Emil Camenisch, Storia della Riforma e Controriforma nelle valli meridionali del Canton Grigioni, Samedan: Engadin Press, 1950.


Capitolo III A. La Riforma nelle valli di Poschiavo, Bregaglia, Mesolcina


a) La Riforma nella valle di Poschiavo

Al tempo della Riforma e della Controriforma, Poschiavo divise completamente con la Valtellina il proprio destino, il che non può destare meraviglia, se si tiene conto del fatto che la valle è rivolta verso il mezzodì e che le sue acque sfociano nell'Adda, poiché appartengono al bacino del Po; d'altra parte le sue relazioni commerciali la legavano fin dai più antichi tempi alla Valtellina ed a Tirano. Anche ecclesiasticamente essa era legata insieme alla Valtellina alla diocesi di Como, e ne seguiva la direzione episcopale. Politicamente la situazione era invece ben diversa ed essa facilitò la sua adesione alla Riforma, in quanto che la valle apparteneva alla Lega Caddea, e come tale era considerata come terra dominante e non come terra soggetta, quale la Valtellina. Fortunato Sprecher di Berneck nella sua "Pallas Rhaetica armata et togata" (51) così si esprime concisamente: «Essa si estende al di là del massiccio del Bernina, da cui scaturisce il Poschiavino, affluente della Adda, e forma un distretto (Conventus magnus), che è stato lungamente soggetto ai vescovi di Coira; più tardi ebbe come legittimi signori i duchi di Milano, per ritornare ancora in seguito al vescovado di Coira nel 1408 ed essere finalmente ammessa nella Lega Caddea nel 1487. La comunità riuscì poi a riscattare dal vescovado nel 1537, mediante il pagamento di 1200 ducati d'oro e adottò un regime repubblicano per la sua amministrazione.» Il distretto inoltre, sempre secondo lo Sprecher, era il decimo della Lega Caddea e si divideva ancora in quattro contrade: I° Poschiavo, centro importante, in posizione favorevole, nucleo principale del distretto, sede di una tipografia. II° La contrada interna, con i villaggi di Ainum, Cavaglia, Pisciatello e Campello, dove sorgono le notevoli rovine del castello di Olzate. III° La contrada esterna, con Prada, Campilionum, e Motta di Pedenale, dove sorgeva il castello e la sede del balivo vescovile. IV° Brusio con sei cantoni, cioè Brusio con la sua chiesa parrocchiale, Campascio, Zalende, Le Prese, Lacus, notevole per l'abbondanza delle sue acque e per i suoi pesci, e la montagna di Viano.

Il distacco della valle dalla signoria di Milano e la sua incorporazione nel vescovado di Coira, a cui allude lo Sprecher, avvenne nel 1408, mentre è del 1487 l'unione alle Tre Leghe; col passaggio del 1537, che liberava la valle dal dominio vescovile, anche il diritto di eleggersi il podestà fu acquistato dal comune, e tale fatto ebbe certamente grande influenza nell'introduzione della Riforma nella valle (52). Per quanto riguarda l'adesione alla Riforma, possiamo accettare la data fissata dal Ninguarda del 1528, a cui egli allude nella sua relazione della visita pastorale diocesana (1589-1593): essa appare del resto una conseguenza degli articoli di Ilanz del 1526, 25 giugno, come avvenne anche per tanti altri comuni delle Tre Leghe. Essi dichiaravano che era lecito ad ogni comune di scegliersi a piacimento i propri ecclesiastici e di optare per la vecchia o la nuova fede. A Poschiavo si applicarono tali disposizioni e non si tardò a trasformare l'antica istituzione ecclesiastica cattolica secondo i principi riformati. Il vescovo, durante la sua visita pastorale, non trascurò di invitare la popolazione a rispettare i suoi obblighi verso la sede vescovile ed a pagare il cosiddetto «denaro della mensa» (satisfacere Mensae Episcopali). La parte cattolica della popolazione fu pronta all'obbedienza, ma naturalmente la parte protestante respinse la pretesa, poiché la loro valle ed il distretto erano stati ammessi nella Lega Caddea, e gran parte della gente non riconosceva più la fede cattolica. Possiamo perciò concludere che ancora nel 1590 Poschiavo contava un gran numero di protestanti, tale da potersi opporre senza paura alle richieste del vescovo e continuare nell'atteggiamento negativo anche in occasione di successivi ammonimenti (53).

