Domenica 5 ottobre 2025
[Culto completo con predicazione, 60′]
[Solo predicazione, 28′ 53″]
Costruire
Vi sono persone abili che hanno costruito la propria abitazione. Non è cosa comune, ma ne ho conosciute: con pazienza, con sacrificio, con le proprie mani hanno visto crescere le mura, il tetto, le stanze una dopo l’altra. E quando l’opera è finita, che gioia, che soddisfazione: poter dire questa casa l’ho costruita io!
Anche se per la maggior parte di noi questo non è stato possibile, tutti sappiamo che cosa significa costruire: c’è bisogno di un buon progetto, di solide fondamenta, di materiali adatti e di tanto impegno. Una casa non si improvvisa: richiede tempo, perseveranza, attenzione ai dettagli, e soprattutto la certezza che reggerà alla prova del tempo.
Ebbene, le Sacre Scritture ci dicono che il proposito di Dio per questo mondo, che a Lui appartiene, è quello di redimerlo in Cristo Gesù edificandovi il Suo Regno. Il popolo di Dio può essere così considerato come un’impresa di costruzioni nella quale siamo chiamati a lavorare secondo il Suo progetto. In essa ogni discepolo di Cristo è considerato costruttore e collaboratore di Dio, svolgendovi le proprie mansioni secondo le competenze, le risorse e le opportunità che da Lui riceve. È uno straordinario privilegio quello a cui siamo chiamati, un’opera entusiasmante che implica il migliore nostro impegno.
Nella Bibbia molte sono le immagini che vengono usate per rappresentare quest’opera di costruzione, di edificazione, e del nostro ruolo in essa. Gesù stesso ne fa menzione in diverse sue parabole, come, ad esempio, quella della chiamata dei lavoratori delle ore diverse (Matteo 20:1-16) dove nessuno è lasciato disoccupato.
Concetto che tutte le accomuna è quello del lavoro diligente. Per quanto il regno di Dio sia opera di Dio, “il quale ci ha salvati e ci ha rivolto una santa chiamata, non secondo le nostre opere, ma secondo il suo proposito e la grazia che ci è stata fatta in Cristo Gesù fin dall’eternità” (2 Timoteo 1:9), esso inevitabilmente ci mobilita, ci attiva, ci rende impegnati, giammai passivi.
È per questo che siamo chiamati non a vivere alla giornata, a “vivere di rendita”, ma sempre a edificare, a costruire. Non a modo nostro, ma su un solido fondamento. Qual è? E l’Apostolo Paolo ci avverte che non basta costruire “come capita”, ma occorre costruire bene, con qualità, con materiali solidi che rimangono. E allora la domanda si pone: come dobbiamo edificare? Certamente l’ambito di questo lavoro è la nostra fede, la nostra santificazione, la nostra famiglia e comunità, i rapporti umani, l’attività evangelistica propriamente detta, ma anche – e soprattutto – il nostro impegno più ampio nel mondo in cui viviamo: nell’ambito della cultura, della società, della pubblica istruzione, della politica, nelle opere di solidarietà – il tutto che dovrà essere conforme ai principi creativi di Dio. Tutto questo perché il nostro compito non è solo stabilire e rafforzare “la nostra chiesa” (come talora si intende), ma promuovere il Regno di Dio in ogni ambito della vita.
Per questo vorrei che oggi un testo biblico, quello di 1 Corinzi 3:10-15 ci guidi a comprendere, per quanto sommariamente, come e con quale spirito siamo chiamati ad edificare.
Il testo biblico
Ascoltiamo allora che cosa dice l’apostolo Paolo scrivendo ai cristiani della città di Corinto:
“Io, secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come esperto architetto, ho posto il fondamento; altri vi edifica sopra. Ma badi ciascuno come vi edifica sopra, poiché nessuno può porre altro fondamento che quello già posto, cioè Cristo Gesù. Ora, se uno edifica su questo fondamento oro, argento, pietre di valore, legno, fieno, paglia, l’opera di ognuno sarà manifestata, perché il giorno di Cristo la paleserà, poiché quel giorno apparirà come un fuoco e il fuoco proverà quale sia l’opera di ciascuno. Se l’opera che uno ha edificata sul fondamento sussiste, egli ne riceverà ricompensa; se l’opera sua sarà arsa, egli ne avrà il danno, ma egli stesso sarà salvo, però come attraverso il fuoco” (1 Corinzi 3:10-15).
