Predicazioni/Galati/I privilegi dell'adozione

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I privilegi dell'adozione

Le cronache ci parlano degli abusi commessi da organi dello Stato che strappano bambini dai loro rispettivi genitori con discutibili giustificazioni, per affidarli ad altri che ne diventano così i nuovi genitori. Questi riprovevoli abusi non devono oscurare, però, la lodevolissima pratica dell'adozione per la quale chi è privo di genitori o ne ha, ma che non assolvono degnamente la loro funzione, vengo integrati in una nuova famiglia e assumono i titoli legali di figli a tutti gli effetti ed i privilegi. Il concetto di adozione ricorre nel Nuovo Testamento applicandosi a coloro che, grazie a Cristo Gesù, Dio adotta nella sua famiglia spirituale, assumendone per grazia tutti i diritti ed i privilegi. Esaminiamo oggi sommariamente questa realtà sulla base di Galati 4:6-7.

"Ora perché voi siete figli, Dio ha mandato lo Spirito del Figlio suo nei vostri cuori che grida: «Abba, Padre». Perciò tu non sei più servo, ma figlio; e se sei figlio, sei anche erede di Dio per mezzo di Cristo" (Galati 4:6-7).

Ogni creatura umana, così come nasce e diventa, a causa del peccato radicato nella nostra natura decaduta e che lo asservisce, non è "a posto" con Dio. Il Salvatore Gesù Cristo è venuto per "rimettere a posto" chi si affida a Lui, vale a dire rimetterlo in comunione dinamica con Dio, così come doveva essere sin dall'inizio. La legge morale di Dio a cui siamo tutti sottoposti ci condanna e ci danna. Ecco, così, come dice il versetto precedente: "Dio ha mandato suo Figlio, nato da donna, sottoposto alla legge, perché riscattasse quelli che erano sotto la legge, affinché noi ricevessimo l'adozione" (4-5).

I due verbi qui usati, riscattare e ricevere, presentano le due facce della medaglia del nostro nuovo rapporto con Dio. Iddio ha già agito nella storia per liberarci. Affinché, però, la nostra vita sia trasformata dalla Sua azione, noi siamo chiamati a rispondervi con fede. Questo è sufficiente per ricevere il titolo a pieno diritto di figli: "a tutti coloro che lo hanno ricevuto, egli ha dato l'autorità di diventare figli di Dio, a quelli cioè che credono nel suo nome" (Giovanni 1:12).

Coloro che vengono affidati a Cristo Dio li rende figli adottivi. Un figlio adottivo riceve ogni titolo legale dei figli naturali: stesso nome, stessa eredità, stessa posizione, stessi diritti.

Dio manda Gesù Cristo, per Sua stessa divina natura Figlio di Dio, affinché noi, che non siamo Suoi figli per natura [siamo certo creature di Dio, ma non "figli di Dio", che nelle Scritture è una categoria ben definita] potessimo diventare Suoi figli adottivi e riceverne tutti i titoli legali. Abbiamo così lo stesso nome, la stessa eredità, la stessa posizione e diritti di Colui che è Figlio di Dio in virtù della Sua natura divina. L'immagine che l'Apostolo usa in questo testo è diversa dalla precedente. Ora parla di un servo, "un domestico" che, per la grazia del suo padrone, viene adottato come figlio e giunge così a goderne tutti i diritti. Capitava spesso nella società dell'antica Roma, dove vi era la funzione di domestico, schiavo [oggi, grazie a Dio abbiamo solo gli elettrodomestici!].

Questa figliolanza non è solo un fatto dichiarato oggettivamente (e basterebbe questo per esserne sicuri): di essa possiamo farne esperienza diretta, soggettiva: "Dio ha mandato lo Spirito del Figlio suo nei nostri cuori", fatto che corrisponde a "Dio ha mandato lo Spirito del Figlio suo nei vostri cuori". L'esperienza, "il vissuto" dell'essere figli adottivi di Dio, il fare esperienza dello Spirito Santo, non è qualcosa che noi, come credenti, si possa conseguire solo in un secondo tempo, magari attraverso speciali procedure o preghiere... Non ci sono per questo requisiti o condizioni da assolvere: essa è "un dato" che si manifesta allorché nella preghiera sentiamo ed invochiamo Dio veramente come padre, il nostro padre, anzi, come papà, nel modo più personale ed affettuoso, in modo simile a ciò che viveva lo stesso Gesù in terra (e che continua a vivere in cielo).

