Letteratura/Una divina esortazione ai pii confederati di Schwytz

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Un'esortazione di Ulrico Zwingli ai confederati di Svitto sui mali del mercenariato e della guerra (1522)

'Sintesi. "Una divina esortazione agli onorevoli, savi, probi, venerandi confederati di Schwytz, affinché si guardino e si liberino dai signori stranieri" di Ulrico Zwingli (1484-1531) è una delle sue prime opere a stampa di Zwingli e probabilmente tra le più famose. Come appare dal titolo, si tratta di uno scritto rivolto ai confederati di Schwyz per esortarli a mantenere l’unità nazionale minacciata non soltanto da questioni di fede, ma altresì da un problema particolarmente scottante: quello del mercenariato. Nella Svizzera sovrappopolata degli anni venti del secolo XVI il mercenariato costituiva un’industria particolarmente lucrativa. Ma il mercenariato portava con sé non pochi problemi: primi fra tutti la decadenza dei costumi e il diffondersi di dissensi ed interessi contraddittori all’interno della Confederazione. Quest'opera, che include molte citazioni bibliche, stabilsce il legame, troppo spesso misconosciuto, che unisce la virtù pubblica al discepolato cristiano. L’11 gennaio 1522 il Consiglio di Zurigo emise un divieto generale del servizio mercenario a favore di qualunque signore straniero «sia esso il papa, l’imperatore, il re di Francia o singoli prìncipi e signori». L’osservanza dell’ordinanza fu costante e scrupolosa. La battaglia di Zwingli per l’abolizione del mercenariato era soprattutto una battaglia per la difesa spirituale e morale del proprio paese. Quest'opera smaschera con lucida satira l’ideologia della guerra con i suoi tragici risvolti umani e si afferma la fede in Cristo, il solo che potrà dare adito ad una convivenza civile autentica. La guerra, dice Zwingli, è la fine della legalità e quindi della vita associata.

Introduzione

La Divina esortazione ai pii confederati di Schwytz è una delle prime opere a stampa di Zwingli e probabilmente tra le più famose.

Come appare dal titolo, si tratta di uno scritto rivolto ai confederati di Schwyz per esortarli a mantenere l’unità nazionale minacciata non soltanto da questioni di fede, ma altresì da un problema particolarmente scottante: quello della «Reisläuferei», del mercenariato1. Nella Svizzera sovrappopolata degli anni venti del secolo XVI il mercenariato costituiva un’industria particolarmente lucrativa2. Ma il mercenariato portava con sé non pochi problemi: primi fra tutti la decadenza dei costumi e il diffondersi di dissensi ed interessi contraddittori all’interno della Confederazione.

Dopo la battaglia di Marignano non erano mancate le voci di coloro che si erano opposti al sistema di arruolamento mercenario3. D’altra parte, nei circoli umanistici svizzeri, andavano diffondendosi rapidamente le idee erasmiane che mostravano la necessità per i cristiani di essere pacifici e concordi nella ricerca del bene comune4.

Zwingli seppe stabilire un legame tra la precisa richiesta politica di abolizione del mercenariato e i grandi princìpi di pace e concordia europea espressi da Erasmo nel “Querela pacis”. Ma stabilì altresì il legame, troppo spesso misconosciuto, che unisce la virtù pubblica al discepolato cristiano. Occorre, egli sostene va nelle proprie predicazioni già a partire dalla primavera del 21, «smettere di vendere il sangue cristiano» e fare una scelta di fede precisa a tutti i livelli di vita: la pace tra i popoli può nascere solo da una fede comune in Gesù Cristo5.

L’occasione per saggiare l’efficacia pratica e l’incidenza di tale predicazione sul popolo zurighese fu offerta nel maggio del 1521. Alla Dieta di Lucerna, che doveva rinnovare il trattato d’alleanza della Confederazione con la Francia e decidere se accogliere la richiesta avanzata da Francesco I di inviare nuove truppe svizzere per muovere guerra a Carlo V, inaspettatamente e con sommo imbarazzo degli altri confederati, Zurigo si espresse contro il servizio mercenario. Per il partito abolizionista dentro e fuori Zurigo si trattò di una grande vittoria, «ein gross Wunderzeichen von Gott durch Zwingli gewirkt»6. Ma fu anche Ma fu anche una vittoria di breve durata. Alcuni mesi più tardi, nell’agosto del 1521, il Consiglio zurighese, cedendo alle pressioni del legato pontificio Ennio Filonardi e del cardinale Schiner, ritenne di dover accogliere la richiesta della Santa Sede di inviare truppe svizzere a protezione dello Stato Pontificio7. Vana fu l’opposizione di una buona parte della borghesia artigiana e l’attacco dichiarato di Zwingli, che tuonava dal pulpito: «Giustamente i cardinali portano cappelli e cappe purpuree: se li scuoti cadono ducati e corone, se li torci sprizzano il sangue di tuo figlio, di tuo padre, di tuo fratello, del tuo amico!»8.

Si trattò comunque dell'ultima spedizione a cui presero parte degli zurighesi. L’'11' gennaio 1522 il Consiglio di Zurigo emise un divieto generale del servizio mercenario a favore di qualunque signore straniero «sia esso il papa, l’imperatore, il re di Francia o singoli prìncipi e signori». L’osservanza dell’ordinanza fu costante e scrupolosa.

La battaglia di Zwingli per l’abolizione del mercenariato era soprattutto una battaglia per la difesa spirituale e morale del proprio paese. Pertanto non poteva arrestarsi alle sponde della Limmat. Nel maggio del ’22 si presentò l’occasione di intervenire in uno dei «cantoni della foresta»; Schwyz. Nel cantone di Schwyz, nei cui territori si trovava l’abbazia di Einsiedeln dove Zwingli aveva vissuto alcuni anni, il Riformatore contava molti amici e simpatizzanti della «dottrina evangelica»9. Inoltre, secondo la testimonianza di Bullinger, seguendo l’esempio di Zurigo, si era sviluppato un forte movimento in favore dell’abolizione del servizio mercenario". Vi erano, insomma, le condizioni adatte perché Zwingli potesse perorare la sua causa con la possibilità di ottenere soluzioni pratiche immediate.