Il quadro che Ninguarda presenta a proposito della situazione degli evangelici è assai edificante: Brusio conta su circa duecento famiglie pressappoco un terzo di eretici, che hanno il proprio pastore nella persona di Antonio Andreoscha di Samedan in Engadina; per il suo mantenimento gli viene dato uno stipendio di ottanta libbre imperiali, equivalenti alla metà degli introiti parrocchiali. Dato che nel paese non vi sono altre chiese, che quella dedicata a S. Trinità, adatte al culto divino ed all'amministrazione dei SS Sacramenti, egli se ne serve come della propria chiesa, vi predica la dottrina eretica e vi celebra la S. Cena, come è chiarata la messa presso gli evangelici («Suam pariter esercet sinagogam haeretice praedicando et ccenam [ut vocant] ministrando»). A circa sei miglia da Brusio, si trova il borgo di Poschiavo colla chiesa parrocchiale di S. Vittore, in cui funziona come parroco Gabriele di Tresivio in Valtellina, coadiuvato da un cappellano. Nella borgata e nel circondario vi sono inoltre diverse chiese, di cui tre usate dai cattolici, mentre le altre sono state profanate dagli eretici. In S. Nicolao di Aino e in S. Bernardo di de Beda si celebra la messa. S. Maria, S. Pietro, S. Martino, S. Rocco, S. Sisto, S. Pietro, che si trovano tutte nel concentrico di Poschiavo o nelle sue vicinanze, S. Sebastiano a Selva, a due miglia da Poschiavo, e S. Giacomo a Pisciadello a quattro miglia, sono disgraziatamente in possesso degli eretici. Due altre chiese poste nella borgata stessa e consacrate a S. Giovanni e a S. Bartolomeo, sono state profanate colla loro trasformazione, la prima in stalla e l'altra in segheria.

La situazione ecclesiastica a Poschiavo è la seguente: dei quattrocentosessanta fuochi, un quarto è passato all'eresia in Poschiavo e Pisciadello, i cattolici fanno tutto ciò che è nelle loro forze per difendere proteggere la loro antica fede e 1200 persone di ambo i sessi hanno partecipato alla santa comunione; gli eretici hanno il loro pastore, che tiene celata la propria origine, ma che proviene probabilmente dal Bergamasco o da Cremona: si tratta di un monaco agostiniano apostata di circa 75 anni, chiamato comunemente Augustinus Italus (54).

In mancanza di altre fonti storiche all'infuori di questa relazione della visita pastorale, noi avremmo soltanto poche e sfavorevoli informazioni sui riformati della valle. Ad ogni modo appare assai sospetto il fatto che il vescovo abbia per il clero soltanto delle parole di lode e non accenni affatto alle gravi colpe di cui era responsabile e che diedero origine allo sviluppo evangelico della valle. Il ricordo di Giulio della Rovere di Milano, personalità dai costumi illibati e che aveva predicato in tutta la regione con umiltà e zelo apostolici, doveva essere ancora ben vivo presso cattolici e riformati; e doveva pure essere noto al vescovo che proprio per opera sua, per quanto eretico e apostata, erano state impedite le profanazioni della chiesa, ed i costumi e la vita morale erano stati risanati a pro di entrambe le confessioni. Ma il vescovo lo ignora completamente. Ci mancano i documenti relativi alla prima opera di rinnovamento (55). Si può solo affermare che ciò avvenne circa due decenni prima dell'arrivo di Giulio da Milano; forse in base agli articoli di Ilanz, gli abitanti si erano liberati dalla sudditanza al vescovo, per essi straniero, e subito dopo avevano iniziato la trasformazione religiosa. All'inizio il movimento dovette essere prettamente laico, poiché prima della venuta di Giulio non risulta che nella valle vi siano stati degli ecclesiastici evangelici. La curia vescovile di Como era allora tenuta da Cesare Trivulzio (1527-1548), al quale, come ai suoi successori, Bernardino della Croce e Giasantonio Volpi, erano interdette visite pastorali nei paesi sottomessi alla Lega e nella Valle di Poschiavo; senza contare che i due primi vissero nel periodo anteriore al Concilio di Trento e quindi, mancavano di quello zelo religioso che invece caratterizzava il vescovo Ninguarda, per cui accadde che il movimento riformatore nella valle poté svilupparsi pacificamente (56).

