Emil Camenisch, Storia della Riforma e Controriforma nelle valli meridionali del Canton Grigioni, Samedan: Engadin Press, 1950.


Capitolo IV C. La Controriforma


4.4 La controriforma nella Valle di Poschiavo

In Controriforma nella Valle di Poschiavo sta in stretta relazione con gli avvenimenti della Valtellina allo scorcio dei secoli XVI e XVII. Il vescovo di Como, Ninguarda, estese la sua visita pastorale da quella contrada fino alla Valle di Poschiavo, in cui agì completamente secondo le decisioni del Concilio di Trento, nonostante il suo mite contegno. Si può benissimo attribuire a lui quel movimento antiriformatorio che condusse ben presto il massacro di Brusio e di Poschiavo. Alcune osservazioni contenute nel suo rapporto e riguardanti i riformati dimostrano chiaramente il suo modo di agire. In quel rapporto si legge fra l'altro che l'eretico predicatore di Brusio insegnava nella chiesa cattolica le sue false dottrine e vi amministrava la S. Cena, che gli eretici poschiavini avevano profanato tutte le chiese eccetto tre (esclusivamente quella di S. Vittore), trasformandone una in una stalla (stabulum animalium), e facendo dell'altra una segheria (officina pro secandis asseribus), che il predicatore di Poschiavo era un vecchio monaco agostiniano apostata che non osava neppure palesare la propria origine (qui patriam suam non propalavit), ecc.

Ninguarda si esprimeva a voce in modo indubbiamente assai più mordace ed aizzava cosi il clero od il popolo all'odio ed alla resistenza contro i riformati.

Le minacciose pretese del delegato papale e della ambasciatore spagnolo davanti alla Dieta di llanz del 1561 dimostrano che già prima della comparsa del Ninguarda si tennero d'occhio le relazioni religiose nella Valle di Poschiavo. Essi avevamo preteso tra l'altro la soppressione della tipografia Landolfi a Poschiavo. Roma e la Spagna non poterono però impedire che vi si stampassero degli opuscoletti in lingua italiana contrari alla chiesa ed alla fede cattolica e che si diffondessero nella Valtellina e nell'Italia settentrionale. Questi stampati venivano senza dubbio letti con particolare interesse nelle vicinanze della tipografia, cioè a Poschiavo, tanto negli ambienti cattolici quanto in quelli evangelici: ciò costituiva vera propaganda per l'Evangelo.

Le rimostranze e le minacce dei due prepotenti non incontrarono favore ne presso la Dieta ne presso i Poschiavini. Come già accennammo in un capitolo precedente, le due confessioni convissero in pace fin verso il 1600; tanto i cattolici quanto i riformati tenevano il loro culto nella chiesa di S. Vittore, privata delle immagini. L'assemblea comunale stabilì il 9 ottobre 1572 che nelle questioni religiose dovesse regnare completa libertà e che ognuno potesse frequentare a sua scelta la messa od il culto.

Una decisione dell'anno seguente assegnò al prete ed al predicatore uno stipendio di 200 lire ciascuno dalla cassa comunale. Il sacrestano, pagato pure dal comune doveva prestare i suoi servizi per entrambe le confessioni; il camposanto doveva parimenti essere a disposizione degli uni e degli altri.

Il 14 giugno 1585, e cioè poco prima della venuta del Ninguarda, il comune riconfermò questi decisioni senza opposizione alcuna, in uno spirito di reciproca tolleranza. Nello stesso anno era stata presa la decisione di non affidare delle cariche comunali ad alcuno che non frequentasse la predica o la messa o non professasse apertamente la propria religiosità. Lo stato di felice tolleranza non si può dunque attribuire ad indifferenza religiosa.

