Ochino (o
Tommassini), Bernardino (1487-1565)
Bernardino Tommassini,
detto Ochino dal nome della contrada dell'Oca, il
Savonarola del Cinquecento
secondo lo storico Roland Bainton, nacque a Siena nel 1487.
Nel 1503 circa entrò
giovanissimo nell'ordine dei Francescani osservanti, dove divenne
successivamente Provinciale, e successivamente in quello dei Cappuccini,
intorno al 1534, diventandone Vicario Generale nel 1538.
Come predicatore
brillante ed acclamatissimo (veniva considerato il migliore predicatore
dei suoi tempi), percorse in lungo ed in largo l'Italia tra il 1534 ed il
1542: un esempio per tutti, le sue prediche a Siena ammirate da
Aonio Paleario.
Iniziò, in questo
periodo, a documentarsi sulle dottrine di
Lutero e
Melantone, ma l'incontro decisivo per il suo futuro di
riformista, lo ebbe a Napoli, durante le famose prediche quaresimali da
lui tenute nel 1536, nella chiesa del monastero di San Giovanni Maggiore,
e che commossero perfino l'imperatore Carlo V (1519-1558), reduce da una
spedizione a Tunisi.
A Napoli, nello stesso
periodo, O. entrò nel circolo, fondato da
Juan de Valdès, dove si concentrava il vertice dei
riformisti italiani dell'epoca, composto, tra gli altri, da
Pier Martire Vermigli,
Pietro Carnesecchi,
Marcantonio Flaminio,
Giovanni Bernardino Bonifacio,
Benedetto Fontanini da Mantova,
Galeazzo Caracciolo,
Bartolomeo Spadafora,
Apollonio Merenda,
Vittore Soranzo, le nobildonne
Vittoria Colonna,
Giulia Colonna Gonzaga e
Caterina Cibo da Camerino. Dalle conversazioni con
quest'ultima, O. stese nel 1539 i suoi Sette Dialoghi, un primo
segnale del suo rifiuto verso la teologia cattolica. Assieme a Vittoria
Colonna, O. fondò a Ferrara nel 1537 un monastero di clarisse cappuccine
ed ebbe l'occasione di conoscere, sebbene solo in un secondo momento
rispetto agli altri riformatori, il cardinale inglese
Reginald Pole.
A Napoli egli predicò
con successo ancora nel 1539 e 1540 (anno in cui si recò anche in
Sicilia). Si diceva che lo stesso Valdès gli suggerisse di volta in volta
il tema da svolgere: gli argomenti erano quelli cari agli evangelici, come
la giustificazione sola fide e sola gratia, il valore delle
opere buone, ecc. A questo periodo, nel 1540 circa, risale la conversione
di O. al
luteranesimo, ma mantenendo un atteggiamento molto
riservato, addirittura nicodemitico, egli non attirò i sospetti della
Chiesa fino all'anno dopo, quando una vigorosa predica a Venezia,
contenente una appassionata difesa di
Giulio della Rovere (“un predicatore del puro
evangelio”, come scrisse O. successivamente in una lettera del 7
dicembre 1542, subito dopo la sua fuga, ai senatori della Serenissima),
arrestato durante la Quaresima dello stesso anno, pose l'O. nel mirino
dell'inquisizione di Papa Paolo III (1534-1549).
Nel 1542 gli fu
proibito di predicare da parte del nunzio apostolico di Venezia: si recò
quindi a Verona, dall'amico, il vescovo
Gian Matteo Giberti, e qui lo raggiunse la convocazione
a Roma da parte dell'Inquisizione del cardinale Gian Pietro Carafa, il
futuro Papa Paolo IV (1555-1559).
Nell'agosto dello
stesso 1542 O. si avviò alla volta di Roma, ma i due colloqui avuti lungo
la strada con un morente
Gasparo Contarini a Bologna e un decisivo incontro con
Vermigli a Firenze, gli fecero maturare la decisione di prendere, assieme
a Vermigli stesso, la via dell'esilio in Svizzera. Dopo una breve sosta a
casa della duchessa Caterina Cibo, dove gettò il saio, O. si rifugiò a
cavallo, vestito da laico, dapprima a Morbegno (nella Valtellina sotto il
cantone protestante dei Grigioni dal 1512), e poi a Ginevra, dove
Calvino lo mise a capo della comunità dei riformatori
italiani esuli. A proposito della fuga in Svizzera del Vermigli e dell'O.,
Marcantonio Flaminio commentò pubblicamente nell'autunno 1542 “ch'erano
partiti gli apostoli d'Italia” .
La fuga di O. fece un
enorme scalpore in tutta l'Italia: Carafa lo paragonò alla caduta di
Lucifero. O. era infatti ammirato, addirittura venerato, dai potenti,
come, sopra riportato, lo stesso imperatore Carlo V, da vescovi e da
cardinali e lo shock per la sua fuga ed implicita ammissione della
conversione alla Riforma fu grandissimo.
A Ginevra, nello
stesso 1542, O. fece stampare le sue opere principali, dai primi volumi
delle Prediche ai Sette Dialoghi al pasquillo (un tipo di
satira a sfondo religioso) l'Immagine di Antechristo, e qui conobbe
l'umanista savoiardo
Sébastien Castellion.
