Liturgie/Articoli/Il principio regolatore del culto

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Il principio regolatore del culto

Elementi e circostanze

Il principio regolatore del culto, riscoperto dalla pratica dell’antica Chiesa del Nuovo Testamento dai Riformatori protestanti, e distintamente formulato dagli autori dei Canoni di Westminster, afferma che: “Qualunque cosa NON È comandata dalla Scrittura è proibita”. Questo principio di pone in diretta opposizione alla concezione che afferma: “Qualunque cosa non è proibita dalla Scrittura è consentita”. Quest’ultima concezione è stata, e continua ad essere, quella della Chiesa cattolica - romana, ma pure in maggiore o minor grado, da molte denominazioni protestanti. È particolarmente scoraggiante, inoltre, trovare come la maggior parte dei raggruppamenti riformati e presbiteriani del nostro tempo si siano allontanati da questo principio, benché fosse ritenuto importante dai loro stessi fondatori (le pratiche cultuali delle diverse chiese cristiane, infatti, oggi danno l'impressione solo di un grande caos).

La Scrittura afferma questo principio in questo modo: “Non aggiungerete nulla a quanto vi comando e non toglierete nulla, ma impegnatevi ad osservare i comandamenti dell’Eterno, il vostro DIO, che io vi prescrivo” (De. 4:2). Esso viene ripetuto in De. 12:32 nel contesto più ristretto dei comandamenti di Dio al riguardo dell’erezione del tabernacolo, i suoi arredi, e le cerimonie che vi si dovevano eseguire1.

Questo saggio, che espone il principio regolatore del culto, si focalizza sull’introduzione di immagini e di altri oggetti e decorazioni non essenziali al culto, come pure sull’introduzione deliberata di figurazioni architettoniche simboliche per i locali di culto, le quali si caratterizzano come aggiunte a ciò che Dio ha comandato. Altre applicazioni di questo principio non potranno che essere qui menzionate solo brevemente, ma per questo non se ne dovrà dedurre che siano di minore importanza per il culto di Dio. La sostanza della questione è questa: il culto che a Dio è dovuto, e che Dio richiese ad Israele, era un “pacchetto onnicomprensivo”, ed includeva non solo le cerimonie e le feste prescritte, ma anche tutte le strutture, figure, arredi, utensili, costumi e decorazioni necessarie. L’unità organica e la continuità della Scrittura, insieme ad ogni cosa che da essa si possa legittimamente dedurre, esige che questo principio sia considerato di validità permanente per quanto riguarda il culto che a Dio rende il Suo popolo, valido ieri, come valido oggi, e come sarà valido domani.

La sufficienza della Scrittura

Il fondamento scritturale su cui si appoggia il principio regolatore del culto, si trova il 2 Timoteo 3:16, laddove si afferma che l’ispirata Parola di Dio è adeguata e sufficiente per regolare ogni cosa, dalla dottrina alla vita che Dio considera conforme a giustizia. La sufficienza della Scrittura, poi, è unita inseparabilmente alla sufficienza di Cristo come nostro Profeta, Sacerdote, e Re, nel quale sono contenuti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza (Cl. 2:30). Possedendo Cristo e la Sua Parola ispirata, la Bibbia, i credenti non hanno bisogno alcuno di vane filosofie e tradizioni (Cl. 2:8) come pure di espressioni religiose scelte secondo i propri gusti, desideri, ed esigenze (Cl. 2:22).

Inoltre le Scritture ci ammoniscono ripetutamente a non ragionare secondo “quello che ci sembra” più giusto ed opportuno, al nostro intendimento e sapienza, ma di attenerci solo alla sapienza rivelata di Dio (Pr. 3:5; 28:26; Is. 47:10; 65:2; De. 4:5; Is. 55:8,9; 1 Co. 2:5,13).

La Confessione di fede di Westminster, capitolo 1, sezione 6, dice: “L’intero consiglio di Dio al riguardo di tutto ciò che è necessario per dargli gloria, per salvare l’essere umano, e per impartirgli fede e vita, o viene esplicitamente espresso dal testo biblico, o essere dedotto come conseguenza buona e necessaria dalla Scrittura”. Solo la Scrittura! Tutta la Scrittura!

Che cos’è il culto?

In primo luogo il culto è avere concezioni corrette sul carattere e sull’opera di Dio, espresse in modo adatto come atto di devozione della propria anima, presentate a Dio in Sua presenza, e rivolte a Lui personalmente nel nome del Suo Figlio, nostro Signore e Salvatore, il solo Mediatore fra Dio e il Suo popolo eletto, la Chiesa. Al cuore stesso del culto sta il santo timore e rispetto religioso di Dio, e quando questo declina nel cuore del Suo popolo, pure diminuisce in proporzione la purezza del culto. Inoltre, il CONTENUTO del culto offerto dalla Chiesa, deve essere governato solo dalla Parola di Dio, le Scritture dell’Antico e del Nuovo Testamento, di cui diremo maggiormente più avanti. I molti elementi del culto nel Nuovo Testamento che sono attinti dall’Antico, le pratiche degli Apostoli ispirati, come pure ciò che Dio ha autorizzato come poteri legislativi legittimi della Chiesa nel Nuovo Testamento, sono elencati al termine di questa discussione.

La religiosità volontariamente scelta

Se dunque siete morti con Cristo agli elementi del mondo, perché vi sottoponete a dei precetti come se viveste nel mondo, quali: «Non toccare, non assaggiare, non maneggiare», tutte cose che periscono con l’uso, secondo i comandamenti e le dottrine degli uomini? Queste cose hanno sì qualche apparenza di sapienza nella religiosità volontariamente scelta, nella falsa umiltà e nel trattamento duro del corpo, ma non hanno alcun valore contro le intemperanze carnali” (Cl. 2:20-23).

Paolo, nel trattare di un ampio raggio di pratiche di culto non autorizzate praticate nella Chiesa di Colosse, conia una parola che la versione Nuova Diodati rende con “religiosità volontariamente scelta” o “culto volontario” (Riv.)2. Eodie, nel suo commentario a questo brano, la definisce come: “un culto non prescritto da Dio, ma che sorge dall’umana inventiva… devozione non autorizzata”. Per dirla in modo semplice, l’uomo introduce qualcosa nel culto di sua propria iniziativa, qualcosa che Dio non ha comandato. Così facendo si esalta la propria volontà al di sopra di quella di Dio… pretende di avere le prerogative di Dio nel culto, anche se solo in modo limitato… e naturalmente questa pretesa, questa brama, è idolatria (Cl. 3:5). La religiosità volontaria, quindi, è idolatria, una violazione del secondo comandamento.

Il secondo comandamento

Non ti farai scultura alcuna né immagine alcuna delle cose che sono lassù nei cieli o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non le servirai, perché io, l’Eterno, il tuo DIO, sono un Dio geloso che punisco l’iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano, ma uso benignità a migliaia verso quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti” (De. 5:8-10; cfr. Es. 20:4-6).

Come d’altronde ogni altro comandamento, anche il secondo estende la portata di ciò che afferma ben oltre al caso specificatamente citato fino ad includere altri aspetti connessi trattati dalla Bibbia stessa in altri luoghi. Questa estensione di significato è detta sineddoche3, figura retorica che, appunto, estende l’affermazione oltre la manifattura letterale di sculture e immagini fino ad includere ogni altra forma di idolatria, qualsiasi atto, gesto, simbolo, o cerimonia che vorrebbe “aggiungere” al culto che Dio prescrive e regolamenta, cose che esso non prevede.

Il declino dell’osservanza del secondo comandamento da parte della Chiesa è stato graduale, ma progressivo. Secondo Philip Schaff, noto storico della Chiesa, e nemmeno sostenitore di questo principio, per i primi trecento anni la Chiesa non conosceva l’uso di immagini nel culto, e il simbolo stesso della croce non fu introdotto se non dopo accesi dibattiti. Inoltre l’Agnello, l’Agnello e la Croce, poi Gesù vicino alla croce, e finalmente il Crocifisso! L’idolatria è un’epidemia progressiva che nasce e cresce, come altre malattie fatali, da una piccola febbre fino a diventare un mostro che divora la vita stessa.

Fino al sedicesimo secolo, il secolo della Riforma protestante, il Principio regolatore del culto aveva cessato di esistere, la Chiesa aveva violato praticamente ogni precetto compreso nel secondo comandamento. La Riforma, così, spazzò decisamente via tutta questa corruzione.

Da allora vi è stata una nuova progressione discendente nelle vecchie abominazioni di religione volontaria, cioè nell’idolatria. È tempo perciò di rinnovare la nostra attenzione alle lezioni imparate duramente del passato, e lo faremo esaminando il primo ed il secondo comandamento come li troviamo in Esodo 20 e Deuteronomio 5.