La situazione si trasformò completamente col propagarsi della odio confessionale sviluppatosi e promosso con ogni mezzo in Valtellina. La parola dei prelati cattolici valeva anche per la Val Poschiavo: a sud delle Alpi non doveva più sussistere alcun riformato. Non c'è dunque da meravigliarsi che le bande assassine del Robustelli si siamo spinte fimo oltre Piattamala trucidando ben 27 protestanti di Brusio. Il 19 luglio, domenica, si incominciò con la demolizione del ponte di Piattamala sono Zalende, frazione di Brusio, e si preparò l'assalto a Brusio per uccidervi gli evangelici. Questi stavano riformati nella chiesa per il culto divino e non sospettavano di nulla; un giovanotto cattolico ed una ragazza riformata in servizio presso gente cattolica portarono loro l'annunzio di quanto si stava verificando presso Piattamala. Terminato il culto e rinfrancati da una preghiera, i riformati lasciarono la chiesa per mettersi in stato di difesa. Gli nomini marciarono armati vergo un ponte nelle vicinanze del villaggio, dove già si scorgevamo le avanguardie del nemico. Al loro comparire, esso si ritirò lestamente per ricomparire due giorni dopo in numero maggiore e rinforzato da alcuni cattolici di Zalende e di Brusio. Questa volta i seguaci di Robustelli riuscirono nel loro intento: incendiarono le case di Antonio Montio, di Pietro Agostino e di alcuni altri riformati; poco mancò che non pigliasse fuoco anche la casa del prete. In tutto vennero saccheggiate e ridotte in cenere venti case. Pare che Robustelli, presente al saccheggio, esclamasse al bagliore delle case in fiamme, che la riconquista della libertà doveva pure venire celebrata con dei fuochi di gioia. Quella sera ed il giorno seguente ebbe luogo il macello di Brusio, nel quale trovò modo di distinguersi Antonio Paganini di Zalende. Fra le vittime trovansi per es. il 45.enne Cenino di Azzala, sua moglie Perotta di anni 40, ed il loro figlio dodicenne; Andreino Zoppo di anni 40, Jacopo Quadernetto di 30, Giovanni Monagani di 58, Jacomina de Enrico di 50, Michele della Rossa di 38. Come ultima figura la vecchia contadina Lena Moneta, la quale, dopo ripetute intimazioni di ritornare alla vecchia fede e di salvare con ciò la propria vita, rispose impavidamente: "Giammai. Io sono già con un piede nella tomba e non voglio nei miei vecchi giorni abbandonare Gesù Cristo, mio Signore. Io non voglio ritornare ad adorare delle creature ed anteporre la tradizione umana alla luminosa parola di Dio". La buona vecchia pagò il suo coraggio e la sua fede con la vita.

Il 22 luglio Robustelli spinse le sue orde fino al lago di Poschiavo coll' intenzione di ripulire dagli eretici anche Poschiavo, ed occupare il Bernina, L'avvicinarsi degli Engadinesi accorsi in aiuto ai minaecidi gli fece cambiare di progetto e gi ritirò prima di aver raggiunto il suo scopo .

L'eccidio dei riformati di Poschiavo era però soltanto sospeso provvisoriamente e non tardò molto a compiersi. A capo della congiura stava il prete poschiavino Paolo Beccaria, di Bente valtellinese: egli si intese con Robustelli ed allora il capoluogo della Valtellina minacciò il 3 dicembre 1622 di sospendere la fornitura di cereali e di vino se Poschiavo non consegnasse gli evangelici fuggiti dalla Valtellina e non impedisse ai riformati locali la celebrazione del culto protestante. L'ordine trovò facile appoggio e non mancò chi lo eseguisse a puntino. La chiesa di S. Vittore, fino allora comune, fu interdetta agli evangelici; il pastore Jac. Rampa di Zuoz che viveva un continuo pericolo di vita dovette lasciare la valle. Diversi indizi e complotti lasciavano intravedere ciò che si stava macchinando. Il Podestà di Brusio, Michele Monti, riformato, fu fucilato all' imbrunire sulla soglia della sua casa.

