Segnali indicatori per attenti osservatori (Giovanni 2:1-11)

(Culto completo con predicazione)

(Solo predicazione)

Domenica 16 gennaio 2022 – Seconda domenica dopo l’Epifania

Introduzione alle letture bibliche

Letture bibliche: Salmo 36:5-10; Isaia 62:1-5; 1 Corinzi 12:1-11; Giovanni 2:1-11

Diverse sono le immagini usate dalla Bibbia per descrivere il rapporto esistente fra Dio e coloro che gli sono fedeli, il Suo popolo. Nel Salmo 36, che leggiamo oggi ve ne sono diverse – e in poche righe! Una provvedente chioccia, sotto le cui ali si rifugiano fiduciosi i suoi pulcini. Una casa o famiglia dove vi è abbondanza di beni a disposizione di chi la abita. Un torrente di acqua fresca e pulita a cui abbeverarsi. La fonte della vita. Una luce che illumina i nostri passi. Nella seconda lettura, tratta da Isaia, Dio è paragonato a uno sposo fedele e amorevole, che ama e protegge la sua sposa, per il quale è una gioia. Il tema delle nozze lo ritroviamo nel testo della quarta lettura, l’episodio evangelico delle nozze di Cana. Gesù onora con la Sua presenza una il matrimonio di una giovane coppia, alla cui gioia Egli provvede con i Suoi speciali doni. Indubbiamente la comunità cristiana è chiamata pure la famiglia di Dio, di cui i membri sono i Suoi amati figlioli. Come un genitore saggio e provvedente, Dio si prende cura dei suoi figli, non solo, ma coltiva la particolare personalità di ognuno di essi, valorizzando i talenti di ciascuno che, a sua volta, contribuiranno alla prosperità e missione della “azienda famigliare”: è il tema della terza lettura, sulla varietà dei doni spirituali dei membri della comunità cristiana. Tanti motivi, dunque, per lodare e ringraziare Dio e, soprattutto, per vivere la comunione con Lui, quella a cui Egli ci ha chiamato in Cristo.

Indizi rivelatori per attenti osservatori

Vi sono persone che hanno un forte spirito d’osservazione. “Vedono” ciò che altri, pur avendo occhi buoni, non vedono. Guardano le cose e la gente e non c’è particolare che sfugga loro. I sentimenti, il carattere o la situazione di una persona sono loro rivelati anche se questa cerca di nasconderli. Per la maggior parte di noi si potrebbe dire che: “Abbiamo occhi ma non vediamo”, come diceva il profeta Geremia alla gente del suo tempo che non si rendeva conto del momento particolare che stavano vivendo. A questo riguardo è proverbiale lo spirito d’osservazione del detective Sherlock Holmes, nato dalla fantasia dello scrittore Arthur Conan Doyle. Egli scopriva il colpevole del crimine magari dalle piccole tracce di fango che scorgeva al fondo dei suoi pantaloni e che rivelavano come questi provenisse dalla scena del delitto. Egli sapeva cogliere la verità dagli indizi che gli si presentavano, anche se si fosse voluta tenere nascosta. Un indizio è una traccia, un segno, e ogni altro elemento particolare per il quale si può indirettamente, ma con qualche fondamento logico, argomentare un fatto. Nella “prova indiziaria” è una prova di colpevolezza che si desume in maniera deduttiva o induttiva da un fatto accertato, come un “indizio grave, lieve, chiaro, sicuro”. 

Un’identità ambigua nascosta nei “segni” 

Capire chi fosse veramente Gesù di Nazareth, la Sua identità, la Sua missione, e quindi accoglierlo con fiducia come proprio Signore e Salvatore, non era da tutti e non rimane da tutti nemmeno oggi. La Sua identità non era (e non è) qualcosa di chiaro, lampante, indiscutibile, ma qualcosa di volutamente ambiguo, d’ambivalente, e non a caso. 

Gesù lasciava dei “segni” della Sua identità e missione, attraverso i quali “chi aveva occhi per vedere” poteva intenderla e così accoglierlo con fiducia. Nei vangeli ci sono riportati 35 miracoli compiuti da Gesù, dimostrazioni evidenti della Sua gloria e identità, alcuni fra questi pure spettacolari. Ciononostante, anche a quel tempo, molti continuavano a non credere in Lui: o li travisavano, o li ignoravano, o se ne scandalizzavano! Dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci, Gesù parla di Sé come del Pane della Vita, ma molti che prima erano stati pure attratti da Gesù, si allontanano da Lui, scandalizzati, mormorando, e Gesù osserva: “Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è dato dal Padre” (Giovanni 6:65). I miracoli di Gesù erano “segni rivelatori”. Essi bastano e avanzano, però, per fare intendere, “per chi ha occhi per vedere” chi sia Gesù. 

