Un bilancio (personale) del pontificato di
papa Wojtila da un punto di vista psicanalitico, pubblicato da “ADISTA”
(n.40).
IL PIÙ AMATO DA DIO
DI LUIGI DE PAOLI
Con l’unica e modesta competenza che mi deriva dal
lavoro come psicoanalista di gruppo e delle
istituzioni, nonché
dall’osservazione partecipata dei fenomeni religiosi, in particolare
cattolici, mi permetto di avanzare una ipotesi relativa non alla
persona, ma all’impianto del pontificato di Giovanni Paolo II, a partire
dal “Codice di Diritto Canonico” (Cdc), che egli stesso ha promulgato
nel 1983 senza il consenso esplicito di una assemblea conciliare o
episcopale.
Questo testo (Cdc) non solo stabilisce che la Chiesa
sia retta da un Capo, che sia pilotata da un Maestro, e che a Lui tutti
si rivolgano con il qualificativo di “Santo Padre”, titoli peraltro
tassativamente proibiti da Gesù, ma assegna al papa una gamma di
funzioni che non è reperibile in nessuna leadership contemporanea.
Egli è: “il supremo
amministratore ed economo di tutti i beni ecclesiastici (canone 1273); è
il giudice supremo di tutto l’orbe cattolico (1442); esercita la potestà
ordinaria su tutte le Chiese particolari (333); convoca o scioglie il
Concilio ecumenico (338); nomina liberamente i vescovi (377); convoca il
sinodo dei vescovi e ne stabilisce gli argomenti (344); nomina i suoi
nunzi sia presso gli Stati che presso le Chiese locali (362); ha la
suprema direzione delle attività riguardanti l’opera missionaria (782);
concede la dispensa dal matrimonio rato e non consumato (1698);
ha una potestà immediata ed esclusiva sugli istituti
di vita religiosa (593), disponendone dei beni
temporali relativi
(584); sovrintende a tutta la sacra liturgia (838); autorizza la
pubblicazione delle Sacre Scritture (825); ha il potere di rimettere la
pena (1354); è esente da ogni giudizio (1404) per cui non è possibile
appellarsi o fare ricorso contro le sentenze o i decreti del romano
Pontefice (333); legittima decreti e atti ufficiali delle Conferenze
episcopali (455).
L’autorità del papa è corredata dei seguenti titoli
secondo l’Annuario Pontificio:
1) vescovo di Roma;
2) Vicario di Gesù Cristo;
3) Successore del principe degli Apostoli;
4) Sommo Pontefice della Chiesa Universale;
5) Patriarca d’Occidente;
6) Primate d’Italia;
7) Arcivescovo e Metropolita della Chiesa di Roma;
8) Sovrano dello Stato della Città del Vaticano;
9) Servo dei servi di Dio.
Inoltre, in base alla “Nuova legge dello Stato della
Città del Vaticano” (del 22-2-01) il papa svolge un ruolo
extra-ecclesiale nel consesso dei rapporti tra Stati e organismi
sovranazionali, come l’Onu, la Comunità europea, la Fao, il Wto, ecc :
“La rappresentanza dello Stato nei rapporti esteri e con gli altri
soggetti di diritto internazionale, per le relazioni diplomatiche e per
la conclusioni dei
trattati, è riservata al sommo Pontefice per mezzo della
Segreteria di Stato”.
Attenendoci a questo quadro normativo, il papa mostra
di avere diritto a concentrare su di sé non solo tutte le funzioni
dottrinali-cultuali, proprie di un leader spirituale, ma anche quelle
legislative, giudiziarie e governativo-amministrativo-finanziarie, che
sono proprie dei leader secolari, e che nelle società moderne sono
rigorosamente separate tra di loro ed esercitate da soggetti diversi.
Nel ripercorrere i compiti che il papato attuale si è
assegnato in modo esplicito, la domanda che si pone chi si occupa delle
complesse vicende della psiche inconscia potrebbe essere così formulata:
con quali “fantasie” (termine con cui per brevità inglobiamo
bisogni-pulsioni-desideri, paure) il papa ha delineato “per sé” e “da
sé” tale ruolo, avendo la possibilità di configurarlo in ben altro modo?
