Perché il sale non può essere “neutrale”


La rivendicazione delle chiese e, in particolare, della chiesa cattolica, di prendere pubblicamente posizione su argomenti sociali e politici (che qualcuno vorrebbe oggi negare loro) è del tutto giusta e legittima.

Per il fatto stesso di vivere nell’ambito di una società, infatti, è impossibile non essere “politici” qualsiasi cosa si faccia o non si faccia: anche la non-azione, infatti, è un atto politico non indifferente dal punto di vista storico, e comunque “utile” a qualcuno. Coloro, per esempio, che non avevano preso posizione negli anni 1930 in Germania, ne raccolsero le tragiche conseguenze. Nel recente referendum sul lavoro domenicale, essere in favore di una sua maggiore liberalizzazione significava prendere una posizione decisamente “radicale”. Non dire nulla al riguardo era già un atto politico perché avallava implicitamente la trasformazione della società promossa da alcune forze politiche ed economiche. La questione quindi , è  sempre “da che parte stiamo” e perché, e soprattutto se questo è compatibile con la nostra professione di fede! La “neutralità” dei cristiani, infatti, è sempre piuttosto “utile” per alcuni che, così, possono avere mano libera per perseguire i loro obiettivi.

Se, così, vivere nell’ambito della società è già essere “politici”, i cristiani non intendono essere “ricacciati nel privato” o, peggio, essere “imbavagliati” come se la loro fede non riguardasse la vita intera e non potesse esprimersi se non su “questioni spirituali”. La distinzione fra “sacro” e “profano”, fra “secolare” e “spirituale”, infatti, non appartiene alla fede cristiana biblicamente fondata ed il cristiano ha il dovere ed anche il diritto di potersi esprimere pubblicamente come chiunque altro su qualunque tema. La “neutralità” è un concetto (spesso un comodo pretesto) molto discutibile se non decisamente sbagliato, almeno rispetto ai principi fondanti della nostra fede.

Perché, allora, la libertà di espressione, per noi cristiani, è un diritto al quale non si può rinunciare?

Sono gli stessi Dieci Comandamenti (che per noi sintetizzano la volontà rivelata di Dio) che ci impongono di prendere posizione sui temi più diversi e complessi della vita. Essi, infatti, non solo ci prescrivono il comportamento che, come cristiani, dobbiamo avere, ma anche la necessità di levare la nostra voce esprimendo contrarietà, ed eventualmente denuncia, opposizione, protesta, quando essi sono violati, e questo ad ogni livello.

Non può essere diversamente per il cristiano oggi per quanto per loro esprimersi possa “costare”. Il cristiano, nel mondo, è chiamato a seguire Cristo vivendo, nella società, come il sale nelle vivande. Come tale il cristiano agisce per prevenire la decadenza e la corruzione. Egli non certo “tace” o segue acriticamente le ideologie più di moda, diventando, per chi sta al potere, un “utile idiota”. Il Nuovo Testamento rende chiara testimonianza su che cosa significhi vivere quello stile radicale di vita, il solo che solo che dia “sapore” alla vita.

 

La trasgressione dei comandamenti di Dio, infatti, non solo implica mancanza di fiducia in Lui, ma comporta sempre conseguenze negative, tangibili danni, a breve o lungo termine, non solo su chi la commette, ma anche sulla società nel suo insieme. Il cristiano si sente, quindi, in dovere non solo di esprimersi chiaramente e pubblicamente, ma anche di difendere, soccorrere e proteggere le vittime dell’ingiustizia.

“Prendere posizione”, per il singolo cristiano, per il singolo predicatore, per le chiese locali o la chiesa in generale, non solo è un diritto, ma anche un dovere davanti a Dio ed alla nostra coscienza, impegnata a sostenere e difendere quei principi.

Ecco perché il cristiano, il predicatore, le chiese, non possono essere neutrali, anzi, sono necessariamente “di parte”. Essi non possono altro che essere “di parte” perché intendono stare dalla parte di ciò che, per noi, Dio ha chiaramente espresso nella Sua Parola. Non possono tacere, perché tacere per loro sarebbe  disattendere ai loro doveri verso Dio e un fatto in sé riprovevole. Tacere significherebbe per loro diventare complici della disubbidienza verso Dio e compiacenti verso l’ingiustizia.