Il prete Beccaria andava dicendo apertamente che Poschiavo non apparteneva più al Grigioni, ma all Italia e che perciò i riformati non potevano più appellarsi alla libertà di credenza stabilita a Lindau. Nella Valtellina e in Val Camonica vennero arruolati degli assassini, alla cui testa si posero il Poschiavino don. Lanfranchi e Claudio Dabene. Il primo era fratello del prete di Tirano, il secondo un servitore e confidente del Robustelli. L'assalto si compì nella none del 25 aprile 1623: vi trovarono la morte 21 Poschiavini riformati, di cui 18 uomini 3 donne.

Trecento erano stati avvertiti per tempo e avevano potuto salvarsi sopra il Bernina. Il saccheggio delle abitazioni degli assassinati e dei fuggiti durò tre giorni. Le Bibbie ed i libri di edificazione trovati vennero raccolti e dati alle fiamme sulla pubblica piazza. La tipografia Landolfi, che sin dal principio era stata una spina nell' occhio della curia, venne distrutta. Il massacro ebbe come conseguenza di dare la minoranza alla già maggioranza evangelica, situazione che è durata sino ai giorni nostri. Delle tante famiglie fuggite, venti non fecero più ritorno. Quelli che ritornarono man mano alle loro dimore saccheggiate o distrutte rimasero ancora a lungo esposti alle più dure percezioni. Allorché il pastore Rampa ritornò nel 1627 al suo gregge, il vescovo di Como si adoprò a un solo uomo per allontanarlo, ma non vi riuscì per la protezione delle Tre Leghe. Rampa ritrovò la casa parrocchiale occupata dal prete Massella. Le percezioni non cessarono neppure durante il ministerio del coraggioso successore del Rampa, il Poschiavino Giacomo Serena de Matossi. All'epoca della guerra dei Trent'anni, la comunità perseguitata lamentarsi a più riprese presso la Dieta perché i suoi membri erano esclusi da qualsiasi ufficio pubblico, si impediva loro di professare apertamente la propria fede, imponevano loro delle gravose multe quando lavoravano nei giorni di festa cattolici.

La sentenza del 1642, pur non essendo troppo favorevole ai riformati, pose fine si peggiori eccessi dei cattolici. La Dieta mandò nella valle tre delegati, la cui opera di mediazione fruttò il rappacificamento tra le due confessioni: i due terzi delle autorità dovevano da allora in poi comporsi di rappresentare cattolici, un terzo di riformati; in avvenire l'officio di podestà e di nohio doveva essere concesso ai riformati ogni quattro anni; due terzi dei beni comunali furono attribuiti ai cattolici ed un terzo ai protestanti. Le controversie sorte per delle questioni ecclesiastiche vennero risolte un maniera che i riformati dovevano rinunciare alle chiese, campane, cimiteri, fondi e bgati dietro nn compenso di 1000 fiorini. Per quanto riguarda le festa di precetto, dovevano avere le disposizioni del 1620.

Se si considera che l'asse ecclesiastico era di circa 50 mila fiorini e che il danno cagionato ai riformati era di circa 450 mila lire, si capisce che l'indennizzo stabilito era alquanto ingiusto. E non era neppure segno di buona volontà se la popolazione cattolica non volle concedere ai riformati neanche una delle tante chiese esistenti. Finalmente dopo venti anni di aspre persecuzioni e dopo essere stati a lungo privati del più elementare diritto religioso e politico, i riformati ottennero una base legale, sulla quale almeno potevano far valere dei diritti. Nel 1642 iniziarono la costruzione di una chiesa, che possono condurre a costruire nel 1649 con l'aiuto dei correligionari d'oltralpi.Cosi non erano più costretti a tenere i loro culti nelle case private; e quando tra il 1677 ed i 1682 sorse anche il campanile, essi poterono cantare e ringraziare come il salmista: "Oh quanto sono amabili le tue dimore, o Eterno degli eserciti L'anima mia brama i cortili dell' Eterno". I fatti dimostrano però che la pace confessionale non era ancora ottenuta definitivamente: sia prima che dopo la sentenza i riformati si videro costretti a ricorrere di continuo alla Dieta, sia perché li si voleva costringere a scoprirsi il capo davanti alle varie cappellani e croci, sia perché nei giorni di festa di precetto si voleva loro proibire di tenere le loro vetrine aperte o di recarsi nei campi a lavorare, o persino di recarsi fuor di paese, sia perché i parroci cattolici adoperavano l'altare per intimare ai loro fedbli di boicottare gli evangelici ecc.