È chiaro che tutte le azioni pubbliche che il papa è andato sviluppando
nel corso del suo pontificato, non possano prescindere da quel “gioco
fantasmatico macrosociale”, in cui l’ordinamento giuridico e
l’ufficialità dei gesti hanno funzionato come messaggio subliminale.
L’orizzonte fantasmatico
I titoli e le funzioni di cui il papa si appropria
evidenziano la fantasia sottostante di sentirsi come
un soggetto unico,
eccezionale, perfetto, santo, incensurabile, senza limiti nell’esercizio
del potere.
Solo a partire da una simile percezione e convinzione
inconscia è possibile ritenere di essere in grado ed avere diritto ad
esercitare il compito di giudicare-legiferare-governare un miliardo di
cattolici, senza subire né limiti né censure.Se si
considera che nella relazione con i fedeli il
papa esige non solo
l’obbedienza, ma la “comunione”o l’assoluta fedeltà (gravata da un
giuramento per gli ecclesiastici), allora il quadro psicodinamico assume
una tonalità emozionale particolare, che fa pensare al bisogno di essere
il “prediletto della Chiesa”, il soggetto più amato dalla collettività,
senza alcun dovere di reciprocità. Il fatto stesso di prescindere
persino dalle opinioni del collegio episcopale, per non parlare dei
semplici fedeli, evidenzia l’unilateralità della relazione affettiva e
l’incapacità di condividere oneri ed onori con i propri fratelli, di
“amarli come egli ama se stesso”, dal momento che quel che preme è l’esaudimento
di bisogni primari individuali.
Alla luce dei documenti ufficiali statuiti dallo
stesso pontefice è evidente la pulsione a conquistare
la posizione di chi è
amato senza condizioni, del beniamino che scalza ogni pretendente dal
cuore della Chiesa. Ma se quest’ultima è teologicamente omologata alla
Madre che da la vita (Madre Chiesa), e se il papa è il “Santo Padre”,
allora egli ne è la sposa e ne gode l’amore privilegiato. Non è un caso
che quando nel linguaggio comune si dice: la Chiesa ha dichiarato... la
Chiesa ha scomunicato... la Chiesa ha canonizzato... si intenda il papa,
il suo legittimo e unico referente. Nell’immaginario collettivo
l’accoppiamento Chiesa-papa è immediato, appunto perché solo il papa
“possiede” la Chiesa in senso operativo e ne riceve un amore
incondizionato. L’orizzonte giuridico in cui il papa si colloca è
psicologicamente omologo a quello del figlio “prediletto”, che desidera
ardentemente unirsi e possedere la madre, scalzando il padre per goderne
le funzioni. Questa vicenda nella letteratura psicoanalitica è stata
connotata come “edipica”, il cui perno è l’incesto. Va chiarito che tale
vicenda antropologica attraversa ogni persona a qualsiasi latitudine e
potrebbe coincidere con quello che in teologia è stato designato come
“peccato originale”, evento che affresca la trasgressione originaria
della Legge, rappresentata dal Padre (Eterno) nel mito di Adamo ed Eva.
La caratteristica più importante dell’Edipo, inteso
come scenario mitico, non è tanto la natura fisica del congiungimento
con il genitore del sesso opposto, reso quasi impraticabile dal tabù in
tutte le civiltà, quanto l’illimitatezza di un desiderio, che tende ad
esondare dagli argini della Legge, la quale costantemente pone limiti
alle pretese stravaganti e capricciose delle pulsioni, a partire dagli
inizi della vita. Solo una paziente ed amorosa cura dei genitori riesce
ad addomesticare l’Io del bambino fino a renderlo capace di accettare la
realtà, rinunciando alla nostalgia di un amore assoluto da parte della
madre. Quando il papa si autodescrive ed agisce come colui che ha la
possibilità mentale e reale di esercitare un ventaglio eccezionale di
funzioni legislative-giudiziarie-politiche-cultuali-dottrinali, con la
pretesa di essere il facente funzione di Dio (Vicario di Cristo), mostra
di non accettare i propri limiti creaturali, ed esibisce il suo
sogno-bisogno di essere amato al sopra di tutti i fratelli e venerato
come un soggetto divino.
