Le. 24: 11-14, 16, 23: Per bestemmia.
  • Esodo 35: 2; Numeri 15: 32-36: Per la dissacrazione del sabato.
  • Deuteronomio 13: 1-10: Per aver profetizzato il falso, o per aver propagato false dottrine.
  • Esodo 22: 20: Per aver fatto sacrifici a falsi dèi.
  • Deuteronomio 17: 12: Per anarchico rifiuto di conformarsi a leggi e ordinamenti pii, per attitudini e azioni contro la legge e contro corti di giustizia.
  • Deuteronomio 13:9; 17:7: Esecuzione della pena per mano dei testimoni.
  • Numeri 15: 35, 36; Deuteronomio 13:9: Eseguita dalla congregazione.
  • Numeri 35: 30; Deuteronomio 17:6; 19:15: Pena non inflitta senza testimonianza di almeno due testimoni.

Su alcuni punti le pene sono state alterate nel Nuovo Testamento, ma il principio basilare della pena di morte fu avvalorato e reso stabile dalla morte espiatrice di Cristo, la quale rese evidente che la pena per il tradimento nei confronti di Dio e per l’allontanamento dalla sua legge è la morte senza remissione.

Il sangue dell’altare e l’esistenza dell’altare sono perciò una dichiarazione della necessità della pena capitaLe. Opporsi alla pena capitale come prescritta dalla legge di Dio è dunque opporsi alla croce di Cristo e negare la validità dell’altare.

L’altare, pertanto, esprime il principio della pena capitaLe. Ma, quarto, l’altare è una dichiarazione di vita perché testimonia della morte. Dichiara che la nostra vita si regge sulla morte dell’Agnello di Dio. Dichiara, inoltre, che la sicurezza della nostra vita è protetta e difesa dal fatto della pena capitaLe. Se la legge di Dio è negata in questo riguardo, allora “Il paese è stato contaminato; perciò io lo punirò per la sua iniquità, e il paese vomiterà i suoi abitanti” (Le. 18:25). Ma l’esercizio pio della pena capitale purifica il paese dal male e protegge i giusti. Nel richiedere la morte di giovani delinquenti incorreggibili, che significa, perciò, nei termini del diritto giuridico, la morte di incorreggibili delinquenti adulti; la legge dichiara: “Allora tutti gli uomini della sua città lo lapideranno con pietre ed egli morirà; così sradicherai il male di mezzo a te, e tutto Israele verrà a saperlo e avrà timore” (Deuteronomio 21:21).

Negare la pena di morte è insistere nel far vivere il male; significa che a uomini malvagi è dato il diritto di uccidere, violentare e violare legge e ordine, e che mentre fanno queste cose la loro vita è tutelata dalla morte. All’assassino è dato il diritto di uccidere senza perdere la propria vita e alle vittime e alle vittime potenziali è negato il loro diritto di vivere. L’uomo può parlare di amore incondizionato e di misericordia incondizionata, ma ogni atto d’amore e di misericordia è condizionato perché nel tutelarla ad un uomo, sto affermando, sto garantendo le condizioni della sua vita e nel farlo le sto negando ad altri. Se pratico amore e misericordia ad un assassino, sono senza amore e senza misericordia nei confronti delle sue vittime, presenti e future. Ancor peggio, a quel punto sono in aperta sfida a Dio e alla sua legge che richiede di non avere misericordia per un uomo colpevole di morte: “Non accetterete alcun prezzo di riscatto per la vita di un omicida che è condannato a morte, perché dovrà essere messo a morte” (Numeri 35:31).

Inoltre:

Non contaminerete il paese dove siete, perché il sangue contamina il paese; e non si può fare alcuna espiazione per il paese, per il sangue che in esso è stato versato se non mediante il sangue di chi l'ha versato. Non contaminerete dunque il paese che abitate, e in mezzo al quale io dimoro, poiché io sono l'Eterno che dimoro in mezzo ai figli d’Israele (Numeri 35: 33, 34).

Levitico 26 attesta chiaramente la maledizione che resta sul paese che disprezzi la legge di Dio: Se la gente non purifica il paese dal male, Dio purificherà il paese dalla gente stessa del paese. Nei termini di questa maledizione non sorprende che la storia sia stata così continuamente su un corso di disastro quando separata dalla parola-legge di Dio.

Questo dunque, è il significato dell’altare: esso è vita per i giusti in Cristo i quali sono redenti dall’espiazione del suo sangue, perché rappresenta inflessibile e immutabile morte per il male. L’altare è il supremo testimone della pena di morte e del fatto che non è mai accantonata. Per noi, per la grazia di Dio, essa è compiuta sulla persona di Gesù Cristo. Noi non possiamo scherzare con la legge di Dio senza disprezzare Cristo e il suo sacrificio e con ciò rivelare la nostra natura di reprobi: “Infatti, se noi pecchiamo volontariamente dopo aver ricevuto la conoscenza della verità, non rimane più alcun sacrificio per i peccati, ma soltanto una spaventosa attesa di giudizio e un ardore di fuoco che divorerà gli avversari” (Ebrei 10:26, 27).

Ma per noi che esistiamo nei termini dell’altare, è la nostra vita, e la garanzia di giudizio contro i nemici di Dio e del suo Regno.

4. Sacrificio e responsabilità

Il sacrificio è comunemente trattato come un relitto del passato primitivo dell’uomo; i tentativi di dirigere l’attenzione ad un’origine divina nei termini delle Scritture vengono disapprovati, e ci viene detto che “Tutte le teorie monogenetiche dell’origine del sacrificio si possono tranquillamente scartare fin dal principio”<ref>T. H. Gaster: “Sacrifice”, in Interpreter’s Dictionary of the Bible, vol. 4, R-Z, p. 147</ref>. Questi spocchiosi i rifiuti si basano su una fede nell’uomo autonomo e la sua visione anti-Dio del mondo.

Il sacrificio è fondamentale per la fede biblica, ed è fondamentale alla legge biblica. Qualsiasi considerazione della legge biblica deve necessariamente riconoscere la centralità del sacrificio.

Nell’analizzare il significato del sacrificio per la legge (poiché il nostro interesse qui è giuridico piuttosto che soteriologico), è necessario, primo, riconoscere che il sacrificio biblico richiede una dottrina del sacrificio umano mentre rigetta l’uomo peccatore come sacrificio. Come Vos ha osservato nel commentare il sacrificio di Isacco (Genesi 22): “Affermare che Dio comanda ad Abrahamo di offrire Isacco in sacrificio implica chiaramente che, in teoria, il sacrificio di un essere umano non può essere condannato in base a tale principio”<ref>Vos: Teologia Biblica; p. 156.</ref>. Inoltre:

Tutti i sacrifici biblici si fondano sul principio secondo cui il dono della vita a Dio, sia nell’atto della consacrazione che dell’espiazione, sia necessario ai fini del ristabilimento religioso. Ciò che passa dall’uomo a Dio non è considerato un possesso, per quanto lo sia ai fini simbolici, ma piuttosto sempre ed in ultima analisi: il dono della vita e, nella concezione originaria della consacrazione e dell’espiazione, non si tratta della vita di un estraneo, ma del dono della vita dello stesso offerente. Il secondo principio sotteso a questa concezione è che l’uomo, a causa della sua condizione anomala dovuta al peccato non è idoneo ad offrire questo dono della vita mediante la propria persona, per cui entra in gioco il principio della sostituzione: una vita prende il posto di un’altra vita. … L’Antico Testamento non disapprova il sacrificio della vita umana in quanto tale, ma il sacrificio della comune vita umana peccaminosa. Nella legislazione mosaica, queste cose vengono insegnate mediante un elaborato simbolismo<ref>Ibid., p. 157/8.</ref>.

Si noti che il sacrificio serve per ambedue l’espiazione e la consacrazione. Costituisce, come ha indicato Vos: “Il dono della vita dello stesso offerente”, e tuttavia, a motivo della squalifica a causa della condizione anomala dovuta al peccato, viene introdotto “il principio della sostituzione”, cioè viene introdotto un sostituto provveduto da Dio. Oehler, nel trattare con tutte le forme di offerte e di sacrifici, dichiarò: “La natura essenziale di un’offerta in generale è la devozione dell’uomo a Dio espressa in un atto esteriore”<ref>Oehler: Theology of the Old Testament, p. 261</ref>. Questa, dunque, è l’essenza del sacrificio: la totale dedicazione dell’uomo a Dio.

Secondo, questa vera e totale dedicazione a Dio richiede obbedienza alla legge di Dio in fede e amore. I Dieci Comandamenti sono seguiti dal richiamo ad obbedire in totale devozione “Tu amerai dunque l’Eterno, il tuo Dio, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua forza” (Deuteronomio 6:5; cfr. vv. 1-6). Prima che i sacrifici fossero descritti dalla legge, Mosè al Sinai nel primo giorno comandò l’obbedienza (Esodo 19:5, 6) e, nel terzo giorno, fu data la legge e furono offerti sacrifici (Esodo 19:10-24:8). Geremia fa riferimento a questo evidente primato dell’obbedienza alla legge (Geremia 7:21-24). I sacrifici dovrebbero essere collegati con l’obbedienza, secondo Geremia 33:10, 11, e lo saranno nel giorno della restaurazione. I profeti denunciarono un sacrificio puramente formale: l’obbedienza era un requisito per dare al sacrificio il significato di piena dedizione dell’uomo a Dio<ref>Vedi Vos: Teologia Biblica: pp. 388-399</ref>.

