Matteo Henry (1662-1714)


Commentatore ed espositore presbiteriano della Bibbia. Figlio di un ministro evangelico della Chiesa di Inghilterra, nacque poco dopo che suo padre fu espulso dal ministero come conseguenza del Decreto di Uniformità. Matteo Henry nasce a Broad Oak, fattoria gallese ad Iscoid, Flintshire, il 18 ottobre 1662. Suo padre, Filippo Henry, rinomato ministro della Chiesa di Inghilterra, era uno delle migliaia che avevano rassegnato le dimissioni o erano stati espulso perché avevano "dissentito" alle condizioni imposte dal Decreto di Uniformità, ed erano stati così chiamati "dissenzienti". Sua madre era di antica e onorevole famiglia. Aveva una modesta eredità, cosi Filippo Henry fu in grado di vivere a Broad Oak ed esercitare un ministero senza compenso fra la gente del distretto. Matteo era il loro secondo figlio – così fragile alla nascita che era stato battezzato ad un giorno solo di vita per timore che non sopravvivesse una settimana. Come ragazzo era fisicamente debole, ma mentalmente e spiritualmente molto forte e si dimostra studente abile e diligente. Di lui si dice che abbia letto ad alta voce un capitolo della Bibbia quando aveva solo tre anni! La sua conversione avviene nel 1672.

A Broad Oak, Filippo Henry frequentemente ospitava ed istruiva un candidato al ministero, che lo ripagava fungendo da tutore per i figli dello Henry. Uno di questi studenti, un certo William Turner, ispirò a Matteo passione per la lingua latina, e nel suo commentario troviamo diverse citazioni da classici. Fino all’età di 18 anni, la sua educazione fu supervisionata dal padre, studioso ed insegnante molto valente. A causa di un sempre più grande lassismo nelle università di Oxford e Cambridge, Matteo fu inviato, nel 1680 all’accademia di Islington, a Londra (le "Accademie dissenzienti", stabilite nel 1662 e negli anni seguenti, mantenevano un alto grado accademico proprio quando le antiche università inglesi avevano tradito la loro fiducia e pregiudicatisi il rispetto degli educatori più seri, che desideravano libertà intellettuale). Ad Islington era preside il famoso Thomas Doolittle, e suo assistente Thomas Vincent. Come altri accademici, egli fu forzato, dalla persecuzione, a trasferirsi altrove per cinque volte ma, nonostante le interruzioni, questa era considerata la maggiore accademia presbiteriana. A Broad Oak, sebbene fosse di aiuto considerevole a suo padre nell’opera pastorale, egli si rese conto che vi erano scarse possibilità di ricevere "la vocazione" ad un pastorato stabilito. Il villaggio era remoto, severe erano le restrizioni per i ministri dissenzienti, e non aveva alcuna voglia di rimanere relativamente inattivo. Decide cosi di ritornare a Londra, al Gray Inn e studiarvi legge. Fu subito evidente che la sua considerevole memoria e la facile eloquenza gli avrebbero riservato un futuro di rilievo. A quel tempo era largamente influenzato dalla predicazione del dott. Stillingfleet e dal dott. Tillotson al Lawrence Jewry. In quel tempo egli pure aveva raccolto alcuni suoi amici in un piccolo gruppo che si incontrava per la preghiera e lo studio biblico, proprio come più tardi i Wesley avrebbero fondato lo Holy Club a Oxford.

Ritornando a Broad Oak, egli cominciò a predicare come candidato per il ministero. La gente che lo udiva a Chester era così impressionata da lui da chiedergli di diventare loro pastore. Dopo molto esame di sé stesso, egli decise di rispondere a questa "chiamata". Alcuni ministri di Londra lo consacrarono così privatamente il 9 maggio 1687, ma solo nel 1702 egli ottenne un documento per certificare la regolarità della sua ordinazione presbiteriana 15 anni prima. Fu pastore a Chester dal 1687 al 1712.

