Preghiera/La disciplina del culto

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La disciplina del culto

Rendere a Dio il culto che Gli è dovuto significa risvegliare la coscienza con la santità di Dio, nutrire la mente con la verità di Dio, purgare l'immaginazione con la bellezza di Dio, aprire il cuore all'amore di Dio, consacrare la volontà ai propositi di Dio" (W. Temple).

Rendere a Dio il culto che Gli è dovuto significa fare esperienza della Realtà ultima, attingere alla fonte della vita. Significa conoscere, sentire, fare esperienza del Cristo risorto nel mezzo del popolo di Dio riunito. Significa irrompere nella Shekinah di Dio, anzi meglio, essere investiti della Shekinah di Dio.

Iddio cerca attivamente creature umane che Gli rendano culto. Gesù dichiara: "Ma l'ora viene, anzi è già venuta, che i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; poiché il Padre 'cerca'tali adoratori" (Gv. 4:23 NR). E' Dio che cerca, attira, persuade. Il culto è la risposta umana all'iniziativa divina. Nella Genesi Iddio camminava nel giardino cercando Adamo ed Eva. Gesù crocifisso attira a Sé stesso uomini e donne. La Scrittura è colma di esempi degli sforzi di Dio di iniziare, ristabilire e conservare la comunione con i Suoi figli. Dio è come il padre del figliol prodigo che attende con ansia suo figlio, pronto a corrergli incontro non appena lo veda per dargli il benvenuto a casa.

Il culto è la nostra risposta all'anelito d'amore che proviene dal cuore del Padre. La sua realtà centrale si trova nell'espressione biblica "in spirito e verità". Il culto viene suscitato in noi quando lo Spirito di Dio tocca il nostro umano spirito. Le forme rituali da sé non producono il culto, e neanche l'assenza d'esse. Potremmo usare tutte le tecniche ed i metodi che vogliamo, avere la migliore liturgia possibile, ma non avremo un autentico culto fintanto che lo Spirito non toccherà il nostro spirito. Un canto cristiano dice: "Libera il mio spirito affinché possa renderti culto": questo indica quale sia la base del culto. Fintanto che Dio non tocca e libera il nostro spirito, non potremo entrare in una vera atmosfera cultuale. Il canto, la preghiera, e la lode possono favorire il culto, ma il culto è più di tutto questo. E' il nostro spirito che deve prima essere acceso dal "fuoco" divino.

E' per questo che noi non ci dovremmo preoccupare eccessivamente di questioni liturgiche: sono questioni periferiche, non centrali. Il Nuovo Testamento non prescrive una particolare forma di culto. Sorprende infatti di trovarci di fronte a credenti che esercitano una grande libertà, sebbene fossero radicati profondamente nel sistema liturgico della sinagoga. Essi avevano la sostanza. Quando lo Spirito tocca lo spirito, la questione delle forme è del tutto secondaria.

Dire che le forme siano secondarie non significa però che esse siano irrilevanti. Siamo esseri umani finiti ed abbiamo bisogno di forme. Dobbiamo avere "otri" che contengano "il vino" della nostra esperienza cultuale. Le forme, però, non sono il culto: esse ci conducono al culto. Siamo liberi in Cristo di usare qualunque forma possa promuovere il nostro culto, e se ci imbattessimo in forme che ci impedissero di fare esperienza del Cristo vivente, possiamo liberarcene.

I. L'oggetto del nostro culto

E' Gesù che risponde una volta per tutte alla questione di chi dobbiamo adorare: "Adora il Signore Dio tuo e a Lui solo rendi il culto" (Mt. 4:10). L'unico vero Dio è il Dio di Abrahamo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio che Gesù ha rivelato. Dio ha reso del tutto chiaro quanto Egli odi l'idolatria ponendo un preciso comando all'inizio del Decalogo: " Non avere altri dèi oltre a me" (Es. 20:3). L'idolatria, inoltre, non consiste nemmeno solo nell'inchinarci di fronte a oggetti visibili di adorazione. A. W. Tozer dice: "L'essenza dell'idolatria è nutrire pensieri su Dio che siano indegni di Lui". Pensare correttamente su Dio significa determinare la correttezza di ogni altra cosa. Pensare in modo errato su Dio significa pregiudicarci il valore e la sostanza di ogni altra cosa.

Abbiamo disperato bisogno di vedere chi Dio sia: leggere della rivelazione che Egli fa di Sé stesso al Suo antico popolo di Israele, meditare sui Suoi attributi, contemplare la rivelazione della Sua natura in Gesù Cristo. Quando vediamo il Signore degli eserciti "innalzato e glorioso", meditiamo sulla Sua infinita sapienza e conoscenza, ci stupiamo della Sua insondabile misericordia ed amore, noi non possiamo fare altro che rendergli onore e gloria.

Vedere chi sia Dio ci porta alla confessione. Quando Isaia ebbe la visione della gloria di Dio, egli esclamò: " Guai a me, sono perduto! Perché io sono un uomo dalle labbra impure e abito in mezzo a un popolo dalle labbra impure; e i miei occhi hanno visto il Re, il SIGNORE degli eserciti!" (Is. 6:5). La radicale peccaminosità dell'essere umano diventa evidente quando guardiamo alla fedeltà di Dio. Comprendere la Sua grazia significa comprendere la nostra colpevolezza.

Noi rendiamo a Dio il culto che Gli è dovuto non solo per ciò che egli è, ma pure per quello che Egli fa. Sopra ogni altra cosa, il Dio della Bibbia è un Dio che agisce. La Sua bontà, fedeltà, giustizia, misericordia possono essere verificate nel come Egli abbia trattato con il Suo antico popolo. Le Sue azioni di grazia, però, non sono solo scolpite nella storia antica, ma pure sono incise nella nostra storia personale. Come dice l'apostolo Paolo, l'unica risposta ragionevole da darsi a Dio è il culto (Ro. 12:1). Noi lodiamo Dio per quello che Egli è, e Lo ringraziamo per ciò che Egli ha compiuto.

