Teologia/Trinità e Ebraismo

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EBRAISMO E TRINITÀ

Ascolta, Israele: l’Eterno, nostro Dio, l’Eterno è uno

Un rabbino di Philadelphia ha scritto: «I cristiani hanno naturalmente il diritto di credere in una concezione trinitaria di Dio, ma i loro tentativi di basare questa concezione sulla Bibbia ebraica devono chiudere gli occhi alla schiacciante testimonianza di questa Bibbia. Le Scritture ebraiche sono chiare e inequivocabili riguardo all’unità di Dio. La Bibbia ebraica afferma l’unità di Dio; il monoteismo e una fede intransigente in un unico Dio sono il marchio di garanzia della Bibbia ebraica, l’affermazione più decisa del giudaismo e l’incrollabile fede del Giudeo». Se i cristiani sono accusati d’essere politeisti o triteisti e se anche è ammesso che il concetto cristiano della Trinità (nel senso di tri-unità) è una forma di monoteismo, un elemento nell'apologetica giudaica ricorre sempre: non si potrebbe credere nella Trinità ed essere Giudeo. Quello che i cristiani credono essere monoteismo, non sarebbe ancora abbastanza monoteistico per essere considerato come vero dal giudaismo. L’articolo del rabbino sopraccitato riflette quest’opinione.

Egli continua a dire: «...da nessuna parte il concetto d’una pluralità o d’una trinità della Deità può essere trovata nella Bibbia ebraica». È bene allora iniziare con la vera fonte della teologia giudaica e con l’unico mezzo di prova: le Scritture ebraiche (Vecchio Testamento).

Uno degli ostacoli più grandi che trattengono gli ebrei ad accettare Gesù come loro Signore e Salvatore è la loro riluttanza a credere che Gesù abbia una natura soprannaturale. Inoltre, essi sono stati istruiti, sin da giovani, secondo i tredici principi di Maimonide, uno dei quali è il seguente: «Io credo fermamente che il Creatore, benedetto sia il Suo Nome, è Uno: non c’è un altro come Lui; Egli era, è e sarà sempre il nostro Dio».

Gli ebrei sono stati abituati a pensare che se credono che Dio sia Uno, allora quest’idea esclude qualsiasi idea che Dio possa manifestare se stesso attraverso Gesù il Messia. Hanno sempre pensato che il concetto cristiano della tri-unità di Dio fosse un’idea gentile e pagana. Ma non è così! I cristiani come pure gli ebrei devono credere in un Unico Dio. Non ce n’è un altro. Il Dio d’Abrahamo, Isacco e Giacobbe è il Dio del popolo ebraico e dei cristiani. Le Scritture del Vecchio Testamento sono autorevoli sia per il giudeo che per il cristiano.

1. Tri-unità nella Tanach (Antico Testamento)

Mentre è universalmente ammesso, sia dai giudei che dai cristiani, che Dio è Uno e che non c’è nessuno accanto a Lui, dobbiamo riconoscere che la tri-unità di Dio è insegnata nella Torà, nei Profeti e negli Scritti — l’intero Tanach — il Vecchio Testamento. Non solo nel Tanach ma anche nelle opere talmudiche e rabbiniche questo concetto è ben noto.

1.1. Dio è una pluralità

Il nome Elohim: Si è d’accordo che Elohim è un sostantivo plurale e che l’«im» finale indica il plurale maschile. La parola Elohim è utilizzata per il vero Dio in Genesi 1,1, «Nel principio Dio creò i cieli e la terra», ed è utilizzata anche in Esodo 20,3, «Non avere altri dèi (Elohim) nel mio cospetto», e in Deuteronomio 13,2, «Andiamo dietro a dèi (Elohim) stranieri…». Mentre l’uso del plurale non prova una tri-unità, apre certamente la porta a una dottrina della pluralità nella Deità, dato che la parola è utilizzata sia per il vero Dio e sia per i molti falsi dèi.