Il primo comandamento proibisce di avere un qualsiasi altro dio diverso dal Dio della Bibbia, e il secondo comandamento proibisce di rendere culto al vero Dio in qualsiasi altro modo che Egli non abbia prescritto. La Chiesa cattolica - romana ha di fatto assorbito il secondo comandamento nel primo, permettendo così a sé stessa di indulgere nell’idolatria, avendo ristretto quel comandamento solo alla fabbricazione di immagini di falsi dei. Senza alcuna giustificazione ragionevole, poi, ha diviso in due il decimo comandamento, dando così l’impressione fittizia di avere ancora dieci comandamenti. In questo modo essa viola il secondo comandamento con la propria arroganza ecclesiastica.

Molti protestanti moderni sono meno rozzi, ma in modo più subdolo giungono allo stesso obiettivo: essi DIVIDONO il secondo comandamento. Un esercizio questo di abuso d’autorità rispetto alla sufficienza della Scrittura ed il suo carattere d’interprete di Sé stessa. Essi sostengono che il testo contenga solo questi concetti: (1) le immagini sono proibite (2) SOLO se esse sono considerate come oggetti di culto. Quindi, secondo questa deviazione dottrinale, è possibile farsi delle immagini religiose, e persino portarle nel locale di culto, fintanto che non siano adorate, o direttamente o per allusione.

Questo non è però ciò che il secondo comandamento intende dire. Ciò che fanno gli antinomisti al culto può essere illustrato in questo modo. Un padre proibisce a suo figlio di fabbricarsi ordigni esplosivi. Egli gli proibisce inoltre far saltare con esse chiese, sinagoghe, e uffici governativi. Il figlio, però, ragiona erroneamente che gli sia permesso di fabbricarsi delle bombe e persino di porle in luoghi proibiti, basta che egli non le faccia detonare. Il padre, naturalmente, deplora del tutto una tale evasione della sua volontà.

Nel contesto, Dio rende chiaro che la Sua volontà non possa essere così soggetta a furbesche distinzioni, pervertita e modellata per armonizzarsi al tipo di religione che l’uomo preferisce. Ritornando al tesso citato da Deuteronomio 5, deve essere notato che esiste un contesto più vasto che rende del tutto impossibile dividere il secondo comandamento, permettendo così la fabbricazione di immagini fintanto che non diventino oggetto di culto. Il capitolo 4 di Deuteronomio è un testo parallelo che mette le basi di ciò che segue nel capitolo cinque.

“Poiché dunque non vedeste alcuna figura il giorno che l’Eterno vi parlò in Horeb dal mezzo del fuoco, vegliate diligentemente sulle anime vostre, perché non vi corrompiate e vi facciate qualche immagine scolpita, nella forma di qualche figura: la rappresentazione di un uomo o di una donna, la rappresentazione di un animale che è sulla terra, la rappresentazione di un uccello che vola nel cielo, la rappresentazione di ogni cosa che striscia sul suolo, la rappresentazione di un pesce che è nelle acque sotto la terra; perché alzando gli occhi al cielo e vedendo il sole, la luna, le stelle, tutto cioè l’esercito celeste, tu non sia attirato a prostrarti davanti a queste cose e a servirle, cose che l’Eterno, il tuo DIO, ha assegnato a tutti i popoli che sono sotto tutti i cieli” (De. 4:15-19).

La ragione congiunta al secondo comandamento nel capitolo 4 è che al Sinai essi non avevano visto forma alcuna, avevano solo udito una voce nel mezzo del fuoco. Questo si trova in parallelo al 5:8 dove viene proibita la fabbricazione di immagini, ma la ragione, il fatto, che al Sinai non avessero visto immagini, non viene menzionata. Il ragionamento de Deuteronomio 4 conclude dicendo che se al Sinai avessero visto una qualche forma, essi sarebbero stati tentati di commettere idolatria. Da questo vediamo che il farsi delle immagini ed usarle per il culto, non sono due categorie separate nel senso che si possa fare la prima e non la seconda. Dio prima proibisce il costruirsi immagini perché al Sinai Egli non si era rivelato in forma alcuna, e poi Egli proibisce il culto di immagini. Dio dice NON FATEVI immagini, PUNTO! Non RENDETE CULTO ad immagini, PUNTO! Così dice il Signore!

Il culto nell’era dell’Antico Testamento

Il periodo edenico prima della Caduta. Abbiamo pochi dati biblici su questo periodo. Può essere ritenuto che prima della Caduta, Adamo ed Eva indubbiamente adorassero Dio in Spirito e in Verità, in modo spontaneo ed informale, in ogni momento della loro vita, quando essi Gli ubbidivano e Lo rispettavano. Essi godevano di una perfetta comunione con il Creatore, incontaminata da traccia alcuna di invenzione cultuale.

Il periodo pre-mosaico dopo la Caduta

(1) Adamo ed Eva stessi si trovarono in una nuova dispensazione, per quanto riguarda il culto, avendo Iddio stesso loro offerto il primo sacrificio cruento in loro favore quando li rivestì con pelli (Ge. 3:21).

(2) Genesi 44 ci dice che “il culto offerto da Caino fu respinto da Dio, mentre quello di Abele accolto… non perché vi fosse qualcosa di sbagliato nell’atteggiamento soggettivo di Caino, rispetto a quello di Abele”, ma che “c’era pure una differenza vitale nel contenuto oggettivo del loro culto”. La parabola discendente di Caino prende le mosse dal fatto che “egli non fosse disposto a limitare sé stesso al modo di rendere culto a Dio che godesse dell’approvazione di Dio. Noi quindi vediamo qui un chiaro principio: UN CULTO CHE NON SIA SANZIONATO DA DIO È PROIBITO” (Il principio scritturale di regolazione del culto, di G. I. Williamson, p. 2).

(3) Il culto reso a Dio da altri personaggi prima che fosse stabilita, per mano di Mosè, la Legge cerimoniale, continuava ad essere i sacrifici cruenti operati dal Suo popolo, come vediamo nel caso di Noè dopo il Diluvio (Ge. 8:30). Da quel punto in poi, spesso, quando Dio appariva ai Patriarchi, essi edificavano un altare su cui vi offrivano sacrifici; Abramo (Ge. 12:7; 13:4; 18; 15:9ss; 22:2; 26:25), Giacobbe (Ge. 33:20), e si afferma particolarmente in Genesi 35:7 che Giacobbe edificò un altare a Bethel “perché là l’Eterno gli era apparso”. Si può logicamente concluderne che Dio, in tutte queste occasioni, accettasse dal Suo popolo solo quello che Egli avesse richiesto, dato che questo era il caso sin dal tempo di Caino e Abele. Per quanto riguarda il tempo ed il luogo, questi non erano fissati. L’ambiente era all’aria aperta. Il tempo era ogni qual volta Dio si incontrasse con loro o desse rivelazioni ai loro leader dell’Alleanza. Il principio, però, in quei giorni, al riguardo del rapporto fra Dio e l’uomo, non avrebbe potuto essere altro che un culto offerto solo in maniera coerente con la volontà rivelata di Dio.

La violazione del principio regolatore del culto nell’Antico Patto

Nadab e Abihu furono distrutti da Dio perché “offrirono davanti all’Eterno un fuoco illecito, CHE EGLI NON AVEVA LORO COMANDATO” (Le. 10:15).

Il re Saul si era arrogato il ruolo sacerdotale offrendo egli stesso un sacrificio. Come risultato egli perse il suo regno perché NON SI ERA LIMITATO a ciò che Dio aveva comandato (1 Sa. 13:8-146).

Uzzah fu colpito a morte perché egli si era proteso a sostenere con la sua mano l’arca di Dio quando il bue che ne tirava il carro era inciampato (2 Sa. 6:6-7). Davide spiega più tardi “Poiché la prima volta voi non c’eravate e l’Eterno, il nostro DIO, aperse una breccia fra noi, perché non lo avevamo cercato secondo le regole stabilite” (1 Cr. 15:13), e così “i sacerdoti e i Leviti si santificarono per trasportare l’arca dell’Eterno, il DIO d’Israele. I figli dei Leviti portarono l’arca di DIO sulle loro spalle per mezzo di stanghe, come aveva ordinato Mosè secondo la parola dell’Eterno” (1 Cr. 15:14,157).

Il re Geroboamo aveva stabilito un tipo di culto “da lui fatto”: “Geroboamo istituì una festa nell’ottavo mese, il quindicesimo giorno del mese, simile alla festa che si celebrava in Giuda e offrì sacrifici sull’altare. Così fece a Bethel per sacrificare ai vitelli da lui fatti; e a Bethel stabilì i sacerdoti degli alti luoghi che aveva eretti. Il quindicesimo giorno dell’ottavo mese, mese scelto da lui stesso, Geroboamo salì all’altare che aveva costruito a Bethel; istituì una festa per i figli d’Israele e salì all’altare per bruciare incenso” (1 Re 12:32,33).