Annotazioni su alcune conseguenze
1 La struttura anti-comunitaria
Una volta che un segmento della vita psichica
infantile diventa ipertrofico e decreta che è titolare
di tutto, ne consegue
che gli altri sono nulla. È fuor di dubbio che i cattolici possono fare
molte cose nella Chiesa: ma per il papa sono oggettivamente nulla, sono
nessuno, sono privi di dignità e di autorità in qualsiasi ambito
ecclesiale.
Secondo il Cdc il Collegio episcopale è nessuno senza
il papa, ma il papa può decidere tutto senza di esso. Il Sommo
Pontefice, a suo piacimento, può permettere un metodo anticoncezionale (Ogino)
e bocciarne un altro (pillola); può emettere un proprio “Catechismo” e
invalidare quello di una Conferenza episcopale (ad esempio olandese);
può delegittimare una corrente teologica (liberazionista) e legittimarne
un’altra (opusdeista); può riconoscere alcuni diritti umani nella Chiesa
e disconoscerne altri (pochi sanno che fino al 1995 su 103 accordi
internazionali sui diritti umani la Santa Sede ne aveva sottoscritti
solo 10).
Il papa può cassare le proposte provenienti da un
Sinodo di una Chiesa (austriaca), chiamare a rapporto i vescovi che
hanno osato ascoltare le opinioni dei propri fedeli su temi ritenuti
indiscutibili, e distillare alcune sentenze, di cui quella centrale è
che “la Chiesa non è una democrazia”. In questo slogan c’è la
quintessenza del Cdc, è cioè che la Chiesa non è un “popolo sacerdotale,
profetico e regale”, come aveva delineato il Concilio Vaticano II, ma
una massa
che non ha titolo per alcuna autodeterminazione, alcun
controllo sull’operato dei capi, alcuna partecipazione nelle decisioni e
nelle elezione degli incaricati. Il messaggio profondo di tali
pronunciamenti è che Dio non ama tutti i suoi figli, ma solo il figlio
prediletto, suo Vicario in terra.
Questo non significa che il pensiero adulto del papa
non stimi la democrazia: ripetuti sono gli
apprezzamenti di tale
modulo politico e costanti gli inviti perché i cattolici la sviluppino
nelle rispettive società. Ma è proprio il nucleo
infantile-edipico-grandioso che non gli consente di concedere valore a
coloro che gli sono fratelli nella fede e di orientare la Chiesa in
senso comunitario. Nel suo lungo pontificato non si ha notizia di una
sola enciclica e di un programma pastorale tesi a fare della Chiesa una
comunità che si regga sulle dinamiche dell’uguaglianza, della
condivisione fraterna e della libertà.
Salvo eccezioni, si può ragionevolmente ritenere che
la quasi totalità dei cattolici non ha mai fatto nella propria
parrocchia o diocesi una esperienza di discernimento evangelico
collettivo, di partecipazione ai problemi ecclesiali e di condecisione
relativamente alla scelta dei propri diaconi o ministri. Reso analfabeta
in campo biblico, privato di dignità e persino del diritto di
evangelizzare, il cattolico praticante non è in grado di essere
significativo (lievito) per il mondo, anche perché egli è portatore
inconsapevole di una sostanziale sfiducia su di sé e sui propri simili.
Dopo decenni di pastorale inneggiante il primato assoluto del papa, è
naturale che prediliga capi piuttosto che gruppi di riflessione, che
accetti come naturali (se non soprannaturali) le diseguaglianze, siano
esse sociali,
economiche o di genere. E così diventa naturale che il
cattolico osservante, in alta percentuale, tenda a supportare politiche
autoritarie e favorevoli ai potenti, prediligendo partiti di “destra”,
come dimostrano impietosamente le statistiche.