A queste condizioni se ne aggiunse una supplementare. Il 27 aprile 1522, nella battaglia della Bicocca, i mercenari di Francesco I furono schiacciati dalle truppe del papa e dell’imperatore. Non si trattò di una semplice sconfitta militare. Gli svizzeri presero coscienza che stava terminando un’epoca, l’epoca della loro indiscussa supremazia militare a livello europeo. In effetti gli svizzeri, la cui superiorità militare risiedeva soprattutto nella disciplina delle truppe e nella mobilità della fanteria, furono sorpresi dalle caratteristiche della nuova artiglieria messa in campo che influenzò profondamente il risultato della battaglia10. L’opinione pubblica era smarrita, in attesa di riorganizzarsi sulla base di una nuova direzione politica. Da più parti si richiese la convocazione d’urgenza della Landsgemeinde, l’assemblea municipale per riesaminare la questione dell’alleanza con la Francia. Fu stabilito che la Landsgemeinde avrebbe avuto luogo il 18 maggio.

Sembra difficile immaginare migliori condizioni per un intervento a favore dell’abolizione del mercenariato e per una esortazione alla pace. Zwingli ne era ben cosciente. Benché, come egli stesso afferma nell’epistola dedicatoria, avesse saputo soltanto il 14 maggio della convocazione della Landsgemeinde, si mise subito all’opera: «ho dovuto appresta re ogni cosa in tre giorni: concepire, scrivere e dare alla stampa questo opuscolo». In effetti, tre giorni dopo, lo scritto era già stato stampato e circolava tra le persone influenti di Schwyz11.

L’opera si colloca, quindi, in una fase cruciale della storia svizzera e mostra una vastità di orizzonti che contraddistingue l’uomo e il clima sociale, intellettuale e teologico della riforma zurighese: si smaschera con lucida satira l’ideologia della guerra con i suoi tragici risvolti umani e si afferma la fede in Cristo, il solo che potrà dare adito ad una convivenza civile autentica. La guerra, dice Zwingli, è la fine della legalità e quindi della vita associata. Ma Dio ha creato gli uomini perché vivessero nell’unità e nella pace e ha proseguito in questa sua opera rendendola possibile in Gesù Cristo. Bisogna quindi rompere questo circolo vizioso della guerra, rompere con il mercenariato. «Guardati, o Schwyz, dai signori stranieri perché è al disonore che essi ti conducono!».

La Landsgemeinde decise di sospendere per venticinque anni qualsiasi alleanza con potenze straniere. Fu indubbiamente una grande vittoria per il partito abolizionista e pacifista e, ovviamente, suggellò l’autorità morale di Zwingli. Ma la decisione della Landsgemeinde di Schwyz rese più agguerrito il partito filo-francese, soprattutto a Berna12; la stessa Dieta di Lucerna del 27 maggio 1522 ritenne necessario esprimere la propria disapprovazione per quei predicatori ed ecclesiastici che interferivano nelle questioni politiche seminando confusione e dubbio tra i fedeli13. È una prova, qualora ce ne fosse stato bisogno, dell’incidenza della Divina esortazione.


Una divina esortazione agli onorevoli, savi, probi, venerandi confederati di Schwytz, affinché si guardino e si liberino dai signori stranieri

Ai pii, onorevoli, venerandi1 confederati di Schwytz, io Ulrico Zwingli, un semplice predicatore dell’evangelo di Gesù Cristo, offro il mio servizio obbediente ed il mio affetto in Cristo.

Graziosi e amati signori, podestà, consiglio e assemblea comunale di Schwytz. Vostra Onorevole Sapienza potrebbe stupirsi del mio temerario comportamento, giacché ho avuto l’intraprendenza di ammaestrare un intero paese. Invero non è questo l’intendimento con cui l’ho fatto, bensì, come dice il savio Salomone: «Istruisci il savio e diventerà più savio che mai; ammaestra il giusto e accrescerà il suo sapere» (Proverbi 9:9). Ho ritenuto necessario farvi conoscere il mio pensiero affinché deliberiate ancor più diligentemente a partire da una proposta o indicazione. Perché in occasione di un triste evento o di una sciagura (come purtroppo vi è ora accaduto, e Dio voglia confortarvi nella vostra afflizione e proteggervi. Amen) nessuno è in grado di trovare da sé la soluzione migliore. Inoltre, una sì grande sofferenza potrebbe far sorgere fra voi tensioni e discordie con le quali, però, non si pone rimedio alla sciagura. Che Dio ne abbia pietà.

Mi rallegra grandemente sapere che ora, sospinti dalla Scrittura e dal consiglio di Dio, vorreste liberarvi da tutti i signori stranieri e guardarvi da essi in avvenire. Il grande affetto che ho avuto per voi sin dall’infanzia (perché sono nativo del contado di Toggenburg e quindi in parte tenuto ad aspettarmi qualcosa da voi) mi ha spinto a rivelare con trepidazione ciò che penso. Ed è questo: il problema non è che la sciagura di tali signori stranieri assuma dimensioni ancora più vaste, ma che ci convertiamo dai nostri errori finché è ancora possibile farlo liberamente, prima che l’infermità si estendaAltrimenti c’è da temere che i signori, non avendo potuto vincerci con la spada e l’alabarda, ci pieghino docilmente con l’oro. Dio ce ne guardi, e non ci privi giammai del suo consiglio e della sua sapienza. Anche per questo mi raccomando a Vostra Sapienza pregando di perdonare se, nella mia temerarietà, ho osato scrivervi.

L’ho fatto non per piacere a qualche signore, ma perché spinto dal timore di Dio e dall’amore verso l’onorevole Confederazione, che raccomando alla divina sapienza! Ho dovuto apprestare ogni cosa in tre giorni: concepire, scrivere e dare alla stampa, poiché ho appreso solo mercoledì scorso che la prossima assemblea si sarebbe tenuta domenica.

Dato a Zurigo, il giorno 16 maggio dell’anno 1522. Dio lo voglia!