II. La priorità del culto

Se il Signore deve essere davvero il Signore, Egli deve avere priorità nella nostra vita. Il primo comandamento di Gesù è: "Ama dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l'anima tua, con tutta la mente tua, e con tutta la forza tua" (Mr. 12:30). La priorità divina è prima il culto e poi il servizio. La nostra vita deve essere nella sua interezza espressione di lode, riconoscenza ed adorazione. Il servizio deriva dal culto. Quando il servizio sostituisce il culto si incorre nell'idolatria. L'attivismo è nemico dell'adorazione..

I sacerdoti leviti "saranno quelli che si accosteranno a me per fare il mio servizio" (Ez. 44:15): era questa la loro funzione primaria. Per il sacerdozio dell'Antico Testamento, il ministero reso a Dio doveva precedere ogni altra opera, e questo rimane vero per il sacerdozio universale nel Nuovo Testamento. Una delle tentazioni più gravi che dobbiamo affrontare è correre qua e là per rispondere chiamate al servizio senza effettuare ministero alcuno verso il Signore stesso.

Oggi Iddio chiama la Sua Chiesa a ritornare a rendergli il culto che Gli è dovuto. Questo può essere rilevato sia nei circoli della Chiesa alta, dove si può vedere un interesse rinnovato per la personale comunione con Dio, sia nei circoli della Chiesa bassa, dove si riscontra un rinnovato interesse nella liturgia. Può essere rilevato dovunque fra questi due. E' come se Dio dicesse: "Voglio che il cuore del mio popolo ritorni a Me!", e se noi aneliamo andare dove Dio sta andando, e fare ciò che Dio sta facendo, ci muoveremo altresì verso un culto più autentico e profondo.

III. La preparazione al culto

Una sorprendente caratteristica del culto nella Bibbia è che il popolo di Dio si raccoglieva in quella che potremmo chiamare "una santa aspettazione". Essi si aspettavano di udire nel culto la voce di Dio, la Kol Yahweh. Quando Mosè entrava nel tabernacolo, Egli sapeva di entrare alla presenza stessa di Dio. Si poteva dire lo stesso per la Chiesa primitiva. Non era per loro motivo di sorpresa che il locale dove si trovavano letteralmente fosse scosso per la presenza di Dio. Era successo prima. Quando, all'udire la Parola del Signore alcuni cadevano morti ed altri erano fatti risorgere dalla morte, il popolo di Dio sapeva che Dio era nel loro mezzo (At. 5:1-11; 9;36-43; 20:7-10). Quando i primi credenti si riunivano essi avevano forte coscienza che la cortina del tempio fosse stata strappata e, come Mosè ed Aronne, che essi stavano entrando nel Luogo santissimo. Non era più necessario intermediario alcuno. Essi entravano nella spaventevole, gloriosa e graziosa presenza del Dio vivente. Essi si riunivano aspettandosi che Cristo fosse presente fra Dio loro e che avrebbe loro insegnato come pure che li avrebbe toccati con la Sua vivente potenza.

In che modo possiamo anche noi acquisire un tale sentimento di "santa aspettazione"? Esso inizia in noi stessi quando entriamo nella Shekinah del nostro cuore. Pur vivendo pienamente e portando avanti le nostre responsabilità quotidiane, noi siamo colmi dello spirito di un culto e di un'adorazione interiore. Lavoriamo, giochiamo, mangiamo, e dormiamo, eppure siamo in perenne ascolto del nostro Maestro.

Gli scritti di Frank Laubach sono ricolmi del senso del vivere all'ombra dell'Altissimo. "Fra tutti i miracoli di cui oggi sono stato oggetto, questo è il più grande: sapere che io Ti posso trovare al meglio quando lavoro ascoltando… Ti ringrazio pure che l'abitudine alla conversazione costante con Te cresce giorno per giorno. Io credo veramente che tutti i pensieri possano essere una conversazione con Te". Fratel Lorenzo conosceva la stessa realtà. Proprio perché egli faceva esperienza di Dio in cucina, Egli sapeva che avrebbe incontrato Dio pure nel culto comunitario. Egli scrive: "Non riesco nemmeno ad immaginare come delle persone religiose possano vivere soddisfatte senza praticare la Presenza di Dio". Coloro che già hanno gustato la Shekinah di Dio nella loro esperienza quotidiana, non potranno mai più essere soddisfatti senza "la pratica della presenza di Dio".

Cercando di cogliere la visione di Fratel Lorenzo e di Frank Laubach, io ho consacrato un intero anno nell'apprendere a vivere con un apertura costante verso Gesù, il mio Maestro sempre presente. Ho fatto la determinazione ad imparare il Suo vocabolario: forse che Egli si rivolge a me attraverso quegli uccelli che cantano o quel viso triste? Ho cercato di permettergli di muoversi attraverso ogni mia azione: attraverso le mie dita mentre scrivo, la mia voce mentre parlo. Il mio desiderio era quello di scandire ogni minuto con sussurri interiori di adorazione, lode e riconoscenza. Spesso non ci riuscivo per ore, altre volte per giorni. Ogni volta, però, tornavo indietro e ci riprovavo. Quell'anno fece molte cose per me, ma una cosa aveva fatto in modo particolare: intensificare il mio senso di aspettazione nel culto comunitario. Dopo tutto Egli aveva acconsentito a parlarmi in dozzine di piccoli modi tutt'attraverso la settimana: certamente mi avrebbe parlato anche qui. Inoltre trovai sempre più facile distinguere la sua voce in mezzo ai suoni ed ai rumori della vita quotidiana.