Verbi plurali utilizzati con Elohim: Tutti gli studiosi ebrei riconoscono che la parola Elohim è un sostantivo plurale. Tuttavia, essi negano che ciò permetta di credere a una pluralità nella Deità. Di solito, il loro ragionamento è questo: quando «Elohim» è utilizzato per il vero Dio, è seguito da un verbo singolare; quando è utilizzato per i falsi dèi, è seguito da un verbo plurale. Il rabbino sopraccitato lo dichiara in questi termini: «Ma, infatti, il verbo utilizzato nel verso d’apertura della Genesi è “bārā’”, che significa “creò” — singolare. Non è una cosa così difficile per uno studente d’ebraico capire che il verso iniziale della Genesi parla chiaramente di Dio al singolare».

L’osservazione fatta, in generale è vera, poiché la Bibbia insegna che Dio è un solo Dio, e quindi, la struttura generale è quella d’avere un sostantivo plurale seguito da un verbo singolare quando si parla del vero Dio. Tuttavia, ci sono brani dove la parola è utilizzata per il vero Dio ma è seguita da un verbo plurale:
● Genesi 20,13: «Or quando Dio (Elohim) mi fece errare lungi (letteralmente: Essi mi fecero - hit`û) dalla casa di mio padre…».
● Genesi 35,7: «…perché qui Dio (Elohim) gli era apparso (letteralmente: Essi gli erano apparsi - niglû)».
● 2 Samuele 7,23: «…Dio (Elohim) sia venuto (letteralmente: Essi sono venuti - hālekû)».
● Salmi 58,11: «Certo c’è un Dio (Elohim) che giudica (letteralmente: Essi giudicano - šōpetîm)».
 
Il nome Eloah: Se la forma plurale Elohim fosse l’unica forma disponibile per riferirsi a Dio, allora si potrebbe asserire che gli scrittori delle Scritture ebraiche non avevano altra alternativa che utilizzare la parola Elohim sia per il vero Dio che per i molti falsi dèi. Tuttavia, esiste la forma singolare d’Elohim (Eloah) ed è utilizzata in passaggi come Deuteronomio 32,15-17 e Hb 3,3. Si sarebbe potuto utilizzare questa forma singolare in tanti altri casi. Essa ricorre solo 250 volte, mentre la forma plurale è utilizzata 2.600 volte. Il maggiore uso della forma plurale volge l’argomento a favore della pluralità nella Deità piuttosto che contro d’essa.
Se si fa un confronto con la Septuaginta, la traduzione greca dell’AT (3° sec. a.C.) — essa traduce il testo consonantico (cfr. i rotoli di Qumran), quindi antecedenti alla revisione masoretica del primo Medioevo — si prenderà atto che essa non ha fatto alcuna differenza fra Eloach (sg.) ed Elohîm (pl.), quando sono riferiti al Dio del patto, traducendoli ambedue con Theós e usando sempre i verbi al singolare, anche quando in ebraico c’è occasionalmente il plurale (!).
 
