Letteratura/Legge/10: differenze tra le versioni

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== IL DECIMO COMANDAMENTO. ==
== 1. CONCUPISCENZA ==
==   ==
Il decimo comandamento è una delle più lunghe dichiarazioni di principio nel Decalogo. Nelle sue due versione dice:
Non concupire la casa del tuo prossimo; non concupire la moglie del tuo prossimo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna del tuo prossimo (Es. 20:17 NR).
Non concupire la moglie del tuo prossimo; non bramare la casa del tuo prossimo, né il suo campo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna del tuo prossimo (De. 5:21 NR).
È stato detto molto, da sciocchi perditempo, circa la collocazione della moglie in ciascuna di queste due frasi, prima e dopo la casa e anche che ella sia apparentemente collocata sullo stesso livello del bue e dell’asino. Gli idioti dovrebbero essere lasciati alla loro idiozia; i saggi occuperanno il loro tempo con altre questioni.
Il significato di questa legge dipende dal significato di ''concupire''. Il resto della legge tratta con le azioni degli uomini; in questo caso tratta forse invece con le emozioni, o abbiamo travisato il significato di ''concupire''? Noth ha indicato che concupire significa infatti molto più che l’emozione del concupire.
Il comandamento nel verso 17 è formulato con un verbo che è reso “concupire”. Ma descrive non meramente l’emozione di concupire ma include anche il tentativo di annettere qualcosa a sé illegittimamente. Il comandamento, perciò, tratta con tutte le intraprese possibili che implicano l’ottenimento del potere sui beni e le possessioni di uno del “prossimo”, che sia mediante il furto o mediante ogni tipo di macchinazione disonesta. Il primo oggetto ad essere menzionato è la casa del prossimo. Il termine “casa” può, in un senso stretto e speciale descrivere la dimora, primariamente la casa edificata, ma anche, in ogni caso, la casa-tenda del nomade; può, comunque, essere usata anche in un senso più o meno ampio o trasferito a significare, per esempio, la famiglia, o ad abbracciare tutto ciò che è incluso nella casa [1].
Pertanto, quando Esodo comincia col proibire di concupire la casa del prossimo, intende, come poi procede a specificare, la moglie, i servi, gli animali, e tutte le altre possessioni del prossimo. Primo, viene usato il termine generale ''casa'', e poi vengono descritti aspetti specifici della “casa”. In Deuteronomio, le citazioni sono apparentemente tutte di specifici, inclusa la “casa”.
Di “concupire” Von Rad ha scritto in termini altrettanto significativi:
Se nell’ultimo comandamento la traduzione del verbo con “concupire” fosse corretta, sarebbe l’unico caso in cui il decalogo tratta, non con un’azione, ma con un impulso interiore, e quindi con un peccato d’intenzione. Ma la parola ebraica corrispondente (''hamad'') ha due significati, sia concupire che prendere. Include illeciti esterni intendendo: “appropriarsi” (Gs. 7:21; Mi. 2:2, ecc.) [2].
Quando Gesù citò il decimo comandamento in Marco 10:19, lo citò chiaramente come un peccato d’azione, e il testo greco usa la parola ''aposteresis'', frodare di una cosa, ed è tradotto con “frodare”.
Le osservazioni di Noth e Von Rad non rappresentano una novità nell’interpretazione. Chiaramente, nostro Signore gli ha dato lo stesso significato, e proprio altrettanto chiaramente, ciò era conosciuto dagli studiosi cristiani in epoche precedenti. Così, il grande studioso anglicano del diciassettesimo secolo, il dr. Isaac Barrow, scrivendo sul decimo comandamento, osservò:
Questa legge è comprensiva e riassuntiva, per così dire, del resto che interessa il nostro prossimo, prescrivendo nei suoi confronti universale giustizia (donde san Marco, sembra, abbia inteso renderla con una parola: … ''non privare'' il tuo prossimo di cosa alcuna; (tradotto “frodare” in italiano, Mc. 10:19) e questo, non solo in fatti e commerci esteriori, ma in pensieri e desideri interiori, la fonte dalla quale effettivamente sgorgano… [3].