Dio ha voluto creare l’uomo dalla polvere della terra, come è detto in Genesi 2:7, affinché (così mi sembra) la materia di cui egli è fatto lo renda umile e la terra, questa madre comune a tutti gli uomini, non permetta che i suoi figli si levino l’uno sull’altro e siano disuniti, ma si considerino generati e nutriti da una stessa madre. Parimente, se il Padre celeste ha voluto che tutti gli uomini discendano da un solo padre, Adamo, è stato unicamente in vista dell’unità. Altrimenti egli avrebbe potuto riempire in un istante il mondo intero di uomini, ovvero farli gettandosi dietro le spalle delle pietre, come Deucalione e Pirra, di cui hanno narrato i poeti. Inoltre Dio ha creato l’uomo a sua immagine (Gen. 1:27) affinché, allo stesso modo che le tre persone: Padre, Figlio e Spirito Santo sono un unico Dio e non può esservi in lui né divisione né discordia, anche gli uomini vivano una vita pacifica e unanime. Cristo ha pregato ardente mente il Padre celeste: «Padre santo, conservali nel tuo nome, essi che tu m'hai dati, affinché siano uno, come no'i'» (Giovanni 17:11).

Da tutto questo vedete che la divina sapienza ha voluto che regni l’unità non solo al principio della creazione, ma anche nella nuova nascita, che Cristo ci ha conferito, di modo che quand’anche la nascita carnale e l’origine naturale s’avverino impotenti a renderci uniti, pure lo diventiamo nella nascita spirituale e nel rinnovamento di un unico Spirito, un’unica fede, un unico battesimo, un unico Salvatore, Come dice S. Paolo agli Efesini 4:1-6: «'V'i esorto a condurvi in modo degno della vocazione che vi è stata rivolta, con ogni umiltà e mansuetudine, con longanimità, sopportandovi gli uni gli altri con amore, studiandovi di conservare l'unità dello Spirito col vincolo della pace. V'è un corpo unico ed un unico Spirito, come pure siete stati chiamati ad un'unica speranza, quella della vostra vocazione. V'è un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un Dio unico e Padre di tutti, che è sopra tutti, fra tutti ed in tutti». Qui tu senti che Dio, mediante il prigioniero Paolo, esorta con fervore all’unità e alla pace, perché siamo un corpo unico, il cui capo è Cristo, e un unico spirito o anima, in quanto siamo tutti sostenuti da un’unica speranza, cioè speriamo tutti in colui che ci ha chiamati, Cristo Gesù, vero Dio e vero uomo. Abbiamo un unico Signore, un’unica fede, un unico battesimo, un unico Dio, che è nostro Padre e dimora in noi mediante il suo Spirito”. Su questo ci sarebbe ancora molto da dire, ma preferiamo attenerci al nostro proposito.

Orbene, se noi cristiani siamo uniti da vincoli così potenti, per quale ragione esistono fra noi dissensi più gravi che fra i non credenti? E perché nella Confederazione, dove finora ha regnato l’amore fraterno, è sorta una discordia così grande a motivo dei signori stranieri? Risposta: ciò proviene dal fatto che si è estinta in noi la vera pietas, cioè la devozione, la vera adorazione e conoscenza di Dio, come scrive anche S. Paolo in Romani 1:28-31: «E siccome non si son curati di ritenere la conoscenza di Dio, Iddio li ha abbandonati ad una mente reproba, perché facessero le cose che sono sconvenienti, essendo essi ricolmi d'ogni ingiustizia, malvagità, cupidigia, malizia; pieni d'invidia, d'omicidio, di contesa, di frode, di malignità; delatori, maldicenti, abominevoli a Dio, insolenti, superbi, vanagloriosi, inventori di mali, disubbidienti ai genitori, insensati, senza fede nei patti, senza affezione naturale, spietat'i'». Queste sono le parole di Paolo dalle quali sentite chiaramente che questa ripugnante enumerazione di vizi proviene dall’abbandono di Dio, dal fatto che non lo conosciamo rettamente, che non ci volgiamo a lui né confidiamo interamente in lui, ma lo disprezziamo come un vecchio cane che sonnecchia. Per il momento tralascio di indicare chi sia il responsabile di questo totale abbandono di Dio. Ne parlerò in seguito.

Voi dunque, diletti, notate innanzi tutto che là dove sussistono i vizi menzionati significa che si è abbandonato Dio, di poi, notate che là dove si abbandona Dio e si confida in se stessi, questi vizi vengono appresso come una pena e un castigo della maledizione divina. E, per converso, Dio non fa cadere nel cumulo di vizi sopracitati chi si affida unicamente a lui, chi gli attribuisce ogni bene e ogni azione onorevole, chi stima che non vi sia cosa più eccellente della conoscenza e dell’amore di Dio. E quand’anche lo fa cadere, lo protegge, affinché la caduta non gli rechi danno. Cristo ce lo indica in Giovanni 15:9-10 dicendo: «Come il Padre mi ha amato, così anch'io ho amato voi; dimorate nel mio amore. Se osservate i miei comandamenti, dimorerete nel mio amore; com'io ho osservato i comandamenti del Padre mio, e dimoro nel suo amore». E Pietro, in 2 Pietro 1:10: «Poiché colui nel quale queste cose non si trovano, è cieco, ha la vista corta avendo dimenticato il purgamento dei suoi vecchi peccati. Perciò, fratelli, vie più studiatevi di render sicura la vostra vocazione ed elezione; perché, facendo queste cose, non inciamperete giammai» — si ponga mente al contesto di queste parole, che sarebbe troppo lungo da esporre. E 1 Giovanni 3:6: «Chiunque dimora in lui non pecca; chiunque pecca non l'ha veduto, né l'ha conosciuto». Che egli non permetta che la caduta ci rechi danno, lo prova la caduta di Pietro e di Davide, 2 Samuele 11,12, i quali, dopo la caduta, si sono entrambi umiliati profondamente cosicché, per il resto dei loro giorni, sono rimasti molto più giusti. Proprio questo scrive S. Paolo ai Romani 8:28: «Or noi sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali son chiamati secondo il suo proponimento». Così il rinnegamento di Pietro, l’adulterio e l’omicidio commesso da Davide contro Bath-Sheba e Uria hanno condotto al pentimento e al ravvedimento.

