Domenica 6 Dicembre 2020 – Seconda di Avvento
Letture bibliche: Salmo 85; Isaia 40:1-11; 2 Pietro 3:8-15; Marco 1:1-8
Il “ministero di grazia e giustizia”. Ecco un abbinamento interessante che pure risponde a criteri biblici. Non vi può essere, infatti, grazia senza giustizia, Evangelo senza Legge, Fede senza Ravvedimento, e viceversa. Quanto spesso oggi si sente proclamare, però, l’uno senza l’altro! Non così l’annuncio dell’Antico e del Nuovo Testamento che vediamo espresso nel testo biblico che esaminiamo oggi: l’appello al ravvedimento che prepara, con Giovanni Battista, quello di Gesù.
La venuta del Salvatore Gesù Cristo non è stata improvvisa ed inaspettata. Il suo luogo ed il suo tempo corrispondono esattamente a quanto il Signore Iddio, nella Sua sapienza, aveva pianificato: “…quando giunse la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge” (Galati 4:4), cioè arrivato il momento stabilito, quello appropriato, giusto. A quel momento Iddio giunge attraverso un’attenta preparazione. La storia dell’antico popolo di Israele ed il messaggio dei profeti ne segnano le tappe. Tutto è finalizzato all’avvento del Cristo, il Messia: la Legge ed i Profeti, ma anche gli altri scritti dell’Antico Testamento. Giovanni, il battista [cioè il “battezzatore”] è l’ultimo dei profeti, l’ultima autorevole voce dell’Antico Testamento. Il suo aspetto, la sua vita, il suo messaggio inequivocabilmente lo manifestano come tale.
In che modo Giovanni prepara l’avvento imminente del Salvatore Gesù Cristo nella sua generazione? In che modo egli prepara il cuore e la mente delle persone all’annuncio dell’Evangelo, la buona notizia della grazia di Dio per tutti coloro che accolgono la Persona di Gesù Cristo? Ascoltate come lo descrive, sinteticamente ma in modo efficace, l’evangelista Marco.
“Il principio dell’evangelo di Gesù Cristo, il Figlio di Dio. Come sta scritto nei profeti: «Ecco, io mando il mio messaggero davanti alla tua faccia, il quale preparerà la tua via davanti a te. Vi è una voce di uno che grida nel deserto: “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri”». Giovanni comparve nel deserto, battezzando e predicando un battesimo di ravvedimento, per il perdono dei peccati. E tutto il paese della Giudea e quelli di Gerusalemme andavano a lui, ed erano tutti battezzati da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Or Giovanni era vestito di peli di cammello, aveva una cintura di cuoio intorno ai lombi e mangiava locuste e miele selvatico. E predicava, dicendo: «Dopo di me viene uno che è più forte di me, al quale io non sono degno neppure di chinarmi a sciogliere il legaccio dei suoi sandali. Io vi ho battezzati con acqua, ma egli vi battezzerà con lo Spirito Santo»”.
Giovanni, predica “un battesimo di ravvedimento per il perdono dei peccati”. Egli mette chiaramente davanti al suo uditorio, ribadendolo, ciò che Dio esige da tutti nella Sua legge morale. E’ la stessa Legge morale impressa (ma soffocata) nella coscienza di ogni creatura umana e proclamata in modo sintetico dal Decalogo. Giovanni fa prendere loro coscienza delle loro gravi inadempienze del suo uditorio, delle fatali conseguenze che comportano. Sono conseguenze che nessuno può evitare o rimediare da solo senza uno speciale intervento di Dio. È così che Giovanni suscita la viva e bruciante consapevolezza del bisogno, della necessità, del Salvatore. Uomini e donne giungono in questo modo al ravvedimento e l’acqua di quel battesimo è segno della purificazione che troveranno accogliendo il Salvatore Gesù Cristo.
Questo è simile a ciò che avviene nella predicazione dell’Evangelo (quello autentico) annuncio che deve essere preparato dalla proclamazione della Legge morale di Dio, Legge che accusa, comprova l’imputazione, la colpa e la condanna, ci dichiara colpevoli e dichiara l’inappellabile sentenza. L’annuncio dell’Evangelo deve essere necessariamente preceduto dalla proclamazione della Legge morale di Dio proprio per farci prendere coscienza dei nostri peccati, delle loro conseguenze e del bisogno che abbiamo del Salvatore Gesù Cristo. Confessando i nostri peccati ed abbandonandoli, accogliamo così, nella nostra vita, il Cristo, il quale ci riconcilia con Dio e ci apre, nella comunione con Lui, a prospettive di vita significativa ed eterna. L’Evangelo della Grazia di Dio in Gesù Cristo è inscindibile dalla Legge. Come infatti si può parlare di Grazia se essa non è rivolta a persone rese consapevoli della loro giusta condanna e che se ne rammaricano?