Con l'accomodamento del 1642 I'ideale della libertà di fede e di coscienza non era però che ai suoi inizi.


d) La Controriforma in Val Bregaglia

Al tempo della Controriforma la Val Bregaglia si trovava in una situazione più fortunata che la Valle di Poschiavo e la Mesolcina. Grazie all opera di Vergerio essa si era schierata per tempo dalla parte del movimento riformatore e così le furono risparmiati i combattimenti religiosi che abbiamo visto a Poschiavo ed in Mesolcina. Gli sporadici tentativi di ricondurre la valle all'antica fede rimasero infruttuosi. Da parte cattolica ci gi lamentarsi rassegnare a vedere il grande traffico del Maloggia svolgersi su terra riformata ed assistere alla continuazione della fede protestante nel contado di Chiavenna.

Un tentativo che dei cattolici viene considerato come riuscito, ebbe luogo (come già accennammo in un capitolo precedente) intorno alla Pentecoste dal 1551, poco dopo la distruzione delle immagini a S. Gaudenzio sopra Casaccia. Il 31 luglio 1551, dopo il fallito tentativo di catturare il Vergerio a Novate, Vincenzo de Quadrio scriveva all'arciprete Bart. de Salis, allora a Roma, di aver indotto il padre domenicano Lector di Como a recarsi in Bregaglia a sradicarvi con la sua parola la semenza sparsa da Vergerio. Il tentativo di combattere la Riforma era tanto più promettente in quanto avviato sono il nome della famiglia Salis: il padre Lector spiegò In sua attività a Soglio ed a Nossa Donna di Castelmur. Quadrio scrive che In popolazione gli era completamente favorevole e che grazie a Dio molti degli apostati erano ritornati in grembo alla madre chiesa.

Quest'azione antiriformatoria durò indubbiamente solo pochi giorni e rimase senza conseguenze per la Riforma stessa. Eguale sorte toccò ad un secondo tentativo ispirato da Carlo Borromeo una trentina di amni più tardi Nel 1582 comparvero nella valle tre gesuiti (Adorno, Grattarola, Boverio), coll'intenzione di aprire con le armi di Trento una breccia nella nuova chiesa. I predicatori ottennero però dai tribunali la loro espulsione. Tale insuccesso dovette naturalmente rattristare Borromeo, che era dedicato allo sterminio degli eretici. Solo un cieco fanatismo poteva intraprendere simili tentativi di ricattolicizzazione e un tal modo di procedere era tanto più riprovevole in quanto condono solo da stranieri.

Ma non ci si limitò a questi due tentativi: In Bregaglia dovette più tardi combattere di quelli più severi. Gli avvenimenti a Chiavenna e nella Valtellina portarono nonché nella Bregaglia degli sconvolgimenti politici ed ecclesiastici La fortezza di Fuentes inquietò tutta la Rezia riformata e particolarmente la Bregaglia.

