Teologia/Atei per natura

Da Tempo di Riforma Wiki.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

Ritorno


LA PROVA CHE SIAMO TUTTI ATEI PER NATURA

La Scrittura afferma: “Ora senza fede è impossibile piacergli” (Ebrei 11:6). Con queste parole lo Spirito Santo stabilisce la sicura regola che senza fede sia impossibile piacere a Dio. Poi Egli procede a comprovarlo nell’espressione immediatamente seguente: “…perché chi si accosta a Dio deve credere che egli è, e che egli è il rimuneratore di quelli che lo cercano”. Chi si accosta a Dio, dunque, deve necessariamente credere. A Dio piacciono le persone di fede che si accostano a Lui.

Accostarsi veracemente a Dio, nelle Scritture, ma in modo particolare in questo esempio, significa adoprarsi ad avere comunione con Dio per mezzo di Cristo, com’è manifesto in altri tre luoghi di questa epistola. Nel cap. 4, veniamo esortati ad accostarci con piena fiducia al trono della grazia (Eb. 4:16)1[1], e nel settimo capitolo, di Cristo è detto che Egli possa salvare appieno coloro che per Suo mezzo si accostano a Dio (Eb. 7:25). Infine, nel decimo capitolo, veniamo chiamati ad accostarci a Lui con cuore sincero, in piena certezza di fede (Eb. 10:22).

Da tutti questi testi possiamo apprendere come accostarsi a Dio significhi avere comunione con Dio attraverso Gesù Cristo. La ragione per cui questa espressione viene usata così spesso nell’epistola agli Ebrei è perché molti fra loro, avendo ricevuto Cristo per fede, in seguito l’avevano abbandonato, decadendo così dalla Sua religione e, rinunciando a Cristo, avevano perduto Dio stesso. Per questo li esorta dicendo: “State attenti, fratelli, che talora non vi sia in alcuno di voi un malvagio cuore incredulo, che si allontani dal Dio vivente” (Eb. 3:12).

Ora, al contrario, se rinunciare a Cristo significa perdere Dio o allontanarsi da Lui, allora ne possiamo dedurre che accostarsi a Dio significhi aderire a Cristo, e a Dio attraverso Cristo. Il significato di questa espressione, allora, deve essere questo: chi desidera avere comunione con Dio in Cristo, DEVE credere. Ma che cosa significa “credere”? Che cosa questi deve credere? Due cose: 1. Che Dio è; 2. Che Egli è il rimuneratore di coloro che Lo cercano.

Egli deve prima credere che Dio è. Questo significa non tanto credere che un Dio esista – perché questo apprendiamo dalla stessa luce della natura (Ro. 1:19ss) – ma che questo Dio, che in Cristo si adopera a conoscere e ad avvicinare, sia il vero e solo Dio, con tutte le prerogative che Gli competono.

Questo punto è notevole nella fede cristiana, il fatto cioè che indubbiamente Dio sia Dio – non una finzione, un’ombra, o un Dio immaginario, ma indubbiamente Dio2[2]. Questa è infatti la portata del primo comandamento che Dio diede all’umanità.

Se qualcuno dissente da questo, dicendo che non vi sia nessuno che conosca Dio che non lo confessi come Dio [in tutte le Sue prerogative], che nessuno sia così folle da pensare altrimenti, io rispondo dicendo: credere che il vero Dio sia indubbiamente Dio non è poi cosa così facile, perché, sebbene un uomo pensi per natura che un Dio debba esistere, ciononostante, per natura – di fatto – non ritiene che il vero Dio sia davvero Dio3[3]. No, per natura ogni essere umano è un ateo, il quale nega nel suo cuore che Dio sia Dio [che gli si debba onore e fiduciosa sottomissione], contestando così soprattutto il primo comandamento. Si può quindi con sicurezza affermare che tutti coloro che discendono da Adamo (ad eccezione di Cristo), siano atei per natura. Questo lo si può provare come segue.

A) PROVA CHE TUTTI GLI UOMINI SONO ATEI PER NATURA

Per natura, sebbene noi sappiamo e crediamo che vi sia un Dio, in realtà, a causa della corruzione della nostra natura, noi conformiamo questo Dio secondo quanto torna A NOI comodo, a NOSTRA immagine e somiglianza, perché nel nostro cuore noi Gli vorremmo negare potenza, presenza e giustizia. Negandogli, però, queste prerogative, noi neghiamo che il vero Dio sia indubbiamente Dio. Esaminiamo questo con maggiore attenzione.