Non è così in molti casi oggi. Il “vangelo” moderno (quello oggi popolare e che si ode dai pulpiti più diversi) parla spesso solo di un generico “amore” di Dio da ricevere e da condividere. Esso si risolve, alla fin fine, nel solito “buonismo” umanista che parla di accoglienza, di tolleranza, di solidarietà, buona volontà, pace ecc. ecc. Ad esso magari si aggiunge il concetto di “giustizia sociale” filtrato dalle ideologie secolari di moda, come pure dal concetto, sempre gradito al mondo, di “libertà”? Davvero questo sarebbe il “vangelo” proclamato dal Nuovo Testamento? No, c’è “qualcosa che non quadra” in questo cosiddetto vangelo moderno se lo si mette a confronto con quello proclamato nel Nuovo Testamento. Esso,, per quanto attraente e plausibile possa apparire, appare subito incongruente a coloro che accolgono il messaggio dei profeti di Israele e degli Apostoli di Cristo. Esso, di fatto è “la voce di un estraneo” che assomiglia, ma non è del tutto simile quella del loro pastore, il Signore e Salvatore Gesù Cristo. Diventa così essenziale verificare, fra le tante voci che si odono oggi, che ciò che udiamo predicare corrisponda effettivamente alla voce del Cristo autentico. La cosa non deve mai prendersi per scontata!
L’Evangelo della salvezza in Gesù Cristo, nel messaggio del Nuovo Testamento, è inseparabile dalla fede nella Sua persona ed opera, ma è pure inseparabile dal ravvedimento. E ravvedimento non può che rapportarsi alla Legge morale di Dio che ci condanna.
L’Evangelo parla d’amore, ma, insieme ad esso, sempre di ravvedimento, o pentimento. La Scrittura dice: “Disprezzi le ricchezze della sua benignità, della sua pazienza e longanimità, non conoscendo che la bontà di Dio ti spinge al ravvedimento?” (Romani 2:4); “Il Signore non ritarda l’adempimento della sua promessa, come alcuni credono che egli faccia, ma è paziente verso di noi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti [coloro che efficacemente sono raggiunti dall’Evangelo] vengano a ravvedimento” (2 Pietro 3:9). E’ il messaggio stesso di Gesù, riassunto nei vangeli come: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino. Ravvedetevi e credete all’Evangelo» (Marco 1:15).
Perché chi annuncia veracemente l’Evangelo deve precederlo con ll’appello al ravvedimento? Perché esso è necessaria preparazione alla Buona Notizia della Grazia di Dio in Cristo Gesù? Perché chi può dirsi cristiano è passato necessariamente attraverso l’esperienza del “ravvedimento”. Che cos’è il “ravvedimento”?
La parola ebraica tradotta in italiano come “ravvedimento”, cioè teshuvah può essere compresa come “voltarsi e ritornare (shuv) a Dio”, ed è usata più di 1000 volte nell’Antico Testamento. In termini spirituali, shuv può essere considerato un voltare le spalle a ciò che Dio considera peccato, abbandonarlo, per camminare decisamente verso Dio. Volgersi verso Dio diventa il mezzo con il quale ci si allontana dal peccato. Quest’atto di “volgersi” reindirizza tutto il destino di una persona, influisce necessariamente sull’intera nostra vita. Nella versione greca dell’Antico Testamento (quella usata dal Nuovo) shuv è tradotto con ἐπιστρέφω (epistrepho) che pure significa volgersi verso Dio o ritornare a Dio.
In ebraico, una parola collegata a teshuvah è spesso associata all’emozione di “dispiacimento” (“me ne dispiace”) ed è legata al “profondo sospiro” di chi esprime dolore, cordoglio. Lo troviamo riferito a Dio in Genesi 6:6: “Il SIGNORE si pentì d’aver fatto l’uomo sulla terra, e se ne addolorò in cuor suo”. Dio “si addolora” e questo è la sua risposta alle scelte peccaminose degli esseri umani.
Essere addolorati, sinceramente dispiaciuti, pentiti, del proprio peccato è quello che esprime Giobbe: “Perciò mi ravvedo, mi pento sulla polvere e sulla cenere” (Giobbe 42:6). Nella traduzione greca dell’Antico Testamento questo “dolore, cordoglio” `è espresso con lil termine metanoia (μετάνοια), “cambiamento di mente”.
Metanoia è un termine composto da “meta” (dopo, con) e “noeo” (pensare), interpretato talvolta come “cambiare il modo di pensare”, come pure “andare oltre il nostro modo di pensare” per accedere all’ambito del nostro cuore. In altre parole: questo termine implica che il modo in cui pensiamo influisce sul modo in cui prendiamo le nostre decisioni (giudizi) e quindi ravvedimento significa riconoscere che cognitivamente ci siamo sbagliati sulla natura della realtà. E la realtà è che esiste un ordinamento morale sanzionato da Dio, che noi siamo colpevoli di averlo violato e in condizione di profonda alienazione da Lui fintanto che questa non venga sanata. Il nostro “cambiamento di mente”, quand’è autentico, perciò, porta necessariamente ad un “cambiamento di cuore”.
Il Nuovo Testamento segue la versione greca dell’Antico e fa uso del verbo metanoeo (μετανοέω) per esprimere l’idea ebraiva di nacham/’epistrepho (ἐπιστρέφω) per esprimere l’idea di shuv (voltare le spalle al male per volgersi a Dio).