Pronomi plurali:Un altro caso da osservare nella grammatica ebraica è che spesso, quando Dio parla di se stesso, utilizza il pronome plurale: «Poi Dio (Elohim) disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e a nostra somiglianza”» (Genesi 1,26).
Difficilmente avrebbe potuto fare riferimento agli angeli poiché l’uomo è stato creato a immagine di Dio e non a immagine d’angeli. Il Midrash Rabbah su Genesi riconosce la forza di questo passaggio e commenta come segue: «Rabbi Samuel Bar Nahman, a nome di Rabbi Jonathan, ha detto che quando Mosè scriveva la Torà, e scriveva una parte d’essa ogni giorno, quando giunse al verso che dice, “e Elohim disse: facciamo l’uomo a nostra immagine e a nostra somiglianza”, Mosè disse: Padrone dell’universo, perché dai qui una scusa ai settari (che credono nella tri-unità di Dio)? Dio rispose a Mosè: Tu scrivi che chiunque vuole errare sarà lasciato errare» (Midrash Rabbah su Genesi 1,26).
È evidente che il Midrash Rabbah prova semplicemente a girare intorno al problema e non è in grado di dare una risposta adeguata al fatto che Dio parla di se stesso al plurale. Sicuramente Dio non ha fatto scrivere a Mosè le Scritture per fare in modo che la gente sbagli, ma piuttosto per mostrare la via giusta e la rivelazione giusta, cioè che Dio è Uno e che Dio è trino e che chiama se stesso Elohim e che dice: «facciamo l’uomo». Quando Dio (Elohim) creò il mondo, ha voluto rendere assolutamente chiaro che la creazione non rispecchia un principio matematico unitariano. Elohim ha creato l’uomo come un essere composto d’una tri-unità – un corpo, un’anima e uno spirito, all’immagine di Dio; e per rendere questo più chiaro Dio rivela se stesso nella forma plurale Elohim e dice, «Facciamo l’uomo».
L’uso del pronome plurale lo si trova anche in:
● Genesi 3,22: «Poi l’Eterno Dio (Jahwè Elohim) disse: “Ecco, l’uomo è diventato come uno di Noi”».
● Genesi 11,7: «Orsù, Scendiamo e Confondiamo quivi il loro linguaggio».
● Isaia 6,8: «Poi udii la voce del Signore che diceva: “Chi manderò? E chi andrà per Noi?”»
In quest’ultimo versetto sembra esserci una contraddizione tra il singolare «Io» (manderò) e il plurale «chi andrà per noi», a meno che non prendiamo in considerazione una pluralità (noi) in una unità (io).
 
Descrizioni plurali di Dio: Un altro punto che risalta dall’ebraico, è il fatto che i sostantivi e gli aggettivi utilizzati nel parlare di Dio sono spesso plurali. Alcuni esempi sono i seguenti:
● Salmi 149,2: «Si rallegri Israele in Colui che lo ha fatto» (letteralmente: Coloro che lo hanno fatto - be`ōśājw).
● Giosuè 24,19: «…un Dio santo…» (letteralmente: DII SANTI - ’ëlōhîm qedōšîm).
● Isaia 54,5: «Il tuo Creatore è il tuo sposo» (letteralmente: CREATORI, SPOSI - `ōśajik, bō`alajik).
Tutto quello che abbiamo detto finora si basa esclusivamente sulla lingua ebraica delle Scritture. Se basiamo la nostra teologia solo sulle Scritture, dobbiamo dire che se da una parte affermano l’unità di Dio, nello stesso tempo tendono verso il concetto di un’unità composta che consente una pluralità nella Deità.
 