Si può arguire che le località in cui si affermarono prima i principi evangelici furono quelle a settentrione di Poschiavo, in direzione del valico del Bernina, e cioè i villaggi menzionati dallo Sprecher di Aino, Cavallio, Pisciadello e Capellum, poiché dalla relazione del Ninguarda essi risultano completamente eretici. Ma il movimento riformatore acquistò poi importanza e notorietà all'arrivo di Giulio da Milano, quivi pervenuto fuggiasco per motivi religiosi e ben felice di avervi potuto trovarci una nuova patria. Discendente dalla nobile famiglia milanese dei Della Rovere, egli era entrato nell'Ordine degli Eremitani Agostiniani e godette la fama di un monaco serio e pieno di zelo. Ebbe poi modo nella sua cella e nei suoi rapporti con gli altri frati di venire a contatto con i principi della Riforma: però il tenore delle sue prediche ed il favore che lo accompagnava lo resero sospetto alle autorità dell'Inquisizione fin dal 1538; venne un po' alla volta sorvegliato con maggiore attenzione ed alla fine messo in carcere nel 1541, dopo aver predicato come quaresimalista a Venezia. Dalla severa perquisizione fattagli, egli risultò in possesso di uno scritto del riformatore zurighese Bullinger e di altri scritti sospetti: senza altro fu dichiarato affetto di eresia e rinchiuso in carcere (57).

Il verdetto degli inquisitori gli proibì di predicare e di confessare. Ignoriamo il modo con cui egli riacquistasse la libertà, ad ogni modo, non essendo più sicuro in Italia, se ne fuggi e lo troviamo nei Grigioni, che allora erano rifugio fissato per molti profughi italiani. Insegnò dapprima a Vicosoprano, quale successore di Bartolomeo Maturo, e in seguito, nel 1547, si trasferì come predicatore a Poschiavo: come già abbiamo detto, l'ambiente era già preparato a ricevere la sua attività riformatrice. Egli lavorò quivi in tutta tranquillità con l'insegnamento pubblico e privato, colla spiegazione della Bibbia e del Catechismo, senza incontrare grande resistenza da parte del clero della valle.

Circa in quel tempo deve essere stato accolto nel numero dei pastori grigioni: infatti il Sinodo dovette essere molto felice di sapere al di là del Bernina un ministro evangelico degno di fiducia e valente come si era dimostrato Giulio da Milano (58). Non si trova però il suo nome nell'elenco sinodale.

Un grande aiuto nella sua opera di evangelizzazione gli fu recata dall'arrivo nel 1549 di Pier Paolo Vergerio, proveniente dall'Italia ed accompagnato da Baldassare Altieri, che godeva di altissima stima per lo zelo dimostrato nel Veneto per la causa dell'Evangelo. Vergerio, già vescovo e nunzio, si era riempito di sdegno e d'ira contro il papa e si dimostrava animato da ardente spirito evangelico, nonché da un desiderio intenso di operosità. Resosi conto del favore che il movimento evangelico aveva incontrato nella valle si mise immediatamente al lavoro per la santa causa e operò con tanta intensità da gettare nell'ombra l'opera dell'umile Giulio da Milano, tanto che la tradizione popolare considera il primo e non l'ultimo quale riformatore di Poschiavo. Dice Leonhardi che Giulio da Milano aveva fin allora fatto di tutto per cacciare gli idoli dal cuore dei Poschiavini, ma nulla ancora per allontanarli dai templi; l'iscrizione originale nella chiesa di Poschiavo era la seguente: "Chiesa cristiana evangelica riformata in questo Comune nell'anno 1548 da Pietro Paolo Vergerio, fu Vescovo di Justinopoli".