Il primo dei “segni rivelatori” o miracoli, compiuti da Gesù durante il Suo ministero terreno, avviene nella cittadina di Cana di Galilea, in occasione di una festa di nozze, alla quale era stato invitato con Maria, Sua madre e con i Suoi primi discepoli. Si tratta del l’episodio in cui Gesù trasforma acqua in vino. Solo pochi si accorgono di quanto effettivamente avviene. La maggior parte dei presenti rimane certo sorpresa di questa strana e improvvisa abbondanza d’ottimo vino. Ne godranno, però, senza neanche dire grazie, dimenticandosi ben presto delle circostanze della sua apparizione e senza più farsi delle domande. Tanto basta, però, per dare ai discepoli di Gesù, a coloro per i quali Gesù veramente “importa”, un significativo messaggio sulla Sua identità, missione e “rilevanza storica”.

“Tre giorni dopo, si fecero delle nozze in Cana di Galilea, e c’era la madre di Gesù. E Gesù pure fu invitato co’ suoi discepoli alle nozze. E venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: Non han più vino. E Gesù le disse: Che v’è fra me e te, o donna? L’ora mia non è ancora venuta. Sua madre disse ai servitori: Fate tutto quel che vi dirà. Or c’erano quivi sei pile di pietra, destinate alla purificazione de’ Giudei, le quali contenevano ciascuna due o tre misure. Gesù disse loro: Empite d’acqua le pile. Ed essi le riempirono fino all’orlo. Poi disse loro: Ora attingete, e portatene al maestro di tavola. Ed essi gliene portarono. E quando il maestro di tavola ebbe assaggiata l’acqua ch’era diventata vino (or egli non sapeva donde venisse, ma ben lo sapevano i servitori che aveano attinto l’acqua), chiamò lo sposo e gli disse: Ognuno serve prima il vin buono; e quando si è bevuto largamente, il men buono; tu, invece, hai serbato il vino buono fino ad ora. Gesù fece questo primo dei suoi miracoli in Cana di Galilea, e manifestò la sua gloria; e i suoi discepoli credettero in lui” (Giovanni 2:1-11).

In oriente, le feste di matrimonio spesso duravano sette giorni; dopo che lo sposo va a prendere la sposa dalla sua casa o dalla casa del padre, e prima della consumazione del matrimonio, avveniva questo lungo festeggiamento. Si mangiava e si beveva allegramente, e le famiglie che potevano non badavano a spese. Avevano invitato, per l’occasione, certamente i maggiorenti del paese, e sicuramente per loro era un onore avere, fra gli invitati, Gesù e i Suoi discepoli, che stavano diventando “famosi” in Israele. Gesù aveva beneficato già tante persone e, sicuramente – essi pensavano – sarebbe stato di benedizione anche per quella famiglia e per quei novelli sposi. Sicuramente sarebbe stato così per loro, ed è così per chiunque, anche oggi, vuol fare altrettanto! 

Viene a mancare il vino! 

A un certo punto durante quei festeggiamenti accade l’imprevisto. Gli organizzatori di questa festa nuziale, evidentemente, non erano stati abbastanza lungimiranti da fornire sufficienti provviste per tutta la considerevole durata della festa. Viene così a mancare il vino, “essenziale” in queste occasioni e la cosa avrebbe sicura mente “rovinato la festa”. 

La cosa è notata da Maria, che sicuramente era una donna avveduta e previdente. Nel momento in cui Maria vede che il vino era finito, si rivolge a Gesù nella speranza che Egli possa risolvere il problema. Come se Gli dicesse: “E adesso che si fa? Hai qualche idea per aiutare questa gente a venire a capo di questa situazione?”.

Maria non si aspettava necessariamente un miracolo, perché sicuramente Maria non aveva mai visto Gesù compiere miracoli. Maria, però, conosce Gesù, sa che Egli non rimane mai indifferente quando vede intorno a Sé dei problemi, e che Egli trova sempre modo d’intervenire e di venirne a capo. Gesù, infatti, quando vede un problema si dà da fare per cercare e trovarne una soluzione, non necessariamente in modo “miracoloso”. Quando noi abbiamo dei problemi, crediamo che dei miracoli possano risolverli, ma il più delle volte basterebbe solo un po’ più di creatività e d’inventiva… 

Gesù però, all’insistenza di Sua madre, considera inopportuno il Suo intervento in un caso come questo. I Suoi interventi sono mirati e avverranno a tempo e a luogo. Non vuole interferenze, nemmeno dalla madre. Certo, Gesù non è venuto per riempire la pancia di vino a chi coglie ogni occasione per divertirsi. Anche oggi spesso alcuni ritengono che Dio sia al servizio dei propri comodi e del proprio piacere e non si preoccupa minimamente di conoscere e di mettere in atto la Sua volontà. Gesù certo interverrà, ma il Suo intervento sarà una lezione importante non tanto per quella gente gaudente, ma per i Suoi discepoli e per noi che, attraverso il gesto che farà, il “segno” che compirà, avremo un’ulteriore conferma della Sua identità e missione, delle finalità della Sua opera. Maria non deve interferire nell’opera salvifica di Gesù, ma qui dà anche a noi un prezioso e saggio consiglio: «Fate tutto quel che vi dirà» (v. 5). 