Lo Šema: Deuteronomio 6,4: «Ascolta, Israele: l’Eterno, il nostro Dio, l’Eterno è uno».
Deuteronomio 6,4, conosciuto come Šema`, è stato da sempre la grande confessione d’Israele. Questo verso, più di qualsiasi altro, è utilizzato per affermare il fatto che Dio è uno, ed è spesso utilizzato per contraddire il concetto di pluralità nella Deità. Ma è valido l’uso che viene fatto di questo verso?
Deve essere subito notato che le parole «il nostro Dio», nel testo ebraico sono nella forma plurale (’ëlōhênû), e letteralmente vogliono dire: «i nostri Dèi». Tuttavia, l’enfasi principale è nella parola «uno», in ebraico ’eḥād. Uno sguardo nel testo ebraico, dove la stessa parola viene utilizzata altrove, mostra subito che la parola ’eḥād non significa «uno» in senso assoluto, ma «uno» in senso composito.
Per esempio, in Genesi 1,5 la combinazione di «sera e mattina» costituiscono un giorno (’eḥād). In Genesi 2,24 un uomo e una donna s’uniscono insieme in matrimonio e i due «saranno una stessa carne» (’eḥād). In Esdra 2,64 ci è detto della «radunanza tutt’assieme» (’eḥād), ma naturalmente era composta da numerosa gente. Ezechiele 37,17 fornisce uno straordinario esempio dove due bastoni sono accostati l’uno all’altro per farne un solo pezzo (’eḥād). Così, l’uso della parola ’eḥād, nelle Scritture, mostra d’essere un’unità composta e non assoluta.
C’è una parola ebraica che indica l’unità assoluta, ed è jeḥîd, che si trova in molti passi (Genesi 22,2,12; Giudici 11,34; Salmi 22,20; 25,16; Proverbi 4,3; Geremia 6,26; AmOsea 8,10; Zaccaria 12,10) in cui il significato è «unico». Se Mosè voleva insegnare l’unità assoluta di Dio, in opposizione all’unità composta, questa sarebbe stata una parola di gran lunga più appropriata. Infatti, Maimonide ha notato la forza di «jeḥîd» e ha scelto d’usare questa parola nei suoi «Tredici articoli di fede» al posto di ’eḥād. Eppure, Deuteronomio 6,4 (lo Šema`) non utilizza «jeḥîd» in riferimento a Dio.

1.2. Dio è almeno due

Elohim e Jahwè sono applicati a due Personalità. Come per rendere più forte l’idea della pluralità, ci sono situazioni nelle Scritture ebraiche dove il termine Elohim è applicato a due personalità nello stesso verso.
Un esempio è Salmi 45,6s: «Il tuo trono, o Dio, è per ogni eternità; lo scettro del tuo regno è uno scettro di dirittura. Tu ami la giustizia e odii l’empietà. Perciò Dio, il Dio tuo, ti ha unto d’olio di letizia a preferenza dei tuoi colleghi». Dovrebbe essere osservato che c’è un primo Elohim (v. 6) al quale vengono rivolte le parole, e un secondo Elohim (v. 7) che è il Dio del primo Elohim. E così l’Iddio di Dio l’ha unto con l’olio di letizia.
Un secondo esempio è Osea 1,7: «Ma avrò compassione della casa di Giuda; li salverò mediante l’Eterno, il loro Dio; non li salverò mediante arco, né spada, né battaglia, né cavalli, né cavalieri». Chi parla è Elohim che dice che egli avrà compassione della casa di Giuda e li salverà mediante Jahwè, il loro Elohim. Così Elohim numero uno salverà Israele per mezzo d’Elohim numero due.
Non solo Elohim è applicato a due personalità nello stesso verso, ma è così anche per Jahwè, il nome personale di Dio. Un esempio è in Genesi 19,24: «Allora l’Eterno fece piovere dai cieli su Sodoma e Gomorra zolfo e fuoco, da parte dell’Eterno». Vediamo chiaramente che Jahwè fa piovere zolfo e fuoco da un secondo Jahwè che è in cielo, mentre il primo è sulla terra.
Un secondo esempio è Zaccaria 2,8s: «Poiché così parla l’Eterno degli eserciti: È per rivendicare la sua gloria, ch’egli mi ha mandato verso le nazioni che hanno fatto di voi la loro preda; perché chi tocca voi tocca la pupilla dell’occhio suo; infatti, ecco, io sto per agitare la mia mano contro di loro, ed esse diventeranno preda di quelli ch’erano loro asserviti, e voi conoscerete che l’Eterno degli eserciti m’ha mandato». Anche qui vediamo che un Jahwè manda un altro Jahwè a eseguire un compito specifico.