Sono invece del tutto reprobi coloro che, ai giorni nostri, non vogliono riconoscere che Dio ci ha volto le spalle a motivo dei nostri misfatti. Non riconoscono né la moltitudine dei vizi (talmente abbondanti oggigiorno che, nelle sopracitate parole, Paolo non ne elenca alcuno che non sia qui presente), né le sciagure materiali e l’ignominia. Pertanto penso questo: i nostri padri hanno vinto i loro nemici e si sono affrancati unicamente per mezzo della divina potenza, hanno sempre attribuito fedelmente a Dio tali gesta, con grande riconoscenza e amore; essi non sono stati da meno dei figli d’Israele che, dopo la liberazione da Faraone e il passaggio del Mar Rosso, hanno cantato a Dio lodandolo: «Io canterò all'Eterno, perché si è sommamente esaltato; ha precipitato in mare cavallo e cavaliere. L'Eterno è la mia forza e l'oggetto del mio cantico; egli è stato la mia salvezza. Questo è il mio Dio, io lo glorificherò; è l'Iddio di mio padre, io lo esalterò» (Esodo 15:1-2). Inoltre i nostri padri non hanno ucciso per denaro, ma hanno combattuto unicamente per la libertà, affinché né essi, né le mogli, né i figli fossero sottoposti miseramente ai soprusi della proterva nobiltà. Una tale libertà è accettevole a Dio che l’ha provato conducendo i figli d’Israele fuori d’Egitto dov’erano trattati spietatamente e ignominiosamente dagli Egiziani e dal loro re. Leggi il libro dell’Esodo. Così, anche in seguito, quando hanno gridato per avere un re, Dio li ha istruiti circa l’abuso di potere dei re, I Sam. 8:10-23, mettendoli chiaramente in guardia da questo tipo di governo. Anche S. Paolo ne conviene: «Se puoi divenir libero è meglio valerti dell'opportunità» (1 Corinzi 7:21).

Pertanto Dio li ha ricolmati di vittorie, di onori e di beni tanto evidentemente e frequentemente che nessun signore è stato mai così forte da vincerli. Questa, senza dubbio, non è stata la capacità umana, ma la potenza divina e la grazia. Sì, quando hanno difeso la loro patria e la libertà come a Morgarten, Sempach, Nafels nel territorio di Glarona, dove in un solo giorno quattrocentocinquanta uomini hanno attaccato undici volte quindicimila uomini e alla fine li hanno sgominati. Anche voi, pii confederati di Schwytz, allora avete mandato trenta uomini. Vi sono ancora molti altri luoghi dove hanno combattu to e dai quali sono ritornati a casa con esultanza e onore e per di più, per quasi duecento anni, sono stati tranquilli e senza mole stie.

Ora, invece, abbiamo cominciato a provare compiacimento di noi stessi e stimarci capaci di quello che appartiene solo a Dio, come purtroppo avviene spesso ad ogni uomo. Dopo essersi impinguato e ingrassato con ricchezze terrene e onori, si impunta contro Dio e recalcitra (Deuteronomio 32:15 e Salmo 52:7):

«Ecco l’uomo che non ha fatto di Dio la sua salvezza, ma confida nell’abbondanza delle sue ricchezze e si fa forte della sua vanità», cioè del suo orgoglio e della sua gloria. Certo, egli non è che vanità; dietro di noi non si trova niente di giusto, né di forte, né di buono. Eppure noi, miseri uomini, pensiamo solo a mostrarci a testa alta, e questo è del tutto sgradevole a Dio e insopportabile, come appare da 2 Samuele 24:1ss: Davide ha fatto fare il censimento dei figli d’Israele per conoscere la sua potenza, ossia il numero e la forza degli uomini. È evidente che ha arrogato a sé tale potenza e ha confidato nel numero del suo popolo. Ma l’ira di Dio si è accesa contro di lui e gli ha inviato tre grandi piaghe, 2 Samuele 24:11 ss. fra le quali egli ha dovuto sceglierne una come punizione per aver fatto il censimento del popolo. Delle tre ha scelto la peste sperando che colpisse anche lui. Ecco, l’uomo amato da Dio si è esaltato e ha voluto censire il suo regno; è un segno che amava conoscere la sua potenza, che non è sua, ma di Dio. Per questo motivo è stato punito severamente. Di certo deve essersi rammentato delle parole di Mosè, Deuteronomio 32:30: «Come potrebbe un solo inseguirne mille, e due metterne in fuga diecimila, se la Ròcca loro non li avesse venduti, se l'Eterno non li avesse dati in man del nemico?».

Perché, allora, Dio non dovrebbe far piombare anche su di noi ignominia e sciagura dal momento che esaltiamo il nostro nome con tale albagia? Diciamo: siamo noi che abbiamo fatto questo, che vogliamo e potremmo fare questo, nessuno può resisterci. Ci comportiamo come se avessimo stabilito un patto con la morte e con l’inferno, Isaia 28:15: «Voi dite: 'Noi abbiam fatto alleanza con la morte, abbiam fermato un patto col soggiorno de' morti; quando l'inondante flagello passerà, non giungerà fino a noi, perché abbiam fatto della menzogna il nostro rifugio e ci siam messi al sicuro dietro la frode»; come se fossimo forti come il ferro e gli altri uomini molli come una zucca; come se nessuno potesse nuocerci, simili a quei prodi che, per proteggersi dal diluvio, hanno edificato la gigantesca torre di Babele, Genesi 11:1-9. Certo, non è l’orgoglio che egli ci largisce! Se attende già da lungo tempo è solo perché possiamo ravvederci. Se non lo facciamo avverrà di noi come per Sodoma e Gomorra, come per gli uomini che non si sono ravveduti finché è giunto il diluvio, come insegna S. Pietro nella seconda epistola, 2 Pietro 2:4ss.