1. LA NEGAZIONE DELLA POTENZA DI DIO

In primo luogo, per natura, gli uomini negano la potenza di Dio. Quando un uomo cade sotto l’attenzione della magistratura, avendo infranto una qualsiasi legge che meriti la morte o qualche grande pena, egli ne è gravemente intimorito, tanto che la sua maggiore preoccupazione è quella di come sfuggire al braccio della legge. Per quanto un uomo, però, offenda la giustizia di Dio, infrangendo sventatamente tutti i Suoi santi comandamenti, egli non teme affatto, né trema al solo pensiero del castigo che merita4[4]. Se credesse veramente che Dio è Dio e che ha la capacità di perseguire il colpevole e di eseguire prontamente la sentenza che la colpa prevede, temerebbe solo al solo pensiero, cercherebbe di sfuggire dalla Sua mano vendicatrice. Invece no, egli, come se niente fosse, persevera nel suo peccato, compiacendosene e illudendosi di poterne rimanere impunito. Perché? Perché pur dicendo di credere in Dio, non crede che Dio possa intervenire. La sua “fede” è fallace.

2. LA NEGAZIONE DELLA PRESENZA DI DIO

In secondo luogo, gli uomini, per natura, negano la presenza di Dio. Vi sono tante cose che gli uomini si vergognano di fare in presenza di altri. Le azioni più vili vengono eseguite fuori dalla vista di altri. Quando nessuno vede, essi le compiono. Nessuno? Dio però le vede, Dio è sempre presente! Perché non se ne vergognano? Perché fanno tali cose in modo sfacciato e sventato? Perché evidentemente, pur dicendo di credere in Dio, di fatto non credono che Dio sia presente e ben si noti ogni cosa! Non parlo tanto di azioni naturali, ma d’azioni peccaminose, le quali non solo per il loro carattere sconveniente, ma anche per la loro sconcezza e bruttezza, proprio perché sono peccati nefandi, gli uomini avrebbero timore di compiere, se altri fossero presenti. Visto che essi non temono di compiere queste azioni, né se ne vergognano, benché siano alla presenza di Dio, né consegue che essi si immaginano che Dio non sia presente, perché se ne fossero persuasi, non le commetterebbero, quantunque considerassero Dio non meglio d’un uomo.

3. Negazione della giustizia di Dio

In terzo luogo, l’uomo, per natura, nega la giustizia di Dio, perché la giustizia di Dio è ben lungi da far l'occhiolino al peccato dell’uomo, anzi lo condanna e lo punisce, dunque essa lo trovi, infliggendo su di esso le maledizioni della legge. L’uomo, però, nega questa giustizia, perché, sebbene egli pecchi contro la giustizia di Dio, e la sua coscienza pur glielo dica, egli persuade sé stesso che per il suo peccato non sia dovuta alcuna maledizione o punizione, che egli possa facilmente sfuggirne, anzi, benché egli veda così tanti venir puniti per lo stesso peccato, che la giustizia di Dio in qualche modo non lo raggiunga, tanto la nostra natura è così cieca e corrotta. E’ deplorevole osservare in verità come il Dio degli ignoranti non sia che un semplice idolo, un dio fatto tutto di misericordia, un dio che tratti la giustizia alla leggera o che ne sia del tutto estraneo. Ritiene magari che tutti i suoi peccati siano stati in generale deposti su Cristo e che lui sia in ogni caso perdonato. Per questo, nella sua presunzione, a lui non importa quanto ignorantemente, dissolutamente o profanamente egli viva: il suo cuore non avrà mai un solo pensiero riverente e timoroso della giustizia di Dio.