1.3. Dio è tre

Quante Persone ci sono?: Se le Scritture ebraiche parlano effettivamente d’una pluralità, la domanda che si presenta è: quante personalità esistono nella Deità? Abbiamo già visto i nomi di Dio applicati ad almeno due personalità diverse. Investigando le Scritture troviamo che tre, e solo tre, distinte personalità sono considerate divine.
● 1. Primo, ci sono le numerose volte dove si parla di Dio come il Signore Jahwè. Questo utilizzo è così frequente che non è necessario parlarne ancora.
● 2. Una seconda manifestazione di Dio è menzionata come «l’Inviato di Jahwè». Egli è considerato sempre distinto da tutti gli altri angeli ed è univoco. In quasi ogni passo dove è menzionato, si parla di lui sia come l’Angelo di Jahwè che come Jahwè stesso. Per esempio in Genesi 16,7 è chiamato l’Angelo di Jahwè, ma in Genesi 16,13 è chiamato Jahwè. In Genesi 22,11 egli è l’Angelo di Jahwè, ma in 22,12 è Dio stesso. In Genesi 31,11 è l’Angelo di Dio, ma nel v. 13 è il Dio di Bethel. In Esodo 3,2 è l’Angelo di Jahwè, ma nel v. 4 è Jahwè e Dio. In Giudici 6,11,12,20-22a è l’Angelo di Jahwè, ma è Jahwè nei vv. 14,16.22b.23. In Giudici 13,3,21 è l’Angelo di Jahwè, ma nel v. 22 è Dio.
Un passaggio molto interessante è Esodo 23,20-23 dove quest’angelo ha il potere di perdonare o di non perdonare il peccato perché il nome di Dio (Jahwè) è in lui e, quindi, egli deve essere ubbidito senza condizioni. Questo non può essere detto d’un qualunque altro angelo. Il fatto che il nome proprio di Dio è in quest’angelo mostra il suo status divino.
● 3. Una terza personalità è lo Spirito di Dio, spesso chiamato semplicemente il Ruach Ha-kodesh. Ci sono molti riferimenti allo Spirito di Dio, tra cui Genesi 1,2; 6,3; Giobbe 33,4; Salmi 51,11; 139,7; Isaia 11,2; 63,10,14. Lo Spirito Santo non può essere una semplice emanazione perché ha tutte le caratteristiche della personalità (intelletto, emozione e volontà) ed è considerato divino.
Ci sono, quindi, diverse parti delle Scritture ebraiche che mostrano che tre personalità sono menzionate come divine: il Signore Jahwè, l’Angelo di Jahwè e lo Spirito di Dio.
In effetti si tratta di una teofania o manifestazione di Dio. La differenza è che «l’Inviato di Jahwè» è una manifestazione sensibile e percettibile (non è un «angelo», ma una teofania!), mentre la «rûach [di] Jahwè» è una manifestazione invisibile e spirituale, sebbene reale. In Aggeo 2,4s le espressioni «io sono con voi» e «il mio Spirito dimora tra voi» si corrispondono.
 