Il re Uzzia “divenuto potente, il suo cuore si inorgoglì fino a corrompersi e peccò contro l’Eterno, il suo DIO, entrando nel tempio, dell’Eterno per bruciare incenso, sull’altare, dell’incenso” (2 Cr. 26:16), e fu istantaneamente colpito da lebbra da parte di Dio. Egli pure aveva fatto ciò che agli occhi suoi era convenevole, ma che NON ERA STATO COMANDATO DALL’ETERNO, e ne subì così le conseguenze.

Dio, parlando attraverso il profeta Geremia, condanna i sacrifici umani praticati dagli israeliti con queste parole: “Hanno edificato gli alti luoghi di Tofet, che è nella valle del figlio di Hinnom, per bruciare nel fuoco i loro figli e le loro figlie, cosa che non avevo comandato e CHE NON MI ERA MAI VENUTA IN MENTE” (Gr. 7:31).

L’edificazione da parte di Israele di un luogo fisico di culto

IL TABERNACOLO. A Mosè Iddio aveva dato dettagliate istruzioni per il culto che a Lui è dovuto, incluse non solo molte cerimonie che avessero a che fare con sacrifici, ma pure la struttura stessa del tempio, immagini, mobilio, utensili, costumi, decorazioni, e tutto questo è implicito nel secondo comandamento. Se avesse l’uomo, e non Dio, inventata alcune fra queste cose, sarebbe stata religione volontaria, e quindi idolatria.

Mentre dà questi comandamenti in Esodo 25:40, Dio dice: “vedi di fare ogni cosa secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte”. Niente poteva essere considerato cosa indifferente (gli adiaphora), nemmeno le esteriorità; tutto, dalle immagini di cherubini sul propiziatorio (vv. 18-22) fino alla copertura per la tenda di pelli di montone tinte di rosso (Es. 26:14) doveva essere in conformità con la volontà rivelata di Dio.

Persino il modo con il quale queste cose dovevano essere fatte, non doveva essere lasciato all’ordinaria inventiva e volontà dell’artigiano, perché Dio aveva scelto ARTIGIANI ISPIRATI per compiere la Sua opera. Di Betsaleel, della tribù di Giuda, è detto: “lo ha ripieno dello Spirito di DIO, di sapienza, d’intelligenza e di conoscenza e di ogni abilità” (Es. 35:31ss). Si veda pure Es. 35:10-20; 25-26; 36:1,2,8. Si, persino ogni iota ed apice del tabernacolo doveva essere fatto: “come il Signore aveva comandato a Mosè”, il che viene spesso ripetuto in Esodo, nei capitoli dal 25 al 40.

Non ci deve essere assolutamente alcun dubbio che le cosiddette “circostanze del culto” (il luogo e molte altre cose), erano tutte state specificate dal Signore, e che esse stavano sullo stesso piano di tutti gli altri “elementi del culto” (le cerimonie e tutte le parole, azioni, ecc. associate ad essi). Non c’è quindi alcuna dicotomia fra circostanze ed elementi.

IL TEMPIO DI SALOMONE. Il tempio di Salomone era persino più grandioso ed ornato del tabernacolo di Mosè. Anche per questo egli aveva ricevuto precise istruzioni: “Allora Davide diede a suo figlio Salomone il progetto del portico del tempio, dei suoi edifici, delle sue stanze, dei suoi tesori, delle sue stanze superiori, delle sue camere interne e del luogo per propiziatorio, e il progetto di tutto ciò che aveva in mente per lo Spirito riguardo ai cortili della casa dell’Eterno, a tutte le stanze laterali, ai tesori della casa di DIO e ai tesori delle cose consacrate. .... «Tutto questo». disse Davide, «mi è stato dato per iscritto dalla mano dell’Eterno, che mi ha fatto comprendere tutti i lavori di questo progetto»” (2 Cr. 28:11,12,19). Tutto il progetto del Tempio, in ogni suo dettaglio, era stato disegnato da un solo architetto, Dio, e tutto doveva corrispondere a ciò che Egli aveva sovranamente stabilito. Nulla avrebbe dovuto essere lasciato all’arbitrio umano.

Un breve esame delle immagini e delle decorazioni del Tempio di Salomone dovrebbe essere sufficiente per dare al lettore l’impressione di quanto fosse armoniosa ed elegante l’intera struttura che Dio aveva prescritto. “L’interno del tempio, era di cedro scolpito a coloquintidi e a fiori sbocciati; tutto era di cedro e non si vedeva una pietra” (1 Re 6:18), “Fece anche scolpire su tutte le pareti del tempio, tutt’intorno, figure di rilievo di cherubini, palme e fiori sbocciati, tanto all’interno che all’esterno” (1 Re 6:29); “I due battenti erano di legno di ulivo. Su di essi fece scolpire figure di cherubini di palme e di fiori sbocciati e li ricoprì d’oro, stendendo l’oro sui cherubini e sulle palme” (1 Re 6:32). “I capitelli che erano in cima alle colonne nel portico erano a forma di giglio, ed erano di quattro cubiti. Inoltre sui capitelli in cima ad entrambe le colonne, al di sopra della parte convessa vicina al reticolo, c’erano duecento melagrane poste in fila tutt’intorno” (1 Re 7:19,20). “Poi fece il mare di metallo fuso, di forma circolare, che da un orlo all’altro misurava dieci cubiti; la sua altezza era di cinque cubiti e la sua circonferenza di trenta cubiti. Sotto l’orlo e tutt’intorno al mare vi erano delle coloquintidi ornamentali dieci ogni cubito; le coloquintidi ornamentali erano disposte su due file ed erano state fuse. ....sui pannelli, che erano fra le cornici, erano raffigurati leoni, buoi e cherubini. Sulle cornici era poggiato un piedistallo, mentre al di sopra e al di sotto dei leoni e dei buoi c’erano ghirlande a forma di festoni” (1 Re 7:23,24,29). Come nel caso del tabernacolo, quindi, tutto il Tempio di Salomone era stato edificato secondo le istruzioni del Signore.

IL SECONDO TEMPIO. Questa struttura, meno gloriosa della prima, fu edificata al tempo di Esdra: “ Essi terminarono la costruzione secondo il comando del Dio d’Israele e secondo l’ordine di Ciro, di Dario e di Artaserse, re di Persia” (Ed. 6:14).

Il culto nel Nuovo Patto

Lo stesso criterio per il culto si applica sia per l’Antico come per il Nuovo Testamento: “Ciò che non viene comandato dalla Scrittura (da Dio) è proibito”. Questo criterio, valido per ogni età, si fonda sulla sufficienza delle Scritture e sull’unico Mediatore fra Dio e uomo, cioè Gesù, il Messia, nostro Profeta, Sacerdote, e Re, il quale ha dispensato al Suo popolo “tutti i tesori della sapienza e della conoscenza” (Cl. 2:3)8.

Gesù e il principio regolatore

"Allora gli scribi, e i farisei, di Gerusalemme vennero da Gesù e gli dissero: «Perché i tuoi discepoli trasgrediscono la tradizione degli anziani? Poiché non si lavano le mani prima di mangiare». Ma egli rispose e disse loro: «E voi, perché trasgredite il comandamento di Dio a motivo della vostra tradizione? "(Mt. 15:1-3). I Farisei erano i rispettati leader religiosi del popolo ebraico. Essi credevano di avere la libertà di operare aggiunte ai comandamenti di Dio. La legge di Dio conteneva varie abluzioni cerimoniali per significare come l'impuro divenisse puro. I Farisei aggiungevano semplicemente altre abluzioni per mettere meglio in rilievo e perfezionare la legge di Mosè. Non vi sono espliciti comandamenti che proibissero queste aggiunte cerimoniali se non il principio regolatore (Es. De. 4:2; 12:31). Queste aggiunte non trovano giustificazioni dalla Parola di Dio.

Gesù Cristo è strenuo difensore del principio regolatore. Egli rimproverava gli scribi e i Farisei perché operavano aggiunte alla Legge di Dio. Che accade quando uomini peccatori aggiungono alla Parola di Dio regole e precetti? Avviene che prima o poi essi prendano il posto della Legge di Dio. "Voi avete annullato il comandamento di Dio a motivo della vostra tradizione" (Mt. 15:6). La Chiesa antica aveva aggiunto al culto di Dio le proprie regole e cerimonie, e questo era gradualmente degenerato nella pagana ed idolatra Chiesa cattolica romana. Se noi non tracciamo linee di demarcazione al nostro culto, quelle linee che Dio stesso ha tracciato, allora, come prova la storia, la Chiesa a suo tempo degenererà fino ad essere un poco meglio che un bizzarro culto pagano. Il rimprovero che Gesù fa agli scribi ed ai Farisei, si può applicare oggi a praticamente ogni (cosiddetto) ramo della Chiesa cristiana. "Questo popolo si accosta a me con la bocca e mi onora con le labbra; ma il loro cuore è lontano da me. E invano mi rendono un culto, insegnando dottrine che sono comandamenti di uomini" (Mt. 15:8,9). Giovanni Calvino dice: "Cristo ha fedelmente ed accuratamente dato il significato che invano viene reso culto a Dio, quando alla dottrina viene sostituita la volontà dell'uomo. Con queste parole viene chiaramente condannato ogni tipo, come lo chiama Paolo (Cl. 2:23), di culto volontario (ethelogescheia). Perché, come abbiamo detto, dato che Dio sceglie di essere adorato in nessun altro modo che secondo quanto Egli stesso abbia stabilito, Egli non può tollerare che siano inventate nuove forme di culto. Quando si permette agli uomini di errare oltre i limiti della Parola di Dio, più travaglio ed ansia essi manifestano nel rendergli culto, più pesante sarà la condanna che essi si attireranno addosso, perché con tali invenzioni, la religione verrà disonorata" (Commentario su un'armonia dei vangeli).