Terzo, il sacrificio fisico dell’uomo peccatore come offerta a Dio è una terrificante offesa contro di Lui che invita il giudizio (Geremia 7:30-34). Poiché l’essenza del sacrificio è la dedicazione dell’uomo a Dio, il sacrificio umano rappresenta un tentativo di aggirare la legge di Dio e di trovare una via a Dio fatta dall’uomo. Il sacrificio umano è pertanto umanistico fino al midollo: è espiazione fatta dall’uomo nei suoi propri termini.

Quarto, è ovvio che i sacrifici, in quanto distinti dalle offerte, tipizzavano Cristo, l’uomo perfetto e senza peccato, il quale, in perfetta dedicazione a Dio, osservò la legge completamente. Cristo, in quanto l’uomo senza peccato, fu il sacrificio accettabile come espiazione per i peccati dei suoi eletti, che sono redenti dall’espiazione nel suo sangue. Pertanto, per rappresentare Cristo, l’animale offerto doveva essere senza difetto.

Quinto, i sacrifici erano richiesti da tutti i credenti come loro legame di pace e d’unità con Dio. Le persone non coperte dal sacrificio di Cristo sono sotto sentenza di morte. Nel sistema sacrificale il credente “poserà la sua mano sulla testa dell’olocausto” (Levitico 1:4) o, più letteralmente, addossava la sua mano<ref>Andrew Bonar: Leviticus; London, Banner of Truth Trust, 1846, 1966, p. 15.</ref>. Certe porzioni del sacrificio e di tutte le carni erano porzioni riservate, proibite all’uomo: il sangue, l’omento o grasso peritoneale, i reni col loro grasso e, nel caso di pecore, la coda (pure grasso); queste erano porzioni riservate in perpetuo, distinte dalle porzioni riservate al sacerdote (Esodo 29:22; Levitico 3:9; 7:3, 4; 8:25; 9:19, 20). I sacrifici animali accettabili erano dalla mandria (bovini), pecore (ovini), e capretti (caprini); o uccellagione, colombi e giovani piccioni; tutti questi appartenevano alla classe di animali “puri” (Levitico 9:3; 14:10; 5:7; 12:8; Numeri 28:3, 9, 11; 7:16, 17, 22, 23; ecc.).

Lo spargimento di sangue era basilare all’unità del credente con Dio. Oehler ha notato:

Il mediatore del patto per prima cosa offre a Dio, nel sangue, una vita pura, che si colloca tra Dio e il popolo e che copre e fa espiazione per quest’ultimo. In questa connessione l’aspersione dell’altare non significa meramente l’accettazione del sangue da parte di Dio, ma allo stesso tempo serve a consacrare il luogo ove Jehovah entra in relazione col suo popolo. Ma quando una porzione del sangue accettato da Dio è ulteriormente applicato al popolo con un atto di aspersione, questo vuole significare che la stessa vita che è offerta in espiazione per il popolo è intesa pure consacrare il popolo stesso alla comunione pattizia con Dio. L’atto di consacrazione diventa in questo modo un atto di rinnovamento di vita — una traslazione di Israele dentro al regno di Dio, nel quale è riempito di divina, vitale energia, ed è santificato per essere un regno di sacerdoti, un popolo santo<ref>Oehler: Theology of the Old Testament; p. 264.</ref>.

Tutti devono essere sotto il sangue o sono sotto giudizio.

Sesto, il sistema sacrificale incorporava, facendo diventare legge, un principio basilare: maggiore la responsabilità, maggiore la colpevolezza, maggiore il peccato. Ciò è esibito molto chiaramente in Levitico 4, secondo cui ci sono quattro livelli o gradi di peccato: 1) del sommo sacerdote 4:3-12 la cui offerta per il peccato richiedeva un torello, il sacrificio maggiore e il più costoso. “Questo è lo stesso tipo d’offerta richiesta quando pecca l’intera “assemblea”<ref>Bonar: Leviticus; p. 67.</ref>. I capi religiosi, poiché hanno una responsabilità nevralgica nei confronti della legge di Dio, sono maggiormente colpevoli e per questo sono giudicati da Dio più severamente. 2) Il peccato dell’intera assemblea viene immediatamente dopo quanto a conseguenze: 4:13-21; “l’assemblea” qui si riferisce alla nazione ebraica. Il peccato collettivo di un popolo è una cosa reale; può essere un peccato d’ignoranza, o il venir meno nell’obbedire la legge, ma è comunque un peccato. Il sacrificio richiesto è anche qui un torello. 3) il peccato di un ‘capo’ di un governante, un magistrato o un funzionario civile è il successivo nell’ordine per conseguenze. L’offerta per il peccato, qui era “un capro, maschio, senza difetto” (4:22-26). Il ‘capo’ include chiaramente tutti i magistrati civili. La sua alta responsabilità è qui dimostrata proprio come in Proverbi 29: 2: “Se un sovrano dà retta a parole menzognere, tutti i suoi ministri diventano empi.” Inoltre, il testo parla dell’“Eterno il suo Dio” perché “Un governante è vincolato in modo particolare ad essere un uomo di Dio”<ref>Ibid., p. 80.</ref>. I peccati di individui, di chiunque del popolo del paese, sono gli ultimi nell’ordine dei peccati (4:27-35). Per i benestanti, i prosperi, la richiesta era di una capra, se non poteva portare una capra poteva offrire un agnello. Per peccati “senza rendersene conto” il povero poteva portare due colombe o due giovani piccioni (Levitico 5:11); quest’offerta dei poveri era possibile anche per altri sacrifici. Pertanto, alcuni individui hanno responsabilità quasi uguale a quella del sovrano perché governano un territorio o un segmento della società. Psicologicamente, una capra è inferiore ad un capretto, produttivamente la sua potenzialità è superiore. Alcuni privati cittadini possono spesso esercitare un potere più grande delle autorità civili e il loro peccato è commensurato alla loro responsabilità. In questa lista è assai significativa la chiara e grande prominenza data ai capi religiosi, e la collocazione marcatamente inferiore data alle autorità civili. Secondo Proverbi 29:18: “Quando non c’è visione il popolo diventa sfrenato, ma chi osserva la legge è beato”. La versione di Berkeley nota che “visione” si riferisce al “ministero profetico”, senza il quale il popolo diventa “impazzito”, legge e ordine dipendono dalla fedele proclamazione della profetica parola-legge di Dio e, senza di essa, consegue l’anarchia.

Settimo, l’ignoranza della legge non è una scusante, né i peccati commessi inavvertitamente, sono meno peccati. Questo è evidente da Levitico 4 e 5, che specifica i sacrifici per tali peccati. Bonar ha richiamato l’attenzione sul significato di quest’aspetto della legge:

Anche qui impariamo che “il peccato è la trasgressione della legge” (1 Giovanni 3:4). Noi non pecchiamo solo quando agiamo in contrasto con i dettami della coscienza; noi potremmo spesso peccare mentre la coscienza non ci rimprovera mai<ref>Bonar: Leviticus, p. 88.</ref>.

L’uomo autonomo moderno considera peccato, se mai considera il soggetto, solo ciò che offende la propria coscienza. Ma la legge biblica sostiene che peccato e atti in dispregio della legge possono avvenire anche senza conoscenza e senza coscienza. L’uomo, di fatto, può peccare in buona coscienza, ma ciò non altera il fatto che sta peccando: il criterio della trasgressione non è la coscienza umana ma la legge di Dio. Cannibalismo e sacrifici umani, e molto altro ancora, sono stati praticati come questioni di coscienza. La coscienza dell’uomo caduto non è criterio di legge.

Le offerte principali della legge mosaica erano olocausti, oblazioni, sacrifici di pace, sacrifici per il peccato e sacrifici per le trasgressioni. Gli olocausti consistevano di torelli, capri, montoni, agnelli, colombe o giovani piccioni, erano completamente bruciati sull’altare, fatta eccezione per la pelle dell’animale, la porzione del sacerdote (Levitico 1; 6: 8-13; 7: 8). Le offerte per il peccato e per le trasgressioni erano, come abbiamo visto, maschi o femmine della mandria, del gregge, o colombe o giovani piccioni, e un decimo di efa di farina. Tutte le offerte per il peccato, esclusa la porzione riservata a Dio, andavano al sacerdote (Levitico 6:24-30); lo stesso vale per alcune offerte per le trasgressioni (Levitico 7:1-7). L’oblazione consisteva di farina fine, verdi spighe di grano, franchincenso, olio e sale; anche qui una porzione andava al sacerdote (Levitico 2; 6:14-23). Le offerte di pace consistevano di maschi e femmine della mandria o del gregge, di torelli, di agnelli e capretti, c’erano anche schiacciate senza lievito e cialde mescolate con olio. Ma veniva usato anche il pane lievitato (Levitico 3; 7:11-13). La porzione del sacerdote era la spalla elevata e il petto agitato. Il fatto che le offerte che rappresentavano vicariamente il peccato dell’uomo diventassero cibo accettabile per i sacerdoti aveva un aspetto simbolico. “La memoria della massa di peccati è consumata nel fuoco dell’ira; ma il sacerdote prende la propria porzione per dimostrare che il peccato è purificato dalla massa”<ref>Ibid., p. 97.</ref>.