Anche Adam Clarke era consapevole del significato di concupire, e dichiarò:
Tu non concupirai, verso 17 … ''lo tachemod'' — la parola … ''chamad'', significa un ''serio'' e ''forte'' desiderio posto su qualcosa, su cui sono concentrate e fissate tutte le affezioni, tanto che la cosa sia ''buona'' quanto che sia ''cattiva''. Questo è ciò che comunemente definiamo ''concupiscenza'', parola che si può prendere sia in senso buono che cattivo. Per questo se la Scrittura dice che ''la concupiscenza è idolatria'': dice anche però ''concupite'' ''intensamente le cose migliori''; troviamo così che questa disposizione è peccaminosa o santa a seconda dell’oggetto su cui è posta. In questo comando, la concupiscenza che viene proibita o condannata è quella posta su un oggetto proibito. Concupire in questo senso, è bramare intensamente, per poter godere come ''proprietà'', la ''persona'', o la ''cosa'' concupita. Trasgredisce questo comando chi con qualunque mezzo si adopera per privare un uomo della sua ''casa'', o ''fattoria'', mediante qualche trattativa clandestina e sottobanco col proprietario originale, ciò che in alcune nazioni è chiamato: prendere la casa e fattoria di un uomo ''creando una situazione ch’è troppo grande per lui'' (scavalcandolo). Lo trasgredisce pure chi pieno di lussuria per la moglie del suo prossimo si attiva per ingraziarsi le di lei affezioni, sforzandosi di sminuire il marito nella sua stima; e lo trasgredisce chi s’impegna a impossessarsi dei servi, bestiame, ecc., in qualsiasi maniera clandestina o ingiustificabile. Questo è un precetto morale eccellentissimo, la cui osservanza preverrà tutti i reati pubblici: poiché chi sente la forza della legge che proibisce i desideri disordinati di qualsiasi cosa di proprietà di un altro, non può mai aprire una breccia nella pace della società facendo un torto ad alcuno dei suoi membri persino ai più flebili  [4].
Il travisamento di questa legge è cominciato col pietismo il quale limitò la legge di Dio a precetti morali. La religione fu interiorizzata e perciò le azioni cessarono di essere importanti quanto il “cuore”. In aggiunta a questo, fu propagata anche l’idea che il guadagno di qualsiasi tipo fosse in qualche modo “non spirituale” talché la concupiscenza assunse un significato esclusivamente negativo.
Habacuc 2:9 ci dà un esempio del fatto che le Scritture hanno fatto una distinzione tra concupiscenza malvagia e concupiscenza buona. Il significato del passo compare esaminando ambedue le versioni Nuova Riveduta e Nuova Diodati:
Guai a colui che è avido d’illecito guadagno per la sua casa, per mettere il suo nido in alto e scampare alla mano della sventura! (NR)
Guai a chi è avido di guadagno malvagio per la sua casa, per porre il suo nido in alto e sfuggire al potere della sventura (ND).
La concupiscenza è qui eguagliata al guadagno; ad essere condannata è la concupiscenza malvagia. Chiaramente il guadagno onesto e la pia concupiscenza non sono condannati.
San Paolo, in 1 Corinzi 12:31 ha usato la parola “concupire” nel suo senso buono; la Nuova Riveduta traduce: “Desiderate ardentemente i doni maggiori”; la Nuova Diodati: “Cercate ardentemente” – operate pressantemente e zelantemente per i doni maggiori.
Pertanto, ciò ch’è chiaramente condannato dal decimo comandamento è ogni tentativo di appropriarsi mediante frode, coercizione, o imbroglio ciò che appartiene al nostro prossimo. In base a questo principio, cause per alienazione d’affetti furono un tempo parte della legge della nazione. Il loro abuso da parte di un’epoca senza legge portò alla loro abolizione, ma il principio è corretto. Una persona che operi sistematicamente per alienare l’affetto di un marito o di una moglie per potersi appropriare di lui o di lei, talvolta assieme alle loro risorse monetarie, è colpevole di violazione di questa legge.
