Predicazioni/Isaia/Chi si aspetta il peggio e chi si aspetta il meglio

Da Tempo di Riforma Wiki.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

Ritorno


Chi si aspetta “il peggio” e chi si aspetta “il meglio”

Chi ha ragione: i pessimisti o gli ottimisti? Oggi c’e ben motivo di essere pessimisti sul futuro di questo mondo. La realtà è tragica e le cose sembrano andare di male in peggio. Sono molti che considerano con apprensione le profezie “apocalittiche” di varia natura che si odono in giro. Il popolo di Dio, però, non può essere pessimista, perché guarda con speranza le sicure promesse di Dio che riguardano la vittoria del Signore e Salvatore Gesù Cristo su ogni male. Questo è il messaggio comunicatoci nel periodo dell’Avvento. Esso non ci fa semplicemente “attendere”, ma ci impegna, con speranza di successo, a proclamare e a vivere l’Evangelo. Il popolo di Dio non è “sognatore”, ma sulla scia dei profeti biblici, annuncia il certo giudizio di condanna degli empi e la salvezza dei redenti. Consideriamo questo oggi sulla base del testo d'Isaia 2:1-5.

Chi ha ragione: i pessimisti o gli ottimisti?

Durante il tempo dell’imposizione del lockdown nei primi tempi della pandemia covid era diventato popolare il fiducioso slogan: “Andrà tutto bene”. Molti ne avevano fatto uno striscione da appendere ai balconi di casa con tanto di arcobaleno indicante come la forza del ciclone-pandemia sarebbe cessata e sarebbe ritornato il sereno - la certezza che la situazione emergenziale sarebbe cessata. Vane speranze, ma non a causa del virus. In seguito sarebbe diventata virale una foto che mostrava uno di quei balconi crollati con ancora attaccato alla ringhiera lo striscione “Andrà tutto bene”. Quella foto era espressione dei pessimisti (o realisti?) che deridevano gli ottimisti per la loro ingenua dabbenaggine e infondate speranze. 

Chi dunque ha ragione: gli ottimisti o i pessimisti? La bilancia sembra indubbiamente pesare dalla parte dei pessimisti, constatando soprattutto come il potere politico abbia scoperto che le “emergenze infinite” possono essere per loro un utile strumento di potere per assoggettare la popolazione al loro dominio sfruttandone le paure. Siamo così passati dall’emergenza pandemica all’emergenza bellica e poi ancora all’emergenza energetica e all’emergenza climatica. Che altro dovremmo ancora attenderci? Il sospetto, quindi, è che siano proprio i dominatori di questo mondo a creare appositamente “emergenze” per loro uso e consumo. Davvero si tratterebbe questo di “fantasie dei complottisti”?  Qualcuno ha osservato come i discreditati complottisti siano di fatto quelli che comprendono la vera situazione due anni prima di tutti gli altri.

Il pessimismo, poi, è alimentato oggi pure dall’influenza dei popolari “profeti di sventure” che prospettano per il futuro solo drammatiche distopie apocalittiche. Si passa così dai teorici del complotto ai teorici dell’apocalisse. Chi allora ha ragione? Quelli che si aspettano “il meglio” o quelli che si aspettano “il peggio”? I progressisti o i catastrofisti? 

Veri e falsi profeti

La contrapposizione fra ottimisti e pessimisti, però, è una semplificazione sviante. È infatti sempre necessario fare distinzioni e usare il dovuto discernimento. Esistono complotti che falliscono (grazie a Dio, la maggior parte) ed esistono falsi profeti, visionari e indovini (sia di sventure che di speranze infondate). Ma i veri profeti pure esistono, quelli che genuinamente Dio ha mandato. Non tutti quelli che affermano di rivelare il futuro sono da credervi. Saggezza è valutare ogni cosa e sapere distinguere gli uni dagli altri. I falsi profeti è necessario identificarli come tali e smascherarne le motivazioni e gli interessi nascosti. Degli autentici profeti “canonici”, quelli che ci parlano attraverso la Bibbia, riconosciamo come essi abbiano avuto sempre ragione nel prospettare sia guai che benedizioni. Annunciano, infatti, sia l’inevitabile giusto giudizio di Dio su un mondo empio e ribelle a Lui, ma anche fanno appello al ravvedimento per poter evitare il giudizio di Dio che si abbatterà certamente sugli impenitenti. Non manca però mai in loro l’annuncio della grazia per un resto fedele che vedrà il sorgere di un mondo rigenerato da Dio finalmente libero da tutti i mali che affliggono l’umanità.

