Teologia/Il ravvedimento e la fede sono conseguenza della salvezza in Cristo

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Il ravvedimento e la fede non è requisito della grazia, ma sua conseguenza

C'è un errore che spesso si fa: considerare il ravvedimento dai propri peccati (il pentimento) e quindi la fede, come una premessa necessaria (qualcosa di preliminare, una sua condizione) al ricevere la grazia di Dio in Gesù Cristo. Si rende cioè il ravvedimento il primo appello dell'annuncio dell'Evangelo e persino c’è chi ci si lamenta quando nota che come tale esso manchi in certa evangelizzazione. Di fatto, il ravvedimento dai propri peccati è la conseguenza, il frutto, della grazia di Dio in Gesù Cristo quando essa viene efficacemente accolta da una persona. Tale errore nasce dall'equivoco di considerarlo la sostanza dell'annuncio di Giovanni Battista e quindi del Cristo, quando proclamano: “Ravvedetevi, poiché il regno dei cieli è vicino” [Matteo 3:2 (Giovanni Battista); Matteo 4:17 (Gesù); “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; ravvedetevi e credete all’evangelo” (Marco 1:15). Quel “è vicino”, però [in greco ἤγγικενo in latino “Paenitentiam agite;appropinquavitenim regnum caelorum” non vuol dire “sta per venire” o “verrà se...”, ma “si è accostato a voi”, “è già qui (vicino) a voi”. ...e noi lo proclamiamo.

Lo insegna l’Apostolo: Poiché la grazia di Dio, salvifica per tutti gli uomini, è apparsaeci insegna a rinunciare all'empietà e alle mondane concupiscenze, per vivere in questo mondo temperatamente, giustamente e piamente,”(Tito 2:11).

La grazia di Dio (il perdono dei vostri peccati) in Cristo vi è proclamata come dono di Dio in Cristo Gesù, perciò ravvedetevi!”.

Lo stesso si rileva quando Gesù, apparentemente “fuori contesto”, dice ad un paralitico che guarisce: Ed ecco gli portarono un paralitico steso sopra un letto. Gesù, veduta la loro fede, disse al paralitico: “Figlio, stai di buon animo, i tuoi peccati ti sono perdonati”(Matteo 9:2). Che cosa c’entrano i suoi peccati? Non c’è alcuna indicazione che ne abbia commessi o che gli sia stato rivolto un appello al ravvedimento! Certo, indipendentemente dalla sua disabilità era peccatore come tutti e perduto, ma in Cristo si annuncia il perdono dei peccati, da cui ne conseguirà il ravvedimento e la nuova vita.

Tutto questo lo evidenzia Giovanni Calvino nelle Istituzioni (3:1-3). Lo riportiamo per intero. Egli pure rileva come questo sia l’errore degli Anabattisti, dei “Gesuiti” e “di altre sétte”.

Egli scrive:

1. Sebbene abbia già in parte insegnato in che modo la fede possieda Cristo, e come per mezzo di essa godiamo dei benefici datici da lui, la nostra conoscenza sarebbe ancora oscura se non spiegassimo inoltre quali frutti e quali effetti i credenti sentono in loro.

Non senza ragione il riassunto dell'Evangelo è condensato nel ravvedimento e nella remissione dei peccati. Se dunque si tralasciano questi due punti, tutto ciò che si potrà predicare o discutere intorno alla fede sarà debole e di ben poca importanza, se non del tutto inutile. Gesù Cristo ci dà novità di vita e riconciliazione gratuita, che otteniamo per mezzo della fede: la ragione e l'ordine richiedono dunque che io cominci qui a trattare questi due argomenti.

Dalla fede passeremo innanzitutto al ravvedimento. Dopo aver rettamente inteso questo punto, potremo facilmente scorgere in che modo l'uomo sia giustificato dalla sola e pura accettazione del perdono dei suoi peccati, e chela santificazione effettiva della vita, come si suol dire, non è affatto separata da una tale imputazione gratuita di giustizia.Il non rimanere cioè senza buone opere e l'essere considerati giusti senza buone opere, sono cose che vanno perfettamente d'accordo.

È indubbio che il ravvedimento non solo segue passo dopo l'altro la fede, ma ne deriva. Infatti, essendo la remissione dei peccati offerta dall'Evangelo affinché il peccatore, liberato dalla tirannia di Satana, dal giogo del peccato e dal misero asservimento ad esso entri nel Regno di Dio, nessuno può abbracciare la grazia dell'Evangelo senza allontanarsi dai suoi errori per seguire la retta via, e senza far di tutto per riformarsi.

Coloro che ritengono che il ravvedimento preceda la fede e negano che esso ne derivi, come un frutto prodotto dall'albero, non hanno mai compreso la sua caratteristica e la sua natura, e sono indotti in questo errore da un argomento del tutto inconsistente.

2. Gesù Cristo e san Giovanni Battista, essi dicono, hanno dapprima, con i loro discorsi, invitato il popolo al ravvedimento e poi ranno annunciato che il Regno dei cieli era vicino (Matteo 3:2; 4.17). Essi citano anche il fatto che un simile mandato è stato affidato agli Apostoli, e che san Paolo, secondo il racconto li san Luca, afferma di aver eseguito questo ordine (Atti 20:21).