Il contesto di queste parole è molto importante: la chiesa di Corinto era segnata da divisioni. Alcuni dicevano di “appartenere” a Paolo, altri ad Apollo, altri a Cefa, altri ancora a Cristo. Si erano creati dei “partiti” attorno a persone, a stili di predicazione, a preferenze umane. Paolo reagisce ricordando che né lui né Apollo sono il fondamento della fede: essi sono solo servitori di Dio. L’unico fondamento vero e stabile è Cristo Gesù. Per chiarire questo concetto, Paolo usa così l’immagine dell’edificio: lui ha posto il fondamento, altri costruiscono sopra, ma ognuno deve fare attenzione a come vi costruisce. Perché, un giorno, l’opera di ciascuno sarà messa alla prova davanti a Dio.
1. Cristo unico fondamento
L’apostolo Paolo è molto chiaro: “nessuno può porre altro fondamento che quello già posto, cioè Cristo Gesù”. Una costruzione senza fondamenta solide può apparire imponente all’esterno, ma prima o poi crollerà. Così è per la vita umana: se non poggia su Cristo, se non trova in Lui il senso, la direzione e la forza, rimane fragile e destinata a cedere. Possiamo tentare di costruire sulla sabbia del successo, delle ideologie, del denaro, dei sentimenti passeggeri, ma alla prima scossa tutto vacilla. Solo Cristo, con la Sua persona, la Sua Parola e la Sua opera redentrice, è un fondamento che resiste.
Cristo è fondamento perché è il Figlio di Dio fatto uomo, il centro della rivelazione divina. È fondamento perché la Sua Parola ci offre verità sicura in mezzo alla confusione del mondo. È fondamento perché la Sua opera compiuta sulla croce e nella risurrezione ci riconcilia con Dio e ci dona una vita nuova. Non sono le nostre tradizioni religiose, per quanto bene intenzionate, le nostre capacità, i nostri meriti a sorreggerci, ma Lui solo. Ogni autentico edificio spirituale, ogni vera opera che dura nel tempo e nell’eternità, non può che poggiare su di Lui, così come la Scrittura Lo proclama e Lo spiega.
Ed è su questo che siamo chiamati a verificare la nostra vita: stiamo davvero costruendo su Cristo, o su altro? Non basta un generico sentimento religioso, non bastano le buone intenzioni, non basta neppure l’impegno morale. Tutto ciò che non ha Cristo come centro e fondamento ultimo è instabile. Egli solo dà unità e consistenza all’edificio della nostra vita e del nostro servizio. Per questo il nostro primo impegno non è fare molto, ma restare saldamente uniti a Lui, dimorare in Lui, lasciando che sia Lui il sostegno e la roccia di tutto ciò che siamo e facciamo.
2. L’opera della costruzione e i materiali
Dopo aver ribadito che Cristo è il fondamento, Paolo ci invita a riflettere su che cosa stiamo costruendo sopra di Lui. Egli parla di materiali diversi: oro, argento, pietre preziose da una parte, e dall’altra legno, fieno, paglia. L’immagine è molto eloquente: non tutti i materiali hanno lo stesso valore e la stessa resistenza. Così è per le nostre opere: possiamo costruire con cose che hanno valenza e peso eterno, oppure con ciò che è fragile, temporaneo, superficiale e destinato a svanire. È vero: c’è chi non fa nulla, o peggio ancora, con varie giustificazioni… lascia lavorare gli altri! Ma non basta neppure darsi da fare molto, cadendo in un attivismo fine a sé stesso. Ciò che conta è la qualità, la solidità, la coerenza con Cristo.