Quando più di uno o due convengono al culto pubblico desiderosi dal profondo del loro cuore di incontrarvi Dio, questo può cambiare l'atmosfera dell'intero locale. Persino quelli che vi entrano in modo casuale e distratto ben presto vengono come rapiti dal senso di una Presenza silenziosa. Cuori e menti vengono elevati. L'aria diventa carica di senso d'attesa.

Ecco un suggerimento pratico per meglio cogliere quest'idea. Vivete l'intera settimana come eredi del Regno, ascoltando la Sua voce, ubbidendo alla Sua Parola. Dopo aver così udito la Sua voce tutt'attraverso la settimana, saprete di poter udire la Sua voce anche nel culto pubblico. Entrate nel locale di culto almeno dieci minuti prima che il culto inizi. Elevate il vostro cuore in adorazione al Re di gloria. Contemplate la Sua maestà, gloria e tenerezza, tanto quanto è stata rivelata in Gesù Cristo. Immaginate la meravigliosa visione che Isaia ebbe quando vide il Signore "sopra un trono alto ed elevato" o la magnifica rivelazione che Giovanni ebbe di Cristo: "i suoi occhi somigliavano ad una fiamma di fuoco" e la Sua voce "come il fragore di molte acque" (Is. 6; Ap. 1). Invitate la Presenza reale a manifestarsi.

Inoltre, elevate alla luce di Cristo il pastore e gli altri conduttori del culto. Immaginate la Shekina del fulgore di Dio tutt'intorno a loro. Pregate a che ogni ostacolo dentro di loro ad annunciare coraggiosamente la verità nella potenza del Signore, sia eliminato.

Quando la gente comincia ad entrare nel locale, guardatevi intorno fintanto che vediate qualcuno che abbia bisogno della vostra intercessione. Forse le loro spalle sono curve, o paiono un po' tristi. Elevateli nella luce gloriosa e ristoratrice della Sua Presenza. Guardate i loro fardelli che cadono dalle loro spalle come fede il fardello di Cristiano nell'allegoria di John Bunyan. Sosteneteli con intenzioni speciali per tutto il culto. Se solo alcuni in ciascuna comunità, facessero questo, esso approfondirebbe l'esperienza cultuale di tutti.

Un'altra caratteristica vitale della prima comunità cristiana era il senso che avevano di essere "raccolti" insieme nel culto. In primo luogo essi si incontravano nel senso che, di fatto, essi si ritrovavano come gruppo e, in secondo luogo, quando si incontravano essi erano raccolti in un'unità dello Spirito che trascendeva il loro individualismo.

A differenza delle religioni orientali, la fede cristiana ha sempre fortemente messo in rilievo il culto comunitario. Anche in circostanze molto pericolose, la prima comunità veniva esortata a non smettere di frequentare le riunioni (Eb. 10:25). Le epistole parlano frequentemente della comunità dei credenti come "corpo di Cristo". Allo stesso modo in cui la vita umana è impossibile senza la testa, così per i primi cristiani era inconcepibile il solo pensiero di vivere in isolamento l'uno dall'altro. Martin Lutero testimonia del fatto che "a casa, nella mia propria casa, non c'è in me calore o vigore, ma in chiesa, quando la moltitudine è raccolta, un fuoco si accende nel mio cuore e si fa largo attraverso tutto di me".

Oltre a tutto questo, quando il popolo di Dio si riunisce per il culto, c'è spesso il senso di essere "raccolti" in una sola mente, d'essere d'uno stesso intendimento (Fl. 3:15). Thomas Kelly scrive: "Ci pervade una Presenza che ci risveglia, che irrompe nella nostra vita privata ed interiore infrangendo l'individualismo e fondendo i nostri spiriti in una vita ed in una forza superindividuale. Una Presenza oggettiva e dinamica ci avvolge tutti, nutre la nostra anima, ci parla di gioia di inesprimibile conforto interiore, svegliandoci a dimensioni che prima erano dormienti in noi". Quando davvero siamo riuniti per il culto, avvengono cose che mai sarebbero avvenute se fossimo stati soli. C'è la psicologia del gruppo, certo, eppure c'è molto di più; si tratta di un'interpenetrazione divina. C'è quello che gli scrittori biblici chiamano koinonia, profonda comunione interiore nella potenza dello Spirito.

Quest'esperienza trascende di gran lunga lo "spirito di corpo". Non dipende affatto dalle unità omogenee e nemmeno il fatto di conoscerci l'un l'altro. Subentra una divina fusione della nostra estraneità. Nella potenza di quell'unico Spirito noi diveniamo "avvolti in un senso di unità e di una Presenza che fa tacere tutte le nostre parole ci avvolge di una inspiegabile calma ed interconnessione in una vita più vasta". Tale comunione nel culto rende qualsiasi culto vicario attraverso i media, senza sapore e piatto.

IV. Il conduttore del culto

Il vero colto non ha che un solo Conduttore, Gesù Cristo. Quando parlo di Gesù come del Conduttore del culto, intendo prima di tutto dire che Egli è vivo e presente fra il Suo popolo. Si può udire la Sua voce nei loro cuori e si può percepire la Sua presenza. Non solo noi leggiamo di Lui nelle Scritture, ma Lo possiamo conoscere per rivelazione. Egli vuole istruirci, guidarci, rimproverarci, confortarci.