Ma fermandosi a giocare con le sillabe, non sanno vedere il senso e la portata di queste parole. Quando infatti Gesù Cristo Giovanni Battista pronunciano l'esortazione: "Ravvedetevi, poiché il regno dei cieli è vicino" ["Paenitentiam agite; appropinquavit enim regnum caelorum", si è avvicinato] non lo fanno forse ravvisando la causa del ravvedimento nel fatto che Gesù Cristo ci offre grazia e salvezza? Queste parole equivalgono dunque a dire: dato che il Regno di Dio si è avvicinato, per questa ragione ravvedetevi. Anche san Matteo, riferendo questa predicazione di san Giovanni, dice che è stata compiuta la profezia di Isaia concernente la voce che grida nel deserto: "Preparate nel deserto la via dell'Eterno, appianate nei luoghi aridi una strada per il nostro Dio!" (Isaia 40:3). Ma l'ordine del profeta è che questa voce deve cominciare con la consolazione l'annuncio della buona novella.

Tuttavia, quando diciamo che la matrice del ravvedimento è la fede, non riteniamo necessario un intervallo di tempo perché esso sia generato; vogliamo affermare che l'uomo non può pentirsi rettamente, senza riconoscere di appartenere a Dio. Manessuno può accettare di appartenere a Dio, senza avere anzitutto riconosciuto la sua grazia. Queste cose saranno più chiaramente spiegate nel corso della trattazione.

Forse sono stati ingannati dal fatto che parecchi sono vinti lai terrori della loro coscienza, o sono indotti e spinti a mettersi al servizio di Dio prima di aver conosciuto la sua grazia, anzi prima di averla gustata. È un timore quale si riscontra nei fanciulli che non sono guidati dalla ragione; tuttavia alcuni lo considerano una virtù, in quanto lo giudicano simile alla vera ubbidienza a cui esso prepara gli uomini. Non si tratta ora di ricercare in quanti modi Gesù Cristo ci attira a se, o ci dispone ad un retto sentimento di pietà; dico soltanto che non si può trovare alcuna dirittura se non laddove lo Spirito, che egli ha ricevuto per comunicarlo ai suoi membri, regna.

In secondo luogo, seguendo l'insegnamento del Salmo, secondo cui Dio è propizio affinché lo si tema ("Ma presso di te c'è perdono affinché tu sia temuto" Salmo 130:4), aggiungo chemai l'uomo avrà per lui il rispetto dovuto se non confida nella sua clemenza e bontà, e nessuno sarà mai ben deciso ad osservare la sua legge, se non è persuaso che colui al quale serve gradisce il suo servizio. Ma l'indulgenza di cui Dio si vale verso di noi è un segno del suo favore paterno e lo dimostra anche l'esortazione di Osea: "Venite, torniamo all'Eterno, perché egli ha strappato, ma ci guarirà; ha percosso, ma ci fascerà" (Osea 6:1). Vediamo in queste parole che la speranza di ottenere il perdono deve servire da sprone ai peccatori, affinché non marciscano nelle loro colpe.

Del resto, coloro che inventano un nuovo modo di essere cristiani e sostengono che per ricevere il battesimo bisogna trascorrere alcuni giorni in cui ci si esercita in penitenza prima di essere ricevuti ad aver comunione con la grazia dell'Evangelo, non presentano, nel loro errore e nella loro follia, alcuna consistenza. Mi riferisco a parecchi Anabattisti, in particolare a quelli che vogliono essere definiti spirituali, e alla gentaglia quale i Gesuiti ed altre sette. Ma è frutto di uno spirito di follia, il voler dedicare alcuni giorni al ravvedimento, mentre questo deve esser proseguito, da parte del cristiano, per tutta la vita.

3. Alcuni dotti, vissuti molto tempo fa, volendo parlare del ravvedimento in modo semplice, secondo la regola della Scrittura, dissero che esso consiste in due parti: la mortificazione e la vivificazione. Essi intendono la mortificazione come un dolore e un terrore interiore frutto della coscienza del peccato e del sentimento del giudizio di Dio. Infatti, quando qualcuno è condotto alla vera conoscenza del suo peccato, comincia a odiarlo e a detestarlo; allora veramente si trova a dIsagio in cuor suo, si riconosce misero e confuso e desidera essere diverso da quello che è. Inoltre, quando è toccato dal sentimento del giudizio di Dio (poiché l'uno deriva immediatamente dall'altro) , allora umiliato, spaventato e abbattuto, trema, si scoraggia e perde ogni speranza. Questo è il primo elemento del ravvedimento, chiamato contrizione.

Essi intendono la vivificazione come una consolazione prodotta dalla fede: l'uomo, turbato dalla coscienza del suo peccato e spaventato dalla paura di Dio, gettando il suo sguardo sulla di lui bontà e misericordia, sulla grazia e la salvezza che sono in Gesù Cristo, si rialza, respira, riprende coraggio e par tornare dalla morte alla vita.

Queste due parole, rettamente intese, esprimono assai bene la realtà del ravvedimento; dato però che costoro identificano la vivificazione con la gioia che un'anima prova quando è pacificata dai suoi tormenti e dalle sue angosce, dissento da loro, in quanto questa parola esprime piuttosto la volontà di vivere bene e santamente, nel senso che l'uomo muore a se stesso per vivere in Dio. Questo è il rinnovamento di cui abbiamo parlato.”.