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Il conflitto è inevitabile: la perseveranza è essenziale

Nonostante tutti gli appelli alla pace e alla riconciliazione, conflitti e guerre sono la costante caratteristica di questo mondo. Come cristiani tutto questo non ci deve sorprendere: sta nella natura stessa delle cose, quella sulla quale la Parola di Dio ci dà intelligenza. Le sofferenze sono grandi, vorremmo esserne esonerati. Il Signore Gesù, però, vuole che rimaniamo a camminare sulla Sua via, sulla quale Egli ci ha preceduto - senza paura e con determinazione, “fino alla piena redenzione di quelli che Dio s'è acquistati, a lode della sua gloria” (Efesini 2:14). L’episodio del vangelo oggi alla nostra attenzione, Luca 13:31-35,ci dà luce e forza a questo riguardo.

Conflitti costanti: se ne può uscire?

Questo mondo da sempre è un campo di battaglia dove continuamente si scontrano, senza esclusione di colpi, forze che competono fra di loro per il dominio. Non vi sono veramente mai stati veri periodi di pace neanche quando, per esempio, ai tempi dell’antico impero romano, si vantavano di aver raggiunto e garantito la loro “pax romana”. Anche quella, infatti, era imposta con la soppressione violenta di ogni oppositore al dominio dei romani. 

Come spiega la wikipedia: “Pax romana … deriva dal fatto che il dominio romano e il suo sistema legale pacificarono le regioni che avevano sofferto per le dispute tra capi rivali. Durante questo periodo Roma combatté comunque un numero di guerre contro gli Stati e le tribù vicine, soprattutto le tribù germaniche. Fu un'epoca di relativa tranquillità nella quale Roma non subì né le grandi guerre civili, come il bagno di sangue perpetuo del I secolo a.C., né gravi invasioni, come quelle della seconda guerra punica”. Anche quella “pace”, però, con la caduta dell’impero romano, giunse alla fine e gli scontri fra diverse aspirazioni al dominio, continuarono senza interruzione. Lo stesso rimane vero ancora oggi, nonostante le vane iniziative di pace e di conciliazione che si susseguono. Di fatto “pace” implica sempre il dominio di qualcuno che cerca di mantenerla fintanto che qualche altro dominatore riesce a prevalere. 

Rimane vero quanto scrive l’apostolo Giacomo: “Da dove vengono le guerre e le contese fra voi? Non è forse dalle passioni che si agitano nelle vostre membra? Voi bramate e non avete; voi uccidete e invidiate e non potete ottenere; voi contendete e guerreggiate…” (Giacomo 4:1-2). Il problema, dunque, sta proprio nelle “passioni” (voluttà, concupiscenze) che “si agitano (combattono, guerreggiano) nel cuore umano, espressione del peccato. La radice di ogni male sta solo e sempre lì: fintanto che non viene estirpata, non vi sarà mai pace.

Qualche giorno fa un mio contatto di FaceBook ha pubblicato questa semplice frase: “Signore, vieni a prendermi. Non ne posso più!”. Comprendo come questo sia pure il grido di tanti oggi che si trovano in situazioni disperanti. Gesù stesso aveva però pregato: “Io non ti prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li preservi dal maligno” (Giovanni 17:15). Gesù voleva che i Suoi discepoli rimanessero proprio in questo mondo e con la Sua forza e risorse resistessero e agissero, certi della Sua vittoria. 

La ferma determinazione di Gesù

Gesù stesso viveva inevitabilmente in una situazione di conflitto con le forze demoniache che costantemente agiscono in questo mondo cercando di distruggere, con ogni sorta d’astuzie, l’opera di Dio e dei Suoi figlioli. Lo troviamo espresso nel testo del vangelo che esaminiamo quest’oggi. Ascoltiamolo: 

“In quello stesso momento vennero alcuni Farisei a dirgli: ‘Parti, e vattene di qui, perché Erode vuol farti morire’. Ed egli disse loro: ‘Andate a dire a quella volpe: Ecco, io caccio i demoni e compio guarigioni oggi e domani, e il terzo giorno giungo al mio termine. D'altronde, bisogna che io cammini oggi e domani e dopodomani, perché non può essere che un profeta muoia fuori di Gerusalemme. Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti son mandati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come la gallina raccoglie i suoi pulcini sotto le ali; e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa sta per esservi lasciata deserta. E io vi dico che non mi vedrete più, finché venga il giorno che diciate: ‘Benedetto colui che viene nel nome del Signore!’” (Luca 13:31-35).