La sua prima moglie Katherine Hardware, muore di vaiolo dando alla luce un bambino. Più tardi sposerà la nipote del giudice Peter Warburton. Sebbene tre dei loro nove figli muoiono da piccoli, questo matrimonio è felice come il primo. Nessuna tragedia domestica poteva pregiudicare la bellezza della sua vita familiare. Essa era modellata secondo quanto aveva avuto esperienza a Broad Oak, dove la casa di suo padre era chiamata "una casa di Dio ed una porta del cielo". A Chester Matteo Henry conduceva la preghiera in casa sua all’inizio ed alla fine della giornata. Al mattino esponeva l’Antico Testamento, alla sera il Nuovo. Queste esposizioni, probabilmente, emendate dalle domande e commenti della sua famiglia e dei vicini, furono alla base del suo commentario.

Nei culti pubblici egli di solito pregava per mezz’ora, predicava per un’ora, e cantava Salmi, da una selezione preparata da lui stesso. I suoi sermoni erano espositivi, mai politici, ma sempre pratici nella loro applicazione ai problemi della vita quotidiana. Frequentemente contenevano riferimenti alla condizione della gente nelle Chiese riformate del continente, che soffrivano di dure persecuzioni.

Il sabato egli teneva lezioni di catechismo per bambini, in preparazione alla loro partecipazione alla Cena del Signore che, come lui sottolineava, era il compimento del loro patto battesimale.

Sebbene avesse forti opinioni personali su dottrine cardinali, egli non era intollerante, e visitava tutti coloro che erano nel bisogno, non importa a quale denominazione appartenessero. Predicava sei giorni la settimana in diverse comunità in un raggio di trenta miglia, ma non voleva mai mancare dal suo pulpito la domenica a Chester. La sua influenza in città crebbe rapidamente, e fu costruito un nuovo locale di culto per ospitare la vasta assemblea che ora si riuniva per ascoltarlo.

Dopo essere guarito da una seria malattia nel 1704, egli comincia le sue Note al Nuovo Testamento, base del suo commentario, che si concludevano come sempre faceva nel suo diario, con la frase: "Il Signore mi aiuti ad avere in tutto questo sempre grande umiltà". Riesce però ad arrivare solo alla fine del libro degli Atti. Il resto verrà composto dai suoi amici nel ministero, sulla base delle sue note e scritti. Il suo stile di esposizione biblica, molto dettagliato e spiritualizzato, ha influenzato da allora tutto il mondo evangelico. I problemi di critica testuale non rientravano nella sua sfera di interesse. Basti pensare che poteva scrivere 190 parole di commento, incluso uno schema di sermone in tre parti, su un versetto come: "Quando Esaù ebbe quarant'anni, prese per moglie Judith, figlia di Beeri, lo Hitteo e Basemath, figlia di Elon, lo Hitteo. Esse furono causa di profonda amarezza a Isacco e Rebecca". Molto influenzato dai Puritani, egli fa dell’esposizione biblica il centro del suo ministero.

Sei anni più tardi, nel 1710, una "chiamata" gli pervenne da una comunità in Silver Street, Hackney, Londra. Era riluttante a lasciare Chester, ma sentiva che la sua opera sul commentario avrebbe avuto grande beneficio dall’aver accesso a Londra a molta letteratura. "Mi rattristo molto a lasciare Chester", diceva, "ma guardo a Te, o Signore".