Ma, ottavo, prima che questa purificazione potesse avvenire la legge richiedeva la restituzione. L’obbiettivo del sacrificio quanto quello della legge è il ripristino dell’ordinamento giuridico di Dio. Il requisito della restituzione è sia nei confronti dell’uomo che nei confronti di Dio. Bonar ha commentato, in riferimento a Levitico 16:

Il trasgressore non deve guadagnarci frodando la casa di Dio. Deve soffrire, anche in cose temporali, come punizione per il suo peccato. Egli deve portare, in aggiunta alla cosa nella quale ha frodato Dio, denaro fino ad un quinto del valore della cosa. Questo veniva dato al sacerdote quale capo del popolo nelle cose di Dio, e rappresentante di Dio nei sacri doveri. Doveva essere una doppia decima a motivo del tentativo di frodare Dio. (La decima regolarmente pagata era un riconoscimento che Dio aveva un diritto sulle cose donate, e questa doppia decima era un riconoscimento che, a conseguenza del suo tentativo di frodarlo, il diritto di Dio doveva essere doppiamente riconosciuto.)<ref>Ibid., p. 102 s.</ref> .

Infine, nono, un’offerta lievitata era una parte dell’offerta di pace, un fatto importante (Levitico 7:13). Il lievito è inteso da alcuni come un simbolo o tipo del peccato; è piuttosto un simbolo di corruttibilità. Come offerta di pace, ciò era accettabile. Altre offerte avevano stabilito l’espiazione dell’uomo mediante il sangue di uno senza difetto ed innocente. L’uomo era ora in comunione con Dio, e le opere dell’uomo, per quanto imperfette, divenivano con ciò accettabili a Dio. Tutti i servizi dell’uomo a Dio hanno un elemento di corruttibilità; le sue opere, edifici, doni e sforzi si decompongono e scompaiono. Nondimeno sono un compimento della legge di Dio e un sacrificio accettabile. L’accettabilità delle opere dell’uomo si basa non sulla loro perfezione, ma sulla perfezione di Dio e sulla sua provvigione di espiazione per i suoi eletti. L’obbedienza dell’uomo alla legge è un’offerta lievitata, chiaramente corruttibile, eppure quando fedele e obbediente all’autorità di Dio e al suo ordinamento, è un “sacrificio” che compiace ai suoi occhi e che sarà sicuramente ricompensato.

5. La santità e la legge

Per quanto negletta, la correlazione tra la santità e la legge è molto reale e importante. In anni recenti l’attenzione è stata sviata su concetti erronei dall’autorevole opera di Rudolf Otto: The Idea of the Holy (1923). La santità non può essere definita in sé e per sé. È un “attributo trascendentale” di Dio e deve essere definita prima di tutto in relazione a lui.

Pertanto, primo, la santità deve essere definita, nei termini delle Scritture, come separazione, non violabile, con l’implicazione della devozione. Fa riferimento alla “inaccessibilità” di Dio. Come ha indicato Vos, essa possiede un significato etico: fa riferimento alla maestà e onnipotenza di Dio<ref>Vos: Teologia Biblica, pp. 364-367.</ref>. Con riferimento all’uomo: “Il significato non è mai quello di bontà morale, considerata in se stessa, ma sempre quello della bontà vista in relazione a Dio”<ref>Ibid. p. 368.</ref>. Israele divenne santo perché Dio nella sua grazia elettiva costituì il suo popolo pattizio come proprio figlio per adozione (Deuteronomio14:1-2)<ref>Oehler: Theology of the O.T., p. 178 s.</ref>.

Ora, il fatto che la santità coinvolga separazione o, molto letteralmente, un taglio, rende immediatamente manifesta la sua basilare ed essenziale relazione con la legge. La legge semplicemente dichiara il principio del taglio o separazione. Dovunque ci sia legge, c’è inevitabilmente una linea di separazione. Viceversa, dovunque non vi sia legge, non v’è linea di separazione. Le sette antinomiane possono parlare onestamente di santità, ma, a motivo della loro negazione della legge, hanno negato il principio della santità.

Secondo, ne consegue pertanto che si potrebbe dire che ogni legge biblica concerne la santità. Ogni legge, tirando una linea di divisione tra il popolo della legge in contrapposizione ai fuori-dalla-legge, le persone al di fuori della legge, è interessata a stabilire un principio di separazione nei termini di Dio. Alcune leggi presentano il principio della separazione anche in una forma simbolica oltre che letterale. Per esempio, in Numeri 19:11-12, è richiesta la separazione dalla morte, e la purificazione rituale dopo il contatto col morto (vedi anche Levitico 5:2, 3; 11:8 ; Numeri 31:19, 20; 9:10; Levitico 21:1-4; 22: 4, 6). Israele era stato chiamato ad essere un popolo santo (Esodo 19:6; 22:31; 23:24; Levitico 19:2; Deuteronomio 7:6; 14:2, 21; 26:18, 19). Poiché “Dio non è il Dio dei morti, ma dei viventi” (Matteo 22:32), essere un uomo in relazione pattizia con Dio significa sostanzialmente essere separato dalla morte stessa. Questa separazione è enunciata in queste leggi. Essendo la vita il destino del popolo pattizio di Dio, essi devono considerare la morte come qualcosa da cui Dio li separa. È chiaro che la legge mosaica affermava il principio della quarantena contro le malattie comunicabili nel pieno riconoscimento della loro natura contagiosa, ma, ancor più basilarmente, la legge della separazione era operativa in tale legislazione per affermare la santità del popolo di Dio (Deuteronomio 24:8; Levitico 13). Il popolo di Dio è destinato alla salute quanto alla vita e pertanto esso è simbolicamente “reciso” dalle malattie oltre che a protezione dal contagio.

Non solo la morte e le malattie dovevano essere separate dal popolo della vita, ma anche eunuchi e bastardi (Deuteronomio 23:1-2). Varie forme di auto-mutilazione (Deuteronomio 14:1, 2; Levitico 19:27) erano proibite come pure tatuarsi (Levitico 19:28). La malattia e l’età potevano deturpare il corpo; al popolo di Dio era proibito deturparlo volontariamente. Alcuni di questi marchi rappresentavano patti con altri dèi, un ulteriore fattore per separarsene.

Rispetto al bando per eunuchi e bastardi, cioè il loro essere esclusi dall’assemblea, questo durava fino alla decima generazione. Secondo una nota editoriale nel Talmud, entrare nell’assemblea dell’Eterno significava essere “idoneo/a a contrarre matrimonio con Israeliti”<ref>Babylonia Talmud, Seder Nezekin, Vol. III, Sanhedrin 36b, p. 229n.</ref> e, secondo un’altra nota editoriale, l’espressione “alla sua decima generazione” significava: “Lo stigma è perpetuo”<ref>Seder Nezekin, Vol. IV, Makkoth, 13a, p. 90n.</ref>. Il divieto al matrimonio misto era probabilmente un fattore reale; certamente la pena operava per renderlo difficile. Ma ciò non giunge alla radice della questione. Il divieto non era nei confronti della fede, vale a dire che non dichiara che eunuchi e bastardi, né ammoniti e moabiti (Deuteronomio 23:3) non possano essere credenti. C’è, infatti, una promessa particolarmente forte fatta agli eunuchi credenti in Isaia 56:4, 5, e la loro partecipazione come proseliti era molto reale persino nel periodo di irrigidimento del fariseismo (Atti 8:27, 28). La moabita Ruth si sposò due volte, prima con un figlio di Naomi, poi con Boaz, per diventare un’antenata di Gesù Cristo (Ru. 1:4; 4:13, 18, 21; Matteo 1:5). Non c’è ragione per dubitare che regolarmente eunuchi, bastardi, ammoniti e moabiti diventassero credenti e che fossero fedeli adoratori di Dio. Assemblea fa riferimento all’intera nazione nella sua funzione di governo come popolo pattizio di Dio. G. Ernest Wright l’ha definita: “L’intero Commonwealth organizzato nel suo riunirsi ufficialmente per propositi vari, particolarmente per l’adorazione”<ref>G. Ernest Wright: “Deuteronomy”, The INterpreter’s Bible, II, 468.</ref>. Gli uomini della legittima linea genealogica costituivano i capi di case e di tribù. Questi uomini era l’assemblea di Israele, non le donne e i bambini e le persone escluse. Tutta l’integrità e l’onestà richiesta dalla legge era dovuta ad ogni “straniero” (Levitico 19:33, 34), e certamente non era negata al figlio illegittimo d’un uomo né ad un eunuco, o a un ammonita o un moabita. Lo scopo del comandamento qui è la protezione dell’autorità. L’autorità in mezzo al popolo d’Israele è santa; richiede una separazione. Non appartiene ad ogni uomo semplicemente sul fondamento della sua umanità.

La lettura della Versione Berkeley di Deuteronomio 23:1-3 permetterebbe l’ammissione di queste persone escluse alla decima generazione. C’è del fondamento per tale interpretazione nei termini di Deuteronomio 23:7, 8, dove agli edomiti è consentito d’entrare “nell’assemblea dell’Eterno” alla terza generazione.

Le basi per l’esclusione sono significative. Edom venne incontro ad Israele con aperta e onesta inimicizia (Numeri 26:18, 20), e l’Egitto operò per distruggerli (Esodo 1:22), ma Amon e Moab invece operarono per pervertire Israele (Numeri 22:25; 31:16), dopo che Israele aveva loro dimostrato tolleranza.(Deuteronomio 2:9, 19, 29). Edom ed Egitto cercarono di uccidere Israele; Ammon e Moab cercarono di pervertirlo e di degradarlo e, di conseguenza, il loro giudizio fu severo.