Un culto in spirito e verità

Un brano del Nuovo Testamento spesso citato a sproposito, è ciò che Gesù dice alla donna samaritana incontrata al pozzo di Sichar.

La donna gli disse: «Signore, vedo che tu sei un profeta. I nostri padri hanno adorato su questo monte, e voi dite che è a Gerusalemme il luogo dove si deve adorare». Gesù le disse: «Donna, credimi: l’ora viene che né su questo monte, né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quel che non conoscete; noi adoriamo quel che conosciamo; perché la salvezza viene dai Giudei. Ma l’ora viene, anzi è già venuta, che i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità, perché tali sono gli adoratori che il Padre richiede. Dio è Spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità»” (Gv. 4:19-24).

Ciò che è subito evidente da questo brano è la decentralizzazione del culto. Gerusalemme non deve essere più come una sorta di Mecca, la capitale del vero culto (v. 21). Al termine dell’era israelita, la vera religione deve essere proclamata a livello globale.

Molto è stato scritto su questo testo, e con molte diversità d’opinioni. Ciò che però questo testo NON DICE, come pretendono invece molti antinomisti al culto, è che ogni sorta di regolamentazione sia ora spazzata via, lasciando il culto al capriccio, innovazioni, invenzioni, e religione volontaria dell’uomo! Non possiamo nemmeno concludere da questo brano che il culto nell’antico Patto fosse solo fatto di esteriorità, mentre ora quel culto sarebbe stato sostituito da una dimensione prevalentemente interiore.

Di fatto, nell’Antico Testamento, sia l’esteriore che l’interiore sono indubitabilmente presenti, tanto quanto nel Nuovo Testamento. Considerate i Salmi, e le molte esortazioni a circoncidere i cuori e non la carne nell’A.T., ma considerate pure come il N.T. comporti cose esteriori come nelle assemblee eucaristiche del popolo di Dio, i riti battesimali, ed il canto comunitario. Inoltre il libro dell’Apocalisse è colmo di cose esteriori: sigilli, trombe, troni, corone, lampade, vasi…

Un culto in spirito e verità non ci esime da ciò che Dio ha regolamentato, al contrario, ci accompagna a essere maggiormente coscienti della ricchezza, pregnanza e valore di ciò che Dio ha stabilito. Cristo stesso ha preso il posto del Tempio come dimora di Dio fra il Suo popolo (Gv. 1:14).

È principio di base dell’ermeneutica biblica il fatto che le parole di un autore ispirato si comprendano meglio in primo luogo confrontandole con altri suoi scritti. Giovanni deve interpretare Giovanni. L’uso che l’apostolo fa dell’espressione “spirito e verità” dovrebbe quindi essere interpretato alla luce del modo in cui egli ha usato queste stesse parole in altri luoghi del suo vangelo.

In primo luogo “spirito” viene usato per denotare lo “Spirito Santo” in Gv. 1:32,33. È lo Spirito che rende possibile la nuova nascita in Gv. 3:7,8, e in 7:37-39 lo “Spirito” viene pure chiamato “acqua viva”, la quale viene data ai credenti. Gesù, inoltre, spiega come “le parole che vi dico sono spirito e vita” (Gv. 6:63).

Di Gesù l’Evangelo dice essere ripieno di grazia e di “verità” (1:14). Egli è la via, la “verità” e la vita (14:6), come pure “verità” è la Parola di Dio e ciò che santifica in Suo popolo in Gv. 17:17.

“Spirito e verità” sono congiunti in Gv. 14:17; 15:26; 16:13; e in 1 Gv. 4:6 e 5:7.

Che cosa dobbiamo concluderne dai riferimenti precedenti è bene espresso da Michael Bushell nel suo libro: “The Song of Zion” (p. 151). “Il punto, quindi, che Gesù sta facendo in questo brano è che il vero culto può essere solo ciò che è conforme con il carattere di Dio come spirito che dona la vita. Allo stesso modo in cui nella salvezza è lo Spirito di Dio che prende l’iniziativa di dare la vita, così nel culto, è lo Spirito di Dio che prende l’iniziativa nel determinare come, dove, ed in quali condizioni bisogni rendere culto a Dio.

Un culto che sia accettevole deve essere conforme con il carattere di Dio com’esso è rivelato a noi nelle Scritture e quindi deve essere in conformità con quella regola sufficiente in ciascun suo punto. Solo quel culto che proceda ultimamente dallo Spirito attraverso la Parola, è gradito a Dio”.

Un culto in spirito e verità non è una licenza per fare come più ci aggrada, per praticare una religione nei modi che riteniamo più opportuni. Esso nega che sia possibile l’antinomismo in materia di culto. Lo Spirito, attraverso la Parola di Dio, ci dà la verità per guidare i nostri piedi attraverso i sentieri della vita. Egli dirige i nostri passi in casa, nelle vie della città, nel luogo di lavoro, come pure nel luogo dove noi incontriamo Dio nel culto. Dobbiamo essere sempre ricondotti alla Bibbia perché essa ci parla in principio ad ogni sfera del pensiero e delle azioni umane.

Il grande mandato

Dopo la Sua risurrezione Cristo diede l'ordine alla Sua Chiesa di fare discepoli in ogni nazione: "insegnando loro di osservare tutte le cose che io vi ho comandato" (Mt. 28:20). Notate come Cristo abbia dato alla Sua Chiesa un'autorità molto limitata. Solo quelle cose che sono contenute nella Parola di Dio devono essere insegnate ad ogni nazione. Quindi, tutto ciò che la Chiesa insegna come dottrina, governo della Chiesa e culto, deve provenire solo dalla Bibbia. William Young scrive: "La carta costituzionale della Chiesa del Nuovo Testamento a questo punto, viene espressa negli identici termini dell'economia mosaica che abbiamo visto così espressamente escludere dal culto le umane invenzioni dal culto di Dio. Non può essere permessa alcuna addizione o sottrazione dai comandi di Cristo più di quanto si possa fare con i comandamenti dati sul monte Sinai nell'Antico… Non abbiamo maggior diritto di alterare quel modello divinamente istituito di ordinanze per la Chiesa del Nuovo Testamento di quanto avessero potuto fare Nadab e Abihu, Saul, Geroboamo, o qualsiasi altro personaggio dell'Antico Testamento… La volontà di Dio, non la volontà dell'uomo, è la regola del culto della Chiesa del Nuovo Testamento". Gli apostoli ubbidirono a Cristo ed insegnarono l'intero consiglio di Dio (At. 20:27). Si può cercare attentamente ma invano nei vangeli, negli Atti, nell Epistole, e in Apocalisse una sola autorizzazione divina di molte attuali pratiche ecclesiastiche (ad es. festività come il Natale, il calendario liturgico, l'uso di strumenti musicali nel culto, l'uso nel culto di inni non ispirati, solisti, cori, ecc.), ma di tutto questo non esiste alcun supporto biblico. La maggior parte dei pastori e degli insegnanti non solo insegnano ciò che Cristo ci ha comandato, ma pure molte tradizioni non bibliche. I cristiani che vogliono onorare Cristo come unico Re e Capo della Chiesa, devono rifiutarsi di osservare queste aggiunte umane a ciò che nostro Signore ha comandato.

Una transizione nel patto

La transizione dall’Antico al Nuovo Patto è ampiamente amministrativa: le cose essenziali perdurano con alcune modifiche oppure vengono adempiute condizionatamente al comando espresso o implicito di Dio.

Non c’è alcuna zona neutrale in cui sia consentita l’umana legislazione, eccetto che nelle circostanze più funzionali, come quanto debba essere lungo un sermone, oppure quante finestre e porte debba avere il locale di culto.