Purtroppo è da tempo ormai che parecchi di noi, in modo inconsiderato e dimentichi di sé stessi e di Dio, si sono lasciati condurre dai propri desideri, sicché il diavolo, il nemico d’ogni giusto, ha fatto rizzare il serpente come al principio della crea zione, che nel nostro tempo sono i signori stranieri, per parlarci così: «O uomini forti e prodi non restate sul vostro suolo e sui vostri monti. Che ve ne fate di questa terra scabra? Arricchitevi al nostro soldo; vi frutterà fama e beni, e la vostra forza sarà nota e temuta dagli uomini». Il diavolo ha parlato ad Èva proprio in questo modo per mezzo del serpente: «Sarete come Dio». Contro tali promesse ci mette in guardia Salomone: «Con la sua bocca l'ipocrita rovina il suo prossimo, ma i giusti sono liberati dalla loro perspicacia» (Proverbi 11:9). E Cristo dice anche: «Voi li riconoscerete dai loro frutti. Si colgon forse delle uve dalle spine, o dei fichi dai triboli?» (Matteo 7:16). È come se dicesse: si attaccano solo a quelli da cui sanno di poter trarre ancor più utilità. Così si sono condotti nei confronti dell’ingenua Confederazione. Per ottenere il proprio vantaggio ci hanno trascinato in tali bricconerie e cattiverie che, dimentichi della patria, abbiamo più cura di preservare le loro ricchezze e il loro potere anziché le nostre case, mogli, figli (ma tu, uomo giusto, non affliggerti per questo). Tutto questo sarebbe un’inezia se, oltre a ciò, non dovessimo patire ignominia e sciagura. A memo ria d’uomo, abbiamo subito perdite più ingenti a Napoli, Novara, Milano che da quando è esistita la Confederazione; e mentre nelle nostre guerre siamo stati sempre vittoriosi, in quelle altrui siamo stati spesso perdenti.

C’è il sospetto che tutto ciò sia istigato da coloro che hanno mirato al proprio interesse più che a quello comune; e però la sciagura piomba sulla collettività, anzi cupidigia, lussuria, malizia, disobbedienza crescono rigogliosamente da un giorno all’altro. Allora, prendiamo un altro atteggiamento, apriamo gli occhi e cerchiamo di scongiurare i pericoli che ci sovrastano.

Il primo e il più grave di questi pericoli è che in tal modo si accumuli l’ira di Dio sopra di noi, come è indicato in Michea 2:8-9: «Ma da qualche tempo il mio popolo insorge come un nemico; voi portate via il mantello di sopra alla veste a quelli che passan tranquillamente, che tornano dalla guerra. Voi cacciate le donne del mio popolo dalle case che son la loro delizia; voi rapite per sempre la mia gloria ai loro figliuoletti». Le parole con le quali il profeta mostra l’ingiustizia della guerra e susseguentemente la minaccia dell’ira di Dio sono chiare a sufficienza. Inoltre ognuno deve riflettere sulla perfidia della guerra a livello personale, se cioè si agisse contro di lui come egli agisce contro gli altri. Ecco, un soldato straniero invade il tuo paese con la forza, devasta i tuoi prati, i campi, le vigne, disperde i tuoi buoi e il tuo bestiame, ammucchia tutte le suppellettili e le porta via, uccide i tuoi figli che tentano la loro e la tua difesa, violenta e disonora le tue figlie, scaccia a calci la tua cara moglie che gli si era gettata ai piedi per implorare misericordia per te e per se stessa, snida dal tuo nascondiglio te, bravo e vecchio soldato, costretto dalla paura a nasconderti nella tua stessa casa, e ti trucida miseramente in presenza di tua moglie senza avere alcun riguardo per la tua venerabile età né del dolore e dei gemiti della tua pia donna, e per completare l’opera, mette a fuoco la casa e la fattoria. Allora tu pensi: se il cielo non si apre e vomita fuoco, se la terra non si squarcia e inghiotte il malvagio, non c’è Dio. Ma se tu agisci allo stesso modo con gli altri, pensi: è la legge della guerra! Ed ora dimmi: cosa significa essere un soldato coraggioso, se queste sono le azioni di guerra? E questo lo ha pure inteso Euripide, un poeta greco, quando afferma in Ecuba: «In guerra è considerato vile colui che non fa il male, che considera l’uomo più di una rana». Purtroppo sono molti quelli che in tal modo accumulano grandi ricchezze senza temere l’ira di Dio, che pure pronuncia minacciose parole contro di loro: «Guai a quelli che aggiungono casa a casa» (Isaia 5:8) — cioè acquistano pagando i vecchi debiti con i nuovi —, «che uniscono campo a campo finché non rimanga più spazio. Reste rete voi soli ad abitare in mezzo al paese? Ecco quello che io sto per fare: la mia ira non cesserà finché queste case numerose saranno desolate e saranno private di abitanti».

E neppure ci deve indurre in errore l’obiezione di chi afferma: la guerra è un castigo di Dio, quindi ci deve sempre essere qualcuno che guerreggia contro un altro; del resto, anche nell’Antico Testamento si faceva guerra. Risposta alla prima obiezione: ascolta le parole di Cristo, “Guai al mondo per gli scandali! Poiché, ben è necessario che avvengan degli scandali; ma guai all'uomo per cui lo scandalo avviene!” (Matteo 18:7). Cioè, siccome taluni meritano l’ira di Dio, Dio li punisce mediante la guerra. Ma guai a colui che fa loro guerra. Dio punisce i malvagi per mezzo dei malvagi, come puoi appren dere da Ezechiele 29:17-21: Dio ha punito la città di Tiro per mezzo di Nebucadnetsar, dipoi ha punito anche gli stessi Babilonesi, i quali, a loro volta, avevano punito i figli d’Israele con la prigio nia e la deportazione, ancora oggi chiamata cattività babilonese. Questo è avvenuto per volontà di Dio, come è scritto in Geremia 51:1-5: «Così parla l'Eterno: Ecco, io faccio levare contro Babilonia e contro gli abitanti di questo paese, ch'è il cuore de' miei nemici, un vento distruttore. E mando contro Babilonia degli stranieri che la ventoleranno, e vuoteranno il suo paese; poiché, nel giorno della calamità, piomberanno su di lei da tutte le parti. Tenda l'arciere il suo arco contro chi tende l'arco, e contro chi s'erge fieramente nella sua corazza! Non risparmiate i suoi giovani, votate allo sterminio tutto il suo esercito! Cadano uccisi nel paese de' Caldei, crivellati di ferite per le vie di Babilonia! Poiché Israele e Giuda non son vedovati del loro Dio, dell'Eterno degli eserciti; e il paese de' Caldei è pieno di colpe contro il Santo d'Israele». Ecco, come egli dà la vittoria, così anche la riprende allorché vogliamo impossessarcene o abusarne. Non c’è mai stato popolo né regno che, essendo assurto con la guerra, non sia andato anche in rovina con la guerra. Lo attestano il popolo d’Israele, gli Spartani, gli Ateniesi, i Persiani, i Macedoni, gli Assiri, i Medi e i Romani, il cui impero è stato il più ricco e il più forte di tutti. Eppure in cosa differiscono ora dai vinti? Nel fatto che i popoli che sono sempre stati vinti, ora potrebbero facilmente sottometterli.