Cristo è però pure presente in tutti i Suoi ministeri. Nel culto siamo inclini a considerare Cristo solo nella Sua funzione sacerdotale come Salvatore e Redentore. Egli è pure fra di noi come Profeta e Re. Questo vuol dire che Egli ci insegnerà sulla giustizia e ci darà la capacità di fare quanto è giusto. George Fox disse: "incontratevi nel nome di Gesù... Egli è il vostro Profeta, il vostro Vescovo, il vostro Sacerdote, nel vostro mezzo, per aprirvi, e per santificarvi, per nutrirvi con la Vita, per risvegliarvi con la Vita".

Inoltre Cristo è vivente e presente nella Sua potenza. Egli ci salva non solo dalle conseguenze del peccato, ma dal dominio del peccato. Qualunque cosa Egli ci insegni, Egli ci darà il potere d'adempierla. Se Gesù è il Conduttore, possiamo aspettarci miracoli durante il culto. Guarigioni, sia interiori che esteriori, saranno la regola, non l'eccezione. Il Libro degli Atti non sarà più così qualcosa su cui leggiamo, ma qualcosa di cui facciamo esperienza.

Cristo, infine, è il Conduttore del culto nel senso che Egli solo decide quali mezzi umani deciderà e se li vorrà usare. Persone predicano o profetizzano, o cantano o pregano nella misura in cui questo viene suscitato dal loro Conduttore. Non c'è quindi spazio per alcuna elevazione della reputazione individuale. Gesù solo vi verrà onorato. Quando il nostro Capo vivente chiama, tutti o alcuni fra i doni dello Spirito Santo potrà essere ricevuto e praticato liberamente e gioiosamente. Forse sarà pronunciata una parola di sapienza in cui l'intenzione dei cuori verrà rivelata e noi sappiamo che il Re, Gesù, è in controllo di ogni cosa. Forse c'è una profezia o un'esortazione che ci fa stare sulla punta della nostra sedia perché sentiamo che la Qol Yahweh è stata pronunciata. La predicazione o l'insegnamento che viene eseguita perché è stata suscitata dal Capo vivente, dà al culto nuova vita. La predicazione senza unzione divina cade sul culto come brina. Una predicazione che esce dal cuore infiamma lo spirito del culto; una predicazione esclusivamente intellettuale spegne, invece, la brace del caminetto. Non c'è nulla di più stimolante che la predicazione ispirata dallo Spirito, e nulla di più mortale che una predicazione ispirata solo dall'uomo.

Con tutto questo discorso elevato su Cristo come Conduttore del culto, potreste concluderne che la conduzione umana non sia importante. Nulla, però, è più lontano dalla verità. Se Dio non suscita conduttori ispirati che possano guidare il popolo di Dio con autorità e compassione, allora l'esperienza del culto sarà praticamente impossibile. Ecco dunque perché, secondo la Scrittura, i doni di conduzione sono importanti (Ef. 4:11). I conduttori del culto che siano chiamati da Dio non devono essere timidi nell'esercitare il loro dono. Il popolo di Dio deve essere condotto nel culto: dal cortile esterno al cortile interno, e finalmente nel Luogo Santissimo. Dio unge i conduttori per portare il Suo popolo nel culto attraverso questa progressione..

V. Vie di accesso al culto

Una delle ragioni per cui il culto deve essere considerato una disciplina spirituale è perché si tratta di un modo ordinato d'agire e di vivere che ci pone davanti a Dio affinché Egli possa trasformarci. Sebbene noi si risponda solamente al tocco liberante dello Spirito Santo, vi sono delle strade che conducono in questo regno che Dio stesso ha stabilito.

1. Il silenzio interiore. La prima di queste strade è quella di mettere a tacere ogni attività che l'uomo possa voler fare. Il mettere a tacere "l'attività creaturale", come la chiamano i patriarchi della vita interiore, non è qualcosa da confinare solamente ai culti formali, ma uno stile di vita. Essa permea il tessuto stesso della nostra vita quotidiana. Noi dobbiamo vivere in un perpetuo ed interiore silenzio che ci permetta di udire, affinché Dio sia l'unica fonte delle nostre parole ed azioni. Se siamo abituati a portare avanti le faccende della nostra vita secondo la forza e la sapienza umana solamente, noi faremo lo stesso nel culto comunitario. Se però, abbiamo coltivato l'abitudine di permettere ad ogni conversazione, ogni transazione d'affari, come qualcosa di ispirato da parte di Dio, la stessa sensibilità confluirà nel culto pubblico. François Fénélon scrive: "Felice è l'anima che con sincera rinuncia a sé stessa, si tiene senza posa nelle mani del suo Creatore, pronta a compiere tutto ciò che Egli desideri; che mai cessa di dire a sé stessa cento volte al giorno: 'Signore, che vuoi Tu che io faccia?'". Forse che questo suona impossibile? L'unica ragione per cui crediamo questo al di là delle nostre capacità e il fatto che non comprendiamo Gesù come il nostro Maestro che costantemente ci istruisca. quando siamo stati per un certo tempo sotto la Sua tutela, noi scopriamo come sia possibile avere ogni movimento della nostra vita radicato in Dio. Possiamo svegliarci al mattino ed andare a dormire quietamente la sera lodando ed adorando il Signore. Gli possiamo dire che desideriamo vivere sotto la Sua conduzione e regola. Guidando l'auto per andare al lavoro possiamo chiedere al nostro Maestro: "Come andiamo?". Immediatamente il nostro Mentore fa brillare nella nostra mente quella risposta poco considerata che abbiamo dato a nostra moglie a colazione, il disinteresse che abbiamo mostrato ai nostri bambini mentre ci avviavamo alla porta. Ci rendiamo conto di aver vissuto secondo la carne. Allora vi sarà confessione, ristabilimento, e una nuova umiltà. Ci fermiamo alla stazione di servizio col senso di fare amicizia con l'operaio addetto, per vederlo come una persona e non come un robot. Continuiamo a guidare rallegrandoci di aver avuto una nuova introspezione nella realtà suscitata dallo Spirito. E così via tutt'attraverso la nostra giornata: un suggerimento qui, o qualcosa che ci spingeva là, qualche volta come un lampo davanti a noi o come indugiando dietro alla nostra Guida. Come un bambino che fa i suoi primi passi, impariamo attraverso successi e fallimenti, fiduciosi di avere accanto a noi un Maestro sempre pronto che, attraverso lo Spirito Santo, ci guida in ogni verità. In questo modo noi giungiamo a comprendere ciò che Paolo intendeva quando ci istruiva con queste parole: "...noi che non camminiamo secondo la carne, ma secondo lo Spirito" (Ro. 8:4). Far tacere l'attività della carne affinché l'attività dello Spirito Santo domini sulla nostra vita sarà qualcosa che influirà ed informerà il culto pubblico. Talvolta ci vuole tempo per formare in noi questo assoluto silenzio. Certamente è più appropriato giungere in silenzio reverenziale e timore di fronte al Santo dell'eternità, che correre alla Sua presenza con cuori e menti distratti e pieni di parole non pertinenti. L'ammonizione scritturale è: "l'Eterno è nel suo tempio santo; tutta la terra faccia silenzio davanti a lui" (Ab. 2:20). Il padre del deserto Ammonas scrive: "Ecco, mio amato. Io ti ho mostrato la forza del silenzio, il modo in cui guarisce completamente e come sia pienamente gradito a Dio ... E' nel silenzio che crescono i santi ... era a causa del silenzio che la potenza di Dio dimorava in loro, a causa del silenzio che i misteri di Dio sono stati da loro conosciuti".