Erano citate altre cause di impurità cerimoniali e fisiche: un’emissione di sangue (Levitico 15:2-16, 19-26); parto (Levitico 12:1, 2, 4, 5); mestruazioni (Levitico 15:19-31; 18:19); rapporto sessuale, in contrapposizione ai culti di fertilità che coinvolgevano comunione con gli dèi (Levitico 15:6-18; 18:20); persone impure (Numeri 19:22); bottino di guerra (Numeri 31:21-24); e anche il toccare o mangiare cose sante (Levitico 22:3, 14). Riguardo a queste cose nella legge, l’approccio umanistico vede un requisito eccessivo, o altrimenti, gli sembra di ravvisare un’aborrenza puritanica. Niente potrebbe essere più lontano dalla verità. Il punto in questione non è la risposta dell’uomo alle cose, ma la sua santità nei termini di separazione al Dio vivente. Molte delle cose citate costituivano, nel paganesimo, particolari modi di essere santi; qui, il fondamento della santità è separazione a Dio.

L’argomento dei voti è strettamente collegato con la santità. Fare un voto è dedicare qualcosa o sé stessi a Dio, santificarlo a lui. La legge concernente i voti, come la legge riguardo alla redenzione delle cose dedicate mediante voto, compare in Levitico 22:21; 27:1-29; Numeri 6:3-21; 30:1-15; Deuteronomio 12:6, 26; 23:21-33. I voti erano volontari, ma un’importante aspetto del voto ci porta ad un terzo aspetto delle leggi di santità. Un uomo era sempre vincolato dal suo voto. L’uomo, creato ad immagine di Dio, fu chiamato a camminare sotto la legge di Dio e in ubbidienza al mandato creazionale. John Marsh ha richiamato l’attenzione su un aspetto significativo della responsabilità dell’uomo in quanto immagine di Dio:

Un uomo è sempre incondizionatamente vincolato o da un tipo di voto o un altro (cioè voti di ogni tipo, e … un voto di astinenza). È interessante notare che per la mentalità ebraica persino la parola di un uomo dovrebbe compiere ciò che è imposto: la parola di Dio, ovviamente, l’ha sempre fatto, non poteva tornare a lui senza aver compiuto ciò per cui era stata pronunciata. Un uomo può nutrire il desiderio di fare certe cose e non esserne vincolato. Ma una volta che la sua intenzione era espressa in parole, allora l’obbligo era sulle sue spalle incondizionatamente<ref>John Marsh: “Numbers” in The Interpreter’s Bible, II, 281s.</ref>.

Un tale voto poteva essere fatto solamente da un uomo libero. Una volta fatto, il voto doveva essere compiuto. Il voto di una donna non sposata poteva essere annullato da suo padre; essendo sotto autorità, ella non era libera di fare come volesse. Lo stesso valeva per una donna sposata (Numeri 30:1-16). Una donna divorziata o una vedova erano libere di fare voti essendo indipendenti. L’implicazione era chiara: la santità e la devozione di una donna è sottoposta prima di tutto all’autorità di suo marito. La legge di Dio non permette nessun voto di servizio che una donna faccia senza il consenso di suo marito o di suo padre. La santità di una donna non va ricercata in un evasione della propria condizione.

Un tipo speciale di voto era quello del nazireo (Numeri 6:2-21). Un nazireo era un uomo o una donna che faceva un voto e nel corso dello svolgimento del proprio voto, per un periodo osservava austere leggi di separazione. Astinenza da bevande forti d’ogni tipo e da uva e uva passa, nessun taglio dei capelli, e la separazione dai morti marcavano gli aspetti evidenti del suo voto. Il periodo usuale di questo voto era breve. Non c’era separazione dalla routine di vita familiare e di lavoro. L’essenza della separazione di un nazireo non consisteva nell’astinenza ma nella separazione “per essere del Signore” nel compimento di un servizio o voto particolare.

Un quarto aspetto della santità si concreta in questioni di cibo. Non poteva essere mangiata nessuna carne sbranata da animali nei campi (Esodo 22:31), vale a dire carne non correttamente macellata (Levitico 7:22-27). Le primizie venivano date al Signore (Esodo 23.19; 34:26), indicando con ciò la santità del tutto. Mangiare grasso o sangue era proibito (Levitico 7:22-27; 19:26). Sono elencati animali puri ed impuri da mangiare (Levitico11); mentre animali morti o altri animali impuri sono proibiti al popolo pattizio, se gli stranieri li considerano buon cibo, non c’è male nel vendere loro tali mercanzie (Levitico 17:10-16). Gli alberi da frutto dovevano essere lasciati crescere per cinque anni prima di poterli considerare (circoncisi) e commestibili (Levitico19:23-26); la circoncisione dell’albero era la raccolta cerimoniale dei suoi frutti il quarto anno in dedicazione al Signore. I cibi proibiti da Dio avrebbero dovuto essere “abominevoli” per il suo popolo (Levitico 20:25; Deuteronomio 14:13-21). Non c’è dubbio che queste leggi fossero e siano basilari per la buona salute; non c’è dubbio anche sul fatto che siano leggi di santità. Queste leggi di santità sono una “benedizione” (Deuteronomio 12:15) per la vita fisica del popolo di Dio, vale a dire, per la loro salute. Con rispetto a ciò, esse sono un’altra legge di separazione dalla morte. La buona salute è dunque un aspetto della santità e la pienezza della salute sta nella resurrezione.

Un quinto aspetto della santità fa riferimento all’abbigliamento. Un abbigliamento da travestiti è una “abominazione” per il Signore (Deuteronomio 22:5); è una sterile e perversa ostilità nei confronti dell’ordine creato da Dio. Similmente, è proibito indossare indumenti di materiali misti, lana e lino insieme (Deuteronomio 22:11; cfr. Levitico 19:19). Mettere insieme cose diverse in un’unione innaturale è disprezzare l’ordine creazionale di Dio.

Sesto, proprio la terra stessa è santa e può essere contaminata lasciando un impiccato appeso la notte (Deuteronomio 21:22, 23). In breve, la terra stessa deve essere considerata separata e dedicata a Dio. Abbiamo qui un esempio di casuistica biblica: se un corpo lasciato fuori la notte contamina un paese, quanto più lo farà un abuso della terra da parte dell’uomo, il suo disprezzo per la creazione di Dio e il suo tentativo di ibridare e di mescolare ciò che Dio ha ordinato fosse separato?

Infine, settimo, si dovrebbe notare che, mentre ai cristiani evangelici oggi sta molto a cuore la santità personale, la Bibbia si preoccupa pure della santità nazionale. Il richiamo ad essere un popolo santo, ripetutamente dichiarato, si riferisce alla nazione, chiamata ad essere “una nazione santa” (Esodo 19:6). La santità di una nazione risiede nella sua struttura giuridica. Dove la legge di Dio sia messa in pratica e la vera fede protetta, lì esiste una nazione santa. Il filo di lama della legge è il principio della santità nazionale. Senza questo fondamento della legge non può esistere alcuna santità. Per mezzo della legge di Dio, una nazione dedica se stessa alla vita; senza la legge di Dio è dedicata alla morte, “tagliata fuori” dal solo vero principio di vita.

Ad ogni punto, perciò, la santità ci mette faccia a faccia con leggi molto materiali. Ogni legge biblica riguarda la santità. Tutta la legge crea una linea di divisione, una separazione tra le persone osservanti la legge e quelle che la trasgrediscono. Senza legge non ci può essere separazione. La moderna antipatia e il manifesto odio per la legge è anche odio nei confronti della santità. È un tentativo di distruggere la linea di separazione tra il bene e il male abolendo la legge. Ma, poiché Dio è santo, la legge è scritta nella costituzione di ogni essere; la legge non può essere abolita: può solo essere messa in atto, se non dall’uomo, allora sicuramente da Dio.

6. La legge come belligeranza

Le leggi bibliche trattano ampiamente i dettagli del culto di adorazione com’esso fu ordinato per Israele. Questi dettagli non concernono noi, eccetto ove essi coinvolgono o esprimono concetti e principi di legge.

Considerando tali istanze, primo, l’efod e il pettorale del sommo sacerdote sono significativi. In Esodo 28:6-14 è descritto l’efod, un indumento sacerdotale, e in Esodo 28:15-30 il pettorale. Entrambi questi articoli avevano una caratteristica in comune: l’efod aveva sulle spalle due pietre sulle quali erano incisi i nomi delle tribù d’Israele, da essere portati dal sommo sacerdote davanti al Signore (Esodo 28:12), e il pettorale aveva dodici pietre, una per ciascuna tribù (Esodo 28:21, 29). Queste pietre sono importanti sia religiosamente sia giuridicamente. Quando il sommo sacerdote si avvicinava all’altare e al trono egli rappresentava davanti a Dio il popolo pattizio. Le sue preghiere pertanto erano basilarmente per il popolo di Dio. Giuridicamente, le pietre, rappresentando il popolo di Dio, indicavano che il governo di Dio è essenzialmente per i propositi di Dio, i quali chiaramente includono il suo popolo pattizio. Agli ordini di Dio, la funzione primaria del sommo sacerdote, nei confronti di Dio, è d’intercedere per il popolo pattizio. Egli non prega in modo promiscuo: la sua vocazione essenziale è pregare per quelli che appartengono a Dio. La funzione del trono è proteggere il popolo del trono. La priorità del popolo di Dio, come esibita dall’efod e dal pettorale, è comandata da Dio.