Cominciava a lavorare ogni giorno alle 4 o alle 5 della mattina, e intendeva usare appieno per lo studio tutte le ore disponibili. Non sorprende che il voler adempiere ad una vasta opera di ministero e, al tempo stesso, di scrivere un grande commentario sull’intera Bibbia, lo avessero molto provato fisicamente. Era preoccupato per la scarsa qualità della vita religiosa in Inghilterra, e questo aumentava la sua debolezza. Nel 1714, visitando a Chester un suo amico, morì di apoplessia a Nantwich. Aveva solo 52 anni, e questa sembrava una tragica fine, ma uno dei suoi parenti disse: "Io credo che gli sia stato molto gradevole avere un così breve passaggio dal suo lavoro alla sua remunerazione finale". Avere esercitato un ministero così vigoroso ed intenso, essere stato pastore con tale introspezione nei problemi della gente, ed avere prodotto una tale opera monumentale come il suo Commentario, sono realizzazioni stupefacenti. Per circa tre secoli innumerevoli persone sono state illuminate ed ispirate dalla sua interpretazione delle Scritture. Le sue parti essenziali sono passati indenni allo scorrere del tempo, come pure al test dell’umana esperienza. La spiegazione di tutto questo certamente sta nella sua comunione con il Maestro e il suo costante interesse per i bisogni più profondi di coloro che gli erano stati affidati. C. H. Spurgeon riconobbe la sua dipendenza da Henry, molti altri gli hanno negato questa cortesia.

Dal diario di Matteo Henry, 1 gennaio 1704 riprendiamo questo testo, che testimonia dello spirito con cui visse ed operò.

"Questo primo giorno dell’anno, in cui io pur mi sento debole e afflitto da molte infermità, sulle mie ginocchia io torno a consacrare me stesso nuovamente, con tutto me stesso, tutto ciò che io sono, tutto ciò che io possiedo, tutto ciò che io posso fare, a Dio il Padre, al Figlio, ed allo Spirito Santo, il mio Creatore, Padrone, Reggitore e Benefattore. Che tutti i miei sentimenti siano governati dalla grazia divina, e tutti i miei affari determinati dalla divina Provvidenza, tanto che io giammai venga meno nel glorificare Iddio in questo mondo, e nell’essere glorificato con Lui in un mondo migliore.

Confermando e ratificando ogni mia passata consacrazione di me stesso a Dio, lamentando quanto il mio cuore e la mia vita non ne sia stata all’altezza, dipendendo dai meriti del Redentore per rendere questo come ogni altro servizio, a Lui accettevole, e dalla grazia del Santificatore che sola mi può mettere in grado di onorare questi impegni, io torno a legare la mia anima con un vincolo al Signore, dedicandomi interamente a Lui, soprattutto perché, per quanto riguarda gli eventi dell’anno che sto per entrare, non conosco ciò che mi potrà avvenire.

Se quest’anno sarà per me un anno di salute e conforto, io mi affido alla grazia di Dio affinché essa mi preservi dalla sicurezza carnale, per essere in grado, in tempo di prosperità, di servire Iddio con gioia. Se le opportunità d’essere ministro dovessero quest’anno continuare, io affido i miei studi ed opera ministeriale, in casa e fuori, alla benedizione di Dio, avendoli nuovamente consacrati al Suo servizio ed onore, desiderando di tutto cuore, per la misericordia del Signore, essere in essi fedele e coronato da successo.

Se quest’anno io dovessi essere in qualsiasi modo tentato da dubbi al riguardo del mio dovere, io mi affido alla conduzione divina, con desiderio sincero, pregando a che Iddio mi faccia conoscere ciò che debbo fare, e con la determinata risoluzione, per la grazia Sua, di seguire ogni Sua direttiva con integrità di cuore.

Se quest’anno io dovessi essere afflitto nel mio corpo, famiglia, nome o condizione, io affido tutto a ciò che Dio disporrà. Che la volontà di Dio sia fatta. Prego solo che la grazia di Dio possa accompagnarsi alla divina provvidenza in tutte le mie afflizioni, affinché io sopporti ed usi bene ogni cosa.

Se quest’anno dovesse essere disturbato e molestato nell’esercizio del mio ministero, se dovessi essere messo a tacere, o dovessi in qualche modo soffrire per avere bene operato, io affido la mia anima alla protezione di Dio, mio fedele Creatore, dipendendo da Lui affinché mi guidi nella mia vocazione a soffrire, e risolva ogni problema, preservandomi da ogni trappola che mi possa confondere. Dipenderò da Lui affinché mi sostenga e mi conforti nelle mie sofferenze, e che da esse Egli possa trarne maggiore gloria. Io accetterò tutto quanto la Sua volontà vorrà stabilire".