Le tre personalità nello stesso passo: Nelle Scritture troviamo anche che tutte e tre le personalità della Deità sono menzionati in singoli brani. Due esempi sono in Isaia 48,12-16 e Isaia 63,7-14.
Nel primo è detto: «Ascoltami, o Giacobbe, e tu, Israele, che io ho chiamato. Io sono Colui che è; io sono il primo, e sono pure l’ultimo. La mia mano ha fondato la terra, e la mia destra ha spiegato i cieli; quand’io li chiamo, si presentano assieme. Adunatevi tutti quanti, e ascoltate! Chi tra voi ha annunziato queste cose? Colui che l’Eterno ama eseguirà il suo volere contro Babilonia, e leverà il suo braccio contro i Caldei. Io, io ho parlato, io l’ho chiamato; io l’ho fatto venire, e la sua impresa riuscirà. Avvicinatevi a me, ascoltate questo: Fin dal principio io non ho parlato in segreto; quando questi fatti avvenivano, io ero presente; e ora, il Signore, l’Eterno, mi manda col suo spirito».
Dovrebbe essere osservato che colui che parla si riferisce a se stesso come a colui che ha creato i cieli e la terra. È chiaro che egli non può essere qualcuno diverso da Dio. Ma nel v. 16, colui che parla e che utilizza i pronomi in prima persona «io» e «mi», si distingue da altre due personalità. Egli si distingue dal Signore Jahwè e dallo Spirito di Dio. Qui le Scritture ebraiche ci stanno presentando la tri-unità.
Nel secondo brano (Isaia 63,7-14), c’è una riflessione retrospettiva al tempo dell’Esodo, dove tutte e tre le personalità erano presenti e attive. Il Signore Jahwè è menzionato nel v. 7, l’Angelo di Jahwè nel v. 9 e lo Spirito di Dio nei vv. 10,11.14. Mentre nel resto delle Scritture Dio parla di se stesso come l’unico autore della redenzione d’Israele dall’Egitto, in questo brano il merito viene dato a tre personalità. Ma non c’è contraddizione perché tutte e tre costituiscono l’unità della Deità.
Troviamo lo stesso insegnamento su Dio anche nel Salmi 2 dove leggiamo che lo Spirito Santo, il Ruach Hakodesh, dice attraverso Davide: «Io spiegherò il decreto: L’Eterno mi disse: Tu sei il mio figlio, oggi io t’ho generato» (Salmi 2,7).
Qui abbiamo lo Spirito Santo che parla attraverso di Davide (cfr. Atti 4,25) e nello stesso tempo istruisce Davide, che l’Eterno, che in ebraico è il nome ineffabile di Jahwè, ha un Figlio generato in maniera soprannaturale. Forse lo stesso re Davide non ha compreso completamente le parole ispirate che ha scritto per lo Spirito Santo; ma egli non ha scritto questo per fare in modo che fraintendiamo. Dio, che è onnipotente, manifesta se stesso come una tri-unità.
Nota redazionale: È evidente che tali versi si possano intendere anche in altro modo all’interno del loro contesto storico, linguistico, teologico e culturale. In questo luogo sarebbe troppo lunga la rappresentazione.

1.4. La trinità è giudaica

Ma un tale concetto è giudaico? Non può essere un concetto gentile o pagano che si è infiltrato in qualche modo nelle Sacre Scritture come qualcuno ha voluto insinuare? No, quest’era ed è una concezione giudaica del Dio creatore e che si relaziona con il suo popolo Israele in maniera una e trina. La seguente citazione lo conferma. Proverbi 22,20 recita: «Non ho io già da tempo scritto per te (ebraico: triplice) consigli e insegnamenti». Su questo Rabbi Joshua bar Nehemiah ha detto che questa è la Torà le cui lettere sono triplici, e il tutto è una trinità: la Torà è trinitaria, poiché è composta dalla Torà, dai Profeti e dagli Scritti. La Mishna è una trinità composta di talmud (insegnamento) halakhot (leggi giudaiche per tutti i giorni) e haggadot (articoli storici). I mediatori d’Israele erano una trinità: Mosè, Aaronne e Miriam. Le preghiere sono una trinità: preghiere del mattino, del pomeriggio e della sera. Israele è una trinità, essendo formato da Sacerdoti, Leviti e Israeliti. Il nome Mosè in ebraico è formato da tre lettere. Egli è della tribù di Levi, anch’esso formato da tre lettere ebraiche. Tre sono i patriarchi: Abrahamo, Isacco e Giacobbe. Nel terzo mese che è il mese di Sivan (dopo Nisan e Ijar) il popolo è arrivato al monte Sinai le cui lettere sono tre (Midrash Tanhuma).
 