Questa legge proibisce in questo modo l’espropriazione mediante frode o imbroglio di ciò che appartiene al nostro prossimo. Il decimo comandamento perciò effettivamente riassume i comandamenti da sei a nove e dà loro una prospettiva aggiuntiva. Gli altri comandamenti trattano con azioni ovviamente illegali, ovvero evidenti violazioni della legge. Il decimo comandamento può venire trasgredito all’interno di queste leggi. Per citare un esempio: Davide commise adulterio con Bath-Sheba, un’azione chiaramente illegale. Le sue azioni successive furono tecnicamente entro la legge: Uriah fu posto sul fronte della battaglia e furono dati degli ordini atti ad assicurare la sua morte in battaglia. Non fu tecnicamente omicidio, ma fu chiaramente una cospirazione a uccidere, con Davide e Joab entrambi colpevoli d’omicidio.
Pertanto, una varietà di leggi nella civiltà occidentale sono basate su questo principio dell’uso fraudolento della legge per frodare o danneggiare. Molte di queste leggi legiferano contro l’aspetto di cospirazione in frode. Legiferano contro la cupida appropriazione delle proprietà del nostro prossimo mediante mezzi malvagi benché legali. La legge contro l’appropriazione disonesta è pertanto molto importante e il decimo comandamento, anziché essere una vaga appendice alla legge, ne è alla base.
Questa legge contro l’appropriazione disonesta è rivolta da Dio non meramente all’individuo, ma allo stato e a tutte le istituzioni. Lo stato può essere e spesso è colpevole quanto gli individui, e lo stato è spesso usato come mezzo legale mediante il quale altri sono frodati delle loro proprietà. La legge contro la concupiscenza malvagia è pertanto una legge particolarmente necessaria nel ventesimo secolo. Il pietismo che prima ha sabotato questa legge è ora diventato una pervasiva attitudine sociale.
Il pietismo enfatizza il ''cuore'', le attitudini dell’uomo, e sminuisce l’importanza delle sue azioni. Le sue radici sono nel disprezzo pagano, greco e stoico, della materia contrapposta allo spirito. L’obbiettivo in queste filosofie era d’essere privo di passioni. Il vero filosofo era al di sopra del provare dolore per le cose materiali: la sua casa poteva bruciare e sua moglie e i figli morire, ed egli cercava d’essere indifferente. Pretendeva d’essere interessato solo di quelle cose che sono della mente o dello spirito.
L’influenza di questi filosofi sulla chiesa rese malvagia qualsiasi concupiscenza. Si presumeva che per essere santo l’uomo dovesse essere senza desiderio. Essere ambizioso era malvagio perché rappresentava desiderio verso cose materiali. Shakespeare e Fletcher lo rispecchiarono nella loro opera. Enrico VIII, nella quale il Cardinal Wolsey dice:
Mark but my fall, and that that ruined me.<br/> Cromwell, I charge thee, fling away ambition:<br/> By that sin fell the angels; how can man, then,<br/> The image of his Maker, hope to win by it?<br/> Love thyself last: cherish those hearts that hate thee.
(Segna solo la mia caduta, e ciò che m’ha rovinato.
Cromwell, t’impongo, scaglia via l’ambizione:
Per quel peccato caddero gli angeli; come può dunque l’uomo,
L’immagine del suo Creatore, sperare di vincere con essa?
Ama te stesso per ultimo: ti sian cari quei cuori che t’odiano.)
(Atto III, scena II).
Una tale filosofia significava che l’ambizione non ha legittimazione cristiana, e che il desiderio per cose migliori è sempre un peccato. Come risultato, la sola ambizione e desiderio legittimi erano quelli che rinunciavano al cristianesimo in favore dell’umanismo. Il pietismo ha portato il cristianesimo, tanto prima che dopo la Riforma, su falsi sentieri fatti di sentimenti contrapposti all’integrità di vita.
Il pietismo, in origine pagano e umanistico, ha nuovamente infettato l’umanesimo nell’epoca moderna. Come risultato, i progressisti che non hanno vero amore per Negri, Indiani, ed altri, saltano di causa in causa alimentando una marea di sentimento quale reale soluzione a tutti i problemi. Il risultato di tale emozionalismo pietista non è un reale avanzamento della causa di nessuno ma solo un bagno d’emozioni per i pietisti umanisti.