Pertanto, c’è sia una parzialità sia un’imparzialità della legge di Dio. In un senso generale la legge di Dio funziona imparzialmente per far sì che il sole splenda allo stesso modo sia sul giusto che sull’ingiusto e che piova sul giusto e sull’ingiusto (Matteo 5:45). Inoltre, riguardo alla nazione, l’eguale protezione e governo della legge si applicava a tutti, ai “nati in casa” e allo “straniero” o alieno (Ezechiele 12:49; Levitico 24:22; Numeri 9:14; 15:15, 16, 29). Il principio di “una legge” per tutti è basilare per la legge biblica.

Dall’altro lato, c’è una ben delineata parzialità della legge biblica. In casi troppo numerosi per citarli, Dio “interviene” nella storia per abbattere i nemici del suo popolo pattizio: vengono usati fattori meteorologici, la pestilenza, e una varietà di mezzi, a partire dalle piaghe contro l’Egitto in avanti. Inoltre, la legge come fu data ad Israele è parziale nel fatto che protegge un ordinamento, l’ordinamento giuridico di Dio, e il popolo di quell’ordinamento. L’idolatria è proibita; le violazioni dell’ordinamento giuridico sono punite e, ad ogni punto, la legge di Dio è la protezione dell’ordinamento di Dio e del popolo dell’ordinamento giuridico di Dio. Il concetto moderno di tolleranza totale non è un valido principio giuridico, ma il patrocinio dell’anarchismo. Devono essere tollerate tutte le religioni? Ma come abbiamo visto ogni religione è un concetto di ordinamento giuridico. La tolleranza totale significa totale permissività per qualsiasi tipo di pratica: idolatria, adulterio, cannibalismo, sacrifici umani, perversioni e tutte le altre cose. Tale tolleranza totale non è né possibile né desiderabile. Le pietre dell’efod e del pettorale presentano il principio della parzialità. Per l’uomo, agire nei termini di questa parzialità mediante la preghiera e la legge non è né malvagio né egoistico, ma semplicemente pio. Pregare per altri è certamente può, ma non preoccuparsi di tutta la nostra casa e dei nostri bisogni non è pio; rende un uomo peggiore di un non-credente o infedele (1 Timoteo 5:8). E per un ordinamento giuridico rinunciare alla propria protezione è sia malvagio sia suicida. Tollerare la sovversione è un’attività sovversiva in sé e per sé.

Un secondo principio è evidente in un’altra situazione materia di giurisprudenza, Deuteronomio 23:18: “Non porterai nella casa del Signore tuo Dio, il guadagno di una prostituta né il prezzo di un cane, per sciogliere un qualsiasi voto, poiché sono entrambi abominevoli per il Signore tuo Dio”; il verso precedente, 23:17 dice: “Non vi sarà alcuna prostituta fra le figlie d'Israele, né vi sarà alcun uomo che si prostituisca tra i figli d’Israele” (cfr. Levitico 19:29). La parola “prostituta” in Deuteronomio 23:17 è spiegata nelle note ai margini come “sodomita femmina”; la proibizione della prostituzione era già stata data precedentemente in Levitico 19:29. Apparentemente qui il riferimento è a lesbiche. La legge contro l’omosessualità compare in Levitico 18:22 e 20:13. Il riferimento in Deuteronomio 23:17, 18 è alla prostituzione sacra in quanto parte del culto religioso della fertilità. Questa pratica comparve più tardi nella nazione (1 Re 14:24; 15:12; 2 Re 23:7; Am. 2:7; ed è usata per descrivere l’apostasia d’Israele in Genesi 3:2, 6; 8:9, 13). Si noti che la Bibbia usa un termine spregiativo: “cane” per l’omosessuale maschio. Il punto della legge, comunque, è questo: proprio la pulsione religiosa stessa della prostituta e dell’omosessuale è particolarmente vituperevole agli occhi di Dio, il loro guadagno non può mai essere un dono accettabile a Dio. Non sono i peccatori ad essere preclusi dal dare, ma piuttosto è il profitto fatto col peccato a non poter essere accettato. Il punto è significativo. Noi siamo abituati a pensare di tali doni in modo ecclesiastico. Ma il “voto” presenta un caso, un caso religioso di casuistica. I termini di un voto posseggono una speciale santità. Ma quando il voto e il suo pegno rappresentano un ordinamento giuridico alieno, quel pegno non è ammissibile e costituisce una “abominazione”. La persona che sta facendo il voto non ha collocazione davanti alla legge, non ha statuto davanti al trono. La prostituta e il sodomita che avessero portato i loro pegni non erano semplicemente peccatori davanti alla legge, ma, più che quello, erano fuorilegge, al di fuori dell’ordinamento giuridico. C’è una marcata differenza tra un peccatore davanti alla legge e un nemico della legge. Perciò non era accettabile nessuna tassa o offerta da un nemico della legge. Al peccatore era comandato di portare un’offerta, al fuorilegge era proibito offrirla. Poiché la legge era “una legge” per tutti, il fuorilegge aveva diritto alla giustizia sotto tale legge come testimonia l’appello alla corte di Salomone delle due meretrici (1 Re 3:16-28). Il fuorilegge riceveva giustizia ma non cittadinanza. Tassare il crimine è dargli legittimazione e statuto giuridico davanti alla legge quale sostenitore finanziario della legge: il passo successivo è eguali diritti alla protezione della legge, che significa immunità dalla prosecuzione. Sotto l’influenza della Bibbia, la maggior parte della nazioni hanno decretato che i criminali perdono la loro cittadinanza, e le persone condannate non hanno esistenza giuridica. Oggi la pressione è contro tale legislazione, e la tassazione è applicata a tutti, con l’aumento della rappresentazione per tutti. Deuteronomio 23:17, 18 è il fondamento giuridico per la cittadinanza esclusiva nei termini dell’ordinamento giuridico. È significativo che il termine comune per prostituta nella Scrittura sia una “estranea” o “donna straniera”, vale a dire una forestiera. Non solo la prostituzione era una pratica estranea al popolo del patto, ma una se ragazza Israelita fosse diventata una prostituta sarebbe stata una “profana” (Levitico 19:19), cioè fuori dal tempio, fuori dal principio della cittadinanza. Anche l’omosessuale era fuori dalla legge; la prostituta quanto meno, seppur chiamata “donna straniera” (Proverbi 2:16; 5:3, 20; 6:24; 7:5; 23:27, 33; 27:13), il termine la includeva ancora nel genere umano, ma l’omosessuale, come un “cane” (Deuteronomio 23:18; Apocalisse 22:15), è considerato come fuori della razza dell’uomo; come rende chiaro il testo greco di Romani 1:27, egli è il bruciato (consumato dal fuoco) prodotto finale della ribellione.

Ci sono, in via generale, tre possibili modi per la legge di trattare col fuorilegge e col dissenziente, e la differenza tra i due è grande benché entrambi siano contro la legge. Primo, c’è l’attitudine che si può riassumere come quella della chiesa “medievale”: che gli eretici hanno perso i loro diritti davanti alla legge. In questo modo Jan Hus ricevette un salvacondotto per andare al concilio di Costanza, e poi il salvacondotto fu revocato sulla valutazione che era un eretico. Sigismondo ricevette pressioni a infrangere il suo pegno di salvacondotto in ragione della sua propria sicurezza: “perché chi proteggesse un eretico era egli stesso un eretico”<ref>Poul Roubicek e Joseph Kalmer: Warrior of God, the Life and Death of Jan Hus. London: Nicholson and Watson, 1947, p. 172.</ref>. Tale mentalità rendeva difficile mediante la legge qualsiasi protezione dall’ordine stabilito. La legge si presumeva che custodisse la società contro l’eresia, ma in realtà il sistema, esso stesso libero di praticare eresie, poteva distruggere qualsiasi critico solamente con un’accusa. Il sospetto distruggeva i diritti; una persona era colpevole dell’insinuazione prima che la colpa fosse provata.

Un secondo possibile modo per la legge di considerare il fuorilegge e il dissenziente si trova nello stato moderno liberale, come negli Stati Uniti. Sono stati fatti tentativi diretti di attaccare la legge che nega la cittadinanza a criminali riconosciuti colpevoli. Indirettamente, i loro diritti sono stati più che restituiti. La Corte Suprema ha virtualmente distrutto leggi che riguardavano diffamazione e calunnia; in questo modo il “criminale” è favorito rispetto alle sue vittime. Violentatori e assassini confessi sono stati prosciolti su cavilli immaginari, in manifesta parzialità a favore del criminale e contro la vittima. Gardner ha osservato, riguardo ai tribunali e alla “legge” oggi: “I diritti dell’individuo sono protetti, purché l’individuo abbia commesso un reato”<ref>Earle Stanley Gardner: “Crime in the Streets,” This week Magazine 18 Agosto, 1968; p.4.</ref>. Benché le leggi di molti stati ammettano e in alcuni casi richiedano la pena capitale per certi crimini, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha dichiarato che: “La sentenza di morte non può essere comminata da una giuria dalla quale fossero state automaticamente escluse persone con scrupoli di coscienza o religiosi contrari alla pena di morte”<ref>Top Court Hits at ‘Stacking of Juries’”, in Los Angeles Herald Examiner, Lunedì, 3 Giugno, 1968, p. 1.</ref>. In altre parole, la corte ha richiesto che a persone che negano la validità della legge fosse richiesto di “applicare” la legge! Questo è, ovviamente, un preciso attacco alla pena capitale ed in effetti una sua abolizione. La Corte non sollevò la questione della possibile innocenza del condannato; la sua colpa era ammessa implicitamente. Ma la Corte ancora una volta decise in favore dei diritti superiori del criminale e del dissenziente e a sfavore della legge e del cittadino ligio ad essa.

