Parabole: per chiarire o per ...discriminare?

Le parabole di Gesù non sono semplici illustrazioni retoriche per far meglio comprendere certe verità, come si usa nell'insegnare, ma mezzi per discriminare l'uditorio, per far comprendere a coloro che sono in condizione di comprendere, a cui “è dato” di comprendere, e espressamente occultare il significato inteso a coloro che non devono comprendere!

Questo concetto è espresso da Gesù stesso che parla dell'uso che fa delle parabole:

10Quando egli fu solo, quelli che gli stavano intorno con i dodici lo interrogarono sulle parabole. 11Egli disse loro: «A voi è dato di conoscere il mistero del regno di Dio; ma a quelli che sono di fuori, tutto viene esposto in parabole, affinché: 12"Vedendo, vedano sì, ma non discernano; udendo, odano sì, ma non comprendano; affinché non si convertano, e i peccati non siano loro perdonati"»” (Marco 4:10-12).

In questo testo, non solo viene fissata una distinzione tra il metodo di insegnamento adottato per i discepoli e quello adottato per “quelli di fuori”, ma si parla di parabole come un mezzo per dissimulare la verità. La frase andrebbe forse tradotta: “...a quelli che sono di fuori, tutto viene esposto in modo enigmatico”. La cosa, per alcuni, appare del tutto stupefacente. Di fatto il testo dice: per coloro che non sono discepoli lo scopo delle parabole è di nascondere la verità e di prevenire il pentimento ed il perdono!

1. “Il mistero del regno di Dio”. Per “mistero”, il Nuovo Testamento intende la rivelazione speciale di Dio (Ro. 16:25; Ef. 1:9;3:3,9), il concetto, pure presente nell'Antico Testamento. Lì il profeta è quell'uomo che Dio convoca nella Sua “camera di consiglio”, o “consiglio deliberativo”, là dove sono prese le Sue deliberazioni, per fargliele conoscere e per comunicarle, suo tramite, al Suo popolo o al mondo. Il profeta diventa così il portatore autorizzato del messaggio di Dio, colui che rivela “il segreto” di Dio1. Questa rivelazione culmina nell'Evangelo, che Paolo chiama “il mistero di Cristo” (Ef. 3:4; Cl. 4:3). Qui “il mistero del regno” è che il regnare di Dio si manifesta in Gesù, perché Egli è il Re.

Come nel caso della citata profezia di Isaia, attraverso il profeta Dio fa annunciare la verità, ma quell'annuncio incontra solo ostilità, ostinazione, cecità, pregiudizio. Coloro che sono accecati dall'incredulità vedono in Gesù nient'altro che una minaccia alla loro esistenza. Essi lo rifiutano e quindi non vengono alla conoscenza del “segreto” del regno di Dio. Allora, da annuncio di salvezza esso diventa annuncio di giudizio. La questione è simile a quella a cui fa riferimento l'apostolo Paolo quando dice: “...sia ringraziato Dio il quale ci fa sempre trionfare in Cristo e attraverso noi manifesta in ogni luogo il profumo della sua conoscenza. Perché noi siamo per Dio il buon odore di Cristo fra quelli che sono salvati, e fra quelli che periscono; per questi un odore di morte a morte, ma per quelli un odore di vita a vita (2 Co. 2:14-16). Qui la conoscenza di Dio è “un profumo” che, “fra quelli che sono salvati” è “un buon odore”, ma, fra “quelli che periscono” è “odore di morte a morte”. Il messaggio, benché identico, produce nelle persone due effetti diversi, a seconda di “chi sono”. Nel caso dell'Evangelo, che Cristo come Salvatore e Signore sia al centro stesso del Regno di Dio, è cosa che viene “intuita” e compresa da chi è aperto verso Gesù.

2. “A voi è dato”. Ecco che si rivela qui il concetto di elezione divina. Dio espressamente sceglie coloro ai quali concede la Sua grazia. Sono loro che comprenderanno ciò che dice Gesù e che si convertiranno. Gesù stesso dice: “In quella stessa ora, Gesù, mosso dallo Spirito Santo, esultò e disse: «Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli! Sì, Padre, perché così ti è piaciuto!” (Lu. 10:21)2.

3. “...a quelli che sono di fuori”. Questo mistero è rivelato apertamente ai discepoli di Gesù, ma è presentato in forma di parabola (o “similitudini, v. Gv. 16:29) “a quelli che sono di fuori” [hoi exo]. Per loro le parabole sono e rimangono un enigma. Esse, così, offuscando la loro comprensione come la Scrittura aveva profetizzato (v. 12; citando Isaia 6:9,10). Per loro Gesù rimane un enigma provocatorio. Il Nuovo Testamento usa l'espressione “quelli di fuori” per coloro che non appartengono alla Chiesa di Cristo3, al circolo dei Suoi discepoli.

4. “Affinché vedendo... non discernano”. Questo avviene come una punizione per la loro cecità e durezza. Sono “i luoghi pietrosi” di Mr. 4:16. L'insegnamento evangelico è loro proposto in modo oscuro per convincerli di peccato e condannarli e non per illuminarli a salvezza.


1“Infatti chi ha assistito al consiglio del SIGNORE, chi ha visto, chi ha udito la sua parola? Chi ha prestato orecchio alla sua parola e l'ha udita?” (Gr. 23:18); “Poiché il Signore, DIO, non fa nulla senza rivelare il suo segreto ai suoi servi, i profeti” (Am. 3:7); “Mosè entrò in mezzo alla nuvola e salì sul monte; Mosè rimase sul monte quaranta giorni e quaranta notti” (Es. 24:18); “Micaia replicò: «Perciò ascolta la parola del SIGNORE. Io ho visto il SIGNORE seduto sul suo trono, e tutto l'esercito del cielo che gli stava a destra e a sinistra” (1 Re 22:19); cfr. la vocazione di Isaia in Is. 6:1-13.

2Vedi anche: “Gesù, replicando, disse: «Tu sei beato, Simone, figlio di Giona, perché non la carne e il sangue ti hanno rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli” (Mt. 16:17). “Io non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo signore; ma vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto conoscere tutte le cose che ho udite dal Padre mio” (Gv. 15:15).

3“Poiché, devo forse giudicare quelli di fuori? Non giudicate voi quelli di dentro?” (1 Co. 5:12); “Comportatevi con saggezza verso quelli di fuori, ricuperando il tempo” (Cl. 4:5); “affinché camminiate dignitosamente verso quelli di fuori e non abbiate bisogno di nessuno” (1 Ts. 4:12); “Bisogna inoltre che abbia una buona testimonianza da quelli di fuori, perché non cada in discredito e nel laccio del diavolo” (1 Ti. 3:7).

 

Tempo di Riforma - a cura del past. Paolo Castellina - Scrivici cliccando qui