Forse, certo,Proverbi 22,20 è un brano troppo difficile per trarre tali certezze. La Elberferder traduce qui: «Non ti ho io già scritto trenta [massime] con consigli e conoscenza». Nella nota afferma: «Testo masoretico nella forma scritta: “Non ti ho io già scritto l’altrieri”; nella forma di lettura: “Non ti ho io già scritto sentenze”»; ma la traduzione è insicura. A ciò si aggiunga che tali riflessioni di del rabbino nominato nulla hanno a che fare con una trinità teologica.
L’autore dello Zohar (opera mistica rabbinica) ha intuito la pluralità nel Tetragramma (JHWH, Jahwè) e ha scritto: «Venite a vedere il mistero della parola Jahwè: ci sono tre lettere diverse: tuttavia esse sono Uno, e così unite che non possono essere separate. L’Antico di giorni e Santissimo è rivelato con tre teste, che sono unite in una e quella testa è tre volte esaltata. L’Antico di giorni è descritto come tre: perché tutte le altre luci emanate da lui sono incluse nei tre. Ma come possono tre nomi essere uno? Sono realmente uno, solo perché li chiamiamo uno? Che tre possono essere uno può essere conosciuto solo attraverso la rivelazione dello Spirito Santo» (Zohar, Vol III, 288; Vol II, 43, Edizioni ebraiche. Vedi anche edizione Soncino Press, Vol III, 134).
 
Non bisogna poi dimenticare che l’opera mistica Sefer ha-Zohar proviene dal filone della cabala e della gnosi giudaica ed è sorta per mano di Mosè di León (1250-1305), che scrisse diverse opere simili. A ciò si aggiunga che questo autore ricorse alla lingua aramaica e spacciò la sua opera per quella di Simeon Bar Yohai, un eminente saggio tumuldico del 3° secolo! Non si può certamente usare questo testo per interpretare l’AT!
Se, secondo i rabbini, Dio ha fatto tutto e ha organizzato tutto in maniera trinitaria, quindi deve anche essere ebraico e biblico sapere che Dio stesso è una Trinità. Egli si è manifestato come Salvatore, Messia, e Figlio di Dio nella persona di Gesù. Egli ha quindi fatto scendere lo Spirito Santo, il Ruach Hakodesh, sugli apostoli nel terzo mese, la festa di Šābu`ōt, la festa della perfezione, celebrata dopo aver contato sette volte sette.
È evidente che la Trinità (o tri-unità) sia una rivelazione di Dio data alla chiesa all’interno del nuovo patto. Retro-proiezioni di contenuti del NT sull’AT non aiutano molto al riguardo. Infatti, nella storia e nella teologia c’è un prima e c’è un dopo. La rivelazione è progressiva. L’incarnazione e Pentecoste sono i due momenti particolari in cui Dio rivelò la sua natura trina e unitaria in modo chiaro ed evidente. Chi cerca di trovare indizi, dove non ci sono, potrebbe ingrandire pulci facendone elefanti. Ciò impedisce però di analizzare e trattare i testi per ciò che sono, per arricchirsi di ciò che veramente c’è.
Nei brani profetici, inoltre, bisogna distinguere dove parla Dio e dove lo fa il profeta, altrimenti si attribuisce a Dio ciò che dice il suo portavoce. Lo stesso dicasi dei brani in cui parlano sia Dio che il futuro Messia.

1.5. Conclusione

L’insegnamento delle Scritture, quindi, è che c’è una pluralità nella Deità. Una persona è sempre chiamata Jahwè, mentre a un’altra persona sono dati i nomi di Jahwè e del Servo di Jahwè (o Angelo di Jahwè). Coerentemente, la seconda persona è inviata dalla prima persona. Una terza persona è menzionata come lo Spirito di Jahwè o lo Spirito di Dio o lo Spirito Santo. Anch’egli è inviato dalla prima persona, ma è in relazione al ministero della seconda persona.
Se il concetto della Tri-unità di Dio non è giudaico secondo i rabbini, allora non lo sono neanche le Scritture ebraiche. I cristiani non possono essere accusati d’essere scivolati nel paganesimo quando dicono che Gesù è il Figlio divino di Dio.