2. La lode. Un'altra strada che conduce al culto è la lode. I salmi sono la letteratura del culto e la loro caratteristica principale è la lode. "Lode al Signore!" è il grido che riverbera da un capo all'altro del Salterio. Il canto, il grido, la danza, l'espressione della gioia, l'adorazione - sono tutte il linguaggio della lode. La Scrittura ci esorta dicendo: "Per mezzo di lui dunque, offriamo del continuo a Dio un sacrificio di lode, cioè il frutto di labbra che confessano il suo nome"(Eb. 13:15). L'Antico Patto esigeva il sacrificio di tori e di capre. Il Nuovo Patto esige il sacrificio della lode. Pietro ci dice: "anche voi, come pietre viventi, siete edificati per essere una casa spirituale, un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali, graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo. ... Ma voi siete una stirpe eletta, un regale sacerdozio, una gente santa, un popolo acquistato per Dio, affinché proclamiate le meraviglie di colui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua mirabile luce" (1 Pi. 2:5,9). Pietro e Giovanni avevano lasciato il Sinedrio con schiene sanguinanti e con labbra piene di lode (At. 5:41). Paolo e Sila avevano riempito il carcere di Filippi con canti di lode (At. 16:25). In ogni caso essi stavano offrendo il sacrificio della lode. Il più potente movimento di lode nel 20° secolo è stato il movimento carismatico. Attraverso di esso Dio ha soffiato nuova vita e vitalità in milioni di persone. Oggi la Chiesa di Gesù Cristo sta giungendo ad una più grande consapevolezza di quanto centrale sia la lode nel farci entrare nello spirito del culto. Nella lode noi vediamo quanto totalmente le nostre emozioni debbano essere portate nell'atto del culto. Un culto che sia solo cerebrale è un'aberrazione. I sentimenti sono una parte legittima della personalità umana e dovrebbero essere utilizzati nel culto. Fare questa affermazione non significa che si debba far violenza alle nostre facoltà razionali, ma significa che da sole le nostre facoltà razionali sono inadeguate. Come consiglia Paolo, noi dobbiamo pregare con lo spirito e pregare con la mente, cantare con lo spirito, e cantare con la mente (1 Co. 14:15). Ecco una delle ragioni del dono spirituale delle lingue. Esso ci aiuta a muoverci oltre ciò che è semplicemente razionale in una comunione più interiore con il Padre.La nostra mente esteriore potrebbe non comprendere ciò che diciamo, ma il nostro spirito interiore comprende. Lo Spirito tocca il nostro spirito. Il canto stesso è inteso per muoverci nella lode. Esso fornisce un mezzo per esprimere le nostre emozioni. Attraverso la musica noi esprimiamo la nostra gioia, la nostra riconoscenza. Non meno che 41 salmi ci comandano a "cantare al Signore". Se il canto avviene in maniera concentrata, esso ci serve per focalizzare la nostra attenzione. Le nostre menti e il nostro spirito frammentato confluisce in un intero. Ci disponiamo ad incontrare Dio con tutto noi stessi. L'appello di Dio al culto implica l'intero nostro essere. Corpo, mente, spirito, emozioni: tutto dovrebbe essere deposto sull'altare del culto. Spesso ci dimentichiamo che il culto dovrebbe includere corpo, mente e spirito insieme.