“Prendere posizione”, per i cristiani, infatti, vuol dire il dovere di levare una “voce profetica” e critica anche se questo significasse mettersi contro ciò che dice, fa o pensa “l’autorità”, uno o più partiti, la stessa maggioranza della popolazione o “l’opinione pubblica”. Il cristiano (soprattutto quando occupa una posizione di responsabilità) non può esimersi dal “prendere posizione” quando sono in gioco i valori in cui crede, anche se questo significasse inimicarsi e mettersi contro un qualche centro di potere che potrebbe rivalersi contro di lui. “Non posso fare altrimenti”, dice, assumendosene tutti i rischi, “davanti a Dio la mia coscienza me lo vieta”.

Minacciati dalle autorità che avevano proibito loro di predicare l’Evangelo (di esprimersi pubblicamente in favore di Gesù e del Suo messaggio, esortando la gente alla conversione a Lui), i Suoi discepoli rispondono: «Giudicate voi se è giusto, davanti a Dio, ubbidire a voi anziché a Dio. Quanto a noi, non possiamo non parlare delle cose che abbiamo viste e udite» (Atti 4:19,20). Essi persistono a farlo e disobbediscono alle autorità anche se questo per loro comporta il carcere, battiture e persino il linciaggio da parte della folla. Quando le autorità contestano loro: «Non vi abbiamo forse espressamente vietato di insegnare nel nome di costui? Ed ecco, avete riempito Gerusalemme della vostra dottrina, e volete far ricadere su di noi il sangue di quell'uomo», essi rispondono: «Bisogna ubbidire a Dio anziché agli uomini» (Atti 5:28,29).

Sarebbe stato per loro senz’altro “più conveniente” tacere ed ubbidire. Non avrebbero avuto “rogne”, avrebbero evitato difficoltà e patimenti di ogni genere, avrebbero potuto “starsene in pace”, le loro famiglie non avrebbero sofferto, non avrebbero messo a repentaglio i loro mezzi di sussistenza (salario e commercio), eppure continuano a parlare e a scrivere, a “farsi sentire”.

 

Molti sicuramente li consideravano, così facendo, degli “irresponsabili”, come molti pure li giudicherebbero oggi, eppure essi persistono a fare ciò che ritengono giusto davanti a Dio. Avrebbero detto: “Il Signore provvederà a noi” e anche se Egli non lo avesse fatto [difatti molti apostoli perdono la vita, morendo come martiri] essi non vengono meno al dovere (prioritario) di annunciare l’Evangelo, per la gloria di Dio. Così facendo si dimostravano forse dei “fanatici”? No, erano semplicemente cristiani coerenti.

Che cosa fanno, poi, gli apostoli, quando la predicazione dell’Evangelo diventa per loro oggettivamente impossibile in Palestina? Se ne vanno altrove, dove avranno migliore accoglienza. Così l’apostolo Paolo: “Gli ebrei però gli facevano opposizione e lo insultavano. Allora Paolo si stracciò le vesti in segno di sdegno e disse loro: «Se non vi salverete sarà solo colpa vostra: io ho fatto per voi tutto quello che potevo! D'ora in poi mi rivolgerò soltanto a quelli che non sono ebrei» (Atti 18:6 TILC). Questo è coerente con quanto Gesù stesso aveva detto: “Se la gente di un paese non vi accoglie e non vuole ascoltarvi, andatevene e scuotetevi la polvere dai piedi: sarà un gesto contro di loro». I discepoli allora partirono” (Marco 6:11,12 TILC).

“Prendere posizione” oggi è considerato “politicamente scorretto”. Prevale ciò che i filosofi chiamano “il pensiero debole”. “Rimanere neutrali” in “queste cose” sembra la cosa più giusta, più saggia. Si dice che “prendere posizione”, chiaramente, non favorisca “la pace” e “crea conflitti”. Questa, però, non è la pace di cui parlava Gesù. Gesù diceva di essere venuto per portare “una spada”, non “la pace”. Egli attaccava i Suoi nemici, anche non dicendo nulla! i dice che “prendere posizione”, denunciare, condannare chiaramente, non sia “amorevole” verso gli altri. Questo, però, non è “l’amore” che vivevano e di cui parlavano Gesù, i profeti e gli apostoli, i quali si esprimevano sempre senza alcuna ambiguità. Certo, essi non imponevano nulla, ma proponevano e dibattevano pubblicamente le loro tesi, senza paura delle (civili) contese. Essi non condonavano il male tacendo.

Paolo Castellina e Alison J. Bailey, 27 dicembre 2005. Questo prodotto è protetto da una licenza “Some Rights Reserved” della Creative Commons. Qui i termini in:http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.0/it/. Tutte le citazioni bibliche (salvo diversamente indicato) sono tratte dalla versione “Nuova Riveduta” della Società Biblica di Ginevra, 1994.



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