Le lezioni di un miracolo 

Ciò che Gesù compie, la trasformazione di acqua in vino, diventa, così, una “lezione” per i Suoi discepoli. Egli imprime nella loro mente dei “segni” della Sua identità, messaggio e missione, che forse non comprenderanno subito, ma che più tardi saranno loro chiari. 

1. Solo Dio può fare queste cose. Giovanni interpreta il significato di questo miracolo, prima di tutto come una manifestazione della gloria di Cristo, della Sua identità. La gloria e la potenza di Cristo è la stessa di quella che, in natura, è tale da trasformare l’acqua in vino, in seguito alla fermentazione del succo d’uva. Come vedranno in seguito, quella di Gesù è potenza per calmare un mare in tempesta, guarire da malattie, risuscitare i morti, moltiplicare pani e pesci, scacciare demoni, perdonare i peccati, ecc. Tutto questo dovrebbe portare a pensare: Chi potrebbe mai fare tutte queste cose assieme se non Dio stesso? Chi mai potrebbe parlare in modo così intimo di Dio se non Colui che da sempre era stato “nel seno del Padre”, che condivide la gloria di Dio Padre? Se si mettono assieme tutti questi “indizi”, quella sola è la conclusione: con Gesù siamo di fronte a Dio stesso! Il concetto di “gloria” si applica, nella Bibbia, in modo supremo, soltanto a Dio, il quale è il Creatore e il Reggitore dell’universo, e davanti al quale ogni ginocchio si deve piegare. Nell’Antico Testamento, Dio manifestava la Sua gloria con diversi avvenimenti miracolosi, e il commento di Giovanni indica come egli voglia che i suoi lettori riconoscano la divinità di Cristo. Il Figlio di Dio possiede per Suo stesso diritto la gloria di Dio. Il “segno” che Gesù compie, però, pure indica altre cose.

2. Colui che porta gioia. Anticamente, la potenza di Dio attraverso Mosè aveva trasformato l’acqua del Nilo, in Egitto, in sangue. Quello era stato espressione del giudizio di Dio (Esodo 7:14-24) contro l’ostilità e la durezza di cuore del Faraone: quella trasformazione aveva portato molta afflizione all’Egitto. Gesù, invece, trasformando l’acqua in vino, porta gioia. Il vino è, nella Bibbia, simbolo di gioia. “Il vino che rallegra il cuore dell’uomo” (Salmi 104:15), dice la Scrittura. Il libro dei Proverbi dice addirittura: “Date bevande alcoliche a chi sta per perire, e del vino a chi ha il cuore amareggiato” (Proverbi 31:6). C’è, però, Chi può dare gioia vera e duratura ancora meglio: l’opera di Dio in Gesù. L’Evangelo di Gesù Cristo è “gioiosa notizia” perché Egli è Mediatore della riconciliazione umana con Dio, Mediatore di una rinnovata comunione con Dio. L’uomo e la donna “ritrovano Dio” in Gesù, trovano gioia autentica perché è solo in comunione con Dio che la creatura umana può essere davvero realizzata. Gesù è Mediatore di tutto questo, perché assumerà Lui stesso il costo di questa riconciliazione con Dio: la Sua morte, il sacrificio del Suo corpo, lo spargimento del Suo sangue per il perdono dei peccati di ciascuno che a Lui si affida. Non a caso pure il vino diventerà simbolo del sangue che Lui versa per la salvezza di coloro che a Lui sono stati affidati. Quel vino che Gesù miracolosamente procura a quella giovane coppia di sposi, dimostrazione della Sua misericordiosa condiscendenza, è il dono della Sua grazia e indica che solo in comunione con Dio che si può trovare la gioia di una vita veramente realizzata.