Note:
1 Martin Noth,&nbsp;''Exodous''; Philadelphia: Westminster Press, 1962, p. 166.<br/> 2 Gerhard Von Rad,&nbsp;''Deuteronomy, A Commentary''; Philadelphia: Westminster Press, 1966, p. 59.
3 Isaac Barrow:&nbsp;''Works''; New York: John C. Riker, 1845, III, 39.<br/> 4 Adam Clarke,&nbsp;''Discourses on Various Subjects'', II, 36 s.

Versione delle 16:23, 27 gen 2022


Indice generale

Le istituzioni della Legge biblica, di R. J. Rushdoony

CapitoliPrefazione - Introduzione - 01 - 02 - 03 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 -09 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 16

 

IL DECIMO COMANDAMENTO.

1. CONCUPISCENZA

 

Il decimo comandamento è una delle più lunghe dichiarazioni di principio nel Decalogo. Nelle sue due versione dice:

Non concupire la casa del tuo prossimo; non concupire la moglie del tuo prossimo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna del tuo prossimo (Es. 20:17 NR).

Non concupire la moglie del tuo prossimo; non bramare la casa del tuo prossimo, né il suo campo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna del tuo prossimo (De. 5:21 NR).

È stato detto molto, da sciocchi perditempo, circa la collocazione della moglie in ciascuna di queste due frasi, prima e dopo la casa e anche che ella sia apparentemente collocata sullo stesso livello del bue e dell’asino. Gli idioti dovrebbero essere lasciati alla loro idiozia; i saggi occuperanno il loro tempo con altre questioni.

Il significato di questa legge dipende dal significato di concupire. Il resto della legge tratta con le azioni degli uomini; in questo caso tratta forse invece con le emozioni, o abbiamo travisato il significato di concupire? Noth ha indicato che concupire significa infatti molto più che l’emozione del concupire.

Il comandamento nel verso 17 è formulato con un verbo che è reso “concupire”. Ma descrive non meramente l’emozione di concupire ma include anche il tentativo di annettere qualcosa a sé illegittimamente. Il comandamento, perciò, tratta con tutte le intraprese possibili che implicano l’ottenimento del potere sui beni e le possessioni di uno del “prossimo”, che sia mediante il furto o mediante ogni tipo di macchinazione disonesta. Il primo oggetto ad essere menzionato è la casa del prossimo. Il termine “casa” può, in un senso stretto e speciale descrivere la dimora, primariamente la casa edificata, ma anche, in ogni caso, la casa-tenda del nomade; può, comunque, essere usata anche in un senso più o meno ampio o trasferito a significare, per esempio, la famiglia, o ad abbracciare tutto ciò che è incluso nella casa [1].

Pertanto, quando Esodo comincia col proibire di concupire la casa del prossimo, intende, come poi procede a specificare, la moglie, i servi, gli animali, e tutte le altre possessioni del prossimo. Primo, viene usato il termine generale casa, e poi vengono descritti aspetti specifici della “casa”. In Deuteronomio, le citazioni sono apparentemente tutte di specifici, inclusa la “casa”.

Di “concupire” Von Rad ha scritto in termini altrettanto significativi:

Se nell’ultimo comandamento la traduzione del verbo con “concupire” fosse corretta, sarebbe l’unico caso in cui il decalogo tratta, non con un’azione, ma con un impulso interiore, e quindi con un peccato d’intenzione. Ma la parola ebraica corrispondente (hamad) ha due significati, sia concupire che prendere. Include illeciti esterni intendendo: “appropriarsi” (Gs. 7:21; Mi. 2:2, ecc.) [2].

Quando Gesù citò il decimo comandamento in Marco 10:19, lo citò chiaramente come un peccato d’azione, e il testo greco usa la parola aposteresis, frodare di una cosa, ed è tradotto con “frodare”.

Le osservazioni di Noth e Von Rad non rappresentano una novità nell’interpretazione. Chiaramente, nostro Signore gli ha dato lo stesso significato, e proprio altrettanto chiaramente, ciò era conosciuto dagli studiosi cristiani in epoche precedenti. Così, il grande studioso anglicano del diciassettesimo secolo, il dr. Isaac Barrow, scrivendo sul decimo comandamento, osservò:

Questa legge è comprensiva e riassuntiva, per così dire, del resto che interessa il nostro prossimo, prescrivendo nei suoi confronti universale giustizia (donde san Marco, sembra, abbia inteso renderla con una parola: … non privare il tuo prossimo di cosa alcuna; (tradotto “frodare” in italiano, Mc. 10:19) e questo, non solo in fatti e commerci esteriori, ma in pensieri e desideri interiori, la fonte dalla quale effettivamente sgorgano… [3].