Risposta alla seconda obiezione: i figli d’Israele o hanno combattuto contro popoli peccatori che hanno impedito loro di entrare nella terra promessa, oppure contro altri che li assalivano una volta che vi si sono stanziati. Tutto questo ha un significato allegorico: si riferisce alla guerra spirituale che noi, che in Cristo siamo rinati e siamo degli uomini nuovi, ora dobbiamo combattere contro i vizi e l’incredulità. Lo indica S. Paolo in 1 Corinzi 10:1: «Or queste cose avvennero loro per servire d'esempio, e sono state scritte per ammonizione di noi, che ci troviamo agli ultimi termini dei tempi». Detto altrimenti: essi sono stati uno strumento di Dio per punire i malvagi. Ma non pertanto sono giusti. È Dio che può mutare il male in bene. Sicché spero che, anche nella sciagura presente, egli faccia in modo che ci ravvediamo. È necessario usare la verga quando le parole non giovano; e se non giova la verga, si finisce assai spesso con l’imbattersi nel giustiziere. Quando Dio punisce, c’è ancora la speranza della grazia, come indica Salomone, Proverbi 3:11-12, Se diciamo di temerlo e di conoscerlo, siamo bugiardi, poiché egli non si compiace di tale arroganza, orgoglio, guerre, come sta scritto nel Salmo 147:10-11: «Egli non si compiace della forza del cavallo, non prende piacere nelle gambe dell'uomo. L'Eterno prende piacere in quelli che lo temono, in quelli che sperano nella sua benignità». D’altra parte egli pronuncia parole di minaccia anche contro quelli che riten gono di far dipendere ogni cosa dal proprio consiglio o piano, Isaia 8:9-10: «Mandate pur gridi di guerra, o popoli; sarete frantumati! prestate orecchio, o voi tutti di paesi lontani! Preparatevi pure alla lotta; sarete frantumati! Fate pure de' piani, e saranno sventati! Dite pur la parola, e rimarrà senza effetto, perché Dio è con no». Stimma summarum, non c’è sapienza, né intelligenza, né consiglio che valga contro Dio (Proverbi 21:30). Si è detto abbastanza del primo pericolo, ovvero del fatto che, facendo la guerra e seguendo il proprio consiglio, l’uomo pecca grandemente contro Dio e non è più in grado di progredire, ma può solo attirare su di sé l’ira di Dio, accompagnata da una cospicua dose di infamia, sciagura e ignominia.

L’altro pericolo che incombe su di noi a causa dei signori e delle loro guerre è che venga soffocata la giustizia comune, come dice già un antico detto: «Legessileni inter arma», che significa: quando le armi hanno il sopravvento, le leggi devono tacere. Anche l’espressione «diritto di guerra» non indica altro che violenza. Usala come vuoi e ponderala quanto vuoi, non è altro che violenza. Ma si obietta: «Bisogna costringere con la forza e con le armi chi rifiuta di obbedire e di sottomettersi spontaneamente alla legge». Risposta: siccome l’obiezione che tu sollevi è di natura materiale, ti risponderò secondo i criteri della saggezza umana. Cioè dico che, se per mezzo della guerra si colpisse solo costoro, o si costringesse all’obbedienza chi rifiuta di obbedire, allora le cose potrebbero andare. Ma che cosa rispondi quando ricevi denaro e aiuti un signore straniero a saccheggiare con violenza un paese innocente, a impadronirsene, a devastarlo? Anzi, talvolta aiuti signori ai quali non si addice affatto la guerra, come vescovi, papi, abati ed altri ecclesiastici, solo per ricavarne denaro? Se poi dobbiamo parlare di questo problema da un punto di vista cristiano, in nessun modo ci si addice la guerra. Secondo l’insegnamento di Cristo dobbiamo pregare per quelli che ci disprezzano e perseguitano, e offrire l’altra guancia a chi ci ha schiaffeggiato (Matteo 5:39,44-45). È tutto su questo punto.