Metanoeo significa esprimere dispiacimento, dolore e rimorso per la bancarotta della nostra filosofia di vita su come il mondo dovrebbe essere. Ci arrendiamo a Dio ed accogliamo la verità che Egli è e rivela, abbandoniamo le pulsioni del nostro egoismo e “lasciamo che Dio sia Dio”. Epistrepho, d’altro canto, è un “voltare le spalle” letteralmente o metaforicamente. Quand’è applicato a Dio significa volgersi a Lui con tutto il nostro cuore, anima e forza. Per esempio: “Israele, se tu torni», dice il SIGNORE, «se tu torni da me, se togli dalla mia presenza le tue abominazioni, se non vai più vagando qua e là, se giuri per il SIGNORE che vive, con verità, con rettitudine e con giustizia, allora le nazioni saranno benedette in lui e in lui si glorieranno»” (Geremia 4:1-2). In un senso, possiamo così dire che nacham/metanoeo riguardi il passato (“mi dispiace”), mentre shuv/epistrepho riguarda il presente.
“Ravvedimento”, così, riguarda molto di più che dare assenso intellettuale alla verità rivelata su Dio, il mondo, la nostra condizione e i nostri doveri (che è già molto), ma ci coinvolge completamente, in modo esistenziale, determinando il tutto della nostra vita.
Il problema generale del ravvedimento (sia che lo consideriamo rincrescimento per il passato o un appello presente a volgersi verso Dio, è che, non solo oggi con il “vangelo moderno” esso viene banalizzato, minimizzato o completamente ignorato, ma che la maggior parte delle persone rifiutano di realizzarlo (se non “in teoria”). Di fatto nessuno può ravvedersi se non gliene vengono dati i mezzi dal Cielo [“Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre, che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Giovanni 6:44)]. Nasciamo infatti ribelli a Dio, per natura odiamo Dio e la Sua autorità. Si potrebbe infatti insistere con un peccatore che ha bisogno che si ravveda, ma fintanto che quell’uomo o quella donna non è veramente toccato da Dio, il meglio che potrebbe uscirne sono “risoluzioni” fatte di malavoglia e una riforma incompleta del cuore. Di fatto il ravvedimento è analogo alla rigenerazione spirituale operata per diretto intervento di Dio sulla persona (la causa prima). Dio lo opera attraverso l’annuncio della legge morale di Dio, che ci fa prendere coscienza della condanna che grava sul nostro capo. Come una fede autentica, un profondo cambiamento di direzione, dall’egocentrismo al teocentrismo, è un miracolo che solo Dio può operare attraverso l’annuncio dell’Evangelo, così lo è il ravvedimento, attraverso l’annuncio della Legge di Dio che ci condanna.
Ecco così come un autentico ravvedimento implichi quattro passi:
1. Abbandonare ciò che Dio considera peccato [“Chi copre le sue colpe non prospererà, ma chi le confessa e le abbandona otterrà misericordia” (Proverbi 28:13)]. Il ravvedimento sincero è dimostrabile quando, nella stessa tentazione a peccare, nelle stesse condizioni, la si respinge risolutamente.
2. Dispiacere, dolore, cordoglio del fatto che il peccato ha spezzato il nostro rapporto con Dio e con gli altri.
3. Confessare la verità di fronte a Dio e fare ammenda presso coloro che abbiamo danneggiato.
4. Accogliere il perdono e nuoversi con fede verso il Signore. Essere così confortati dalla presenza del Signore nella nostra vita [“Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio” (Isaia 40:1)].
Quando accogliamo l’Evangelo per la prima volta dobbiamo accertarci di aver fatto ciò di cui esso consiste: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; ravvedetevi e credete al vangelo» (Marco 1:15). Ciò che il vangelo di Marco sintetizza sul ravvedimento quello di Luca lo esplicita:
“Or le folle lo interrogavano, dicendo: «Che faremo noi dunque?». Allora egli, rispondendo, disse loro: «Chi ha due tuniche ne faccia parte a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto». Or vennero anche dei pubblicani per essere battezzati e gli chiesero: «Maestro, che dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non riscuotete nulla di più di quanto vi è stato ordinato». Anche i soldati lo interrogarono dicendo: «E noi, che dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non fate estorsioni ad alcuno, non accusate falsamente alcuno e contentatevi della vostra paga»” (Luca 3:10-14). Quando Gesù entra in casa di Zaccheo ed egli accoglie l’Evangelo, queste ne sono le conseguenze: “Zaccheo si fece avanti e disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; se ho frodato qualcuno di qualcosa gli rendo il quadruplo»” (Luca 19:8).
Quando predichiamo, dunque, l’Evangelo, abbiamo predicato pure la necessaria “preparazione” che chiama al ravvedimento? Quando abbiamo accolto l’Evangelo della grazia di Dio in Gesù Cristo, ci siamo ravveduti dai nostri peccati, e quali ne sono state le conseguenze pratiche? Sono domande importanti da farci!