La funzione del periodo di Avvento

Il periodo dell’anno cristiano chiamato dell’Avvento ci aiuta a vedere le cose nella giusta prospettiva. Il futuro sarà luminoso perché vedrà il trionfo del secondo avvento del Messia, il Cristo, vale a dire del Signore e Salvatore Gesù Cristo. È la speranza, anzi la certezza, di coloro che Egli ha redento dalla condanna del peccato e che fanno parte del Suo popolo seguendolo fedelmente sulla strada da Lui tracciata. Il messaggio profetico della Bibbia, però, non offre illusioni a buon mercato per gli altri. Vi sarà, infatti, una vagliatura, come annunciava Giovanni Battista, il precursore: “Egli ha in mano il suo ventilabro per pulire interamente la sua aia e raccogliere il grano nel suo granaio, ma la pula la brucerà con fuoco inestinguibile” (Luca 3:17). Vi sarà quella che potremmo chiamare una giusta “discriminazione di destini”. Come dice la Parola di Dio: “L'attesa dei giusti è gioia, ma la speranza degli empi perirà” (Proverbi 10:28). Il giusto può sperare la felicità, le speranze dei malvagi non sono che illusione. Come pure: “Il giusto non sarà mai smosso, ma gli empi non abiteranno la terra” (Proverbi 10:30), vale a dire, i giusti sono sempre al sicuro, ma gli empi non abiteranno la terra promessa.

Uno dei testi biblici riservati quest’anno per la lettura e meditazione nella prima domenica di Avvento è Isaia 2:1-5. Ascoltiamolo e poi lo esamineremo sommariamente.

“Parola che Isaia, figlio di Amots, ebbe in visione riguardo a Giuda e a Gerusalemme. Avverrà, negli ultimi giorni, che il monte della casa dell'Eterno si ergerà sulla vetta dei monti e sarà elevato al di sopra dei colli; e tutte le nazioni affluiranno a esso. Molti popoli vi accorreranno, e diranno: “Venite, saliamo al monte dell'Eterno, alla casa dell'Iddio di Giacobbe; egli ci insegnerà le sue vie, e noi cammineremo per i suoi sentieri”. Poiché da Sion uscirà la legge, e da Gerusalemme la parola dell'Eterno. Egli giudicherà tra nazione e nazione e sarà l'arbitro fra molti popoli; essi, con le loro spade, costruiranno vomeri di aratro e, con le loro lance, falci; una nazione non alzerà più la spada contro un'altra e non impareranno più la guerra. Casa di Giacobbe, venite, e camminiamo alla luce dell'Eterno!” (Isaia 2:1-5).

Il giudizio e la grazia della salvezza

I capitoli da 1 a 5 d'Isaia servono come prefazione al libro e ne introducono i temi principali.

Il capitolo uno introduce il profeta e il suo mandato (1:1), e poi parla a lungo della malvagità del regno di Giuda per tutto il resto del capitolo (1:2-31). L’Eterno Dio, tuttavia, nella sua misericordia ha permesso a un piccolo residuo di sopravvivere (1:9) “ripulendo la città dalle scorie” in modo che Gerusalemme possa veramente tornare a essere chiamata "la città della giustizia, la città fedele" (1:25-26). Avverte poi: "i ribelli e i peccatori saranno fiaccati insieme e quelli che abbandonano l'Eterno saranno distrutti" (1:28). Il primo versetto del capitolo due ripete l'introduzione di 1:1, e poi offre la promessa che Gerusalemme diventerà la città santa per molte nazioni (2:2-4). Il profeta, così, chiama i discendenti di Giacobbe a «camminare alla luce dell’Eterno» (2,5). Parla dei molti modi in cui il Suo popolo gli è stato infedele ed è quindi incorso nel Suo giudizio (2:6-4:1), ma poi dà loro un'idea della gloria futura che li attende (4:2-6). Il capitolo cinque include il “Canto della vigna infruttuosa”, la vigna che era stata amorevolmente preparata per produrre uva, ma che invece aveva prodotto uva selvatica (5:17). Il profeta denuncia l'ingiustizia (5:8-23) e dice che il popolo subirà un'invasione devastante come giudizio a causa dei suoi peccati (5:24-30). L'atmosfera di questi capitoli, quindi, oscilla tra giudizio e speranza. È lo stato d'animo di un amante (Dio) che tanto aveva sperato dalla sua amata, ma ne era stato crudelmente deluso. Dio, però rifiuta di rinunciare alla speranza e continua a promettere un futuro glorioso.