Un terzo possibile modo per la legge di considerare il fuorilegge e il dissenziente è quella biblica: “Vi sarà un’unica legge per i nativi del paese e per lo straniero che risiede tra di voi” (Esodo 12:49). La legge deve dare eguale giustizia a tutti. Una persona è innocente finché non è provata colpevole e sono necessari due testimoni (Numeri 35:30; Deuteronomio 17:6). Le due prostitute del tempo di Salomone poterono fare appello per il loro caso lungo tutta la procedura fino a Salomone (1 Re 3:16-28). Ma il loro diritto d’appello non le fece cittadine: che le due donne fossero di sangue Israelita o di estrazione forestiera, erano straniere per legge, senza diritti di cittadinanza. I loro doni erano esclusi dal tempio. Poiché il luogo santissimo era la sala del trono di Dio, la proibizione di fare qualsiasi voto al trono era una negazione di cittadinanza; era un’esenzione delle tasse, visto che la persona non aveva esistenza giuridica come membro dello stato.

Nell’analizzare Levitico 4, abbiamo visto che livelli o gradi di sacrificio sottolineavano il principio che maggiore la responsabilità, maggiore la colpa, maggiore il peccato. È ora evidente anche che l’irresponsabilità criminale significa una perdita di diritti. Un uomo che non sia all’interno della legge è un fuorilegge; i diritti conferiti dall’ordinamento giuridico appartengono a coloro i quali vivono all’interno dello stesso. I retti hanno i diritti. C’è pertanto una cospicua differenza tra corretta procedura penale e privilegi di cittadinanza.

Abbiamo visto, sin qui, primo, riguardo al pettorale e all’efod, la parzialità quanto l’imparzialità della legge; secondo, abbiamo visto, inoltre, che l’irresponsabilità criminale significa una perdita di diritti. Ora, terzo, giungiamo all’apice della questione, e cioè che la legge è una forma di belligeranza e, di fatto, la principale e continua forma di belligeranza. Il secondo comandamento proibisce immagini scolpite nel culto d’adorazione; richiede la distruzione di tutte tali forme di adorazione: “Non ti prostrerai davanti ai loro dèi, e non li servirai. Non farai ciò che essi fanno, ma li distruggerai interamente e spezzerai le loro colonne” (Esodo 23:24). In Deuteronomio 12:1-14, il contrasto è tracciato con chiarezza: ubbidienza significa da un lato distruggere tutti i luoghi di culto idolatrico e, dall’altro lato, portare offerte a Dio nel modo prescritto e al luogo prescritto. Il comandamento di distruggere luoghi d’idolatria e immagini è ripetuto in Deuteronomio 7:5; 16:21, 22; Numeri 33:52; ed Esodo 34:13, 14. Ma, in certi casi, la distruzione di immagini scolpite richiese anche la distruzione del popolo di quelle immagini (Deuteronomio 7:1-5); non solo sono proibiti patti con i canaaniti, ma anche i matrimoni misti. I canaaniti erano stati “votati” o messi da parte, “santificati” a morte dall’ordine di Dio. Questo è un punto importante che richiede accurata attenzione. La legge proibiva specificamente rappresaglie contro Egiziani o altri stranieri; piuttosto che vendicarsi, avrebbero dovuto ricordare la loro oppressione in Egitto come motivo di maggior dedicazione alla giustizia per tutti sotto la legge di Dio (Levitico 19:33-37). Avendo sofferto l’ingiustizia per mano straniera, avrebbero essi stessi dovuto aver cura d’evitare d’essere come gli Egiziani, d’essere essi stessi strumenti d’ingiustizia. L’Egitto cercò di sterminare tutti gli ebrei (Esodo1:15-22), ma a Israele fu richiesto di rendere giustizia agli egiziani nei termini della loro individuale ubbidienza o disubbidienza alla legge. Ma tutti i canaaniti erano votati alla morte. Il criterio non era l’inimicizia verso Israele ma la legge di Dio. L’Egitto era nemico di Dio quanto canaan, ma l’iniquità dei canaaniti era “giunta al colmo” o totale agli occhi di Dio (Genesi 15:16; Levitico 18:24-28; ecc.). La prostituzione e l’omosessualità erano divenute pratiche religiose al punto che la gente era radicata nella depravazione e orgogliosa di esserlo. La loro iniquità era giunta al “colmo” o totale. Di conseguenza Dio li sentenziò a morte e fece d’Israele il giustiziere. Ora, questo fatto è stato ripetutamente citato come “evidenza” che la Bibbia rappresenta un Dio immorale e un’orrenda moralità; tale accusa rappresenta odio, non intelligenza. Se individui e nazioni ripetutamente sono scomparsi improvvisamente dalla storia, ciò indica chiaramente qualche forma di “giudizio” da parte della storia su quelle persone o nazioni (materialismo dialettico, o evoluzione, o qualsiasi altro dio uno assuma). Gli storici citano ripetutamente e concordano con questi giudizi. Il punto d’offesa riguardo al giudizio dei canaaniti è il criterio di giudizio usato da Dio. Se Dio avesse dichiarato che i canaaniti erano crudeli, oppressori capitalisti, e pertanto sotto giudizio, il suo verdetto riceverebbe un’accorata lode da molti intellettuali. Ma Dio è Dio, e non gl’intellettuali e, di conseguenza, prevale il criterio di Dio e non quello dell’uomo. I canaaniti nel loro insieme erano meritevoli di morte; la pazienza di Dio diede loro alcuni secoli dai giorni di Abrahamo a quelli di Giosuè e poi diede ordine di eseguire il suo giudizio. Il fallimento d’Israele di eseguirlo fino in fondo divenne alla fine il loro proprio giudizio.

La sentenza di morte contro Canaan è semplicemente un fatto realistico di guerra. A volte la guerra è fatta con obbiettivi limitati; altre volte, la guerra è fino alla morte perché la natura della lotta lo richiede. Quando, nei secoli passati, la guerra non riguardava principi profondamente radicati ma semplicemente questioni locali, la guerra era limitata in portata e micidialità. Quando la rivoluzione prese piede sulla scena occidentale con la Rivoluzione francese, la guerra totale divenne una realtà, guerra fino alla morte nei termini di principi reciprocamente esclusivi. Quando sia fatta guerra contro il cielo, le conseguenze sono la morte, non la morte di Dio ma la morte delle persone e nazioni contendenti.

In breve, ogni ordinamento giuridico è uno stato di guerra contro i nemici di quell’ordine, e tutta la legge è una forma di guerra. Ogni legge dichiara che certi criminali sono nemici dell’ordinamento giuridico e devono essere arrestati. Per crimini limitati ci sono pene limitate, per crimini capitali: la pena capitale. La legge è uno stato di guerra; è l’organizzazione dei poteri del governo civile per consegnare alla giustizia i nemici dell’ordinamento giuridico. I funzionari della legge sono adeguatamente armati; in uno stato pio dovrebbero essere armati della giustizia della legge quanto d’armi di guerra per difendere la società contro i suoi nemici.

Gli amici della legge, perciò, cercheranno sempre di migliorare, rafforzare e confermare un ordinamento giuridico pio. I nemici della legge saranno di conseguenza in guerra continua contro la legge. L’inimicizia nei confronti della legge sarà diretta e indiretta, ricorrerà alla sovversione interna mediante legislature e tribunali e ad assalti diretti mediante disobbedienza, disprezzo e attacchi intellettuali. Ogni ordinamento giuridico sarà soggetto ad attacchi perché, fatta eccezione per il cielo, ogni ordinamento giuridico avrà i suoi nemici al proprio interno. La domanda critica, perciò, non è: “La legge verrà attaccata?” ma piuttosto: “L’ordinamento giuridico resisterà gli attacchi?” C’è salute nel corpo politico per resistere la malattia? Quando Israele ricevette l’ordine di distruggere i canaaniti (Deuteronomio 7:1-11), gli fu detto anche che l’ubbidienza sarebbe risultata in salute: fertilità per uomini e bestie immunità dalle funeste malattie dell’Egitto (7:12-26). Si noti la giustapposizione di promessa e comando:

Se darete ascolto a queste prescrizioni, se le osserverete e le metterete in pratica, il Signore, il vostro Dio, manterrà con voi il patto e la bontà che promise con giuramento ai vostri padri. Egli ti amerà, e ti benedirà, ti moltiplicherà, benedirà il frutto del tuo seno e il frutto della tua terra: il tuo frumento, il tuo mosto e il tuo olio, i parti delle tue vacche e delle tue pecore, nel paese che giurò ai tuoi padri di darti. Tu sarai benedetto più di tutti i popoli e non ci sarà in mezzo a te né uomo né donna sterile, né animale sterile fra il tuo bestiame. Il Signore allontanerà da te ogni malattia e non manderà su di te nessuna di quelle funeste malattie d'Egitto, che ben conoscesti, ma le infliggerà a coloro che ti odiano. Sterminerai dunque tutti i popoli che il Signore, il tuo Dio, sta per dare in tuo potere; il tuo occhio non si impietosisca, e non servire i loro dèi, perché ciò sarebbe per te un’insidia (Deuteronomio 7:12-16).

È chiaro che la distruzione del male sociale è predicato ed è la condizione per la salute sociale.