Inoltre i signori nuocciono alla giustizia comune perché i loro doni accecano la ragione e la pietà dell’uomo per quanto saggio egli sia, come insegna Mosè in Deuteronomio 16:19: «Non pervertirai il diritto, non avrai riguardi personali, e non accetterai donativi, perché il donativo acceca gli occhi de' savi e corrompe le parole de' giusti». Ahimè, che cosa può venirci in mente? Senza dubbio tanti nostri uomini capaci e probi che sono stati accecati. Essi applicano tutta la propria eloquenza, ragione e senno per promuovere gli interessi e fare l’elogio di un signore in modo che i semplici, per mezzo delle loro dolci ma pericolose parole, siano indotti a seguire la loro opinio ne. C’è anche il sospetto che una gran parte di costoro si dia man forte e si protegga in tribunale, in consiglio e nell’assemblea comunale. In tal modo un procedimento limpido e giusto talvol ta finisce col diventare torbido e falso. Di fronte a questo, Isaia proferisce parole di minaccia, «Guai a quelli che chiaman bene il male, e male il bene, che mutan le tenebre in luce e la luce in tenebre, che mutan l'amaro in dolce e il dolce in amaro!» (Isaia 5:20). Infatti essi dicono: «Bisogna che abbiamo dei signori, siamo un piccolo popolo, la nostra terra è scabra». È vero, se non ci si vuole accontentare di cibo e vestiario modesto, bisogna procurarselo altrove. Ma se nessuno facesse il passo più lungo della gamba, questo ragionamento sarebbe inutile. Poiché l’imperatore Giulio, dopo aver vinto gli Elvezi (la maggior parte dei quali è nella Confederazione), ha ordinato loro di ricostruire il paese per renderlo produttivo. Come è avvenuto che ora non è più produttivo mentre lo è stato mille e seicento anni fa? È tanto produttivo, bello, popolato di gente intrepida che nessun paese della terra può stargli a confronto, ed è produttivo a sufficienza per nutrirla, se solo sapessimo accon tentarci. Il denaro dei signori ci acceca a tal punto che teniamo in poco conto la perdita della nostra stessa carne e sangue e pensia mo solo a servire i signori; anche l’amministrazione della cosa pubblica è tenuta in poco conto, sicché cresce la disobbedienza e non si dà più alcun valore all’autorità. Così, col tempo, viene meno ogni protezione per chi fa il bene e ogni punizione per chi fa il male. Ne consegue che, col tempo, i mercenari metteranno sotto il proprio dominio l’autorità e la tratteranno con asprezza, secondo il proprio arbitrio. Inoltre ci costringeranno a credere che non abbiamo alcun obbligo, mentre diranno che l’abbiamo; ci accecheranno così da non poter riconoscere il nostro bene comune, né poter giudicare ciò che è vantaggioso e ciò che è legale e di attenervisi. Mi spiego con un esempio: un signore tratta pubblicamente con un consiglio o un’assemblea comunale, e siccome non sono ammessi né compensi né doni, egli raggiunge il suo intento distribuendo segretamente dei doni. Se si viene a conoscenza di questi suoi doni e si scopre la frode e l’inganno, non solo non si è obbligati nei suoi confronti, ma ci si può anche rivalere legalmente su di lui per tale frode. E non stupirti se trovi degli emissari del papa che sono coinvolti in questa accusa. E anche se il papa in persona agisse così, non si ha alcun obbligo nei suoi confronti! Leggi de fraude, de falsariis, de proditione e troverai prove a sufficienza nel suo stesso diritto e fra i suoi stessi scrittori. A questo proposito, Vostra Giustizia riconoscerà che il mio rilievo era giusto, sebbene sia stato stra volto, quando in passato ho affermato: vorrei che si rompesse l’accordo con il papa e che si incaricasse il legato di riportarselo.

Questa è sembrata a tutti un’affermazione ingiusta. Ma l’ho fatta per il motivo summenzionato, perché sapevo che il papa aveva elargito segretamente delle pensioni e pertanto non esisteva alcun obbligo nei suoi confronti. Lo stesso vale per qualsiasi altro signore. Se si scopre che ha operato con frode, gli si deve tanto quanto i Romani dovevano a Giugurta. Questi, mentre era a Roma, si diede così tanto da fare con i doni perché non si badasse all’assassinio del proprio fratello che, fuggendo da Roma, si vantò dicendo: «O città venale, venderesti te stessa, se trovassi un compratore!». Così anche avrebbe fatto se l’integer rimo e avveduto Metello Numidico non l’avesse vinto e non gli avesse inflitto a più riprese delle gravi perdite. Questa è la mercede per aver operato con sì gran frode contro Roma con il suo denaro. Alla fine egli è caduto nelle mani dei Romani. Come, secondo il detto, la frode colpisce il proprio signore e lo rimunera, così è punito chi osa agire davanti in un modo e alle spalle in un altro e si beffa della giustizia.

Il terzo pericolo è che con il denaro straniero e con la guerra si apprendano e si inculchino cattivi costumi. Vediamo chiaramente che i nostri non hanno mai fatto ritorno da guerre straniere senza aver portato con sé qualcosa di nuovo: vestiti per sé e le proprie donne, cibi, bevande eccitanti, nuovi giuramenti.

L’ultimo pericolo da temere è che, alla fine, si cada nelle mani dei signori, sia di coloro che ci sono amici sia di coloro che ci sono nemici. Non c’è forse da sgomentarsi dal momento che l’arroganza, la mollezza, l’invidia e la discordia sono così forti? Anche nel caso che ci misurassero con la misura con la quale abbiamo misurato, non avremmo lacrime a sufficienza per pian gere la nostra sciagura, solamente potremmo ripetere con il profeta Geremia 9:1: «Oh fosse pur la mia testa mutata in acqua, e fosser gli occhi miei una fonte di lacrime! Io piangerei giorno e notte gli uccisi della figliuola del mio popolo!». Accadrebbe anche a noi quello che è accaduto al popolo d’Israele che non si è curato di nessun ammonimento finché è stato condotto in cattività e, seduto presso i rivi di Babilonia, ha pianto segreta mente sulla propria disgrazia (Salmo 137:1). Il Signore ci guardi da questo.

Pertanto, pii, savi, fedeli, cari e onorevoli abitanti di Schwytz, per la passione e la redenzione di Gesù Cristo nostro Signore, per l’onore che l’iddio Onnipotente ha sempre manifestato ai nostri pii padri, per le tribolazioni e le afflizioni che hanno patito a motivo della nostra libertà, vi esorto: guardatevi dal denaro dei signori stranieri perché ci distruggerà. Fatelo, mentre è ancora possibile. Non date ascolto a coloro che dicono: «non può succedere nulla, si sta ancora bene nella Confederazione; l’indignazione che traspare fra noi è solo un dissenso come spesso avviene fra due sposi o tra fratelli e non è un’inimicizia profonda; inoltre la nostra gente non è mai stata così vigorosa. Dio la protegga!». È possibile decidere la controversia adoprandosi con fiducia ed energia. Per questo avete il sostegno della nostra pia gente di Zurigo, città e territori, nei cui confronti nutro la ferma speranza che in futuro non siano dominati da alcun signore, né che concludano con essi un qualche accordo su questa perniciosa faccenda, né che si alleino. Dio li confermi nella buona opera. Avete inoltre il sostegno dei vostri pii alleati che sono del tutto contrafi ad accogliere i signori stranieri. Se anche voi percorrere te le orme dei nostri pii padri, non ho alcun dubbio che l’intera Confederazione vi seguirà. Se non mutiamo tali costumi, temo che dovremo pagarne il fio, anzi oso dire, citando le parole di Cristo: «Pensate voi che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei perché hanno sofferto tali cose? No, vi dico; ma se non vi ravvedete, tutti similmente perirete» (Luca 13:1-3), Gesù, quando gli è stato riferito che Pilato aveva fatto uccidere alcuni uomini mentre stavano offren do sacrifici, ha risposto: «Pensate che quei Galilei uccisi fossero più peccatori degli altri? No, vi dico, ma se non vi ravvedete, tutti similmente perirete». Pensandoci su, che cosa possiamo sperare se non che Cristo ci concede di sopravvivere, che egli non attri buisce a noi la colpa, ma che vi è un numero più grande di colpevoli? Pertanto dobbiamo ravvederci. Se Cristo per chiamare al ravvedimento le genti ha preso un esempio da un popolo straniero, ancor più dobbiamo ravvederci noi che siamo esortati dalla sciagura della nostra propria gente. Altrimenti si avvererà la parola: «Se non vi ravvedete, tutti similmente perirete».