3. La posizione del corpo. La Bibbia descrive il culto in termini fisici. Il significato della parola ebraica che traduciamo come culto è quello di "prostrarsi". La parola benedire significa letteralmente "inginocchiarsi". Il rendimento di grazie si riferisce a "estendere le nostre mani". Tutt'attraverso la Scrittura troviamo una grande varietà di posizioni fisiche in connessione con il culto: giacere prostrati, stare in piedi, inginocchiarsi, alzare le mani, battere le mani, alzare la testa, abbassare la testa, danzare, vestire di sacco e giacere sulla cenere... Il punto qui è che dobbiamo offrire a Dio il nostro corpo tanto quanto il resto del nostro essere. Il culto è pure qualcosa di fisico. Dobbiamo presentare i nostri corpi a Dio in un atteggiamento coerente con lo spirito interiore del culto. Stare in piedi, battere le mani, danzare, alzare le mani, alzare la testa ecc. sono atteggiamenti coerenti con lo spirito della lode. Sedere in silenzio rigidamente ed in modo austero non è semplicemente appropriato per la lode. Inginocchiarsi, chinare il capo, giacere prostrati ecc. sono posizioni coerenti con lo spirito di umiltà e di adorazione. A questo riguardo molti sarebbero pronti ad osservare: "La gente possiede temperamenti diversi", oppure "Tutto questo potrebbe fare appello a tipi emotivi, ma per natura io sono quieto e riservato. Questo non è il tipo di culto che sarebbe appropriato ai miei bisogni". Ciò che però dobbiamo bene osservare è la sostanza della questione in gioco. Il culto non è: "Che cosa può venire incontro ai miei bisogni?", ma "che tipo di culto Iddio richiede da me?". E' chiaro che Dio richiede un culto con tutto noi stessi. E' quindi altrettanto ragionevoli aspettarsi che un culto fatto con tutto noi stessi sia molto più che cerebrale, e che includa la parte fisica. Spesso il nostro "temperamento riservato" non è nulla di più che paura di ciò che gli altri potrebbero pensare di noi, o forse inconsapevolmente la paura di umiliarci davanti a Dio e agli altri. Certo la gente possiede temperamenti diversi, ma questo non ci dovrebbe impedire di rendere culto a Dio con tutto noi stessi. Avendo detto questo, devo pure aggiungere che la risposta di tipo fisico non dovrebbe in alcun modo essere manipolata. Dobbiamo dare l'uno all'altro la libertà di rispondere a ciò che Dio muove nel nostro cuore. In molte esperienze cultuali che ho osservato, in qualunque momento, la gente può sedere, stare in piedi, inginocchiarsi e giacere prostrati, e lo Spirito di Dio era in tutto questo. Alcuni davano adito a forti emozioni, altri non mostravano emozione alcuna, ma tutti erano sospinti dallo Spirito Santo. "State dunque saldi nella libertà con la quale Cristo ci ha liberati, e non siate di nuovo ridotti sotto il giogo della schiavitù" (Ga. 5:1). Potremmo, naturalmente, fare tutte le cose che abbiamo descritto e mai entrare veramente nello spirito del culto, ma tutto questo può fornire delle vie di accesso attraverso le quali noi possiamo porci datanti a Dio tanto che il nostro spirito interiore possa essere toccato e liberato.

VI. Passi da fare per entrare nello spirito del culto

Il culto è qualcosa che noi facciamo. Studiare la teologia del culto e dibattere le forme del culto è cosa buona, ma in sé stesso è inadeguato. In ultima analisi dobbiamo imparare a rendere a Dio il culto che Gli è dovuto. Vorrei presentare alcuni passi che spero possano aiutare nell'esperienza del culto.

1. Imparare a praticare ogni giorno la presenza di Dio. Cercate di scoprire praticamente che cosa intendesse l'apostolo Paolo quando diceva: "Non cessate mai di pregare" (1 Ts. 5:17).Puntuate ogni momento della vostra vita con sussurri interiori di adorazione, lode e rendimento di grazie. Prendetevi tempo a tu per tu con Dio per il culto, la confessione, lo studio biblico, e attenta disponibilità verso Cristo, il Maestro sempre presente. Tutto questo contribuirà ad elevare il senso di attesa nel culto pubblico perché l'esperienza del culto comunitario diventerà una continuazione ed un'intensificazione di ciò che già avevate cercato di fare per tutta la settimana.

2. Avere molte diverse esperienze di culto. Rendete culto a Dio quando siete soli. Organizzate gruppi domestici non solo per lo studio biblico, ma per l'esperienza stessa del culto. Riunite piccoli gruppi di due o tre persone ed imparate ad offrire a Dio un sacrificio di lode. Molte cose possono avvenire in piccole riunioni che, proprio per il fatto che siano ristrette, non possono avvenire quando è presente molta più gente. Tutte queste piccole esperienze di culto renderanno più significativo il culto domenicale ed avranno un maggiore impatto su di esso.

3. Trovate dei modi per prepararvi realmente al culto domenicale. Preparatevi il sabato sera andando a letto presto, avendo un'esperienza interiore di auto-analisi e di confessione, leggendo i testi e gli inni che saranno usati la domenica, ritrovandovi un poco prima che inizi il culto stesso in chiesa e riempiendo la sala con la presenza di Dio, facendo in modo di allontanare dalla nostra mente ogni sorta di distrazione affinché voi possiate realmente parteciparvi.

4. Siate disposti ad unirvi nella potenza del Signore. Questo significa che, come individuo, devo dimenticare in quel momento l'agenda delle mie faccende, i miei interessi diversi, per dispormi totalmente ad essere benedetto, ad udire la Parola del Signore. Il linguaggio del culto comunitario non è "io", ma "noi". C'è sottomissione alla volontà di Dio. C'è la sottomissione reciproca nella comunità cristiana. C'è il desiderio che la vita di Dio sorga nel gruppo, non solo nell'individuo. Se pregate per la manifestazione dei doni spirituali,non è inteso che essi scendano su di voi singolarmente, ma sul gruppo intero come piacerà al Signore. Diventate di una sola mente, di un unico accordo.