Anche Adam Clarke era consapevole del significato di concupire, e dichiarò:

Tu non concupirai, verso 17 … lo tachemod — la parola … chamad, significa un serio e forte desiderio posto su qualcosa, su cui sono concentrate e fissate tutte le affezioni, tanto che la cosa sia buona quanto che sia cattiva. Questo è ciò che comunemente definiamo concupiscenza, parola che si può prendere sia in senso buono che cattivo. Per questo se la Scrittura dice che la concupiscenza è idolatria: dice anche però concupite intensamente le cose migliori; troviamo così che questa disposizione è peccaminosa o santa a seconda dell’oggetto su cui è posta. In questo comando, la concupiscenza che viene proibita o condannata è quella posta su un oggetto proibito. Concupire in questo senso, è bramare intensamente, per poter godere come proprietà, la persona, o la cosa concupita. Trasgredisce questo comando chi con qualunque mezzo si adopera per privare un uomo della sua casa, o fattoria, mediante qualche trattativa clandestina e sottobanco col proprietario originale, ciò che in alcune nazioni è chiamato: prendere la casa e fattoria di un uomo creando una situazione ch’è troppo grande per lui (scavalcandolo). Lo trasgredisce pure chi pieno di lussuria per la moglie del suo prossimo si attiva per ingraziarsi le di lei affezioni, sforzandosi di sminuire il marito nella sua stima; e lo trasgredisce chi s’impegna a impossessarsi dei servi, bestiame, ecc., in qualsiasi maniera clandestina o ingiustificabile. Questo è un precetto morale eccellentissimo, la cui osservanza preverrà tutti i reati pubblici: poiché chi sente la forza della legge che proibisce i desideri disordinati di qualsiasi cosa di proprietà di un altro, non può mai aprire una breccia nella pace della società facendo un torto ad alcuno dei suoi membri persino ai più flebili  [4].

Il travisamento di questa legge è cominciato col pietismo il quale limitò la legge di Dio a precetti morali. La religione fu interiorizzata e perciò le azioni cessarono di essere importanti quanto il “cuore”. In aggiunta a questo, fu propagata anche l’idea che il guadagno di qualsiasi tipo fosse in qualche modo “non spirituale” talché la concupiscenza assunse un significato esclusivamente negativo.

Habacuc 2:9 ci dà un esempio del fatto che le Scritture hanno fatto una distinzione tra concupiscenza malvagia e concupiscenza buona. Il significato del passo compare esaminando ambedue le versioni Nuova Riveduta e Nuova Diodati:

Guai a colui che è avido d’illecito guadagno per la sua casa, per mettere il suo nido in alto e scampare alla mano della sventura! (NR)

Guai a chi è avido di guadagno malvagio per la sua casa, per porre il suo nido in alto e sfuggire al potere della sventura (ND).

La concupiscenza è qui eguagliata al guadagno; ad essere condannata è la concupiscenza malvagia. Chiaramente il guadagno onesto e la pia concupiscenza non sono condannati.

San Paolo, in 1 Corinzi 12:31 ha usato la parola “concupire” nel suo senso buono; la Nuova Riveduta traduce: “Desiderate ardentemente i doni maggiori”; la Nuova Diodati: “Cercate ardentemente” – operate pressantemente e zelantemente per i doni maggiori.

Pertanto, ciò ch’è chiaramente condannato dal decimo comandamento è ogni tentativo di appropriarsi mediante frode, coercizione, o imbroglio ciò che appartiene al nostro prossimo. In base a questo principio, cause per alienazione d’affetti furono un tempo parte della legge della nazione. Il loro abuso da parte di un’epoca senza legge portò alla loro abolizione, ma il principio è corretto. Una persona che operi sistematicamente per alienare l’affetto di un marito o di una moglie per potersi appropriare di lui o di lei, talvolta assieme alle loro risorse monetarie, è colpevole di violazione di questa legge.