L’addio a simboli ed a tipi

La lettera agli Ebrei, con i suoi molti riferimenti al culto dell’Antico Patto, indica chiaramente che il sistema precedente, composto di ombre e tipi di cose celesti, è stato soppiantato da Cristo, oggetto stesso di tale sistema, perché Egli è “mediatore di un patto migliore” (Eb. 8:6). L’impianto di immagini, le cerimonie, ed il sacerdozio, prefiguravano il divino Sommo Sacerdote, il Signore Gesù Cristo. Ebrei 8:5, citando Esodo 25:40:” «Guarda», egli disse, «di fare ogni cosa secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte»” ci dice che gli antichi sacerdoti ed il sistema in cui essi operavano, che includevano il modello del tabernacolo, servivano “di esempio ed ombra delle cose celesti”. Lo scrittore si dilunga su questo tono: “…or quello che diventa antico ed invecchia, è vicino ad essere annullato” (8:13); il vecchio tabernacolo doveva sussistere fino al tempo della riforma (9:1-10); “ Era dunque necessario che i modelli delle cose celesti fossero purificati con queste cose” (Eb. 9:23); la legge cerimoniale era “solo l’ombra dei beni futuri e non la realtà stessa delle cose” (10:1).

L’apostolo Paolo, alle chiese della Galazia e di Efeso, parla pure di questa transizione dall’antico al nuovo. Inoltre, in Colossesi 2:16,17 egli dice: “Nessuno dunque vi giudichi per cibi o bevande, o rispetto a feste, a noviluni o ai sabati; queste cose sono ombra di quelle che devono venire; ma il corpo è di Cristo”.

In questo modo, le molte cerimonie e la grande varietà di immagini contenute nel tempio, si esauriscono, essendo state solo modelli ed ombre delle cose celesti. Il glorioso Messia, la cui ombra era stata da tempo gettata lungo il lastricato del tabernacolo del tempio temporale, è venuto in carne. Da quel momento i credenti contemplano il Salvatore attraverso i nuovi occhi della Scrittura. L’ombra è stata dissipata dal fulgore della Sua personale gloria (Gv. 1:14).

Nessuna nuova prescrizione

Ora, con la vivente presenza del costruttore stesso del tempio che dimora con noi, nessun piano divino, nessuna Parola di Dio, ci comanda di abbellire i nostri locali di culto in qualsivoglia modo. Come osservarono Calvino ed altri, noi oggi abbiamo solo due simboli: il Battesimo e la Cena del Signore.

Forse che questo significa che ora siamo liberi dall’autorità della Parola di Dio nel modo in cui edifichiamo i locali di culto e li decoriamo? Potremmo mai avere aree della nostra vita in cui ci si possa considerare liberi dagli imperativi divini? Osservando i cambiamenti occorsi nella transizione dall’antico al Nuovo Patto, Greg Price scrive:

“Questo non significa che Cristo abbia ora lasciato il culto nel Nuovo Patto all’invenzione umana o che ora i suoi criteri regolatori siano meno stretti. Il credente nel Nuovo Patto non è meno responsabile di rendere culto a Dio come Dio comanda, anzi, ne è maggiormente responsabile. I credenti israeliti nella lettera agli Ebrei erano tentati di abbandonare il culto di Dio, ma lo scrittore ispirato li ammonisce che il Nuovo Patto aumenta la loro responsabilità, non la diminuisce (Eb. 2:1-4; 12:25-29). Cristo dichiara: ‘A chiunque è stato dato molto, sarà domandato molto; e a chi molto è stato affidato, molto più sarà richiesto’ (Lu. 12:48). La venuta di Cristo ci ha portato meravigliose benedizioni… ma la Sua venuta ha pure portato maggiore conoscenza e comprensione della volontà di Dio e quindi maggiori responsabilità” (Foundation for Reformation, p. 18).

Egli prosegue osservando come vi siano quattro verità teologiche sulle quali si fonda il Principio regolatore del Culto, fondamenti che non sono minimamente cambiati dal tempo dell’Antico Testamento fino ad oggi: (1) La Parola di Dio è ancora sufficiente per il culto; (2) Dio è ancora sovrano su ogni cosa, culto compreso; (3) Il cuore dell’uomo rigenerato tende ancora ad essere ingannato tanto quanto prima, e non può fidarsi del proprio discernimento; (4) Cristo non è più l’anticipato Profeta, Sacerdote e Re sulla Sua Chiesa come lo era nell’Antico Patto: Egli è venuto!

Giustificazione e mandato per il Principio regolatore del Culto lo troviamo non solo nell’Antico Testamento, ma pure chiaramente nel Nuovo. La tradizione può vanificare i comandamenti di Dio (Mt. 15:5,6). La legge ha validità permanente fino al giorno d’oggi (Mt. 5:17ss). Difatti nel Sermone sul Monte il nostro Signore espande la lettera della legge fino ad includere gli stessi pensieri (Mt. 5:21,22, 27-28). I conduttori della comunità non possono legare le coscienze dei fedeli nel culto con ciò che essi stessi hanno inventato o ritenuto opportuno (1 Co. 7:23; 2 Co. 1:24; Cl. 2:8, 20-23). Senza dubbio tutto ciò che non sorge da fede è peccato (Ro. 14:23). Si veda anche il Catechismo Maggiore di Westminster, D. 109.

Lamentando la mancanza di apprezzamento nei contemporanei circoli riformati per l’unità che esiste fra i due Patti, Michael Bushell dice: “La conclusione dei rituali del tempio con tutte le sue minute prescrizioni, non ci assolve dalla responsabilità di osservare il Principio regolatore su cui erano fondati, più di quanto l’abrogazione di certi aspetti della legge israelita ci assolva dalla responsabilità di ubbidire al Decalogo che ne era fondamento” (The Songs of Zion, p. 143).

Potrebbe mai osare qualcuno oggi, sulla base del “pacchetto” organico delle Scritture e della validità permanente del Principio Regolatore, dire di possedere un modello ispirato da Dio per la struttura del locale di culto o forme di decorazione del suo interno che siano ispirate da Dio? Vi sono forse artigiani ispirati che possano oggi modellare per esporre davanti a Dio ed al Sui popolo nuovi oggetti che traspirino il senso del culto?

Senza dubbio, dato che non possediamo nuovi comandamenti per i nostri edifici e le loro decorazioni, non ci rimane che una sola opzione: dei locali e degli arredi semplici. Non dovremmo digerire tutto questo come erbe amare, non quando la bellezza del santuario di Dio è la gloria della Sua presenza.

I canoni di Westminster

Questi canoni consistono nella Confessione di Fede di Westminster, del Catechismo maggiore e minore, come pure del Direttorio per il Culto pubblico e per il Governo della Chiesa, composti dal 1643 al 1647 nell'Abbazia di Westminster a Londra, in Inghilterra da 121 ministri di culto e 31 laici. Questi documenti continuano ad essere i criteri subordinati d'autorità di molte chiese riformate fedeli al loro retaggio, fino al giorno d'oggi. Ci volgiamo ora alla Confessione di fede per vedere che cosa essa dica sul Principio regolatore del culto.

"L'intero consiglio di Dio, al riguardo delle cose necessarie per la Sua propria gloria, la salvezza dell'uomo, la fede, e la vita, può essere o espressamente dichiarato nella Scrittura, o può essere dedotto dalla Scrittura per buona e necessaria deduzione. A questo nulla e in qualsiasi tempo può essere aggiunto, sia per nuove rivelazioni dello Spirito, o a causa di tradizioni umane" (CFW, 1:6).

Nell'affermazione precedente possiamo vedere come egualmente valide come le esplicite dichiarazioni della Scrittura, siano le buone e necessarie deduzioni. L'uso che il Nuovo Testamento fa dell'Antico è molto frequentemente induttivo per natura.

In primo luogo, Dio ci incoraggia ad usare la ragione nelle nostre deliberazioni (cfr. Is. 1:18), e l'apostolo Paolo, come metodo delle sue argomentazioni, ragiona frequentemente dalle Scritture (At. 17:2,3,11; 18:4,19). In modo particolare in molti luoghi gli scrittori del Nuovo Testamento usano il metodo deduttivo. Ad es.

1) È per deduzione che i bambini ricevono il battesimo d'acqua, il segno che il Nuovo Testamento usa per l'inclusione nell'ambito dell'Alleanza (Ge. 17:7; At. 2:38,39).

2) È per deduzione che le donne ricevono la Cena del Signore tanto quanto gli uomini, dato che esse sono autorizzate a ricevere il segno di iniziazione nel Nuovo Patto, cioè il battesimo (At. 16:15; Ga. 3:2-28).

3) È per deduzione dal versetto che dice: "Non metterai la museruola al bue che trebbia il grano" (De. 25:4), che si stabilisce che i lavoratori debbano essere pagati (1 Ti. 5:17,18; 1 Co. 9:9,10).

4) È per deduzione che si afferma che dato che uccidere un ladro colto nell'atto di fare uno scasso non si incorre nella colpa di omicidio nei suoi confronti (Es. 22:2), che dire una menzogna per contrastare un malfattore pure non è peccato (Eb. 11:31; Is. 2:25).