5. Coltivate un santo senso di dipendenza. Una santo senso di dipendenza significa che voi siete del tutto dipendenti da Dio affinché succeda qualcosa di significativo. C'è il travaglio interiore che la volontà negativa si indebolisca e che quella buona sorga. Non vedete l'ora che Dio agisca, muova, insegni, convinca, suggerisca, ecc. L'opera è di Dio, non la vostra.

6. Assorbite con gratitudine le distrazioni. Se c'è rumore o distrazioni, piuttosto che lamentarvi o innervosirvi, imparate a introiettarle e a vincerle. Se i bambini corrono di qui e di là e disturbano, benediteli. Ringraziate Dio che essi siano vivi e che abbiano energia. Siate disposti a rilassarvi con le distrazioni - esse possono essere un messaggio del Signore! Quando predico a me piace avere bambini intorno perché di solito essi sono i soli dei quali io possa essere sicuro che sono vivi! Imparate semplicemente a ricevere tutto ciò che avviene durante il culto, piuttosto che sentire che le distrazioni in qualche modo vi impediscano di rendere culto a Dio.

7. Imparate ad offrire il sacrificio della lode. Molte volte "non vi sentirete" nello spirito giusto per rendere culto a Dio. Forse avete avuto così tante esperienze deludenti nel passato da pensare che non ne valga la pena. Avete un basso senso della potenza di Dio. Poche persone possono considerarsi adeguatamente preparate. Dovete però recarvi in ogni caso al culto. Dovete offrire un sacrificio di lode. Dovete stare con il popolo di Dio e dire: "Questa è la mia gente. Per quanto noi si abbia il cuore e la testa dura, per quanto si sia peccatori, noi veniamo insieme davanti a Dio". Molte volte non ho voglia di recarmi al culto e allora devo inginocchiarmi e dire: "Signore, non mi sento di andare al culto, ma desidero offrire a Te questo tempo. Esso appartiene a Te. Io sprecherò per Te questo tempo". Isaac Pennington dice che quando la gente si riunisce per un autentico culto: "Essi sono come un cumulo di carboni accesi che si scaldano l'un l'altro affinché una grande forza e vigore di vita fluisca in tutti". Un pezzo di legno da solo non può bruciare per molto tempo, ma quando molti ceppi di legno sono posti assieme, anche se sono poveri pezzi di legno, essi possono produrre un fuoco grande. Ricordate il consiglio di Proverbi: "Il ferro affila il ferro, così l'uomo affila il volto del suo compagno" (Pr. 27:17). Così andate, anche se non ne avete voglia. Andate, anche se prima il culto è stato scoraggiante ed arido. Andate, pregate. Andate, e aspettatevi da Dio grandi cose. Andate, non vedendo l'ora che Dio operi in mezzo a voi una nuova e vivente opera.

VII. I frutti del culto

Proprio come il culto inizia aspettandosi da Dio grandi cose, esso deve terminare in santa ubbidienza. Se il culto non promuove in noi una maggiore ubbidienza, non è stato un culto. Stare di fronte al Santo dell'eternità significa cambiare. I risentimenti allora non potranno essere coltivati con la stessa tenacia quando entriamo nella Sua gloriosa luce. Gesù disse: "Se tu dunque stai per presentare la tua offerta all'altare, e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì la tua offerta davanti all'altare e va' prima a riconciliarti con tuo fratello; poi torna e presenta la tua offerta" (Mt. 5:23,24). Nel culto c'è una potenza sempre più grande che si insinua nel cuore del santuario, una sempre più grande compassione che cresce nell'anima. Rendere culto a Dio significa cambiare.

Una santa ubbidienza salva il culto dall'essere una droga, una fuga dai pressanti bisogni della vita moderna. Il culto ci mette in condizione di udire la vocazione al servizio tanto chiaramente da non potere fare a meno di rispondere: "Ecco, manda me!" (Is. 6:8). Un culto autentico ci mette in condizione di unirci alla guerra dell'Agnello contro i poteri demoniaci in ogni luogo - a livello personale, a livello sociale, a livello istituzionale. Gesù, l'Agnello di Dio, è il nostro Comandante in capo. Noi vi riceviamo gli ordini e noi andiamo per eseguirli "...per conquistare e vincere... con la parola di verità... restituendo amore per odio ... lottando con Dio contro l'inimicizia, con preghiere e lacrime notte e giorno, con digiuni, grida di afflizione, nella pazienza, nella fedeltà, in verità, con un amore non finto, in longanimità, e in ogni frutto dello Spirito, affinché in ogni modo noi si possa vincere il male con il bene...". In ogni cosa ed in ogni modo noi facciamo esattamente ciò che Cristo dice, perché abbiamo una santa ubbidienza che è stata coltivata in anni di esperienza.

William Sperry dichiara: "Il culto è un'avventura deliberata e disciplinata nella realtà". Non è per chi è timido ed ama le cose comode. Esso implica aprire noi stessi alla vita avventurosa dello Spirito. Rende tutti gli accessori religiosi di templi, preti, riti e cerimonie, del tutto irrilevanti. Esso implica una disponibilità a ciò che Paolo afferma in Colossesi 3:16 "La parola di Cristo abiti in voi copiosamente, in ogni sapienza, istruendovi ed esortandovi gli uni gli altri con salmi, inni e cantici spirituali, cantando con grazia nei vostri cuori al Signore".

Riassunto

Ci viene detto che una volta S. Francesco d'Assisi "Si rallegrò grandemente nello Spirito, e rivolse la sua faccia verso il Cielo e stette là per lungo tempo, con la sua mente assorbita in Dio". Era entrato nello spirito del culto.