All'estero risedette,
e continuò a svolgere la sua attività di predicatore (per chi capiva
l'italiano) dapprima a Basilea (dove venne pubblicato il suo Catechismo
nel 1551) nell'agosto 1545, poi a Zurigo, nuovamente a Basilea nel 1546,
poi fino al 1547 a Ginevra, per una terza volta a Basilea ed infine ad
Augusta, in Germania, dove ebbe contatti con
Caspar Schwenckfeld: il mistico tedesco aveva letto i
suoi Sette Dialoghi, simpatizzava ed ebbe un intenso scambio
epistolare con il senese. Nel 1546 O. conobbe ad un dibattito pubblico a
Regensburg (Ratisbona)
Francesco Stancaro, con cui condivise il rifiuto delle
due nature in Cristo e a cui procurò un lavoro di docente ad Augusta.
Il tono delle prediche
dell'O. in questo periodo, oltre ad una netta influenza calvinista,
richiamava vagamente il pensiero di
Gioacchino da Fiore: la suddivisione della storia della
religione in tre periodi della legge, la prima della natura fino a Mosè,
la seconda della testimonianza scritta fino a Gesù, la terza della Grazia
e dell'Amore, da Gesù in avanti.
Dopo la sconfitta nel
1547 della Lega di Smalcalda, formata dai principi tedeschi luterani, ad
opera dell'imperatore Carlo V nella battaglia di Muhlberg, O. si rifugiò
in Inghilterra, a Londra, chiamato dall'arcivescovo di Canterbury,
Thomas Cranmer e dal Duca di Somerset Edward Seymour
(1506-1552), Lord Protettore e reggente del trono del nipote, re
minorenne, Edoardo VI (1547-1553).
In Inghilterra scrisse
Una tragedia del Libero Arbitrio, o dialogo della preminenza
ingiustamente usurpata dal vescovo di Roma dove O. ipotizzava che il
vescovo di Roma era stato eletto da Lucifero e Belzebù, cioè era una
manifestazione dell'Anticristo col preciso intento di rovinare il
Cristianesimo.
Ma nel 1553, con
l'avvento al trono d'Inghilterra della regina cattolica Maria Tudor
(1553-1558), l'ambiente favorevole ai riformisti si trasformò ben presto
in un incubo: Maria passò alla storia come la Sanguinaria per le
esecuzioni senza pietà di 273 (o 288, secondo altri autori) protestanti
sul rogo.
O. ritornò allora in
Svizzera, arrivando a Ginevra il 28 ottobre 1553, esattamente il giorno
dopo il rogo di
Michele Serveto. La morte di quest'ultimo fece levare
moltissime voci di protesta, tra cui quelle degli
antitrinitari italiani
Giovanni Valentino Gentile,
Matteo Gribaldi Mofa e
Celio Secondo Curione, che dovettero emigrare
successivamente da quella che a loro era sembrata la città della
tolleranza religiosa. Anche O. decise di abbandonare Ginevra nel 1554,
tuttavia rimase in Svizzera risiedendo a Chiavenna, Basilea e, nel 1555, a
Zurigo.
A Zurigo O. fu
chiamato per fare il pastore di una comunità di riformati di Locarno, da
dove erano fuggiti in massa per motivi religiosi, ospitò, appena fuggiti
dall'Italia,
Francesco Betti e
Jacopo Aconcio, e conobbe Isabella Bresegna (ex moglie
di don Garcia Manrique, governatore di Piacenza) fuggita per motiva
religiosi. Tuttavia proprio da questa città svizzera fu espulso da
Johann Heinrich Bullinger nel dicembre 1563, assieme a
Fausto Sozzini, per le sue idee sempre più “spirituali”,
ma anche antiecclesiastiche, contro i Sacramenti, e antitrinitarie,
esposte nell'opera Dialogi triginta.
In Polonia e
Moravia
Passò l'inverno 1563/4
a Norimberga e nella primavera 1564 si recò in Polonia, prima a Cracovia,
poi nella vicina Pinczòw, presso il gruppo formato dagli antitrinitari
Giorgio Biandrata,
Paolo Alciati della Motta e Giovanni Valentino Gentile.
Qui dovette soffrire per la perdita di due dei suoi tre figli a causa
della peste.
Tuttavia, pochi mesi
dopo, nell'agosto 1564, dietro le pressioni del nunzio apostolico,
cardinale Giovanni Francesco Commendone (1523-1584), il re Sigismondo II
Iagellone, detto Augusto (re di Polonia 1548-1572) emise l'editto di
Parczòw, che stabiliva l'espulsione di tutti gli stranieri non cattolici.
L'ennesima emigrazione
portò l'oramai vecchio (78 anni) e deluso riformatore a Slavkov (Austerlitz),
in Moravia, presso
Niccolò Paruta, in casa del quale O. morì nel febbraio
1565.
Alcuni autori hanno
voluto vedere in quest'ultima residenza una tardiva conversione all'anabattismo
o al
hutterismo, è più probabile che si trattasse
semplicemente del desiderio di trovare l'ospitalità presso un connazionale
antitrinitario, dottrina alla quale egli si era già uniformato, secondo
quanto riferito da
Marcantonio Varotta.
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