I. “Parola che Isaia, figlio di Amots, ebbe in visione riguardo a Giuda e a Gerusalemme” (1). Sappiamo poco d'Isaia oltre a quanto rivelato in questo libro. Il nome di suo padre, Amots, non ci aiuta a identificarlo. La maggior parte degli studiosi crede che questo Isaia abbia scritto i capitoli 1-39 di questo libro, mentre, a causa di un diverso stile letterario, un’altra persona, forse un suo discepolo, abbia più tardi aggiunto i capitoli 40-66. 

II. “Avverrà, negli ultimi giorni, che il monte della casa dell'Eterno si ergerà sulla vetta dei monti e sarà elevato al di sopra dei colli; e tutte le nazioni affluiranno a esso” (2). Giuda e Gerusalemme erano state menzionate in 1:1, il che aveva portato a una lunga valutazione negativa della popolazione di Giuda (1:2-20) come pure della degenerazione morale e spirituale di Gerusalemme (1:21-31). La città di Gerusalemme, al tempo d'Isaia, era una realtà politicamente marginale e vulnerabile, sopravvissuta solo per volere delle grandi potenze. Il profeta, ciononostante, vede un magnifico futuro per la città, simbolo della presenza di Dio con il Suo popolo. Quel magnifico futuro, però, avverrà “ciononostante”, non con lo scopo di glorificare Gerusalemme, ma di glorificare Dio e la fedeltà alle Sue promesse. Il capitolo 1 parlava del peccato di Giuda e del giudizio che il suo popolo poteva aspettarsi. Tuttavia, come abbiamo prima osservato, il capitolo 1 offre anche barlumi di speranza che ci parlano dell'amore duraturo di Dio verso il Suo popolo. 

Questa frase, "Negli ultimi giorni", indica il futuro, ma non offre alcun indizio su quanto potrebbe essere lontano nel futuro. Ciò che è chiaro è che sarà, per grazia di Dio, un futuro glorioso. Il Nuovo Testamento usa le frasi "gli ultimi giorni" o "la fine dei tempi" in senso escatologico. La visione che Isaia condivide in questi versetti è un'affermazione della certezza che la storia raggiungerà la sua meta, il suo culmine. Tale obiettivo è il regno di Dio che comporterà la completa trasformazione delle condizioni ora esistenti nel mondo, dal conflitto all'unità e alla pace. Importante però osservare come mentre l'adempimento della visione non sarà completo fino alla seconda venuta di Cristo, l'adempimento parziale di questa profezia è iniziato a Pentecoste. Nella cultura di quel tempo le montagne erano i luoghi sui quali le persone incontravano Dio. Mosè aveva incontrato Dio sul monte Sinai. Il tempio era situato sul monte Sion. La frase “la casa del Signore” ci fa pensare al tempio, e “il monte della casa del Signore” ci fa pensare al monte Sion. Tuttavia, il monte Sion non è il più alto dei monti, nemmeno vicino a Gerusalemme. Il Monte degli Ulivi, appena fuori città, è alto 800 metri. Il fatto che la casa di Jahvè sarà stabilita come la più alta delle montagne è solo un simbolo dello status preminente di cui Dio godrà "nei giorni a venire". “Anche il Sinai, il monte della legge, passerà in secondo piano, perché la nuova alleanza è superiore alla vecchia. “Sarà elevato al di sopra dei colli” riafferma il pensiero con parole diverse, un parallelismo comune alla poesia biblica.