Il culto è qualcosa che accade. E' esperienza. Quando parliamo di "celebrare un culto" di solito ci riferiamo ai vari elementi del culto: inni, letture bibliche, predicazione, Santa Cena, liturgia. Tutto questo ci potrà condurre nello spirito del culto - il culto però è molto di più che ciascuna di queste espressioni. Le espressioni sono importanti perché sono uno strumento della grazia di Dio, ma è ben possibile averle tutte senza un vero culto.

Il culto s'incentra nell'esperienza della Realtà. Qualunque cosa ci faccia accedere alla Presenza Divina dovrebbe essere accettato. Qualunque cosa impedisca un incontro genuino con Cristo dovrebbe essere del tutto evitato. Ciò che la Bibbia richiede per il culto include: la confessione, l'adorazione, la proclamazione e così via, ma la Bibbia non prescrive esattamente la forma che il culto dovrebbe assumere. Ciò che a noi deve importare soprattutto è la Realtà, la verità: un vero culto, una vera confessione, una vera lode, una vera adorazione. Se forme particolari in determinate occasioni ci possono meglio portare nello spirito del culto, siamo liberi di usarle; se no, che le forme vadano per la loro strada. Siamo liberi di usare le liturgie più elaborate, nessuna forma, o qualcosa in mezzo... l'importante è che ci introducano nello spirito del culto. Le forme del culto devono sempre essere soggette alla realtà del culto.

Cristo solo è il Conduttore del culto: è lui che decide ciò che è necessario e quando è necessario. Dovremmo riconoscere ed accettare il libero esercizio di tutti i doni dello Spirito, nella misura in cui vengono usati e diretti dallo Spirito. Cristo pone le Sue parole nella bocca di chiunque Egli scelga, ed Egli conferma la stessa Parola nel cuore dei membri della Sua comunità. Se vi sono eccessi, Egli farà sorgere un profeta per operare la necessaria correzione..

Tutte queste parole elevate sulla priorità della realtà sulle forme potrebbe farci pensare che le forme del culto non siano importanti. Nulla potrebbe essere più lontano dal vero che questo. Le forme del culto sono assolutamente essenziali se dobbiamo dare carne alla realtà del culto. Fintanto che siamo finiti, abbiamo bisogno di forme. Così noi portiamo il nostro corpo, la nostra mente, e il nostro spirito davanti a Dio e Gli diamo la gloria dovuta al Suo nome. Noi offriamo il sacrificio delle nostre labbra - il nostro canto, la nostra lode, la nostra predicazione, la nostra confessione. Noi Gli offriamo il sacrificio del nostro corpo - il nostro cuore che ascolta, la nostra celebrazione eucaristica, la nostra vita di ubbidienza. Ed è importante fare tutto questo sia che ne abbiamo voglia oppure no. Spesso io vado ad un culto e debbo onestamente confessare: "Signore, oggi non mi sento di andare al culto, non mi sento giusto, sono stanco e distratto sia nel corpo che nello spirito, voglio però darti ugualmente questo tempo. Quest'ora appartiene a Te. Io Ti amo e al meglio di me stesso voglio darti la gloria dovuta al Tuo nome. Quindi, io canterò, e pregherò e ascolterò e Ti chiederò che nella Tua misericordia Tu liberi il mio spirito affinché io Ti renda culto". E mentre faccio questo, spesso qualcosa dentro di me si libera: forse scompare una mia vecchia paura, o una piccola amarezza o forse la determinazione a venire di fronte a Dio. Quando questo accade, allora il canto degli inni, la lettura biblica, la confessione del peccato, la predicazione della Parola, ricevere gli elementi della Santa Cena, mi guidano nella lode e nell'adorazione, che a sua volta aprono il santuario interiore dell'anima allo spirito del culto.

In questo contesto io posso riprendere una forma di culto che abbuia un'antica tradizione ma che sia caduta in disuso in questo secolo. Si tratta dell'uso della danza. Per mille anni i cristiani facevano un semplice movimento di danza chiamato il "tripudium" a molti dei loro inni. Funzionava bene con qualunque canto nel tempo di 2/2, 3/4, o 4/4. Mentre cantavano, quelli che partecipavano al culto facevano tre passi avanti e uno indietro. Così facendo i cristiani di fatto proclamavano una teologia con i loro piedi. Essi dichiaravano la vittoria di Cristo sul mondo delle tenebre, una vittoria che muove la Chiesa in avanti, ma non senza qualche arretramento. Questo semplice modo di rendere culto con il corpo può essere usato in qualsiasi numero di contesti informali di culto. Potrà essere fatto persino in chiesa, basta che vi sia abbastanza spazio per porre tre o quattro persone una al fianco dell'altra, e poi i partecipanti al culto potranno marciare intorno alla chiesa cantando i grandi inni della loro fede.

Sopra ogni altra cosa il culto ci conduce a Cristo, il Centro, come lo espresse Bernardo di Chiaravalle:

Gesù, Tu gioia di cuori pieni d'ancore! Tu Fonte della vita! Tu, Luce degli uomini! Dalla migliore benedizione che la terra possa impartire, noi ci volgiamo vuoti ancora a Te.

Letture bibliche

  1. Il culto in spirito e verità (Gv. 4:19-24)
  2. Comunione: l'essenza del culto (Gv. 6:52-58,63).
  3. La vita del culto (Efesini 5:18-20; Cl. 3:16,17).
  4. Il Signore sommamente elevato (Is. 6:1-8).
  5. Cantate al Signore (Sl. 96).
  6. Il culto offerto da tutto il creato (Sl. 148)
  7. Degno è l'Agnello (Ap. 5:6-14)

Tratto da: Richard Foster, Celebration of Discipline, London: Hodder and Stoughton, 1980, p. 199-219.