Teologia/Concetto biblico di carne

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Il concetto biblico di "carne"

I. – A. T. Nell’A. T. il termine BASAR, che in alcuni passi (Ge. 2:21; Gb. 10:11; Ez. 37:6-8) indica unicamente la parte carnosa del corpo, in altri passi acquista un significato estensivo, e designa il corpo nel suo insieme (Nu. 8:7; Es. 30:32; 2 Re 6:30), quindi l’individuo completo, l’essere vivente (Ge. 6:13,17; Sl. 136:25). L’espressione “ogni carne”, si applica all’essere umano in quanto tale e quindi a tutta l’umanità. Il termine carne viene a comprendere in sé i caratteri, le manifestazioni, il modo di essere e d’agire della creatura vivente. Tutti questi caratteri, nella prospettiva dell'A. T., sono sempre posti in relazione a Dio. Il termine "carne" designa dunque l'uomo, ma non in senso pieno, come ISH, anzi, esprime piuttosto, dell'uomo, l'infermità, la caducità, i limiti, in contrasto con gli attributi di Dio: Ge. 6:3; Sl. 78:39; Is. 40:6; De. 5:26; Is. 49:26; Is. 66:16; Ge. 12:12; Ez. 21:9; Sl. 9: 20. "Carne" non è dunque solo la sostanza materiale dell'uomo, ma il suo modo di esistere davanti a Dio, la sua debolezza naturale di creatura.

II. - N. T. Ai significati tipici dell'A. T. si ricollegano molti testi del N. T. nell'uso del termine greco SARX. Il detto di Mr. 10:7 "I due saranno una sola carne" riferito al matrimonio indica nella comunione fisica la comunione delle esistenze; le espressioni paoliniche "nella carne," "secondo la carne," alludono alla realtà dell'esistenza umana nella sua totalità (Ro. 1:3; 1 Co. 1:26; Ga. 2:20; Fl. 1:22), nel significato anche di umanità più che di esistenza singola.

Significati più particolari e teologicamente determinati sono quelli di Ro. 4:1; 9:8; 1 Cor. 10:18 dove il termine "carne" definisce il popolo di Israele nella sua realtà puramente sociologica, razziale, contrapposta alla realtà della promessa di Dio, cioè alla fede in Cristo, alla nuova situazione spirituale da lui creata.

Tipico è però del N. T. ed in particolare di Paolo la connessione della realtà umana della SARX con il peccato. "Essere carnale" in Rom. 7:14 è equivalente a schiavo del peccato; "vivere nella carne" (Gal. 2:20), "essere nella carne" (Rom. 8:9), "camminare secondo la carne" (2 Co. 10:2), non significano soltanto essere creature umane deboli e condizionate dalla propria natura, significano piuttosto essere guidati, ispirati, mossi dal peccato. In forma analoga, sia pur meno radicale, è il significato dell'espressione "carne e sangue" in Gv. 1:13 e Mt. 16:17, indicante la realtà umana nella sua impossibilità di conoscere le verità di Dio a causa della distanza che separa l'uomo dal Creatore ma soprattutto a causa della condizione peccaminosa in cui vive.

La "carne" designa così la esistenza umana, la storia umana quale è diventata in seguito alla caduta ed al peccato, ed esprime la coscienza che questa realtà umana è tale a causa del suo allontanamento da Dio.

Proprio per questo il termine contrapposto a carne è Spirito; non nel senso di una realtà superiore, spirituale, distaccata dalle contingenze del corpo, ma nel senso specifico di Spirito di Dio, potenza di rinnovamento e di vita. È lo Spirito che rivela ai discepoli ciò che la loro intelligenza ottenebrata non è in grado di conoscere: il mistero di Gesù; è lo Spirito che può far rinascere Nicodemo per permettergli di entrare nel Regno. "Camminare per lo Spirito" (Gal. 5:16) diventa così la contrapposizione al "camminare secondo la carne" e significa essere mosso nelle proprie scelte dal Signore e non dalla propria volontà peccaminosa. Paolo sintetizza questa situazione esclamando "voi non siete nella carne ma nello spirito" (Rom. 8:9): i credenti pur essendo fisicamente presenti nel mondo ed operanti in esso non agiscono secondo le ispirazioni e le motivazioni della natura umana, ma del Regno di Dio. Questa situazione implica naturalmente una costante tensione tra la propria "carne" e la vocazione dello Spirito, tra il proprio io peccaminoso e la parola del Signore. Gli scritti apostolici sono ricchi di esortazioni e di appelli per ricondurre costantemente i credenti a questa lotta impegnata contro la "carne" che ne minaccia la fede e la santificazione.

Questa ricchezza di significati derivati dall'A. T. e dalla stessa teologia paolinica sono presenti nella sintetica espressione di Giovanni "la Parola è stata fatta carne" in cui egli riassume il mistero della rivelazione. La PAROLA di Dio eterna e compiuta ha trovato posto nel mondo, nella contingenza e debolezza di una "carne" umana, di un corpo cioè limitato e soggetto a tutte le vicende e le crisi della natura umana. La presenza della verità e della rivelazione di Dio nella carne ha significato, d'altra parte, la condanna di questa carne stessa nella sua potenza di peccato e di seduzione (Rom. 8: 3-4). Questa realtà dell'incarnazione di Dio in Gesù Cristo rappresenterà il fondamento della fede della prima generazione di credenti greci e sarà difesa dagli apostoli come la sostanza stessa della fede (1 Gv. 4:2; 2 Gv. 7).

[Dizionario Biblico, a cura di G. Miegge, ristampa a cura di B. Corsani, A. Soggin e G. Tourn, Claudiana, Torino, 1984].