“Tutte le nazioni affluiranno a esso” (v. 2d). Le “nazioni” raffigurano i popoli non ebraci. Essi affluiranno verso il Dio vero e vivente. Pensiamo ai ruscelli che scorrono giù dalle montagne, ma questi scorreranno “verso l’alto” alla montagna di Dio. Questa non è la prima indicazione che troviamo nelle Scritture che Dio ama “le genti” tanto quanto gli ebrei. Dio aveva concluso l'alleanza originaria con Abramo con le parole: “in te saranno benedette tutte le famiglie della terra” (Genesi 12:3). Troviamo l'adempimento di questa profezia in Gesù Cristo, che ha abbattuto il muro di separazione tra Giudei e pagani (Efesini 2:14). Infatti, Cristo accoglie persone di tutte le nazioni alla presenza di Dio, e oggi persone di tutte le nazioni adorano il Cristo.

III. “Molti popoli vi accorreranno, e diranno: “Venite, saliamo al monte dell'Eterno, alla casa dell'Iddio di Giacobbe”. Questo è parallelo al versetto 2, che raffigura “tutte le nazioni” che si riversano verso l'alto monte di Dio, compiendo il loro pellegrinaggio per sedersi ai piedi di Jahvè. Sottolinea nuovamente che l'amore di Dio abbraccia sia i pagani che gli ebrei. Ciò trova il suo primo compimento nell'istituzione della chiesa cristiana. Mentre il giudaismo attira solo alcuni proseliti, il loro numero è minimo. Avverrà, però, gradualmente che un grande numero di persone di diversa estrazione accolga in Cristo il Dio vero e vivente.

“Egli ci insegnerà le sue vie, e noi cammineremo per i suoi sentieri”. Il popolo salirà sul monte del Signore allo scopo di apprendere le vie di Dio e camminare nei sentieri di Dio. L'insegnamento è una delle funzioni primarie della sinagoga, e questo vale anche per la chiesa cristiana. Questo corrisponde ai ministeri dell'insegnamento e della predicazione. Il ministero dell'insegnamento è di natura didattica (sebbene abbia l'obiettivo di far cambiare lo stile di vita), mentre il ministero della predicazione implica l'esortazione delle persone a camminare nei sentieri di Dio, a vivere secondo la Sua volontà. L'insegnamento è sempre utile sia per i cristiani che per i non cristiani, perché c'è più da sapere su Dio di quanto ognuno di noi imparerà mai. Anche la predicazione è sempre utile, perché nessuno di noi riuscirà mai, in questa vita, a camminare perfettamente nelle vie di Dio. Camminare nei sentieri di Dio comporta una scelta. Se scegliamo di camminare sui sentieri di Dio, significa scegliere di non camminare su sentieri concorrenti. Scegliere Dio implica sì accettare certe restrizioni, ma è una scelta vivificante. Gesù dice: “Entrate per la porta stretta, poiché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione e molti sono quelli che entrano per essa. Stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita e pochi sono quelli che la trovano” (Matteo 7:13-14).

“Poiché da Sion uscirà la legge, e da Gerusalemme la parola dell'Eterno”. Jahvè aveva scelto Abramo e la sua discendenza come canale attraverso il quale "tutte le famiglie della terra saranno benedette" (Genesi 12:3). Gerusalemme, situata sul monte Sion, serve da simbolo di quella discendenza - il popolo ebraico - il popolo eletto di Dio. Jahvè aveva dato loro la sua parola, e quella parola si irradierà da Gerusalemme verso "tutta la Giudea e Samaria, e fino all'estremità della terra" (Atti 1:8), compiendo così la profezia.

IV. “Egli giudicherà tra nazione e nazione e sarà l'arbitro fra molti popoli; essi, con le loro spade, costruiranno vomeri di aratro e, con le loro lance, falci; una nazione non alzerà più la spada contro un'altra e non impareranno più la guerra” (4) Quando le nazioni accorreranno alla casa del Signore per essere istruite, Jahvè fungerà da giudice e arbitro per risolvere le loro controversie. Questo non è qualcosa che Jahvè imporrà loro, perché saranno venuti volentieri, anche con gioia, per imparare le vie di Jahvè e per camminare nei suoi sentieri. Essi cercheranno in Jahvè una guida per risolverle, sapendo che egli le risolverà in modo equo e con grazia.