Tutto questo diventa una nostra persuasione interiore: Dio non è più per noi un concetto astratto e lontano. A che cosa è dovuto questo cambiamento nella nostra percezione? Allo Spirito del Figlio Suo che ci è stato dato. Non è solo la comprensione intellettuale di un concetto, né soltanto un sentimento: è la consapevolezza profonda, che siamo in rapporto con Dio in modo unico e straordinario, tanto da trasformare tutta la nostra vita e che sovrasta persino ai nostri eventuali sensi di colpa, dubbi e paure.

Rivolgersi a Dio come padre, anzi, papà, non è quindi una formalità liturgica [alcuni erroneamente ritengono che il battesimo in sé ci renda figli di Dio, no, non è così], né un modo casuale e privo di rispetto di considerare Dio, ma qualcosa che ci fa prendere coscienza della nostra nuova identità che abbiamo acquisito in Cristo (la nostra identità più profonda), che dà senso alla nostra vita e che ispira e motiva la vocazione che assolviamo in questo mondo. Questa consapevolezza dataci dallo Spirito di Dio è tale da impartirci il senso della nostra personale dignità e valore, non importa quale sia la nostra condizione in questo mondo e le circostanze nelle quali viviamo. E' così che a livello personale, nella preghiera, entriamo nel "dialogo" della ricca e meravigliosa vita interiore della Santa Trinità: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.

Tutto questo è riassunto al versetto 7: "tu non sei più servo, ma figlio; e se sei figlio, sei anche erede di Dio per mezzo di Cristo" . La testimonianza interiore dello Spirito ci persuade che siamo figli di Dio, che non siamo più "rinchiusi sotto la custodia della legge" (3:23), non più "sotto precettore" (3:25), non più "sotto tutori e amministratori" (4:2). Siamo liberi dal controllo della legge mosaica. Certo, questo non vuole dire "liberi di fare quel che vogliamo". Chi vive in comunione con Dio Padre sotto la guida dello Spirito Santo, infatti, non ha più bisogno che la legge lo costringa e lo disciplini, ma ubbidisce di tutto cuore perché sa che ciò che Dio prescrive è retto, buono e giusto. Egli è diretto dalla potenza superiore dello Spirito, in costante armonia con Cristo. Il nostro rapporto con Dio non è e non può esser più mediato dalla legge mosaica, ma da Cristo (oggettivamente) e dallo Spirito Santo (soggettivamente). Gesù stesso rappresenta la diversità del rapporto con Dio come figli o come servi nella parabola del figliol prodigo (Luca 15). Il fratello maggiore afferma: "Ecco, da tanti anni ti servo e non ho mai trasgredito un tuo comando" (Luca 15:29): non aveva mai considerato e chiamato suo padre affettuosamente papà ma si era considerato suo servo! Vorrebbero così forse i cristiani della Galazia tornare in questa condizione "rivalutando" in quel modo la legge mosaica?

Conseguenza dell'essere figli è l'aver titolo all'eredità: "sei anche erede per grazia di Dio". E' la fede in Cristo che ci rende sia figli che eredi di Dio. Non dobbiamo per questo ...diventare ebrei! La promessa di benedizioni in Abramo si realizza in Cristo e attraverso Cristo si trasmette a tutti coloro che, per fede, sono in comunione con Cristo, a qualunque nazione appartengano. Oggi in Cristo già possiamo godere di tante benedizioni, ma non è che una caparra: "...ci ha dato la caparra dello Spirito" (2 Corinzi 5:5): un giorno, dopo la morte finale e la risurrezione finale, saremo completamente come Lui: "Carissimi, ora siamo figli di Dio, ma non è ancora stato manifestato ciò che saremo; sappiamo però che quando egli sarà manifestato, saremo simili a lui, perché lo vedremo come egli è" (1 Giovanni 3:2). Parlando al funerale di suo padre, uno una volta aveva detto: "La più grande eredità che mio padre mi ha lasciato e di cui sono riconoscente non sono tanto i suoi beni, ma l'essere diventato come lui". E' vero per chi è in Cristo: diventare moralmente e spiritualmente come Lui è l'eredità più grande.

Preghiera

Desidero esprimerti, Padre celeste, papà, buono e generoso, tutta la mia riconoscenza per avermi fatto in Cristo Tuo figlio adottivo e contitolare di meravigliose benedizioni. Che la mia vita rifletta in tutto questa consapevolezza profonda e che io ne renda fedele testimonianza al mondo. Amen.