2. La clericalizzazione, sacralizzazione dell’Edipo
Durante il suo pontificato, Giovanni Paolo II ha visto
uscire dalla sua Curia, con la firma di otto
cardinali, una
“Istruzione”, dal titolo e dai toni alquanti intimidatori, volta a
stabilire che tra “sacerdozio battesimale”, proprio di tutti i
cristiani, e sacerdozio ministeriale, proprio del clero “ordinato”, c’è
una differenza di “essenza” e non di “grado”. Tale precisazione risale
al Vaticano II: con la differenza che la Curia, non solo non tiene conto
degli avanzamenti teologici maturati nei decenni seguenti, ma estende
oltre ogni immaginazione il sacro. Nell’Istruzione l’aggettivo sacro è
usato quattro volte per l’eucarestia, una volta per i “paramenti”, ben
diciannove volte per il sacro ministero del clero (sacri ministri, sacri
pastori, sacra potestà, sacra ordinazione).
Premesso che tale terminologia è sconosciuta a Gesù,
che annunzia un nuovo tipo di adorazione in “spirito e verità” e la fine
del tempio, di cui “non rimarrà pietra su pietra”, resta il fatto che
Woityla
ripropone la antica scissione tra chi è omologato al
“sacro” (prete-ordinato) e chi lo è al “profano”
(laico-non ordinato). I
laici, cioè il 99% dei battezzati cattolici, in buona sostanza, sono
marchiati da un handicap ontologico, per cui non possono nemmeno
“proferire le orazioni o eseguire i gesti riservati al sacerdote”; e se
si sentissero chiamati dallo Spirito a tenere l’omelia dovrebbero
chiedere niente meno che un esplicito “permesso alla S. Sede”.
Se il pontefice arriva a privare i fedeli di simili
possibilità, delimitando le appartenenze al sacro
(riservato al clero,
suo dipendente in senso giuridico, amministrativo ed economico) e al
profano (per i laici, non dipendenti), lo si deve all’esistenza di un
nucleo edipico-infantile, che si sente narcisisticamente eccezionale ma,
allo stesso tempo, vulnerabile. Di qui l’urgenza di auto-proteggersi
ricorrendo ad una auto-sacralizzazione. Onde mantenere una zona di
sicurezza da “incontri rav-vicinati”, si ammanta di paramenti, dignità,
e potestà “sacri” con cui immagina di godere una superiorità
metafisico-ontologica rispetto ai propri “fratelli”, trattati
sostanzialmente come fantasmi. Forse non esiste prova migliore della
datazione edipica di tale nucleo se si osserva che la sacralizzazione
dell’”ordine clericale” si sviluppa in parallelo con la “castrazione”
delle potenzialità fecondative dell’intero popolo di Dio. Edipo e
castrazione, in sostanza, sono inscindibili.
3. L’ambiguità
Nell’Annuario pontificio il papa si auto definisce da
una lato “successore del Principe degli Apostoli”, “Sovrano dello Stato
Pontificio”, e dall’altro “Servo dei servi”. Nella logica normale il
successore di un principe e il sovrano hanno una dignità e un potere che
sono opposti a quelli di un servo. Quando una opinione o un
comportamento si prestano a varie interpretazioni, che causano
incertezza e confusione, si parla di “ambiguità”. Essa viene percepita
solo dall’osservatore, non dal soggetto che vive l’ambiguità, poiché
egli non vive né la confusione, né il dubbio.
L’ambiguità dipende da una deficiente differenziazione
dei termini contrastanti (sovrano-servo), che
coesistono (o si
alternano) senza contraddizione o conflitto. In altri termini:
l’ambiguità si definisce per un tipo particolare di organizzazione
psichica caratterizzata dalla compresenza di nuclei non integrati
(nucleo edipico e nucleo maturo), per cui manca la coscienza della
contraddizione. Dato che la parte edipico-infantile resta svincolata da
quella matura, dottrine ed azioni possono essere interpretate o sentite
dall’Altro come confondenti, di natura incerta e finalizzate a mete
tanto onorevoli come disonorevoli. Inoltre l’ambiguità impedisce di
assumere un progetto e di condurlo in porto. Ritengo che il papato di
Woityla sia proprio contrassegnato dalla carenza di elaborazioni
programmatiche, di azioni collettivamente partecipate, di pianificazioni
pastorali motivate.