La Spagna si era ritirata per la capitolazione conchiusa il 15 agosto 1603 con Venezia. Il conte di Fuentes Don Pedro di Alzervedo, governatore spagnolo di Milano, per vendicarsi dei Grigionesi eresse la fortezza sul Monteschio nelle vicinanze di Colico, e le diede il suo nome. La costruzione si iniziò nell' ottobre del 1603 e ad opera finita Fuentes fornì la fortezza di cannoni, munizioni e soldatesche: da quest'altura il conte poteva assalire improvvisamente la Valtellina e Chiavenna, ed interrompero le vie di comunicazione con Venezia. In Bregaglia e nel resto del cantone si sapeva abbastanza bene che la Spagna tentava di danneggiare gli evangelici grigionesi. La guerra dei Trent'anni ed i torbidi nei Grigioni, contemporaneamente incominciati, cagionarono una nova crociata antiriformatoria; per cui i Bregagliotti, come gli abitanti dell'Engadina Bassa e della Prettigovia, ebbero a soffrire enormemente. Nel 1621 fu bloccata ogni importazione di viveri nella repubblica retica; nello stesso anno le truppe di Baldiron invasero In Prettigovia e la Bassa Engadina; nell'ottobre il duca di Feria, governatore di Milano, irruppe nella cittadina di Chiavenna: il colonnello Battista de Salis coi suoi 30 Bregagliotti ed il capitano Ulisse de Salis pure con cento uomini, diversi volontari del contado di Chiavenna e parecchi riformati valtellinesi non riuscirono a contenere il nemico. Caddero 24 Bregagliotti, fra i quali il capitano Giovanni Corn. da Castelmur e Dietegen de Salis, figlio del podestà Guberto de Salis. Gli Spagnoli saccheggiarono per tre giorni le case degli evangelici di Chiavenna. Il conte Giovanni Sorbelloni, che era stato eletto comandano della città, intraprese con la sua soldatesca un campagna nella Bregaglia, dove saccheggiò Castasegna, Bondo e Promontogno, fece bottino e mise in fiamme i villaggi. Soglio ed il Sopra Porta poterono sottrarsi alla contribuzione di guerra soltanto promettendo di sospendere il loro culto fino alla sentenza del duca di Feria.

Il parroco di Vicosoprano, che ugualmente aveva osato di predicare, fu fatto prigioniero e Serbelloni lo consegno all'Inquisizione di Milano. Quel che non era riuscito né ai domenicani ed ai gesuiti col loro ammaestramento, doveva ora essere ottenuto con l'aiuto delle truppe spagnole.

Più desolante ancora fu quel che successe nel 1624, quando truppe papiste marciarono nella Bregaglia coll'ordine del marchese di Bagno di scacciare i promontori evangelici e di affidare tutte le chiese della valle ai cappuccini. Ci si può facilmente immaginare la desolazione della popolazione evangelica, che da 70 anni aveva aderito alla fede protestante, quando si vide umiliata e spiritualmente martirizzata dai fanatici monaci protetti da armi straniere.

Fu perfino interdetta la lettura di libri evangelici. Lo due leghe (quella Caddea e quella delle Dieci Giurisdizioni) e In signorie di Meienfeld votarono di ridare la libertà di fede alla popolazione ed inviarono a questo scopo Gaspare Sehmid di Grünek e Guberto de Salis, il giovane, dal marchese: ma furono decisamente respinti. Come avrebbe potuto agire diversamente un comandante di truppe papiste senza cadere in disgrazia presso i suoi superiori? Per fortuna questo stato umiliante di cose non durò a lungo. Come racconta P. D. R. à Porta nella sua Storia Ecclesiastica della Bregaglia, verso la fine dell'anno comparve il marchese di Creuvre con le sue truppe francesi: i cappuccini, privati della protezione delle armi papiste ,dovettero ritirarsi donde erano venuti; i predicatori evangelici poterono nuovamente occuparsi del loro gregge.

Dopo quel tempo turbinoso, a Vicosoprano, al posto di Plinio Paravicini, che era stato trascinato a Milano, e che aveva ultimato miseramente la sua vita in un convento, predicò Samuele Paravicini.

La chiusura del capitolato di Milano, che era stato favorevole ben poco ai Grigionesi, significò per la Bregaglia, come per altre regioni, una liberazione: si bramava ardentemente la pace. Dopo la partenza degli Spagnoli da Chiavenna, molti evangelici che erano stati negli anni turbinosi tollerati a Mese, Prada, Gordona, ritornarono a stabilirvisi. Parecchi di loro lasciarono poi la patria malsicura e vennero n stabilirsi in Bregaglia, come i Pomatti a Castasegna e i Giovannettoni n Vicosoprano. I riformati rimasti a Chiavenna celebravano il culto a Castasegna, dove erano stati costruiti nel 1667 la nuova chiesa ed il cimitero. Il parroco di Castasegna. come pastore itinerante, si curava anche delle anime dei fratelli in fede dispersi nella regione di Chiavenna.


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