Poiché la legge è una forma di belligeranza, ne consegue che esiste obbligatoriamente una continua barriera tra la pace e il male. L’uomo non può ricercare la coesistenza col male senza con ciò dichiarare guerra contro Dio. La legge dichiara, parlando degli amorei e dei moabiti, evidentemente in questo caso nel loro continuare a vivere nei termini della loro cultura giuridica: “Non cercherai né la loro pace né la loro prosperità, finché tu viva, mai” (Deuteronomio 23:6). Un ordinamento giuridico non può sfuggire la belligeranza: se fa pace in un’area, dichiara con ciò guerra contro un’altra. Un sistema giuridico è una forma di belligeranza. Il fatto della belligeranza rimane costante: l’oggetto della belligeranza può cambiare. Gli stati marxisti dichiarano d’essere per la “pace mondiale”, ma ciò solo nei termini della conquista totale e della guerra totale contro Dio e contro tutti gli uomini. Più sia totale la pace desiderata, più totale sarà la belligeranza richiesta. La nuova creazione di Gesù Cristo è il risultato finale della sua guerra totale contro un mondo decaduto; richiede la totale soppressione del male all’inferno. La nuova creazione richiesta dalla varie forme di socialismo richiede la permanente soppressione del Dio delle Scritture e del suo popolo pattizio. Può esserci pace in cielo, ma nessuna pace tra il cielo e l’inferno. Il giurista protestante irlandese, John Philpot Curran (1750-1817), disse, in un discorso su “Il diritto ad eleggere”: “È destino comune degl’indolenti vedere i loro diritti diventare preda dei solerti: La condizione su cui Dio ha dato libertà all’uomo è l’eterna vigilanza; se trasgredisce questa condizione, la conseguenza del suo crimine e la punizione della sua colpa è la subitanea schiavitù”.

Quelli che cercano la pace col male non cercano la pace che professano ma la schiavitù, e la pace più sicura di tutte è la morte e la tomba.

7. La legge e l’eguaglianza

La morte è la fine del conflitto e una società in cerca di una falsa pace è in cerca della morte. Un antropologo ha scritto:

Il conflitto è utile. Di fatto, la società è impossibile senza conflitto. Ma la società è peggio che impossibile senza controllo del conflitto. L’analogia col sesso è ancora una volta rilevante: la società è impossibile senza una sessualità regolata; il grado di regolazione differisce tra le società ma la repressione totale porta all’estinzione; la totale mancanza di repressione pure porta all’estinzione. La totale repressione del conflitto porta all’anarchia altrettanto sicuramente che il conflitto totale.

Noi occidentali oggi temiamo il conflitto perché non lo comprendiamo più. Vediamo il conflitto nei termini di divorzio, tumulti, guerra. E li rigettiamo su due piedi. E, quando avvengono, non abbiamo “istituzioni sostitutive” per fare il lavoro che avrebbe dovuto essere fatto dall’istituzione che ha fallito. Nel procedimento, e a nostre spese, non permettiamo a noi stessi di vedere che matrimonio, diritti civili, e stati nazionali sono tutte istituzioni costruite sul conflitto e sul suo giudizioso, mirato controllo.

… Ci sono fondamentalmente due forme di risoluzione del conflitto: Regole amministrate e scontro. Legge e guerra. Troppo dell’una o dell’altra distrugge ciò che erano intese a proteggere e potenziare<ref>Paul Bohannan “Introduzione” a Paul Bohannan editore Law and Warfare, Studies in the Anthropology of Conflict; Garden City, N.Y. : The Natural History Press, 1967, p. xii-xiii.</ref>..

La posizione di Bohannan è umanista e relativista. Ne risulta che il conflitto in una società di tale carattere tenderà all’anarchia. Con ciascun uomo una legge a sé stesso, senza assoluti eccetto la volontà dell’uomo, il conflitto totale o l’anarchia totale saranno le sole alternative ad un regime totalitario.

Il problema del conflitto non può essere risolto in qualche maniera giusta e ordinata in una società relativista. Dal momento che ogni prospettiva, religione e filosofia è resa legittima, e tutte le persone sono fatte cittadini, vengono in effetti ammesse alla legalità ogni possibile tipo di legge e ogni possibile cultura. A quel punto o uno stato repressivo e totalitario le sopprime tutte, o tutte prevalgono e regna l’anarchia.

L’individualismo e il collettivismo sono entrambi prodotti del liberalismo. Ellul ha osservato:

È ritenuto che una società individualistica, nella quale l’individuo sia ritenuto possedere un valore maggiore del gruppo, tende a distruggere quei gruppi che limitano il raggio d’azione dell’individuo, mentre una società di massa nega l’individuo e lo riduce ad un numero. Ma questa contraddizione è puramente teoretica e un’illusione. Nella realtà dei fatti, una società individualistica deve essere una società di massa, perché la la prima mossa verso la liberazione dell’individuo è di frantumare i piccoli gruppi che sono un fatto organico dell’intera società. In questo procedimento l’individuo si libera completamente da famiglia, villaggio, parrocchia, o legami di fratellanza, solo per trovarsi direttamente faccia a faccia con l’intera società. Quando gl’individui non sono tenuti insieme da strutture locali, la sola forma nella quale possono vivere insieme è una non strutturata società di massa. Similmente, una società di massa può basarsi solamente sugli individui, cioè su uomini nel loro isolamento, le cui identità sono determinate dalle loro relazioni gli uni con gli altri. Precisamente perché l’individuo afferma di essere uguale a tutti gli altri individui, diventa un’astrazione ed è in effetti ridotto ad un numero.

Non appena si riformino raggruppamenti locali organici, la società tende a cessare d’essere individualistica e con ciò a perdere anche il suo carattere di massa. Ciò che avviene a quel punto è la formazione di gruppi organici di élite in ciò che rimane una società di massa, ma che poggia nel contesto di partiti politici, sindacati, ecc. fortemente strutturati e centralizzati. Queste organizzazioni raggiungono solamente una minoranza attiva, e i membri di questa minoranza cessano d’essere individualistici essendo integrati in tali associazioni organiche. Da questa prospettiva, la società individualistica e quella di massa sono due aspetti corollari della stessa realtà. Questo corrisponde a ciò che abbiamo detto dei mass media: per operare una funzione propagandistica devono catturare l’individuo e le masse contemporaneamente<ref>Jacques Ellul: Propaganda, The Formation of Men’s Attitudes; New York: Knopf, 1965, p. 90.</ref>.

Il liberalismo dissolve i legami religiosi e famigliari e lascia solamente l’individuo senza radici e lo stato umanista. A quel punto la società ondeggia tra il collettivismo e l’individualismo.

Un ordinamento sociale che nega che Dio sia la fonte della legge deve necessariamente cercare il proprio principio di legge da dentro la storia o dall’uomo. Il conflitto della legge a quel punto non è più tra la legge di Dio e il peccato dell’uomo, ma è ora la legge imposta da un qualche uomo che costituisce peccatori di tutti gli altri uomini che se ne discostano. A quel punto la legge mostra anche un’ambivalenza tra un’aristocrazia che sopprime la gente e una democrazia che cerca di sopprimere l’aristocrazia. Il commento di Gray sullo scopo del governo civile mostra il problema chiaramente:

Che l’ordine sia usualmente considerato come il primo obbiettivo dei governi non sarà negato. I mezzi per far valere l’ordine differiscono nelle diverse comunità; ed è ragionevolmente evidente, altre cose essendo uguali, che il miglior governo per far valere l’ordine è il governo che sia capace, senza barriere di qualsiasi tipo, di imporre le sue restrizioni sull’individuo — cioè un governo dispotico. Se l’ordine è dunque l’obbiettivo principale, e un governo dispotico è il mezzo migliore per far valere l’ordine, perché i governi non sono tutti dispotici?

Perché “tutti gli uomini nascono eguali”, dunque ogni uomo che nasce sulla terra ha lo stesso diritto di qualsiasi altro uomo di usare la terra. In questo modo, si percepisce che quest’ordine, che è l’obbiettivo del governo, non sia il fine ultimo del governo, ma sia meramente il mezzo mediante il quale possa essere fruita quell’eguaglianza nella quale tutti gli uomini sono nati. Se questo è vero, il principio ultimo da cui dipende il governo è l’eguaglianza e la legge di coesione che regola le operazioni e l’organizzazione di governi è la legge dell’eguaglianza<ref> James M. Gray: Limitation of the Taxing Power Including Limitations Upon Public Indebtedness; San Francisco: Bancroft-Whitney, 1906, parag. 2. p. 2.</ref>.

Gray ammise che “eguaglianza è un termine matematico"<ref> Ibid., 5, p.4.</ref> e ci si aspetterebbe che avesse visto l’impossibilità di applicare un’astrazione matematica all’uomo. Al contrario, egli ne favorì l’applicazione nella tassazione, il soggetto del suo studio. Egli ammise che il principio d’eguaglianza fosse uno sviluppo americano degli ultimi 50 anni, il che significherebbe a partire dalla Guerra Civile visto che Gray pubblicò nel 1906<ref>Ibid., 7, p. 5.</ref>. Il suo concetto di eguaglianza era molto vicino al principio marxista di eguaglianza visto che egli percepiva che:

È ovvio che quell’eguaglianza non consiste necessariamente della mera eguaglianza contributiva. Che ogni uomo, ricco o povero, pagasse uguale, sarebbe la più grande delle ineguaglianze. Se consista di contribuzioni proporzionate alle proprietà è una questione che è stata lungamente discussa. I legislatori hanno trovato che le forme comuni di tassazione delle proprietà immobili e mobili sia il metodo in cui usualmente si ottenga un’eguaglianza sufficiente.

Un grande economista ha detto che l’eguaglianza davanti al fisco consiste di eguaglianza di sacrificio.