Senza dubbio Vergerio, favorito dalla sua risolutezza, da un'eloquenza irresistibile e da un mirabile tatto organizzativo diede alla Comunità di Poschiavo una fisionomia definitiva, I'arricchì di nuovi membri in gran numero, le diede coscienza completa della separazione dal papato. Egli fu attivo a Poschiavo sia con la parola, sia con gli scritti, per i quali gli fu di prezioso ausilio l'esistenza della tipografia Landolfi. Crediamo di non errare, affermando che essa già era in funzione prima dell'arrivo del Vergerio e che non sia stata fondata da lui, come altri hanno affermato. Infatti leggiamo in una lettera scritta il 3 agosto 1549 dall'Altieri al riformatore Bullinger: «Sono venuto a Poschiavo col vescovo Vergerio; l'ardente difensore di Cristo passerà qui l'inverno ed ha già preparato contro la persona del papa un vero arsenale di acutissimi strali.» Pensiamo che appunto la tipografia ve l'avesse attirato (59) e che egli avesse l'intenzione di farvi stampare i suoi manoscritti italiani e latini contro l'anticristo. Da quella borgata situata al confine della Valtellina e alle porte dei territori milanese e veneziano, come da una sicura fortezza, l'esiliato principe della chiesa poteva diffondere una letteratura di tal genere e colpire direttamente la Chiesa Romana ed il suo aborrito capo. Vergerio però non si accontentò di pubblicare opuscoli polemici; il dott. Francesco Herbert, nel suo accurato studio sull'attività pubblicistica del Vergerio, menziona fra le 171 pubblicazioni dell'instancabile scrittore un catechismo pubblicato dal Landolfo nel 1549 ed intitolato: «Institutione Christiana », recante la seguente epigrafe: «Tibi nihil, Deo omnia». Si legge in questo trattatello: "Nel mondo avete tribolazione, ma fatevi animo, poiché io ho vinto il mondo» (Giov. 16, 33); tieni fermo in Cristo per la grazia di Dio; se vedi che i fedeli testimoni della fede vengono esiliati, incarcerati, uccisi, od esposti alle atrocità del fuoco, persevera ugualmente, soffri per la tua fede nella certezza della misericordiosa assistenza di Dio. E più avanti: Se vieni maltrattato per causa della fede, gioisci, lascia che ti chiamino pazzo, e grida ai persecutori: la mia non è pazzia, ma sapienza, ed io sono certo che il mio Redentore che ho confessato dinanzi al mondo non mi rinnegherà davanti a Dio".

Da queste affermazioni possiamo arguire in quale modo l'Evangelo fosse proclamato a Poschiavo e in altre comunità e rimaniamo colpiti da questo fiducioso e tranquillo abbandono in Dio che animava la sua predicazione! E' il fuoco sacro dell'Evangelo che lo spinge alla lotta ed alla sofferenza, come ai tempi del Cristianesimo primitivo, e che gli promette di conquistare i cuori (60). Molto significativa a tale riguardo anche la presentazione del trattatello, a cura dell'editore Dolfino Landolfi; in essa egli scrive che il libro, mentre tratterà della fede cristiana, testimonierà pure della vivente comunità di Poschiavo; poiché i Poschiavini, come vedremo anche in seguito, si erano sinceramente dichiarati per l'Evangelo, e fra i più fedeli bisognava annoverare precisamente i proprietari della tipografia.