Caratteristiche del commentario di Matteo Henry

Il commentario sulla Bibbia, di Matteo Henry è, in molti sensi, unico nel suo genere. Ha continuato ad essere utile per circa tre secoli e, nonostante che le conoscenze siano aumentate, le sue introspezioni nelle verità spirituali ed eterne continuano a rendere quest’opera essenziale ed inestimabile per l’insegnamento.

E’ un’opera pratica e devozionale, scritta da un uomo che è stato considerato come fra i più grandi commentatori di tutti i tempi. Non è stata prodotta da un uomo chiuso nel suo studio ed interessato solo a questioni accademiche, ma è il risultato di esperienze pastorali e personali. Nei culti di famiglia in casa di suo padre, e più tardi nelle sue preghiere quotidiane con la propria famiglia, come pure in casa dei suoi vicini, egli non solo studiava le Scritture, ma imparava come applicarle nel migliore dei modi a giovani ed anziani, ricchi e poveri.

Matteo Henry descrisse così la sua opera: "esposizioni metodiche e pratiche… in abito semplice e domestico". Suo scopo, diceva, era "di promuovere la conoscenza delle Scritture, al fine di riformare il cuore e la vita degli uomini". Riconoscendo i problemi testuali e cronologici implicati, non era dogmatico nelle sue interpretazioni, ma concordava con Agostino che la Parola di Dio "ha abbastanza in essa di facile comprensione da nutrire anche il più incolto e condurlo a vita eterna", ma abbastanza pure da richiedere l’industriosità e l’umiltà del più grande fra gli studiosi. Scriveva con fiducia e autorità sui principi base di fede e di condotta, ma con tale modestia da guadagnarsi il generale rispetto. "Io non basto a me stesso", diceva, "ma per la grazia di Dio io sono quel che sono, e confido che quella grazia continuerà ad essere sufficiente anche per me".

Affrontando questo compito immane, adempiendo nello stesso tempo, un’intensa vita pastorale, egli chiedeva ai suoi amici di pregare affinché "gli potesse essere data intelligenza… tanto da essere trovato come fedele servitore di Gesù Cristo, perché sono l’ultimo che possa chiamarlo Maestro".

Con un profondo senso di vocazione egli aveva intrapreso quest’opera non come uno che voglia essere ricordato dai posteri come studioso – sebbene avesse familiarità con i classici e la patristica – ma piuttosto come pastore ansioso di guidare il suo gregge. Ecco perché l’opera è di grande valore, non solo storicamente come descrittiva del punto di vista puritano, ma come un’esposizione stimolante della misericordia e giustizia di Dio, e come affidabile guida per la condotta di tutti coloro che vogliono seguire la Sua volontà.

Sorprende forse che George Whitefield avesse letto quattro volte questo commentario – letteralmente in ginocchio – e parlasse sempre de "il grande Matteo Henry", a cui doveva così tanto. L’influenza diretta dei suoi scritti sui leader religiosi del 18° secolo era sentita indirettamente da molte delle grandi personalità del periodo ed essa a loro volta è passata fino a noi. Gli inni di William Cowper, per esempio, erano stati indubbiamente ispirati dallo spirito e persino dal frasario di Matteo Henry.

Nel leggere il commento di Matteo Henry a Le. 8:35, si possono riconoscere le parole che Charles Wesley più tardi usò nel suo grande inno: "A charge to keep I have". Persino diverse frasi del commentario di Henry sono diventate epigrammi popolari nella lingua inglese. Ciò che però più conta è che la sua interpretazione della Parola di Dio ha aiutato a creare ed a rafforzare gli standard di moralità mediante i quali il cristiano modella e dirige la sua vita.

(fine)


La vita esemplare e le opere di Matthew Henry

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