Queste sono le pietose immaginazioni che gli uomini, per natura, hanno di Dio. Esse possono essere provate in modo evidente dalla Scrittura. Si pensi, in primo luogo, alla bestemmia di Rabshakeh che pronunciò con la sua bocca ciò che il cuore di tutti gli uomini pensa per natura: “Chi fra tutti gli dèi di questi paesi ha liberato il proprio paese dalle mie mani perché l'Eterno possa liberare Gerusalemme dalle mie mani?” (Is. 36:20). In secondo luogo, nel salmo dove Davide riporta ciò che dicono gli empi: “Dio dimentica, nasconde la sua faccia, non lo vedrà mai ...Tu non ne chiederai conto" (Sl. 10:11-13). Si pensi infine dove Isaia riporta ciò che direbbe l’empio:«Abbiamo concluso un patto con la morte, abbiamo fatto un'alleanza con lo Sceol; quando l'inondante flagello passerà, non giungerà fino a noi, perché abbiamo fatto della menzogna il nostro rifugio e ci siamo nascosti dietro la falsità»

In questo modo sia la Scrittura che l’evidenza dei fatti, dimostrano come questo sia vero: l’uomo, per natura, nega la presenza, potere e giustizia di Dio, ed è quindi, per natura, e in modo molto evidente, un ateo, non credendo che Dio sia indubbiamente Dio.

B) QUATTRO TIPI DI ATEI

Vi sono, inoltre, quattro tipi di persone che mettono in pratica questo ateismo:

1. Il primo tipo di atei sono quelli che non hanno vergogna di ammettere apertamente: “C’è un Dio oppure no?”, ed osano disputare la questione, concludendone che Egli non esista, che tutte le questioni che riguardano Dio non siano altro che invenzioni della politica umana, per tenere soggetti i semplici e contenti gli sciocchi. Sono però loro ad essere i più sciocchi fra gli sciocchi, perché è stato il diavolo ad inventare la loro empia presunzione e a tenerli in miserevole cecità. Di tali sciocchi è pieno ogni tempo e paese. Davide stesso disse anticamente: “Lo stolto ha detto nel suo cuore: «Non c'è DIO»” (Sl. 14:1). Ora, però, gli stolti di questi tempi ultimi e corrotti sono arrivati al compimento ultimo della loro follia, ed osano dire con la loro bocca: “Dio non esiste”. Sono dei mostri della natura, diavoli incarnati, peggiori del diavolo stesso, il quale, giudicato, non fu mai un ateo. Questa sorta di persone deve essere contrassegnata e odiata peggio che i rospi5[5] e le vipere, e se questi dovessero essere oggi portati di fronte ad un tribunale come eretici e traditori, non meriterebbero una morte, ma dieci morti, perché sono traditori di Dio, dell’umanità e della stessa natura. Sebbene questi disgraziati dicano che Dio non esiste, essi non fanno altro che fare di sé stessi un dio, sacrificando tutti i loro sentimenti al piacere ed al loro profitto.

2. Il secondo tipo di atei sono quelli che riconoscono l’esistenza di un dio e gli rendono culto, ma si tratta di un falso dio. Persone così, come mostra la storia, ce ne sono state in ogni tempo e paese: alcuni adorano il sole, alcuni la luna, alcuni le stelle, alcuni bestie, uccelli, pesci; altri idoli morti di legno, di pietra o di metallo. Di questa sorta, e non migliori ve ne sono anche nelle chiese dove si adora il vero Dio, perché l’apostolo dice: “l’avidità è idolatria” (Cl. 3:5), perché se il cuore di un uomo si concentra solo sulle ricchezze, allora il suo dio è il lingotto d’oro (Gs. 7:21-24). Per altri, la cui cosa più importante sono i piaceri, il ventre è il loro Dio (Fl. 3:19). Che dicano quel che vogliono, il loro pratico comportamento proclama con piena certezza che sono degli atei.

3. Il terzo tipo di atei sono quelli che rendono culto al vero Dio, ma in modo sbagliato, e di questi ve ne sono di tre tipi principali: i mussulmani e gli israeliti, che guardano al vero Dio, ma negano la Trinità delle divine persone e la divinità di Cristo6[6]. Gli altri sono i papisti che, sebbene sostengano di credere nel Dio della Trinità e nella divinità di Cristo, se si guarda bene alle loro dottrine (se le parole hanno ancora per loro un significato), in pratica la negano. Ad esempio, se la seconda persona della Trinità è veramente Cristo, allora Egli ha due nature: divina ed umana, ma con la loro tanto amata transustanziazione essi praticamente eliminano la verità dell’umanità di Cristo. Ancora, Cristo ha tre funzioni: Egli è vero re, sacerdote e Profeta della Sua Chiesa: se non fosse così, non sarebbe Cristo. La dottrina dei papisti, però, esplicitamente e come necessaria conseguenza, le nega tutte, com’è stato spesso provato a loro vergogna, e pubblicato nel mondo intero. Appare inoltre che il loro Dio – attraverso la loro dottrina, non è il vero dio, ma un idolo, perché, come dice 1 Gv. 2:23 “Chiunque nega il Figlio, non ha neanche il Padre; chi riconosce il Figlio, ha anche il Padre”.