Vergerio non dimorò a Poschiavo fino alla primavera del 1550 come era stata sua primitiva intenzione e come aveva dichiarato all'Altieri. Egli vi era probabilmente giunto alla fine di luglio del 1549. Al tempo della vendemmia, lo troviamo già a Chiavenna ed al principio di novembre a Basilea: se quindi, la sua attività a Poschiavo fu notevole, non fu che di breve durata. Giulio da Milano rimase nuovamente solo e con le sue sole forze; ma si diede con rinnovato zelo a predicare e ad insegnare l'Evangelo e trovò anche il tempo di lavorare e di trovare seguaci nella vicina Valtellina, a Tirano, Sondrio e Teglio. Vi esplicò la sua attività specialmente nell'estate del 1555, e in modo particolare nei due primi centri, dove erano stati nel biennio precedente come governatore Giovanni Planta, come vice governatore Pietro Planta e come podestà Alessandro Mengold. Infatti il 4 novembre dello stesso anno egli scriveva da Poschiavo pieno di gioia a Bullinger di essersi recato in giugno a Sondrio, capoluogo della Valtellina, e di esserne ritornato in ottobre a Tirano ed a Poschiavo. Al termine della lettera egli palesa la sua soddisfazione per il favore che l'Evangelo ha incontrato nel suo campo di lavoro e aggiunge che i comuni della Valtellina, Poschiavo, Tirano, Teglio e Sondrio si dichiarano sempre più favorevoli per la semplice dottrina evangelica ed apostolica, che allora, grazie a Dio, veniva nuovamente insegnata nella Svizzera e nella Rezia (6l). «Vogliamo pressare, dice, il nostro Redentore, che è anche il gran Salvatore e Pacificatore, di conservare l'unità col vincolo della fede.» Da queste ultime parole rileviamo una preziosa caratteristica di Giulio da Milano tanto più notevole in confronto con gli altri Italiani, e cioè il suo desiderio di pace unito all'azione efficace per la pura dottrina. La sua posizione non era evidentemente facile in una regione in cui accorrevano tanti Italiani di così diverse tendenze religiose, ma lo vediamo mantenersi saldo come una colonna fino ai suoi ultimi giorni (62).

Egli trovò anche un valido aiuto in Paolo Gadius da Cremona, dal 1554 parroco di Teglio, e nel valente e dotto Scipione Lentulo, parroco dapprima al Monte Sondrio e poi a Chiavenna. D'altra parte non ci è noto in che modo si sviluppasse la comunità di Poschiavo fino all'arrivo di Ninguarda per la sua visita pastorale; anche di Giulio da Milano non ci sono pervenute notizie e non conosciamo sue lettere posteriori al 1555 dirette a Bullinger. Nel giugno del 1568, in occasione del Sinodo di Zuoz, Giulio insieme a Lentulo invia dei cari saluti all'amico di Zurigo; nel Sinodo di Coira del 1571 egli parlò a proposito della questione riferentesi al parroco Giovanni Gantner con tanto fervore, che, come già abbiamo notato, il parroco principale di Coira, Tobia Egli, non trova parole sufficienti, scrivendo a Bullinger, per lodare come si conveniva la sua eloquenza, pietà ed erudizione. Il successore di Egli, Gaspare Hubenschmid, nel suo rapporto a Bullinger sul Sinodo del 1575, tenuto a Coira, scrive che dalla Valtellina si sono soltanto presentati Lentulo e Calandrino, mentre i due veterani, Giulio e Gadius, non vi avevano potuto partecipare per motivi di età o per mancanza di mezzi. Secondo Campell, Giulio morì a 76 anni nel 1581, a Tirano, dopo aver per parecchio tempo provveduto a quella comunità, ed ebbe sepoltura nella chiesa evangelica. Il medesimo autore dichiara che si era distinto per moralità, per devozione, erudizione ed una rara eloquenza.