"... con le loro spade, costruiranno vomeri di aratro e, con le loro lance, falci". (v. 4b). Le persone che si rivolgono a Jahvè per risolvere i loro conflitti godranno di un dividendo di pace. Non avranno più bisogno di spade e lance, quindi potranno trasformare strumenti di morte (spade e lance) in strumenti di vita (vomeri e coltelli per potare le viti). Solo Dio può causare questa pace quando rigenera i cuori delle persone. Prendiamoci un momento per immaginare tutte le cose che non saranno più necessarie quando le nazioni verranno al monte del Signore per imparare le sue vie e camminare nei suoi sentieri. Non avremo più bisogno di eserciti, perché non avremo più bisogno di fare la guerra. Non avremo più bisogno di mitragliatrici, carri armati, portaerei e aerei da guerra. Non avremo più bisogno di carceri o prigioni. Non avremo più bisogno di serrature o chiavi o sistemi antifurto. Non dovremo più preoccuparci di un olocausto nucleare o di attentatori suicidi. Potremo permettere ai nostri figli di camminare per strade buie senza doversi preoccupare di rapinatori o molestatori. Non avremo bisogno di protezione contro virus informatici o spam. La maggior parte dei servizi ora resi dagli avvocati sarà obsoleta. Dirigenti e dipendenti lavoreranno in armonia e con giustizia. La lista potrebbe continuare all'infinito. Cosa potremmo aggiungervi? E in che modo possiamo oggi testimoniare, anche se solo parzialmente, questo stile di vita?

“... una nazione non alzerà più la spada contro un'altra e non impareranno più la guerra”. Poiché non ci saranno più guerre, non ci sarà più bisogno d'imparare a costruire e a usare armi da guerra. Le scuole dedite all'insegnamento di tattiche e strategie militari potranno rivolgere i loro sforzi a sforzi più produttivi. Per portare questa immagine alla sua logica conclusione, possiamo presumere che non ci saranno più conflitti basati sulla razza, sulla posizione socioeconomica o sulla religione. Possiamo presumere che ci sarà anche pace tra gli individui e che persino il divorzio sarà un ricordo del passato.

Il testo d'Isaia 2:4 è inciso su un muro presso la sede delle Nazioni Unite a New York City e una grande scultura di un fabbro che batte una spada in un vomere adorna il terreno delle Nazioni Unite. Era stato il dono dell’ex Unione Sovietica all’ONU. Questi sforzi umani per stabilire la pace, sebbene encomiabili, sono nella migliore delle ipotesi tentativi. La visione comunicata in questi versetti non può realizzarsi senza la grazia di Dio.

Alla luce del Salvatore Gesù Cristo

V. “Casa di Giacobbe, venite, e camminiamo alla luce dell'Eterno!”. L'implicazione qui è che “la casa di Giacobbe” non cammini ancora alla luce del Signore. Se Jahvè ha, infatti, scelto la casa di Giacobbe per essere quella in cui "tutte le famiglie della terra saranno benedette" (Genesi 12:3), è ovvio che “la casa di Giacobbe”, il popolo dei credenti, debba prima mettere in ordine la sua casa in modo da poter dare un esempio, in modo da poter diventare una luce per attirare i popoli a Jahvè. Si tratta della Luce con la L maiuscola, quella che proviene dalla presenza del Creatore, la fonte della vita. È la luce di ciò che è bello, buono, positivo, sano, costruttivo, armonioso, morale... la luce di ciò che è in linea con la volontà di Dio, “la

buona, gradita e perfetta volontà“ di Dio, come ci è stata rivelata in Cristo attraverso tutta la Bibbia. Luce è ciò che è in linea con il carattere di Dio, quello che Egli ha rivelato nelle Scritture, cioè, con la Sua giustizia, santità e amore. Un giorno la luce del Signore brillerà ormai incontrastata su tutta la realtà. È la Sua promessa. Tocca a noi oggi essere testimoni di ciò che un giorno sarà completamente realizzato, annunciando e vivendo oggi l’Evangelo - fatto sia dell’appello al ravvedimento che della grazia di Dio in Gesù Cristo. Questo sarà per noi l’unico “realismo” che ci permetterà di essere profeticamente rilevanti in questo mondo. Ci aspettiamo dunque “il meglio” perché crediamo e viviamo nelle promesse del Signore Dio.

Paolo Castellina, 19 novembre 2022