Questo ci porta a considerare che il nostro “costruire”, come già abbiamo accennato, riguarda diversi ambiti della vita cristiana: la nostra fede personale e la nostra santificazione, la famiglia e la comunità, i rapporti con le persone intorno a noi, l’impegno evangelistico. Ma non solo: il costruire si estende anche alla cultura, all’istruzione, alla società in cui viviamo — secondo i talenti e la vocazione che Dio ci ha dato. Una vignetta che ho visto recentemente mostra una persona che dice a un’altra: “Sai, io ho molti talenti nascosti”. E l’altro risponde: “Quali sono?”, e il primo replica: “Non lo so! Sono nascosti!”. Ecco, il nostro compito è scoprire e valorizzare i doni che Dio ci ha affidato, e poi portarli con lo stile di Cristo al servizio del Regno di Dio. Il rischio, però, è di ridurre l’impegno cristiano a un lavoro soltanto individuale o esclusivamente comunitario, senza pensare che Dio ci chiama ad avere un respiro molto più ampio, onnicomprensivo, a 360°.
3. La verifica del fuoco
L’apostolo Paolo poi ci ricorda che un giorno il nostro lavoro sarà sottoposto a verifica: “il giorno di Cristo la paleserà, perché quel giorno apparirà come un fuoco e il fuoco proverà quale sia l’opera di ciascuno”. Non si tratta del fuoco dell’inferno… ma del fuoco che mette alla prova i materiali. L’immagine è chiara: l’oro e le pietre preziose resistono, mentre legno, fieno e paglia vanno in cenere. Oggi possiamo illuderci che tutto ciò che facciamo abbia valore, ma sarà Dio a rivelarne la vera sostanza. E questo non per umiliarci, ma per darci la prospettiva giusta: non conta tanto l’apparenza, quanto la sostanza davanti a Lui.
Questa prospettiva ci libera da due estremi: da un lato la superficialità, il vivere alla giornata senza pensare a come impieghiamo il nostro tempo e i nostri doni; dall’altro lo scoraggiamento, quando pensiamo che il nostro lavoro non abbia risultati visibili. Molte opere che agli occhi del mondo sembrano insignificanti, agli occhi di Dio hanno un valore eterno. Al contrario, attività che sembrano grandi e di successo possono essere solo “paglia”. La verifica del fuoco ci invita quindi a vivere ogni giorno con serietà, ma anche con fiducia: Dio sa distinguere ciò che rimane da ciò che svanisce.
4. La ricompensa o la perdita
L’apostolo non parla però solo di verifica, ma anche di conseguenze. Chi ha costruito con materiali solidi riceverà una ricompensa. Non dobbiamo pensare a premi terreni o a titoli onorifici, ma alla gioia di udire dal Signore: “Bene, servo buono e fedele”. È la soddisfazione di vedere che la nostra vita non è stata vana, che quello che abbiamo fatto in Cristo ha lasciato un segno eterno. Questa è una motivazione molto grande: non corriamo invano, non spendiamo le nostre forze per nulla, ma sappiamo che Dio raccoglie e custodisce ogni atto di fedeltà, anche il più piccolo. L’Apostolo, in quella stessa lettera pure scrive: “Perciò, fratelli miei carissimi, state saldi, incrollabili, abbondanti sempre nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore” (1 Corinzi 15:58).
C’è però anche l’altra possibilità: “… se l’opera sua sarà arsa, egli ne avrà danno; però egli stesso sarà salvato, ma come attraverso il fuoco”. L’immagine è forte: come chi esce da una casa in fiamme, salvo, ma senza nulla. È un avvertimento che ci scuote: la salvezza è certo dono gratuito, guadagnato dall’opera redentrice di Cristo Gesù, ma ciò che facciamo della nostra vita conta eccome. Non basta “arrivare al cielo”, ma vogliamo arrivarci con un bagaglio di opere che onorino il Signore e che siano una testimonianza della Sua grazia. Non saranno esse quelle che in sé stesse ci salvano, ma sono e saranno espressione della genuinità della nostra fede e riconoscenza. Le nostre opere possono essere “arse” perché inconsistenti. Questo non ci deve incutere paura, ma responsabilità e desiderio di spendere bene il tempo e le risorse che ci sono state date. Saremo noi fra quelli dei quali il libro di Apocalisse parla quando dice; “Scrivi: beati i morti che d’ora in poi muoiono nel Signore. Sì, dice lo Spirito, così si riposeranno dalle loro fatiche, poiché le loro opere li seguono” (Apocalisse 14:13)?