2. La luce del Nuovo Testamento

In coerenza con gli insegnamenti delle Scritture ebraiche, il Nuovo Testamento riconosce chiaramente che ci sono tre persone nella Deità, ma è molto più specifico. La prima persona è chiamata il Padre mentre la seconda persona è chiamata il Figlio. Il Nuovo Testamento risponde alla domanda di Proverbi 30,4: «…Qual è il suo nome e il nome del suo figlio? Lo sai tu?». Il nome del figlio è Jeshua (Gesù). In accordo con le Scritture ebraiche, egli è stato mandato da Dio per essere il Messia.
 
Inoltre, egli è stato mandato per uno scopo preciso: morire per i nostri peccati. In sostanza, quello che è accaduto è che Dio è diventato un uomo (non che l’uomo è diventato Dio) per compiere l’opera d’espiazione.
Il Nuovo Testamento chiama la terza persona della Deità lo Spirito Santo. In tutto il Nuovo Testamento egli è in relazione all’opera della seconda persona, anche qui in accordo con l’insegnamento delle Scritture ebraiche. Vediamo, dunque, che c’è continuità nell’insegnamento tra le Scritture ebraiche e il Nuovo Testamento riguardo la Tri-unità di Dio.
La presunta «continuità nell’insegnamento tra le Scritture ebraiche e il Nuovo Testamento riguardo la Tri-unità di Dio» è basata su un falso sillogismo. Un «mistero» rimane tale fintantoché non è rivelato. La rivelazione è progressiva. Il «mistero» tenuto nascosto fin dalla fondazione del mondo, è stato svelato nel nuovo patto. Altrimenti che «mistero» è, se già si sapeva? Per l'approfondimento cfr. «Mistero nel NT».

3. Trinità e senso comune

Ma tre possono essere uno? Il senso comune si ribella a questa dichiarazione? Non dobbiamo forse ammettere che Dio o è Uno o è Tre? Non è così. Di fatto tutto quello con cui veniamo in contatto non è un concetto matematico d’uno, ma di solito è un composto trinitario. L’antico filosofo greco ragionava senza conoscere l’atomo, ma era colpito dal fatto che una mucca nera, che mangiava erba verde, dava latte bianco. Tutte le cose sono composte di milioni e bilioni d’atomi; ma l’atomo è una trinità composta di protone, elettrone e nucleo.
In Romani 1,20 Paolo si serve della creazione del kosmOsea per dimostrare la Divinità (theiotēs). L’universo è una tri-unità di spazio, tempo e materia. Ognuno di questi a sua volta è una tri-unità. Lo spazio è formato da lunghezza, larghezza e profondità (o altezza); il tempo è formato da passato, presente e futuro; la materia è energia, movimento e sostanza. Troviamo l’illustrazione del tre in uno anche nel caso della luce del sole, calore e raggi ultra-violetti o nella forma che può prendere l’acqua (H2O) come liquido, ghiaccio e vapore.

4. Qual è il significato per noi?

Ora dobbiamo solo rispondere alla domanda: «Qual è l’importanza di tutto questo?». La risposta è che l’importanza è grande. Dimostra la verità della Parola di Dio. Ma la cosa più importante è quello che ha detto il Messia Gesù, «Poiché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque credere in lui non perisca, ma abbia vita eterna» (Giovanni 3,16). Volete aver pace nel vostro cuore e pace con il vostro Creatore? Ricevete questo dono di Dio; confessate i vostri peccati e credete nel Figlio di Dio, il Korban (sacrificio). Allora sarete salvati e avrete pace perfetta nei vostri cuori. «Ma a tutti quelli che l’hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventar figliuoli di Dio; a quelli, cioè, che credono nel suo nome» (Giovanni 1,12).
 
Tratto da: http://www.puntoacroce.altervista.org/_Dot/A2-Ebraismo_trinitas_OiG.htma sua volta tratto da: https://jewsforjesus.org/publications/issues/issues-v01-n08/jewishness-and-the-trinity