Non rattristatevi per la perdita delle ricchezze. È una misera ricchezza, se per essa si deve morire. Tale ricchezza non è altro che vischio, si è adescati come gli uccelli. E anche se dovesse cessare l’aiuto straniero, non abbiate timore, ma ripetete con S. Paolo in Romani 8:31: «Se Dio è per noi,' chi sarà contro di noi?», come hanno fatto i nostri padri che possedevano ancor meno di quanto possediamo oggi! Le fortificazioni di Arth e di Nafels sono superflue, il Reno è la fortificazione. Ma anche questo è inutile, se Dio protegge il suo popolo. Egli promette, però, di volerlo preservare mediante la sua compassione, Osea 1:7: «Ma avrò compassione della casa di Giuda; li salverò mediante l'Eterno, il loro Dio; non li salverò mediante arco, né spada, né battaglia, né cavalli, né cavalieri».

Rammentatevi degli inizi della Confederazione, non è forse Dio che ha soccorso in tal modo i nostri padri nella loro inesperienza? Allo stesso tempo ha anche promesso ai figli d’Israele in Levitico 26:3 ss.]: «Se osservate i miei comandamenti e li mettete in pratica ecc., vi darò la pace. Voi inseguirete i vostri nemici ed essi cadranno dinanzi a voi. Cinque di voi ne inseguiranno cento, cento di voi ne inseguiranno diecimila ecc. Ma se non mi date ascolto e non mettete in pratica i miei comandamenti, volgerò la mia faccia contro di voi, e sarete sconfitti dai vostri nemici, quelli che vi odiano vi domineranno, e vi darete alla fuga senza che alcuno vi insegua». Vedete ciò che promette e ciò che minaccia? Sicuramente lo manterrà, poiché non può mentire. Se non lo seguiamo, se non ascoltiamo i suoi ammonimenti calmi e pacati, ci vergogneremo nell’anima nostra per la nostra superbia. Pertanto tutti coloro che sono pii invochino ardentemente Dio, onde egli ci esaudisca e ci faccia ravvedere. Non importa se l’opposizione è grande, Dio è potente più di tutti loro. Se soltanto non cessiamo di invocarlo con ferventi preghiere, egli ci donerà di buon grado il giusto senno e la ragione e ci convertirà dal male al bene. Questo fa Dio. Amen.

Guàrdati, o Schwytz, dai signori stranieri; è al disonore che essi ti conducono.

Note

  • 1Cfr. Gottfried W. Locher, Die Zwinglische Reformation in Rahmen der europeischen Kirchengeschichte, Zuerich und Goettingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1979, pp. 22-30.
  • 2Jacques Pirenne, Les grands courants de l'Histoire universelle, Neuchàtel, 1944- 1956, 7 voi., voi. Il, p. 421, ha calcolato che v’erano circa ventimila svizzeri al servizio del re di Francia e altri sessantamila al servizio di altri signori stranieri. L’ammontare annuo del soldo dei mercenari svizzeri al servizio del re di Francia era di circa quattro milioni di fiorini, l’equivalente, cioè, del valore totale delle esportazioni dei Paesi Bassi verso la Francia.
  • 3Ernst Gagliardi, Der Anteil der Schweizer an den italienisschen Kriegen 1494-1516, vol. 1. Zuerich, 1919, pp. 549-567.
  • 4Gottfried W. Locher, op. cit., pp. 42-54.
  • 5Cfr. Z 1,70.
  • 6Emil Egli, Aktensammlung zur Geschichie der Zurcher Reformation in den Jahren 1519-1533, Zuerich, 1879 (rist. Aalen, 1973), n. 167, 169, 170.
  • 7In effetti il Consiglio non ripudiò la posizione assunta alla Dieta di Lucerna. Era rispettoso del trattato stipulato nel 1515 con la Santa Sede al quale il legato Ennio Filonardi e il cardinale Schiner non mancarono di fare riferimento. Nell’accogliere la richiesta di invio di truppe zurighesi, il Consiglio comunque pose come condizione che esse fossero impiegate unicamente in funzione difensiva e non per fare guerra ai francesi.
  • 8Heinrich Bullinger, Reformationsgeschichte nach dem Autographon, a cura di J.J. Hotlinger e H.H. Voegeli, voi. 1, Frauenfeld, 1838, p. 51; cfr. anche Z 1, 73. 9 Cfr. Egli, Aktensammlung, n. 215.
  • 9Tra questi il Landammann di Schwyz, Martin Ibech e il Landschreiber (= cancelliere) Balthasar Stapfer. Quest’ultimo, in una lettera a Zwingli del 19 ottobre del ’22, dichiarava di aver aderito alla «dottrina evangelica», Z VIII, 599.
  • 10Sulle origini, sui primi sviluppi e sul significato dell'introduzione dell’artiglieria in Europa, cfr. Carlo M. Cipolla, Vele e cannoni, Bologna, 1983.
  • 11Oltre allo Ibech e allo Stapfer, certamente anche Balthasar Trachsel, pastore di Arth am Zugersee, cfr. Z I, 351.
  • 12Cfr. la lettera di Berchtold Haller, il riformatore di Berna, a Zwingli dell’8 luglio 1522. «Libellus ille tuus profecto Christianus ad Suitenses apud nos male audìt, mimo pessime», Z VII, 533, 13 ss.
  • 13Cfr. Amtliche Sammlung der aelteren eidgenossischen Abschiede, voi. IV I a, (1521- 1528), a cura di Johannes Strickler, Brugg, 1873, pp. 193 ss.