Forse l’unico
progetto che i commentatori attribuiscono a Giovanni Paolo II è il
contributo dato per la caduta del comunismo russo, ma in tal caso la
strategia vaticana è rimasta occulta, frutto di accordi segreti con
Reagan e la Cia, non certo esplicitata e progettatta con il miliardo di
cattolici.
Nel bilancio di papa Woityla sono molteplici i gesti e
i pronunciamenti che il mondo ha avvertito come coerenti, tanto nel
campo pastorale come sociale, ecumenico e politico internazionale. Ma
sono anche rilevanti le prese di posizione “ambigue”, segnate da
contraddizioni che non sono riconosciute dall’autore, ma solo dall’utente-fedele-suddito-ascoltatore.
Propongo tre esempi
A. Sono innumerevoli
gli apprezzamenti che il papa fa della “donna”, la cui dignità è
straordinaria, perché in essa nasce il Figlio di Dio, fatto che la rende
“rappresentante e archetipo di tutto il genere umano” (Mulieris
dignitatem). Ma allo stesso tempo la donna non può rappresentare, a
partire dalla sua umanità, il divino che la abita, per cui non può
“essere ordinata” al sacerdozio, tanto meno all’episcopato. Per il papa
queste due posizioni non sono contraddittorie, ma per la donna cattolica
sono fonte di una confusione che la fanno oscillare tra idealizzazione e
svilimento. Che la donna sia un oggetto degradato nella Chiesa sembra un
fatto accertato.
B. In campo ecumenico sono ragguardevoli i tentativi
fatti dal papa per giungere ad un riavvicinamento e ad un maggiore
rispetto e comprensione tra le religioni, fino alla richiesta esplicita
e ripetuta di perdono per le violenze perpetrate dai cattolici nei
secoli. Accanto a tale nucleo adulto coesiste quello edipico-grandioso,
che in vari documenti ufficiali tratta le Chiese cristiane (e le
religioni non cristiane) come oggetti declassati, privi della perfezione
che caratterizzerebbe quella cattolica. Ancora una volta la
contraddizione non appare tale al papa, ma solo alle Chiese “sorelle”,
che reagiscono con forza a una arbitraria e supponente superiorità,vera
“pietra d’inciampo” nel processo di riconciliazione.
Parlando
di papato è impossibile evitare di accennare ai messaggi e ai gesti
“politici”. Chiunque
abbia visto come è ricevuto e trattato il papa nei suoi
viaggi non può che restare confuso e incerto circa l’interpretazione da
assegnare ai ruoli che egli assume: poiché da un lato si dichiara
“pellegrino”, o padre spirituale che conferma nella fede i fratelli,
mentre le immagini lo colgono quasi invariabilmente salutato con gli
“onori militari” come si addice ad unCapo di Stato, o accanto a re,
governanti e persino dittatori golpisti. Una cosa analoga si potrebbe
dire per i problemi sociali: anche in questo caso i pronunciamenti a
favore dei poveri e della giustizia, potrebbero riempire le biblioteche:
ma la realtà vista dalla parte dei poveri è che durante il pontificato
di Woityla questi ultimi hanno visto aumentare la loro miseria, mentre i
ricchi moltiplicavano le loro fortune finanziarie e proprietarie.
A chiusura di queste annotazioni, certamente sommarie,
mi preme dar atto a Giovanni Paolo II di aver riconosciuto che il papato
deve subire cambiamenti. Nell’enciclica Ut unum sint (1995) egli si
propone di ascoltare “la domanda che mi è rivolta di trovare una forma
di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo
all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova”. Ma
che altro è la “situazione nuova” se non il lutto dell’onnipotenza e la
gioiosa rivoluzione di tutte quelle credenze ed illusioni che
caratterizzano l’Io edipico-infantile? |