Nel frattempo la tipografia landolfiana non era rimasta inattiva. Oltre li Statuti di Valtellina e di Poschiavo del 1549e del 1550, fu pubblicata nel 1552 la traduzione del catechismo del Comander e di Blasio, a cura del Bifrun; e la predica di Vergerio contro il culto della Vergine e dei Santi, a cura di Guido Zonca (63). Possiamo anche presumere che l'attiva tipografia abbia stampato delle opere anonime di carattere religioso o polemico di Giulio da Milano, di Altieri o dell'erudito parroco chiavennasco Mainardo. I profughi italiani erano certamente pieni di fuoco nel parlare e facili alla penna, specialmente se si trattava di combattere la chiesa romana, il Papa e l'Inquisizione. Non è perciò da stupirsi se gli ambienti cattolici sorvegliassero la tipografia e cercassero di impedire la sua attività (64).

Ma la lettura di quelle pubblicazioni incoraggiò molti cattolici, vicini e lontani, alla nuova fede, mentre vi rafforzò quelli che già vi avevano aderito.

Nel 1561 la minacciosa animosità cattolica contro i Landolfi si trasformò in tempesta: già nel 1554 I'arcivescovo di Milano, Giovanni Angelo Arcibaldo, ed il maestro dell'Inquisizione Bonaventura Castiglione, avevano emanato un rigorosissimo editto contro ecclesiastici o laici che leggessero le Sacre Scritture in lingua volgare, contro coloro che non ne denunciassero i possessori e stabilivano la Scomunica contro tutti quelli che comunque non erano autorizzati a tale lettura. Nel 1561 pervenne alla Dieta delle Tre Leghe un reclamo relativo alla tipografia dei Landolfi: il 7 giugno di quell'anno ci presentò ai delegati comunali delle Tre Leghe, radunati a Coira, il nunzio pontificio Bernardino Bianchi, prevosto di S. Maria della Scala a Milano, con alcuni ricorsi, tra i quali uno di questo genere: A Poschiavo, nella giurisdizione del vescovo di Como, si tollera una tipografia, i cui libri oltraggiano Dio, vilipendono la santità papale, lanciano veleno contro la santa sede di Roma, contraddicono la santa dottrina della chiesa, accusano di falso la messa, come gli altri sacramenti, si oppongono a tutto quello che i concili e la chiesa cattolica considerano come dottrina intangibile.

L'assemblea prese nota di tutta la relazione del nunzio, che era fiancheggiato dall'ambasciatore spagnolo Angelo Ricci, e promise di sottoporre le lagnanze all'esame dei comuni prima della prossima Dieta: poiché i reclamanti consideravano troppo lungo l'intervallo che li separava dall'assemblea ordinaria, se ne fissò una in sessione straordinaria per il 20 di ottobre, la cui spesa sarebbe stata a carico degli interpellanti.

Ebbe cosi luogo la Dieta di Ilanz, a cui intervennero numerosi gli ecclesiastici delle due confessioni. Il parroco di Coira Fabritius predicò due volte durante le sedute, e fra gli ascoltatori si notarono anche dei parroci cattolici. Al termine delle riunioni furono rivolti sentiti e ferventi ringraziamenti alla Santità Papale, pur osservando che nei tempi precedenti si erano sempre amichevolmente risolte tutte le questioni della vita religiosa tra i vari comuni delle Tre Leghe, e si esprimeva la speranza che anche per l'avvenire la buona armonia avrebbe potuto regnare e favorire delle condizioni tanto privilegiate.

Per quanto riguardava la tipografia di Poschiavo, si sarebbe procurato di impedire la pubblicazione di qualsiasi opera in contrasto con le Sacre Scritture e la Santità del Papa; le eventuali pubblicazioni del genere già fatte, sarebbero state senza altro soppresse. Così la Dieta costò ai due delegati la somma di 660 corone, ma non diede in alcun modo soddisfazione alle loro esigenze (65) La delusione fu specialmente letta in viso al delegato papale, quando lo si vide mordere furiosamente la catena d'oro che portava al collo in segno di distinzione, e partirsene in tutta fretta la sera del 23 ottobre in compagnia del suo malizioso compare. Quanto alla tipografia essa poté essere conservata a Poschiavo e in seguito fu ancora di prezioso ausilio nella propagazione della fede, e senza alcun timore della censura della Dieta grigionese. Sulla Riforma a Brusio mancano delle notizie precise; ma se il vescovo Ninguarda nella sua relazione afferma che un terzo degli abitanti avevano aderito alla nuova fede e che su duecento famiglie circa sessantacinque o settanta erano evangeliche, si può affermare che il movimento riformatore vi abbia avuto inizio prima ancora che a Poschiavo. Anche il fatto che i Cattolici e gli Evangelici dividessero l'uso dell'unica chiesa, sta a dimostrare che questi ultimi erano in numero assi ragguardevole. Possiamo inoltre affermare con una certa sicurezza che anche a Brusio, Giulio da Milano abbia esercitato il suo ministero.