Luca in precedenza aveva introdotto il viaggio di Gesù a Gerusalemme con le parole: “Poi, come si avvicinava il tempo della sua assunzione, Gesù si mise risolutamente in cammino verso Gerusalemme” (9:51). Il testo del vangelo di quest’oggi mostra Gesù nel più bel mezzo di quel viaggio. Gesù intende compiere ciò che si era proposto, senza paura del pericolo, risoluto e fiducioso del risultato, e tuttavia rattristato dalla risposta di Gerusalemme.

I potenti hanno i loro piani di dominio, i loro progetti e sono pronti a togliere di mezzo in ogni modo chi vorrebbe ostacolarli e impedirli. Per questo ventilano le loro minacce e non temono di usare la violenza se uno osa sfidarli. Gesù, però, non si lascia intimidire: è determinato a portare avanti i Suoi propositi, quelli di Dio, che, nonostante ogni opposizione, andranno a sicuro compimento. 

Lo strumento della paura

Uno degli strumenti di Satana per imporsi è quello della paura, instillare la paura. Ci provano anche con Gesù. Sono tipiche tattiche terroristiche. Instillare paura è un metodo di dominio. Se si cade nella trappola della paura ci si indebolisce (anche a livello di sistema immunitario) e ci si blocca.

Il filosofo e scrittore Alessandro Benigni scrive: “La paura come metodo di controllo sociale è un sistema trasparente, invisibile, ma che funziona. La paura del peggio. O la paura di non riuscire. La paura di non farcela. La paura di perdere quello che si ha. La paura di essere dalla parte sbagliata, o semplicemente di sbagliarsi. La paura di fare brutte figure: di essere considerati diversi dal gregge. La paura di essere isolati. La paura di essere stigmatizzati. La paura di essere punti. La paura di morire. Hanno saputo instillare la paura ovunque (...). Fino al punto che alcune madri uccidono i loro figli, nel loro grembo: per paura. Genitori, e quindi insegnanti che concedono tutto, senza fatica: per paura che i giovani altrimenti (...) Perché se si guardano le cose in prospettiva, tra vent’anni, al massimo trenta, ci saremo dimenticati tutti della nostra identità, e saremo tutti abituati a farci telecomandare, convinti di non valere nulla, che essere schiavi è bello, che non abbiamo alcun diritto di espressione, di parola, e men che meno di critica, o che non siamo nemmeno padroni di decidere se, come e quando curarci (ammesso che siamo davvero malati) avendo ormai perso la proprietà del nostro corpo, oltre che del nostro cervello e forse anche della nostra anima” (Alessandro Benigni).

Nel caso del nostro testo cercano di instillare in Gesù la paura del re Erode. Si tratta di Erode Antipa, il sovrano della Galilea e uno dei figli di Erode il Grande. Il padre aveva tentato di uccidere Gesù nella sua infanzia. Ora questi farisei avvertono Gesù che anche il figlio di Erode si era proposto di farlo sopprimere. I farisei stanno onestamente cercando di mettere in guardia Gesù o stanno semplicemente cercando di spaventarlo in modo che riduca il suo profilo pubblico? Luca ha già riferito che i farisei sono ostili a Gesù e quando possono lo incalzano duramente e gli fanno domande su molte cose “tendendogli delle insidie” (11:53). Inoltre Erode ha manifestato interesse di vedere Gesù (9:9). Potrebbe però trattarsi anche di un onesto avvertimento, dato che Erode già ha dimostrato il suo carattere malvagio uccidendo Giovanni Battista (9:9). Negli scritti di Luca, infatti, i farisei non sono sempre gli oppositori di Gesù. Qui però non importa se siano i farisei o Erode a rappresentare un pericolo per Gesù. Gesù conosce il pericolo, ma è determinato nel perseguire i Suoi propositi. Non fuggirà da Erode né permetterà ai farisei di dissuaderlo. Ha un’opera da compiere: “... compio guarigioni oggi e domani, e il terzo giorno giungo al mio termine” (32). Sta seguendo l'agenda del Padre e non permetterà che la paura di Erode o dei farisei lo scoraggi e lo faccia desistere dai Suoi propositi.