5. Il Regno di Dio più grande della chiesa
Infine, spesso, non è vano o superfluo ripeterlo, quando pensiamo a edificare, ci limitiamo alla nostra vita spirituale o alla chiesa locale: preghiere, studi biblici, servizi, attività comunitarie. Tutto questo è certamente importante, ma Paolo ci ricorda che il nostro impegno non deve avere confini ristretti. Il Regno di Dio non coincide con la chiesa: esso comprende ogni campo della vita, dalla famiglia alla cultura, dall’educazione alla politica, dalla solidarietà alla promozione della giustizia. Siamo chiamati a portare lo stile di Cristo in ogni ambito, a essere collaboratori di Dio nel mondo, costruendo con fedeltà e attenzione ciò che durerà nel tempo.
Questo richiede consapevolezza dei nostri talenti e delle nostre vocazioni, e coraggio di metterli a frutto. Non possiamo nasconderli o sprecarli, come nella vignetta dei “talenti nascosti”: Dio ci chiama a scoprire, valorizzare e impiegare tutto ciò che ci ha dato, affinché la nostra vita lasci un’impronta di bene e gloria al Suo nome. Così, costruendo con qualità, coerenza e dedizione, contribuiamo davvero al Regno di Dio e viviamo la nostra vocazione di cristiani come un impegno ampio, concreto e duraturo.
Conclusione
Se ora, così, torniamo all’immagine della casa, possiamo vedere con chiarezza ciò che Paolo ci ha voluto insegnare. Come cristiani, siamo chiamati a costruire, giorno dopo giorno, la nostra vita e il nostro impegno nel mondo, ma su un fondamento solido: Cristo Gesù. Non importa quanto grande o piccolo possa sembrare ciò che facciamo: ciò che conta è la qualità, la solidità, la coerenza con Lui. Come in una vera costruzione, materiali fragili e superficiali non reggeranno al fuoco del tempo e della prova, mentre ciò che è prezioso, autentico e guidato dallo Spirito di Dio rimarrà e porterà frutto.
E allora la domanda finale è inevitabile: che cosa stiamo costruendo? Non viviamo alla giornata, non viviamo “di rendita”, ma siamo chiamati a edificare con cura e responsabilità. Scopriamo e valorizziamo i doni che Dio ci ha affidato; impegniamoci con fedeltà e dedizione nella vita spirituale, nella famiglia, nella comunità, e portiamo il nostro contributo anche nella società, nella cultura, nella solidarietà. Non rimandiamo, non nascondiamo i nostri talenti con un falso senso di umiltà, e non limitiamoci a ciò che è comodo o immediatamente visibile. Ogni giorno è un’opportunità per edificare con amore, saggezza e impegno.
Alla fine, la vera gioia sarà poter dire che la nostra vita non è stata vana, che Dio ha potuto usare le nostre mani, il nostro cuore, i nostri doni per costruire qualcosa che resiste e onora il Suo Nome. E sarà una gioia più grande ancora udire dal Signore stesso: “Bene, servo buono e fedele” — perché ciò che abbiamo edificato, a gloria Sua, rimarrà per sempre.
Preghiamo. Signore nostro e Dio eterno, ti ringraziamo perché ci hai chiamati ad essere collaboratori della Tua opera e ci hai dato un fondamento sicuro: Gesù Cristo, il Tuo Figlio e nostro Salvatore. In Lui abbiamo trovato la vita, la grazia e la verità. Ti confessiamo che troppe volte costruiamo con leggerezza, cercando ciò che appare agli occhi del mondo ma che non regge davanti a Te. Perdona le nostre superficialità e riallinea i nostri cuori alla Tua Parola. Donaci, o Spirito Santo, di edificare con fedeltà, saggezza e amore: nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità, nella società in cui viviamo. Aiutaci a riconoscere i doni che ci hai affidato e a impiegarli senza timore, senza orgoglio, ma con umile dedizione. Fa’, Signore, che ogni cosa che costruiamo con le nostre mani e i nostri cuori non sia per la nostra gloria, ma per la Tua. Così, quando il fuoco delle prove verrà, ciò che rimarrà sia un’opera che porta il segno della Tua presenza e della Tua fedeltà. A Te l’onore, la lode e la gloria, ora e sempre. Amen.
Paolo Castellina, 25 settembre 2025