5) Da ciascuno dei Dieci Comandamenti si può dedurre obblighi e proibizioni non espressamente ivi affermate, tanto che per deduzione è possibile contemplare innumerevoli casi di circostanze normative collegate a quelle categorie.

Il principio della legittima deduzione si applica pure alla lista di otto regole date per l'interpretazione ed applicazione dei Dieci Comandamenti nel Catechismo maggiore di Westminster, D. 99.

NORMAN SHEPHERD, teologo del ventesimo secolo, vede l'opera di Dio nella creazione e nella provvidenza come il Principio regolatore dell'universo ed egli cita 1 Co. 10:319 come il Principio regolatore della vita umana. Così, per lui, non esistono aree neutrali della vita che si pongano al di là della normatività della Parola di Dio. Dice: "In senso ultimo non esistono gli adiaphora, perché ogni azione deve essere espressione dell'amore di Dio richiesto a ciascuno di noi, e nessuno può inventare od esigere azioni che supplementino o detraggano dalla legge di Dio. I cosiddetti adiaphora, come pure ogni legge escogitata dall'uomo, cadono sotto il principio regolatore della vita". Questo è precisamente il punto che riguarda il culto: nessuna parte del "pacchetto" di Dio che riguarda il culto può essere considerata veramente neutrale. In principio la Parola di Dio ancora sussiste e si applica sia che ad elementi che circostanze. È solo nell'ambito estremamente ristretto del riparo dalle intemperie ed un posto per sedere con luce sufficiente per leggere, che noi abbiamo discrezionalità per scegliere un luogo per il culto.

WILLIAM AMES (1576-1633) di Edimburgo, parlando sul tema delle aggiunte al culto che Dio non ha comandato, considera un'evasione dalle nostre responsabilità dire che "sono proibite solo le aggiunte agli elementi essenziali, ma non a quelli accidentali", e conclude che "le aggiunte possono sembrare insignificanti, ma devono essere respinte per la stessa ragione" (Marrow of Sacred Divinity).

GEORGE GILLESPIE (1613-1648) ) della Chiesa di Scozia opera delle deduzioni per il giorno d'oggi dall'Antico Testamento al riguardo del tabernacolo, quando osserva: "…se il più piccolo spillo e il più piccolo accessorio del tabernacolo, e tutto l'uso che ne viene fatto, doveva essere ordinato secondo l'espresso comandamento di Dio dato per mano di Mosè, come potremmo mai pensare che nell'edificazione, struttura, ordinamento ed abbellimento della Chiesa, dimora del Dio vivente, Egli non vorrebbe che fossero onorate le prerogative accordate al Suo diletto Figlio, mediante il quale Egli ci ha parlato in questi giorni che sono gli ultimi, e che ci ha comandato di ubbidire fedelmente?" (The Works of George Gillespie, vol. 1 p. 134). Egli nota pure, in riferimento a Girolamo Zanchi che dal secondo comandamento dobbiamo apprendere: "Sia per quanto riguarda i sacramenti o i sacrifici, od altre cose sacre, come templi, altari, vestimenti, ed accessori, necessari per il culto esterno, noi dovremmo accontentarci di quelle cerimonie che Dio ha prescritto" (Ibid. p. 135).

JEREMIAH BURROUGHS (1549-1646) di Stepney, compreso fra i teologi che si riunirono nell'assemblea di Westminster, adotta la distinzione puritana standard fra elementi e circostanze del culto, definendo queste ultime: "sussidi naturali e civili". Egli dice che quando una comunità si riunisce per il culto "essi devono avere un conveniente luogo di riunione riparato dalle intemperie. Questo è un sussidio naturale, e nella misura in cui io uso il locale di culto come un sussidio o aiuto naturale, non ho bisogno di comandamenti. Ma SE IO IN QUEL LUOGO PONGO QUALCOSA CHE VADA OLTRE LA SUA NATURA FUNZIONALE, ALLORA DEVO ANDARE ALLA RICERCA DI UN ESPLICITO COMANDO [sottolineatura aggiunta] … se non si trova nella Parola di Dio una qualche autorizzazione (per quanta speciosa utilità io creda che possa avere), si tratta solo di superstizione" (Gospel-Worship, p. 9).

È chiaro che questi uomini di Dio erano interessati sia al luogo (le circostanze) come lo erano degli elementi (le cerimonie). Essi credevano che oltre a ciò che fosse di natura funzionale, nessun oggetto o decorazione dovesse essere introdotto nel locale di culto.

A scopo di illustrazione, consideriamo questa situazione. Quando viene a mancare l'elettricità, noi portiamo delle candele nel locale di culto per poterci vedere e condurre il culto. In tali occasioni le candele sono oggetti semplicemente funzionali e non violano il Principio regolatore. Se però in assenza di un guasto elettrico, si introducono candele, questo assume una luce tutta diversa (il gioco di parole è inteso). Chiunque abbia autorizzato l'uso di candele in questo secondo caso, ha AGGIUNTO qualcosa al culto che Dio non ha comandato! Se, qualunque cosa possa essere, questa non serva ad un uso strettamente funzionale, a che serve nel locale di culto? Questa è la questione che dovrebbero chiedersi i neo-calvinisti.

Guardando ora all'ultima parte del capitolo 1, paragrafo 6, della Confessione di fede, vediamo che vi si menzionano le circostanze del culto: "vi sono alcune circostanze al riguardo del culto di Dio, ed il governo della Chiesa, comuni ad azioni e società umane, che devono essere ordinate alla luce della natura e della saggezza umana, secondo le regole generali della Parola, che devono essere sempre osservate".

Notate che si dice ALCUNE circostanze, non TUTTE le circostanze. Il riferimento, poi, alla "luce della natura" è condizionato da "le regole generali della Parola, che devono sempre essere osservate". In questo paragrafo, "le regole generali della Parola", hanno priorità sulla rivelazione generale della natura. Ancora, faremmo bene ad ascoltare Gillespie, il quale insiste sul fatto che la legge della luce della natura è molto limitata quanto alla sua applicazione: "…questa legge non va più in alto che insegnare agli uomini che esiste un Dio e che bisogna rendere culto a questo Dio: la conoscenza di queste cose non oltrepassa le proporzioni della natura, perché si trova fra gli stessi pagani, i quali non conoscono altro bene spirituale e soprannaturale di quello che è dispensato dalla natura... esso non insegna loro quale sorta di culto debba essere reso a Dio" (The Works of George Gillespie, vol. 1, p. 187). L'autore o legislatore di un documento è sempre il miglior interprete di quel documento.

Il cap. 21, par. 21 della Confessione rende poi evidente che "la luce della natura" viene eclissata dalla "volontà rivelata" di Dio per quanto riguarda il modo accettevole di rendere culto a Dio. Egli non deve ricevere il culto che Gli è dovuto "mediante una qualsiasi rappresentazione visibile, o qualsiasi altro modo che le Sacre Scritture non prescrivano". Non dimentichiamo "il pacchetto" di norme che Dio ha prescritto per il culto!

I commenti di John Owen sulle circostanze riconoscono l'unità organica delle Scritture, considerandole come parte integrante del "pacchetto" delle prescrizioni di Dio al riguardo del culto: "Delle circostanze che riguardano il culto di Dio, ne abbiamo già parlato escludendo che a Dio non interessino. Quando Egli diede le proibizioni menzionate nell'Antico Testamento, Egli stabiliva, o stava stabilendo, l'intero Suo culto, e tutto quello che lo riguardava, in materia e maniera, modo ed ordine, sostanza e circostanza".

"Il potere prescrittivo della Chiesa in materia di culto è, come abbiamo visto, strettamente limitato a quelle circostanze, e solo a quelle circostanze, che non sono determinabili dalla Scrittura, e sono assolutamente necessarie per l'ordinata osservanza del Suo culto. La Chiesa non può prescrivere nulla per il culto a meno che non abbia altra scelta. Essa non può fare nulla al riguardo, A MENO CHE NON LO DEBBA" (Song of Zion, Michael Bushell, p. 140).

George Gillespie scrisse: "Quando la Chiesa vuole prescrivere legittimamente qualcosa, tanto da non prescrivere più di quello che le è dato potere di prescrivere, le sue ordinanze devono essere accompagnate da qualche buona ragione ed autorizzazione biblica, data per la soddisfazione delle coscienze deboli". Gillespie, sebbene fosse morto solo all'età di 36 anni, si comprovò in questo essere un saggio padre per la fede, proprio per il suo interesse per le coscienze deboli del gregge. Con l'apostolo Paolo egli vide che le coscienze non devono essere turbate in cose non essenziali per il culto di Dio, in quanto "tutto ciò che non sorge dalla fede è peccato" (Ro. 14).