Gesù non teme nemmeno di chiamare le cose e le persone per quel che sono: “Andate a dire a quella volpe…”. L’immagine della volpe non è una figura d'intelligenza come nella moderna cultura occidentale, ma indica una persona insignificante o un ingannatore, o un distruttore. Nella cultura ebraica una persona designata come volpe è una persona insignificante o vile. Gli manca il potere e la dignità reali, usando astuti inganni per raggiungere i suoi obiettivi. Erode, infatti, aveva fatto uccidere Giovanni Battista, del quale Gesù dice: "Fra i nati di donna non ve n’è alcuno maggiore di Giovanni” (Luca 7:28). In seguito Erode si oppone a Gesù. 

Gesù poi dice: “Ecco, io caccio i demoni e compio guarigioni oggi e domani, e il terzo giorno giungo al mio termine”. Gesù opera senza interruzione, senza lasciarsi distrarre o intimidire. "Il terzo giorno" si riferisce alla Sua risurrezione, un’anticipazione del Suo trionfo finale. Quello è il Suo “termine”, “perverrò al mio fine” (Diodati), “avrò finito”, vale a dire, sarà compiuta la Sua missione: il sacrificio della Sua morte in croce, “per compiere l’espiazione per i peccati del popolo” (Ebrei 2:17). Gesù userà questo termine inchiodato sulla stessa croce quando dice “È compiuto” (Giovanni 19:30). Verso quell’obiettivo Gesù cammina risolutamente, consapevole che “bisogna”, è necessario. Si tratta per Lui di un imperativo divino. La morte di Gesù non sarà un “incidente di percorso”, ma l’espressa volontà di Dio. Gesù non sarà vittima di una violenza casuale, né una sconfitta, ma una vittoria. Quella Sua opera è essenziale, necessaria, deve farla. Gesù non sarà dissuaso dalla sua missione.

Contro e fuori l’establishment politico e religioso

Gesù, in questo testo poi menziona più volte Gerusalemme. Essa è la città diletta, amata da Dio, “il luogo dove bisogna adorare” (Giovanni 4:20), la sede del tempio e dei riti sacrificali condotti secondo la Torah. Essa, però è pure, forse proprio per questo, il luogo di una lotta costante dei potentati terreni e spirituali contro Dio. Dice sarcasticamente:  “... perché non può essere che un profeta muoia fuori di Gerusalemme”. Gerusalemme è la Città Santa, tuttavia, Gerusalemme già aveva ucciso, nel passato, i profeti Uria e Zaccaria e aveva tentato di uccidere Geremia. Una delle tre tentazioni di Gesù è avvenuta sul pinnacolo del tempio, e pronuncerà il giudizio sulla città che aveva ucciso i profeti. Infatti, i capi dei sacerdoti, scribi e capi religiosi di Gerusalemme cercano di uccidere Gesù e alla fine ci riescono.

Gesù condivide il sentimento di grande tristezza di molti anche oggi che vedono proprio quelle istituzioni che dovrebbero servire Dio che lo tradiscono e che fanno il gioco dell’avversario: “Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti son mandati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come la gallina raccoglie i suoi pulcini sotto le ali; e voi non avete voluto!”. E’ frustrante cercare di riformare chiese infedeli, ma alla fine bisogna rinunciarvi perché irriformabili, bisogna uscirne e prescindere da esse. Gesù morirà e risorgerà estromesso da Gerusalemme. Quando Gerusalemme diventa “Babilonia” l’appello di Dio è “Uscite da essa, o popolo mio, affinché non siate partecipi dei suoi peccati e non abbiate parte alle sue piaghe” (Apocalisse 18:4).

Triste: è il dolore di Gesù, ma è anche il dolore di Dio risultante da una storia lunga e frustrante con Gerusalemme. Ricorda il dolore di Geremia quando aveva pronunciato la parola di giudizio di Dio contro questa stessa città santa. Quando finalmente Gesù arriverà a Gerusalemme, ne piangerà «perché non hai conosciuto il tempo nel quale sei stata visitata». Il giudizio di Dio sarà senza pietà: Gerusalemme verrà smantellata per aver ucciso i profeti, incluso Gesù. La tragedia era che non era stata disposta a riceverlo.