3. Colui che trasforma la realtà. La trasformazione, da parte di Gesù, dell’acqua in vino, ha pure un terzo significato: è pure segno che è Lui, Gesù, che può trasformare, cambiare veramente le cose in una persona, nella società, nella realtà stessa. Notate da dove proviene quell’acqua trasformata in vino: da sei recipienti di pietra che contenevano l’acqua adoperata per il rito israelita della purificazione prima e dopo i pasti. “Purificarsi” così era un’usanza, una cerimonia religiosa in uso a quel tempo. Quel rito poteva veramente “purificare”, moralmente e spiritualmente, la vita di una persona? No, al massimo era un simbolo, ma non lo faceva veramente. Ci vuole ben altro per purificare una persona dalla contaminazione di ciò che davanti a Dio è peccato. Solo l’opera di Gesù può farlo perché Egli è “L’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo!” (Giovanni 1:29). Ciò che prima è solo “acqua”, ora diventa “vino”. Questo “segno” è appunto un “segnale indicatore” che punta a Gesù come a Colui che trasforma vuote cerimonie religiose nella sostanza di una vita trasformata. L’apostolo Paolo dice: “Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove” (2 Co. 5:17). Di questo possono testimoniare tutti coloro che, in ogni tempo e paese, hanno affidato a Cristo la loro vita.

4. Un ottimo vino. Quando il “maestro delle cerimonie” assaggia quel vino che Gesù aveva procurato, sente che era molto più buono di quello che aveva bevuto fino a quel momento: diversamente dal solito, per cui il vino buono veniva servito per primo, e la qualità più scadente alla fine, egli constata che questo vino, benché servito per ultimo, era ottimo. Questo fa venire in mente quella frase dell’apostolo Pietro che dice, anche se lo dice a proposito del latte, ma il concetto è lo stesso: “Come bambini appena nati, desiderate il puro latte spirituale, perché con esso cresciate per la salvezza, se davvero avete gustato che il Signore è buono” (1 Pietro 2:2,3). È davvero difficile far capire a chi non lo ha mai sperimentato, quanto sia buono e amabile il Signore, quanto sia desiderabile la Sua presenza, quanto sia soddisfacente immergersi nella Sua Parola e trovare in essa un piacere maggiore di quanto mai possa dare ciò che il mondo possa offrire! Alcuni non riescono a capire, per esempio, che magnifica esperienza sia il canto dei Salmi. Essi esprimono lo stesso sentimento. Perché le Scritture insistono sull’importanza del canto dei Salmi, parola ispirata di Dio? Perché quanto questi salmi esprimono è vero. Non si tratta di “una questione di gusti” o di optional sostituibili da altre composizioni. Ecco perché, si potrebbe dire che “i gusti” di molti dovrebbero essere “rieducati” ad apprezzare la comunione con Dio e ciò che Egli ha messo a nostra disposizione per giungervi. I loro “gusti”, infatti, sono stati rovinati dalle “cattive abitudini alimentari” che troppo spesso ci caratterizzano. Provare “il vino” di Cristo, potrebbe rivelarsi una gradita sorpresa, proprio come era stata una sorpresa per la gente a quella festa gustare la bontà di ciò che era stato loro provveduto. 

Conclusione 

Al termine l’evangelista scrive: “Gesù fece questo primo dei suoi segni miracolosi in Cana di Galilea, e manifestò la sua gloria, e i suoi discepoli credettero in lui” (v. 11). Egli mette proprio in rilievo che si tratta di un “segno miracoloso”, di un indizio importante su Gesù, del primo fra quegli “indizi” che, sommati l’un l’altro avrebbero condotto i discepoli di Gesù ad accompagnarlo per quei tre anni fino al Suo sommo sacrificio sulla Croce, e oltre, alla Sua risurrezione dai morti, alla Sua ascensione. Anche la nostra generazione è chiamata a “raccogliere gli indizi” su Gesù, come ci sono trasmessi dalla Sua Parola registrata nella Bibbia, come pure dall’esaminare attentamente le testimonianze antiche e moderne dell’opera di Gesù in uomini e donne che si sono affidati a Lui, riflettere attentamente su di questo, e trarne le dovute conseguenze. Si dice che la nostra generazione sia stupida e superficiale e che non rifletta abbastanza attentamente sulle cose. Potrebbe essere, ma conosco molte persone che dopo aver considerato attentamente tutte le cose, giungono a Cristo con fiducia, facendo di Lui il loro Signore e Salvatore. Essi Lo scoprono come la presenza stessa di Dio fra noi, come Colui che porta loro gioia, come Colui che trasforma la loro realtà, come Colui che si dimostra davvero “buono”. Ancora oggi, per grazia di Dio, avviene quanto avveniva allora. Dovreste forse vedere anche voi tangibili miracoli per poter credere? Non necessariamente, perché Giovanni è fiducioso che anche ciò che è scritto nella Bibbia può essere strumentale per il miracolo della conversione a Cristo. Egli, infatti, scrive: “Questi sono stati scritti, affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e, affinché, credendo, abbiate vita nel suo nome” (Giovanni 20:31). Gesù dice a Tommaso: “Perché mi hai visto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” (Giovanni 20:29). Che così possa avvenire anche per voi: giungere ad affidarvi consapevolmente a Cristo e “avere vita nel Suo nome”. 

Paolo Castellina, 9-1-2022, riduzione della mia predicazione del 16-01-2005