L'architettura ecclesiastica

Come abbiamo notato in precedenza, il Tabernacolo e l'architettura del Tempio erano stati, nell'Antico Testamento, ispirati da Dio. Eppure dobbiamo dire qualcosa di più. Alcuni fanno ricorso alla pratica storica della Chiesa come se questa potesse in qualche modo giustificare la modificazione del Principio regolatore. Per questo citano la pratica delle riunioni all'aria aperta, il culto nelle case, in locali ad uso di negozio, e persino in sale di logge massoniche pagane. Con tali considerazioni erratiche si potrebbe provare qualsiasi cosa attraverso pratiche della Chiesa che in sé stesse non sono normative. Certamente la Chiesa può, senza violare per questo principi biblici sul culto, incontrarsi in ciascuno dei luoghi che abbiamo menzionato, facendo appello al principio che si tratta di circostanze. L'ultimo esempio citato, però, la sala della loggia massonica, non sarebbe permesso, se essa fosse adornata di immagini pagane. La Chiesa non è costretta ad affittare un simile luogo semplicemente in virtù che esso sia disponibile. Esistono molte altre opzioni, e se esse non ci fossero, allora incontrarsi in un'abitazione privata sarebbe una giusta alternativa.

Le cattedrali europee ed americane sono un monumento, oltre che delle civiltà che le hanno costruite, anche dell'infrazione palese del Principio regolatore del culto. Esse sono state progettate deliberatamente con intenzioni idolatre. La pianta è in forma di croce. Gli archi a volta, i contrafforti volanti, le finestre gotiche, i campanili e le guglie, ecc. volevano rappresentare l'elevazione dell'anima verso il cielo alla presenza dell'Onnipotente. Per non citare poi le raffigurazioni idolatriche nel vetro colorato, le statue, i crocifissi, ecc.

L'abbigliamento del ministro

L'abbigliamento elegante del sacerdozio, essendo componente integrante del sistema di culto che è stato abrogato, non ha più rilevanza nel culto del Nuovo Testamento. Sono spariti i Leviti ed i costumi che distinguevano i sacerdoti dal popolo. Niente più turbanti, niente più placche da apporre al petto, niente più urim e thummin! Oggi Dio non prescrive più un nuovo guardaroba per i ministri di culto. Chi quindi oserebbe camminare oggi spavaldo per i locali di culto con vestimenti turbinanti e fiocchi, rigati e frangiati con colore rosso e dorato? Dio ha abolito per sempre i paramenti sacri come segni di realtà che già sono state adempiute. Il nostro Sommo Sacerdote siede oggi alla destra di Dio, rivestito della Sua giustizia: Egli intercede per noi momento dopo momento. Oggi noi tutti siamo sacerdoti di Dio, ed i nostri ministri, sebbene abbiano un compito di grande onore, ci servono nella semplicità dello Spirito e della Verità. Oggi il seminatore è vestito allo stesso modo di coloro fra i quali semina… non con i vestiti sontuosi disegnati dall'uomo, ma come un umile seminatore, che lavora nei campi fino al raccolto. Il suo compito è di grande onore, ma i suoi abiti sono comuni, le sue parole riecheggiano quelle del suo Maestro.

I PARAMENTI SACRI SONO SORPASSATI, RIPOSTI PER SEMPRE NEL POLVEROSO ARMADIO DELLA STORIA SACRA!

Luce diretta sull'idolatria

L'idolatria trova sempre modo di accecare le sue vittime tanto da non far loro vedere il male da cui sono affette. Siamo pronti ad arrampicarci sui vetri solo per giustificare e mantenere le nostre abitudini e presupposti errati. Il vecchio idolatra che è in noi combatte costantemente con l'uomo nuovo che in noi è stato generato per la grazia di Dio. La vecchia natura vuole conservare il suo potere e dettare le proprie regole per il culto che a Dio è dovuto, ed al tempo stesso accusa il messaggero della verità di essere solo un fanatico legalista che cerca sempre il pelo nell'uovo. Il principio, però, nega che si possano così evadere le nostre responsabilità. Non importa quanto piccola possa essere l'idolatria. Proprio come è possibile commettere adulterio facendo solo un occhiolino, così l'idolatria ha i suoi sottili modi per intrufolarsi nella nostra vita religiosa: tutto questo deve essere messo in luce e farne oggetto di ravvedimento. Davanti a Dio non è accettabile alcun livello di idolatria.

È necessario quindi gettare una forte luce su alcuni fra i modi oggi più popolari per celebrare il culto che a Dio è dovuto, se no cadremo solo negli equivoci.

Per quanto riguarda gli elementi del culto, alcune pratiche della Chiesa cattolica romana sono una palese infrazione del principio biblico di regolazione del culto. Il segno della croce, le genuflessioni, le preghiere rivolte a Maria ed ai santi, le numerose pratiche biblicamente illegittime che chiamano 'sacramenti', l'uso dell'"acqua santa" e molte altre cose come le dottrine umane che elevano la volontà umana e danno credito meritorio alle sue opere. Anche i protestanti, però, possiedono la loro propria batteria di azioni idolatriche che, chissà perché, si sono infiltrate nei loro culti, contrariamente anche a ciò che i loro padri nella fede avevano stabilito. Quante volte, nel culto, si predicano dottrine che esaltano l'uomo a spese di Dio, si usano le barzellette per "riscaldare" l'uditorio, si fanno inviti "evangelistici" a venire avanti, testimonianze di fede, scenette, brani teatrali, si cantano inni non ispirati dal contenuto discutibile e persino eretico, si organizzano "culti per bambini": tutte queste sono cose che per quanto abilmente giustificate, non sono comandate dalla Scrittura e quindi sono proibite.

Anche le circostanze spesso comuni nel Cattolicesimo, nel Luteranesimo, e nell'Anglicanesimo, manifestano una natura inequivocabile. L'architettura delle cattedrali antiche e moderne dove gli architetti, spesso increduli, si sbizzarriscono in costose opere artistiche a loro dire simboliche e ispiranti, spesso per la loro propria gloria, mascherata con la glorificazione di Dio. Non parliamo poi della "riscoperta" della liturgia: candele, processioni, paramenti, statue, dipinti, alberi di natale, presepi, bandiere, striscioni, piante, fiori, altari, danze sacre! E poi ogni sorta di musica più o meno popolare e ispirante, giustificata adducendo che il culto debba adattarsi alla cultura ed alla sensibilità del momento… Tutto questo, naturalmente, non è che una lista molto incompleta di tutte le innovazioni che spesso rendono il culto, giustificato dall'esigenza di essere più attuali e moderni, in un vero e proprio show, un varietà di intrattenimento! Certo, si fa tutto "in buona fede" per "promuovere" a loro dire, il culto di Dio, ma non passa neanche per la mente di molti che tutto questo non sia che una palese violazione della Legge di Dio. Si pensa di saperla più lunga di Dio stesso che cosa sia giusto ed opportuno fare durante il culto! Non importa quanto tutto questo possa piacere, attirare gente, avere una qualsiasi giustificazione… Certamente può essere qualcosa di bello e che ti fa sentire bene. Magari si tratta di cose donate alla comunità dalla cara e vecchia zia Olimpia, una magnifica credente… ma alla fin fine ciò che conta è: "Tutto ciò che non è comandato dalle Scritture è proibito!".

Conclusione

L'idolatria pare essere una malattia generazionale. Inizia in modo impercettibile e "innocuo", cresce lentamente, e prima che se ne sia reso conto, col passare del tempo, le innovazioni diventano tradizione, tanto da diventare degli orrendi padroni di schiavi che nessuno vorrebbe incontrare neanche nei peggiori incubi! È come il granello di sabbia in un'ostrica. È "solo" un granello di sabbia, ma poi cresce fino a diventare parte dell'ostrica stessa alle spese della stessa sua vita. Sarà poi bella e preziosa, ma a che prezzo è cresciuta?

Il secondo comandamento è sempre stato imbarazzante per la vita della Chiesa: si preferisce ignorarlo, dire che non ci riguarda più, oppure cancellarlo del tutto e senza scrupolo alcuno. Eppure esso esige a viva voce che il culto reso al Dio vero e vivente sia puro e fedele a quanto Dio stesso ha stabilito. Esso comporta anche delle maledizioni che ricadono sulle generazioni seguenti, segno di gente che, come dice il comandamento stesso "odia Dio" perché ritiene di poter ignorare ciò che Egli espressamente ha detto e stabilito. Violare infatti la legge che Dio ha stabilito per il culto significa per Lui, in realtà, nonostante le migliori intenzioni, solo odio e disprezzo nei Suoi riguardi. Esso giunge al cuore stesso del conoscere Dio e del rendergli culto in spirito e verità. Ogni Chiesa che si trovi sottoposta alle maledizioni che questo comandamento pronuncia dovrebbe affrettarsi a ravvedersi e a rettificare ciò che ha reso storto. Dovrebbe implorare la misericordia di Dio sulle future generazioni che essa ha esposto al giudizio di Dio. Essa dovrebbe mettere in guardia altre comunità cristiane del pericolo che stanno correndo. Possa lo Spirito di Dio sollecitare la Chiesa ad una rinnovata ubbidienza al secondo comandamento, e suonare, per così dire, le trombe d'argento10 che convocano il Suo popolo per combattere il male che si è insinuato fra le loro fila.