Questa legge proibisce in questo modo l’espropriazione mediante frode o imbroglio di ciò che appartiene al nostro prossimo. Il decimo comandamento perciò effettivamente riassume i comandamenti da sei a nove e dà loro una prospettiva aggiuntiva. Gli altri comandamenti trattano con azioni ovviamente illegali, ovvero evidenti violazioni della legge. Il decimo comandamento può venire trasgredito all’interno di queste leggi. Per citare un esempio: Davide commise adulterio con Bath-Sheba, un’azione chiaramente illegale. Le sue azioni successive furono tecnicamente entro la legge: Uriah fu posto sul fronte della battaglia e furono dati degli ordini atti ad assicurare la sua morte in battaglia. Non fu tecnicamente omicidio, ma fu chiaramente una cospirazione a uccidere, con Davide e Joab entrambi colpevoli d’omicidio.

Pertanto, una varietà di leggi nella civiltà occidentale sono basate su questo principio dell’uso fraudolento della legge per frodare o danneggiare. Molte di queste leggi legiferano contro l’aspetto di cospirazione in frode. Legiferano contro la cupida appropriazione delle proprietà del nostro prossimo mediante mezzi malvagi benché legali. La legge contro l’appropriazione disonesta è pertanto molto importante e il decimo comandamento, anziché essere una vaga appendice alla legge, ne è alla base.

Questa legge contro l’appropriazione disonesta è rivolta da Dio non meramente all’individuo, ma allo stato e a tutte le istituzioni. Lo stato può essere e spesso è colpevole quanto gli individui, e lo stato è spesso usato come mezzo legale mediante il quale altri sono frodati delle loro proprietà. La legge contro la concupiscenza malvagia è pertanto una legge particolarmente necessaria nel ventesimo secolo. Il pietismo che prima ha sabotato questa legge è ora diventato una pervasiva attitudine sociale.

Il pietismo enfatizza il cuore, le attitudini dell’uomo, e sminuisce l’importanza delle sue azioni. Le sue radici sono nel disprezzo pagano, greco e stoico, della materia contrapposta allo spirito. L’obbiettivo in queste filosofie era d’essere privo di passioni. Il vero filosofo era al di sopra del provare dolore per le cose materiali: la sua casa poteva bruciare e sua moglie e i figli morire, ed egli cercava d’essere indifferente. Pretendeva d’essere interessato solo di quelle cose che sono della mente o dello spirito.

L’influenza di questi filosofi sulla chiesa rese malvagia qualsiasi concupiscenza. Si presumeva che per essere santo l’uomo dovesse essere senza desiderio. Essere ambizioso era malvagio perché rappresentava desiderio verso cose materiali. Shakespeare e Fletcher lo rispecchiarono nella loro opera. Enrico VIII, nella quale il Cardinal Wolsey dice:

Mark but my fall, and that that ruined me.
Cromwell, I charge thee, fling away ambition:
By that sin fell the angels; how can man, then,
The image of his Maker, hope to win by it?
Love thyself last: cherish those hearts that hate thee.

(Segna solo la mia caduta, e ciò che m’ha rovinato.

Cromwell, t’impongo, scaglia via l’ambizione:

Per quel peccato caddero gli angeli; come può dunque l’uomo,

L’immagine del suo Creatore, sperare di vincere con essa?

Ama te stesso per ultimo: ti sian cari quei cuori che t’odiano.)

(Atto III, scena II).

Una tale filosofia significava che l’ambizione non ha legittimazione cristiana, e che il desiderio per cose migliori è sempre un peccato. Come risultato, la sola ambizione e desiderio legittimi erano quelli che rinunciavano al cristianesimo in favore dell’umanismo. Il pietismo ha portato il cristianesimo, tanto prima che dopo la Riforma, su falsi sentieri fatti di sentimenti contrapposti all’integrità di vita.

Il pietismo, in origine pagano e umanistico, ha nuovamente infettato l’umanesimo nell’epoca moderna. Come risultato, i progressisti che non hanno vero amore per Negri, Indiani, ed altri, saltano di causa in causa alimentando una marea di sentimento quale reale soluzione a tutti i problemi. Il risultato di tale emozionalismo pietista non è un reale avanzamento della causa di nessuno ma solo un bagno d’emozioni per i pietisti umanisti.


Note:

1 Martin Noth, Exodous; Philadelphia: Westminster Press, 1962, p. 166.
2 Gerhard Von Rad, Deuteronomy, A Commentary; Philadelphia: Westminster Press, 1966, p. 59.

3 Isaac Barrow: Works; New York: John C. Riker, 1845, III, 39.
4 Adam Clarke, Discourses on Various Subjects, II, 36 s.