4. Il quarto tipo di atei sono quelli che riconoscono ed adorano il vero Dio, e gli rendono culto nel modo che Gli è giustamente proprio, ma si tratta di un culto esteriore, perché nella loro vita e nelle loro opere, essi lo rinnegano. Essi non sono da ricercarsi fra i mussulmani, o fra gli israeliti, o fra i papisti, perché tutte le chiese sono colme di tali atei protestanti!

Il papismo potrà magari avere più atei nel giorno del giudizio di quanti ne contiamo noi, ma questi ipocriti ed atei durante la loro vita ce ne abbiamo anche noi, sono come la zizzania fra il grano. Di questi parla l’apostolo quando dice: “Essi fanno professione di conoscere Dio, ma lo rinnegano con le opere” (Tt. 1:16). Fa meraviglia che di questi si possa dire che sono atei quando l’apostolo stesso dice: “se uno non provvede ai suoi e principalmente a quelli di casa sua, egli ha rinnegato la fede ed è peggiore di un non credente” (1 Ti. 5:8). Può ben essere che un uomo faccia professione di essere evangelico o cristiano, ma sarà sempre nella sua pratica quotidiana un ateo o un infedele. E’ certo: a parole tutti possono dire di essere chissà che cosa, ma se la sua religione non si dimostra reale nella sua vita, la sua religione è falsa.

CONCLUSIONE

Terminiamo con un’applicazione. Se questo è vero com’è vero che esistono tanti tipi di atei, che quasi il mondo intero ne sia pieno, e che atei lo siamo tutti per natura, osserviamo come sia difficile credere correttamente in Dio, e che nessuno in vero possa accostarsi a Dio senza un’autentica fede. Fa dunque meraviglia che così pochi si accostino a Dio?

Accostiamoci dunque a Dio con una preghiera sincera, affinché Egli ci dia quello Spirito che operi la vera fede nei nostri cuori, tanto da evidenziare un’autentica professione di fede. E poi, visto che gli uomini possono anche professarsi cristiani, ma essere in pratica degli atei, investighiamo con attenzione nel nostro cuore ed uniamo alla nostra professione di fede le qualità di coscienza ed ubbidienza – altrimenti più conosceremo Dio, peggiori saremmo.

Che Dio si compiaccia di darci menti migliori, ma ancora saremmo non meglio dei negatori di Dio se noi ci accostassimo a Lui solo con le labbra e con servizio esteriore. Allora saremmo lontani da Lui, perché è essenziale una fede autentica che professi Dio, non solo a parole, ma in pratica: questa ci porterà a Dio, perché “chi si accosta a Dio deve credere che Egli è”.

Ecco qual è la prima cosa da credere per chiunque si accosti a Dio e sia a Lui gradito: deve prima credere che Dio è.

William Perkins (1558-1602), Cambridge, Inghilterra

Note

1[1]Questa fiducia ci è possibile proprio per l’efficace opera di Cristo che, vivendo vicariamente per noi una vita di giustizia, e espiando il nostro peccato, ci ha guadagnato il libero accesso a Dio.

2[2]Non basta dire che magari esiste un Dio. Avere autenticamente fede in Dio non significa affermare questo a parole, ma riconoscere che Dio, vivente e vero, abbia delle prerogative, che a Lui sia dovuto ogni onore, lode, fiducia ed ubbidienza. Il vero credente non solo dice di credere a Dio, ma lo riconosce come sovrano nella sua vita, sottomettendosi a Lui con fiducia. Se Dio “è” allora la mia vita non potrà più essere condotta come se Lui non esistesse. Se dico di credere in Dio, allora nella mia vita vi saranno precise conseguenze!

3[3]Non gli renderà l’onore, la gloria, la fede, il culto e l’ubbidienza che Gli sono dovuti.

4[4]Perché non crede che Dio possa eseguire, con la Sua potenza, alcuna sentenza.

5[5]fig. “persone sgradevoli”.

6[6]Compresi gruppi ereticali moderni come i cosiddetti “Testimoni di Geova”!