Il grande teologo Robert L. Dabney (1820-1898), nelle sue lezioni di teologia sistematica (p. 193), dice che: "il grande obiettivo di tutta la Scrittura è di liberare il mondo dall'idolatria". Questa discussione, necessariamente, ha preso inizio da esempi biblici di violazione del Principio regolatore del culto in quanto applicato ai suoi atti cerimoniali. Poi l'obiettivo si è spostato sull'introduzione nel locale di culto di simboli religiosi non autorizzati ed elementi che vanno oltre alle necessità circostanziali. Ha poi discusso brevemente di architettura ecclesiastica e dell'abbigliamento dei ministri di culto. Non abbiamo trattato però del canto degli inni e dei salmi, come pure dell'uso degli strumenti musicali nel culto. Tutto questo, però, sarà oggetto di una separata pubblicazione.

(Paolo Castellina, venerdì 12 febbraio 1999. Tutte le citazioni bibliche, salvo diversamente indicato, sono tratte dalla versione Nuova Diodati, ediz. La Buona Novella, Brindisi, 1991).

Il vero culto di Dio

Il puro ed intero culto di Dio consiste solo di quelle cose che Dio ha comandato nella Sua Parola: "Avrete cura di mettere in pratica tutte le cose che vi comando; non vi aggiungerai nulla e nulla toglierai da esse" (De. 12:32). Si veda pure De. 32:46; Mt. 28:20; At. 2:42 e 1 Ti. 6:13,14. Se non è comandato da Dio, si tratta di idolatria!

  1. LETTURA, PREDICAZIONE ED ASCOLTO DELLA PAROLA DI DIO (De. 17:18,19; At. 10:33; 16:21; 2 Ti. 4:2; Gm. 1:21,23).
  2. PREGHIERE E RENDIMENTO DI GRAZIE NEL NOME DI CRISTO: "rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio e Padre nel nome del Signor nostro Gesù Cristo".
  3. AMMINISTRARE E RICEVERE I SACRAMENTI DEL BATTESIMO (Mt. 28:19), e DELLA CENA DEL SIGNORE (1 Co. 11:23-34).
  4. IL GOVERNO DELLA CHIESA E PIA DISCIPLINA: LE CHIAVI DEL REGNO DEI CIELI (Mt. 16:19; 18:15-17).
  5. IL MINISTERO E IL SUO MANTENIMENTO (Ef. 4:11,12; 1 Ti. 5:17,18; 1 Co. 9:7-15).
  6. IL DIGIUNO RELIGIOSO: "«Perciò ora», dice l'Eterno, «tornate a me con tutto il vostro cuore, con digiuni, con pianti e con lamenti». Stracciate il vostro cuore e non le vostre vesti e tornate all'Eterno, il vostro DIO, perché egli è misericordioso e pieno di compassione, lento all'ira e di grande benignità, e si pente del male mandato" (Gl. 2:12,13, cfr. 1 Co. 7:5).
  7. L'USO CULTURALE DEL NOME DI DIO E I VOTI: "Fate voti all'Eterno, al DIO vostro, e adempiteli; tutti quelli che stanno attorno a lui portino doni al Tremendo" (Sl. 76:11; De. 6:13; Is. 19:21).
  8. DISTANZIARSI DAL FALSO CULTO (Sl. 16:4; At. 17:16,17) E RIMUOVERE GLI IDOLI (Is. 30:22; De. 7:5; At. 19:19, 23-27).

Note
 

1 Iddio, che è infinito ed eterno, che ha creato i cieli e la terra, può essere avvicinato solo nei Suoi termini. Questo vale sia per la salvezza che per il culto che Gli è dovuto. Dall'umanità decaduta, Dio ha redento un popolo che Lo servisse, che Lo adorasse e che Lo glorificasse. E' stato Dio a prendere l'iniziativa ed a salvare un popolo "morto nei falli e nei peccati", attraverso la morte sacrificale e la vita immacolata di Gesù Cristo. I cristiani professanti riconoscono che il solo modo per essere salvati è attraverso Gesù Cristo. Essi respingono l'idea che vi possano essere molte strade per giungere a Dio. Quando però si tratta di rendere a Dio il culto che Gli è dovuto, la maggior parte dei cristiani professanti crede di poter fare tutto ciò che ritiene opportuno, basta che stia in certi limiti (quali, poi?). Dio però ha stabilito espressamente come debba essere condotto il culto, escludendone ogni umana discrezionalità o autonomia. Dio non ha lasciato il culto al capriccio umano. Dio, che è l'oggetto del culto, dice Egli stesso come si debba rendergli culto.

2La versione CEI traduce con "affettata religiosità", e la TILC "religione personale", ma questo non rende bene il senso della parola, ed è persino sviante. La Diodati traduce con "religione volontaria".

3 La sineddoche è una figura retorica consistente nell'estendere o nel restringere il significato di una parola; nel nostro caso, ciò che si ottiene adoperando il tutto per una parte (ad es. "la città ha paura"), una parte per il tutto (ad es. "il mare è sparso di vele"), il genere per la specie (ad es. "il felino giocava sul divano"), la specie per il genere (ad es. guadagnarsi il pane), la materia per ciò che essa è costituito (ad es. "il piombo del nemico"), il contenente per il contenuto (ad es. bere una tazza di latte), il singolare per il plurale (ad es. "Il cane è un animale fede").

4 "Col passare del tempo, avvenne che Caino fece un'offerta di frutti della terra all'Eterno; Ora Abele offerse anch'egli dei primogeniti del suo gregge e il loro grasso. E l'Eterno riguardò Abele e la sua offerta, ma non riguardò Caino e la sua offerta. Così Caino ne fu molto irritato, e il suo viso ne fu abbattuto" (Ge. 4:3-5).

5 "Poi Nadab e Abihu, figli di Aaronne, presero ciascuno il proprio turibolo, vi misero dentro del fuoco, vi posero sopra l'incenso e offrirono davanti all'Eterno un fuoco illecito, che egli non aveva loro comandato. Allora un fuoco uscì dalla presenza dell'Eterno e li divorò; e morirono davanti all'Eterno" (Levitico 10:1,2).

6 "Ma Samuele gli disse: «Che cosa hai fatto?». Saul rispose: «Quando ho visto che il popolo si disperdeva lontano da me, che tu non eri giunto nel giorno stabilito e che i Filistei si radunavano a Mikmash, mi son detto: "Ora i Filistei mi piomberanno addosso a Ghilgal e io non ho ancora supplicato l'Eterno". Perciò mi sono fatto forza e ho offerto l'olocausto»" (1 Sa. 13:11,12).

7 "E posero l'arca di DIO sopra un carro nuovo e la tolsero dalla casa di Abinadab che era sul colle; Uzzah e Ahio, figli di Abinadab guidavano il carro nuovo. Così condussero via l'arca di DIO dalla casa di Abinadab che era sul colle, e Ahio andava davanti all'arca ... Quando giunsero all'aia di Nakon Uzzah stese la mano verso l'arca di DIO e la sostenne, perché i buoi inciamparono. Allora l'ira dell'Eterno si accese contro Uzzah, e là DIO lo colpì per la sua colpa; ed egli morì in quel luogo presso l'arca di DIO" (2 Sa. 6:3,4; 6,7).

8 Per coloro che tanto amano le loro tradizioni umane (che essi hanno aggiunto al culto che Dio ha stabilito), il modo più ovvio per aggirare il chiaro significato dei brani dell'Antico Testamento discussi, sarebbe quello di asserire che il principio regolatore fosse inteso solo per la Chiesa immatura dell'Antico Testamento. Si dice: visto che il popolo di Dio nell'Antico Patto non aveva lo Spirito Di Dio nello stesso modo o pienezza dei credenti sotto il Nuovo Patto, Dio aveva dovuto prescrivere tutte le ordinanze del loro culto in dettagli minuziosi. Dopo l'effusione dello Spirito Santo a Pentecoste, però, si potrebbe dire che la Chiesa sia passata dall'infanzia agli anni della maturità, età dove le sarebbe possibile esercitare discrezione e libertà nel determinare il proprio culto. Questa argomentazione (sebbene comune) è però fallace: il Nuovo Testamento insegna esattamente lo stesso principio di culto che l'Antico Testamento. Cristo si atteneva strettamente al principio regolatore prima e dopo la Sua risurrezione e l'apostolo Paolo aderiva strettamente al principio regolatore molti anni dopo Pentecoste.

9 "Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate alcun'altra cosa, fate tutte le cose alla gloria di Dio".

10 "Quando nel vostro paese andrete alla guerra contro il nemico che vi opprime suonerete l'allarme con le trombe; così sarete ricordati davanti all'Eterno, il vostro DIO, e sarete liberati dai vostri nemici" (Nu. 10:9).