“Ecco, la vostra casa sta per esservi lasciata desolata” dice Gesù. Nel 587 a. C. Dio, infatti, abbandona Gerusalemme alla distruzione da parte di Babilonia. Molti degli abitanti di Gerusalemme vengono uccisi e il resto è mandato in esilio. Alla fine, solo un piccolo residuo è autorizzato a tornare. Nel tempo avrebbero ricostruito la città. L'esilio aveva costituito sia un giudizio che una purificazione. Ora Gesù dice che Gerusalemme sarà ancora una volta lasciata a se stessa. Avendo rifiutato le vie di Dio e il figlio di Dio, affronterà il pericolo senza l'aiuto di Dio. Più tardi, dopo il suo ingresso trionfale a Gerusalemme, piangerà su Gerusalemme e dirà: «Oh se tu pure avessi conosciuto in questo giorno quel ch'è per la tua pace! Ma ora è nascosto agli occhi tuoi. Poiché verranno su te dei giorni nei quali i tuoi nemici ti faranno attorno delle trincee, e ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte; e atterreranno te e i tuoi figliuoli dentro di te, e non lasceranno in te pietra sopra pietra, perché tu non hai conosciuto il tempo nel quale sei stata visitata» (19:41-44). Sulla via della croce, dirà anche alle donne che gemono lungo il suo cammino: “Figlie di Gerusalemme, non piangete per me, ma piangete per voi stesse e per i vostri figli!”» (23:28-30). Quando Luca scrive questo Vangelo, Gerusalemme giace in rovina. Non è questo pure un chiaro ammonimento per tutti gli ecclesiolatri moderni?

Al termine del nostro brano Gesù dice: “Ecco, la vostra casa sta per esservi lasciata deserta. E io vi dico che non mi vedrete più, finché venga il giorno che diciate: ‘Benedetto colui che viene nel nome del Signore!’”. La citazione è tratta dal Salmo 118:26. All'ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme, sentiremo ancora queste parole, ma non sarà Gerusalemme, ma i discepoli di Gesù a dire: «Benedetto il Re che viene nel nome del Signore» (19:37-38). Ancora una volta questo è evidenza che solo i fedeli, gli eletti, avranno la grazia di godere delle benedizioni di Dio. Nulla di sorprendente: era stato già stabilito nei termini del patto fra Dio e il Suo popolo.

Conclusione

Il conflitto permanente fra luce e tenebre fa parte della realtà di questo mondo abitato da un’umanità decaduta, ribelle a Dio, alla Sua legge e ai Suoi propositi. Incitata dal diavolo, bugiardo e assassino, essa si illude di prevalere - fra l’altro dilaniata da poteri in competizione fra di loro. I figlioli di Dio, quelli che a Lui appartengono, indubbiamente in tutto questo soffrono, vorrebbero esserne esonerati, portati via, ma devono resistere e lottare con Lui, senza lasciarsi intimidire dal mondo, determinati come Lui, fiduciosi come Lui - e con la Sua forza. Infatti: “Dio non renderà forse giustizia ai suoi eletti che giorno e notte gridano a lui? Tarderà nei loro confronti?” (Luca 18:7). Non vi sarà pace in questo mondo fintanto che Dio, secondo i Suoi tempi e propositi, avrà completato ciò di cui ha posto le basi nella passione, morte e risurrezione di Cristo. Gesù ha portato a pieno compimento l'opera di Dio Padre, e la Sua preghiera, come il Suo sacrificio, si estende fino a quella che è chiamata “la consumazione dei tempi”. La perseveranza e la fiduciosa determinazione a cui siamo chiamati non dovrà neppure venir meno, scoraggiandoci, di fronte all’infedeltà delle organizzazioni ecclesiastiche che dovrebbero servirlo. 

Tutto questo lo ha vissuto lo stesso Signore Gesù. Per questo, come dice la lettera agli Ebrei: “Teniamo lo sguardo fisso su Gesù, nostra guida ed esempio perfetto di fede. Su Gesù che, in vista della gioia che avrebbe avuto, sopportò una morte vergognosa sulla croce, e ora si è seduto al posto d'onore alla destra del trono di Dio. Se volete evitare di perdervi d'animo e di stancarvi, pensate a Gesù che sopportò tanti attacchi da parte dei peccatori. Dopo tutto, non avete ancora lottato contro il peccato e la tentazione fino alla morte” (Ebrei 12:24 BDG).

Paolo Castellina, 7-3-2022.