I legislatori hanno generalmente misurato l’eguaglianza di tassazione facendo riferimento all’ammontare dei benefici ricevuti piuttosto che considerare il sacrificio del contribuente.

L’economista dei nostri giorni sembra preferire l’idea di eguaglianza di sacrificio. Un’occhiata alle due principali teorie economiche della tassazione mostrano la distinzione tra l’eguaglianza basata sulla contribuzione proporzionale e l’eguaglianza di sacrificio<ref> Ibid. 20a, p.11 s.</ref>.

Gray negò la teoria delle tassazione riferita ai benefici; se quelli che ne beneficiano di più pagassero più tasse, i poveri e i deboli pagherebbero di più e i ricchi e i forti di meno<ref> Ibid. 21-23, p.12 s.</ref>. Da Gray in poi è chiaro perché sia venuto all’esistenza l’emendamento sulla tassa sul reddito; fu “necessario” nei termini delle presupposizioni esistenti.

Ma la conseguenza della teoria di Gray è che la gente viene livellata e spogliata di potere per creare uno stato che non è “eguale” alla gente ma di molto superiore e capace di schiacciarla:

Il potere dello stato, che agisce mediante le sue agenzie governative per tassare i suoi cittadini è assoluto e illimitato in riferimento a persone e proprietà. Ogni persona all’interno della giurisdizione dello stato, cittadino o no, è soggetto a questo potere, qualsiasi forma di proprietà, tangibile o intangibile, stazionaria o transitoria, ogni privilegio, diritto, o reddito che esista all’interno di quella giurisdizione, può essere raggiunto e preso per il sostegno dello stato.

Questa dottrina interessa e informa la teoria generale dello stato. Lo stato esiste per gli scopi di legge, ordine e giustizia; l’istituzione della proprietà, la preservazione e la sicurezza della vita, della libertà e della proprietà dipendono dall’esistenza dello stato. Fintantoché tutto il possesso privato di proprietà è postulato sull’esistenza dello stato, lo stato può propriamente esaurire tutte le risorse di proprietà privata nel sostegno e preservazione di quell’esistenza; fintantoché tutti i privilegi e le libertà derivano il loro valore dalla protezione dello stato, lo stato può prendere qualsiasi porzione del valore di quei privilegi e franchigie per il proprio sostegno, anche fino all’intero valore<ref> Ibid. 44, p. 29 s.</ref>.

In questo modo lo stato diventa l’istituzione totale perché comprende la vita e la proprietà dell’uomo. Lo stato può confiscare tutte le cose per assicurare la propria esistenza perché lo stato è implicitamente diventato il valore basilare.

Negli Stati Uniti, la tassa di proprietà si sviluppò nel New England nel XVII secolo, ma nel principio ebbe un’estensione limitata. Il Sud la resistette per un certo tempo. La transizione ad un concetto umanistico dello stato fu graduale e continuo. Nel XX secolo la tassazione cominciò a servire da strumento per il cambiamento economico e sociale. In questo modo, la tassazione non serve più semplicemente per sostenere il governo civile ma anche a riorganizzare la società nei termini di concetti livellanti ed egalitari.

In questo novello concetto di tassazione, prende forma la religione statale degli Stati Uniti: l’umanesimo. Avendo negato che Dio sia la fonte della legge, le legge si è stabilmente mossa per implementare un principio totalitario ed egalitario.

Nella legge biblica non hanno alcuna statura né l’egualitarismo né un’oligarchia. Dio in quanto fonte della legge ha stabilito il patto come principio di cittadinanza. Solo coloro che sono all’interno del patto sono cittadini. Il patto è restrittivo nei termini della legge di Dio; è restrittivo pure nei termini di una pregiudiziale contro l’affiliazione, che compare specificamente chiamando per nome certi tipi di gruppi di persone. Quest’aspetto della legge è usualmente trascurato perché risulta imbarazzante all’uomo moderno. Necessita perciò particolare attenzione. In Deuteronomio 23:1-8, agli eunuchi è preclusa la cittadinanza; i bastardi ne sono preclusi fino alla decima generazione. Gli ammoniti e i moabiti sono o esclusi fino alla decima generazione o sono totalmente esclusi a seconda della lettura che viene fatta del testo. Edomiti ed egiziani erano idonei alla cittadinanza “alla terza generazione”; l’implicazione è che siano ammissibili dopo tre generazioni di fede, dopo aver dimostrato per tre generazioni di aver creduto nel patto di Dio e di essersi conformati alle sue leggi. Essendo il trono l’arca nel tabernacolo, ed essendo il tabernacolo anche il luogo centrale dell’espiazione, l’appartenenza nelle nazione-civile e nella nazione-ecclesiale era una e la stessa. La cittadinanza si poggiava sulla fede. L’apostasia era tradimento. Il credente straniero aveva qualche tipo d’accesso al santuario (2 Cronache 6: 32-33), quantomeno per la preghiera, ma questo non gli dava cittadinanza. Gli stranieri — egiziani, babilonesi, etiopi, filistei, fenici ed altri — potevano essere cittadini della Sion vera o celeste, la città di Dio (Salmi 87), ma la Sion locale, Israele non doveva ammettere i gruppi interdetti eccetto che nei termini di Dio. L’ingresso era possibile sposando un maschio israelita (Ru. 4:6), ma non direttamente; una donna assumeva la cittadinanza del marito. Ora, in tutto questo, una cosa è certamente assolutamente chiara: qui non c’è egualitarismo. Viene fatta un’ovvia discriminazione e una distinzione che nessuno sforzo può eliminare. Allo stesso tempo, la richiesta che ci sia una sola legge fatta in Esodo 12:49 rese chiaro il requisito assoluto di giustizia per tutti senza rispetto di persone.

In questo modo, sarebbe apparso dall’evidenza dei fatti che, primo, un’appartenenza o cittadinanza ristretta era parte della pratica d’Israele per legge. Ci sono evidenze di un simile criterio nella chiesa del Nuovo Testamento: anziché essere forzati dentro ad una rigida uniformità, Gentili e Giudei erano liberi di stabilire congregazioni separate e di mantenere il proprio carattere distintivo<ref>Vedi Adolf Schlatter: The Church in the New Testament Period; London: SPCK, 1961.</ref>. Inoltre, Atti 15, il Concilio di Gerusalemme, rende chiaro che le differenze di retaggio culturale e di gradi di crescita morale e spirituale rendevano possibili importanti conflitti nel caso di uniformità nell’appartenenza. Di conseguenza furono autorizzate congregazioni separate. Dall’altro lato, i giudei non erano preclusi dalle congregazioni gentili cosicché mentre i gruppi restrittivi erano validi, i gruppi integrati non erano privi di validità.

Secondo, il fatto predominate in Israele era: una legge per tutti, indipendentemente dalla fede o dall’origine nazionale, cioè la richiesta assoluta di eguale giustizia per tutti senza rispetto di persone. Similmente, nella chiesa del Nuovo Testamento c’era “un unico Signore, un’unica fede, un unico battesimo” (Ef. 4:5) nella vera chiesa e nel vero regno di Dio. L’appartenenza locale limitata era valida, ma l’impero universale del regno e la comune cittadinanza di tutti i credenti sono il fatto basilare e di governo. La realtà delle distinzioni locali non può, comunque, essere obliterata dall’unità ultima ed essenziale che non ha da essere confusa con l’uniformità. L’egualitarismo è un concetto politico-religioso moderno: non esisteva nel mondo biblico e non può essere con onestà forzato dentro la legge biblica. L’egualitarismo è un prodotto dell’umanesimo, del culto di un nuovo idolo: l’uomo, e di una nuova immagine scolpita dall’immaginazione dell’uomo. Come norma in religione, politica ed economia esso è un prodotto dell’era moderna; leggerlo dentro alla fede biblica è fare violenza alle Scritture ed essere colpevoli di disonestà.

È d’interesse chi siano gli esclusi di Deuteronomio 23:1-8: i bastardi erano esclusi fino alla decima generazione, gli eunuchi erano esclusi, fossero tali accidentalmente o per mano d’uomo. Poiché gli eunuchi non hanno posterità, essi non hanno interesse o compartecipazione al futuro, e pertanto niente cittadinanza. Erano escluse anche persone di una cultura morale inferiore come gli ammoniti e i moabiti. Il proposito dell’esclusione era la preservazione del patto nelle mani di un’autorità responsabile. Le limitazioni all’appartenenza di edomiti ed egiziani serviva la stessa funzione.

Nell’antichità gli eunuchi erano comunemente usati come funzionari e a Bisanzio costituivano il pubblico impiego; precisamente perché non avevano una parte nel futuro agli eunuchi venivano affidate posizioni che richiedevano una fedeltà esclusivamente presente. L’eunuco, come un tipo di mentalità esistenzialista, era reciso dal passato e dal futuro e legato al presente; per questo veniva preferito al padre di famiglia.

Nella Nuova Inghilterra coloniale fu applicato il concetto pattizio di chiesa e stato. Tutti andavano in chiesa, ma solo un numero limitato di persone aveva diritto di voto nella chiesa e perciò nello stato, perché c’era una coincidenza tra appartenenza alla chiesa e cittadinanza. Gli altri non erano meno credenti, ma la convinzione era che la responsabilità va data solo ai responsabili. Un’unica fede, un’unica legge e un unico metro di giustizia non significava democrazia. L’eresia della democrazia ha da allora portato scompiglio nella chiesa e nello stato, e si è adoperata per ridurre la società all’anarchia.

Note