Pare però che le relazioni tra Poschiavini e Brusiaschi non siano sempre state delle migliori: infatti notiamo, a mo' d'esempio, che nel 1521 Brusio dovette prender l'impegno di fronte a Poschiavo di provvedere al restauro del ponte di Piattamala, e di mantenere in efficienza la strada da Piattamala al termine del lago; ma nel 1541 Brusio dovette rivolgersi alla Dieta per reclamare contro la vendita fatta da Poschiavo di alcune terre appartenenti invece a loro; un'altra vertenza sorse poi quando Poschiavo si servì del denaro del fondo comune per il lavoro di restauro della chiesa di S. Vittore e per la costruzione dell'ossario vicino alla Cap-pella dell'Oratorio. Pare inoltre che non fosse cosa facile raggiunger un accordo per la nomina dei podestà e dei giudici ecc.

Tutti questi dissidi non impedirono a Giulio si portare anche ai Brusiaschi la pura parola di Dio: non si comprenderebbe d'altra parte come egli avrebbe potuto tralasciare di annunziare la parola di Dio a Brusio, mentre esercitava il suo ministero nel «Tertiarium» superiore e in quello centrale della Valtellina. La prova più evidente può essere che, alla sua morte, il monaco Cesare Gafforus, guardiano del convento francescano di Piacenza, passato alla Riforma, divenne il suo degno successore e si prese la parrocchia di Poschiavo e di Brusio.

All'epoca della visita pastorale del Ninguarda, il pastore di Brusio, come già abbiamo detto, era Giovanni Andreoscha (66). Dovevano esserci degli evangelici anche nel ristretto territorio di Meschino, fra Brusio e Poschiavo: risulta infatti da una deliberazione del principio sel XVII° secolo che quei parrocchiani potevano a piacimento rivolgersi per i servizi liturgici (battesimi e funerali) sia a Poschiavo che a Brusio. Nella valle di Poschiavo risulta che cattolici e protestanti vissero in armonia e con reciproco rispetto fino all'arrivo del Ninguarda che se ne volle immischiare. Quell'accordo confessionale che la Dieta del 1561 aveva lodato e che si conservò ancora per alcuni decenni, si trasformò poi al principio del XVII° secolo in odio e sete di sangue da parte dell'elemento cattolico. Una prova della buona armonia e della reciproca comprensione si può avere dal seguente fatto: il servizio divino era fatto per ambedue le confessioni nella chiesa di S. Vittore spogliata da ogni sorta di immagini. Una conferma ne è inoltre data dalla deliberazione patriziale del 1572 con cui si permetteva ad ogni cittadino di assistere alla predica od alla messa: non si può certamente spiegare tale deliberazione come frutto di indifferensa religiosa, poichè vi si aggiungeva che chiunque non avesse frequentato l'uno o l'altro culto, perderebbe il diritto di essere nominato alle cariche comunali. Fu inoltre stabilito nel 1573 che tanto il parroco evangelico quanto il prete cattolico dovevano ricevere dalla cassa comunale duecento lire di stipendio ciascuno e che pure il sacrestano fosse retribuito dalla medesima cassa per il servizio che egli avrebbe prestato per le due confessioni, e che infine il camposanto fosse di proprietà collettiva. Queste decisioni furono poi riconfermate nel 1595 (67).


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