La capacità di “vedere oltre” (2 Corinzi 4:3-6)

Domenica 14 febbraio 2021 – Ultima domenica dopo l’Epifania

Letture bibliche: Salmo 50:1-6; 2 Re 2:1-12; 2 Corinzi 4:3-6; Marco 9:2-9

Molti oggi dicono di credere “solo a quello che vedono”. Siamo però sicuri che vedano tutta la realtà come essa si trova? Sono tante, di fatto, le cose che non vediamo, quelle di cui non ci accorgiamo, quelle delle quali non ci avvediamo. Non si tratta di “una questione di diottrie”, ma di sensibilità, di capacità percettiva. Percepire significa sperimentare stimoli, effettuare discriminazioni tra di essi e comporli in un insieme dotato di significato. E’ la nostra mente, infatti, che ci permette di vedere, di percepire la realtà che ci circonda. Se la nostra mente è ottusa, poco sensibile, o inquadrata in pregiudizi di vario tipo tante cose non le vediamo. Le donne, per esempio, hanno generalmente una sensibilità maggiore di quella degli uomini, e spesso percepiscono cose che sfuggono a tanti uomini. Non riuscire a percepire qualcosa viene oggi considerato persino patologico, un disturbo della percezione. Alle volte questo disturbo consiste nell’impossibilità di comprendere il mondo psichico degli altri come in alcune forme di autismo.

Fin dall’inizio, l’annuncio dell’Evangelo, si è trovato di fronte all’opposizione, spesso ostinata, di molti che, rinchiusi nelle strutture dei loro pregiudizi, non volevano e, di fatto, non potevano accogliere una diversa prospettiva sulla realtà, quella incarnata nel Salvatore Gesù Cristo. Di questo fenomeno abbiamo nelle Sacre Scritture molti esempi sia fra il popolo ebraico, in cui era scaturita, sia fra i pagani. Solo un forte e diretto intervento di Dio sarebbe stato necessario per rompere le sbarre di quelle prigioni che non solo erano fatte di strutture di pensiero esteriori, ma anche interiori, vale a dire ben radicate nella mente dei prigionieri stessi. E’ un po’ come aprire le porte di un carcere affinché chi vi è imprigionato vi esca ma …il prigioniero non vuole uscirne perché ha paura della libertà e il carcere, benché oppressivo, gli offre in qualche modo ordine e sicurezza. Questo era successo all’apostolo Paolo stesso che, pur conoscendo l’Evangelo, ne era diventato violento oppositore. Sarebbe stato necessario un forte “scossone” interiore da parte di Dio per liberarlo dalle sue catene mentali e condurlo al ravvedimento ed alla fede nel Salvatore Gesù Cristo. Lo stesso vale ancora oggi.

E’ così pure per esperienza diretta che Paolo può scrivere le seguenti parole tratte dalla sua seconda epistola ai cristiani di Corinto dove egli parla del perché vi sia nell’uomo e nella donna una così forte resistenza iniziale all’Evangelo, una resistenza che solo l’opera sovrana di Dio può infrangere. Ascoltiamo.  

“(3) Ma se il nostro evangelo è ancora velato, esso lo è per quelli che periscono, (4) nei quali il dio di questo secolo ha accecato le menti di quelli che non credono, affinché non risplenda loro la luce dell’evangelo della gloria di Cristo, che è l’immagine di Dio. (5) Noi infatti non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù, il Signore, e siamo vostri servi per amore di Gesù, (6) perché il Dio che disse: «Splenda la luce fra le tenebre», è lo stesso che ha fatto brillare il suo splendore nei nostri cuori per illuminarci nella conoscenza della gloria di Dio, che rifulge sul volto di Gesù Cristo” (2 Corinzi 4:3-6).

Paolo, nel capitolo da cui è tratto questo testo, torna al tema di che cosa voglia dire per lui essere un ministro della Nuova Alleanza (3:6). Questo ministero, o servizio, era lo strumento attraverso il quale il santo Spirito di Dio apre gli occhi alle persone e trasforma il loro carattere. Questo per lui era motivo di incoraggiamento perché non erano le tecniche che egli usava, la sua capacità persuasiva o la forza delle sue argomentazioni che portavano persone al ravvedimento ed alla fede nel Salvatore Gesù Cristo, ma la sovrana ed irresistibile opera di Dio nel loro cuore e nella loro mente. Suo compito non era semplicemente imporre sulle persone le elevate norme etiche e morali di Dio, così come faceva Mosè con la sua legge ed insegnamento, ma essere strumento dell’agire sovrano della grazia di Dio, agente dello Spirito Santo. Paolo riconosce che Dio, nella Sua misericordia gli aveva dato il privilegio di essere ministro di un’alleanza superiore a quella mosaica. E’ come se Paolo dicesse ai suoi critici: “Noi non abbiamo bisogno di ricorrere a sottigliezze vergognose e sotterfugi. Il successo dell’Evangelo è inevitabile perché operato da Dio stesso per nostro mezzo”.

I critici di Paolo a Corinto lo accusavano apparentemente di comportamento ingannevole (cfr. 7: 2 ; 12:16). Egli così continua qui la sua autodifesa al capitolo 2 dal versetto 17. Paolo non aveva bisogno di ingannare i suoi ascoltatori perché sarebbe stato lo Spirito Santo ad illuminarli riguardo alla verità trasformando i loro caratteri. Alcuni a Corinto potrebbero aver concluso che, poiché Paolo non richiedeva semplicemente obbedienza alla Legge mosaica, stava annacquando l’Evangelo per renderlo più accettabile. Lo accusavano di predicare “credenze facili”.

I. Ecco, così che egli scrive: “Ma se il nostro evangelo è ancora velato [coperto, oscuro], esso lo è per quelli che periscono [quelli che sono sulla via della perdizione], nei quali il dio di questo secolo [di questo mondo corrotto] ha accecato le menti di quelli che non credono [ha accecato la mente incredula], affinché non risplenda loro la luce dell’evangelo della gloria di Cristo [o del glorioso vangelo], che è l’immagine di Dio” (3,4).

Con il termine “velato” (o “coperto”) qui Paolo intendeva “oscurato”. Il motivo per cui molti non capiscono e apprezzano l’Evangelo è che Satana ha “accecato le loro menti”, cioè le ha oscurate. L’Evangelo in sé stesso non è affatto “oscuro” ma palese ed accessibile. Per i suoi critici, infatti, il suo vangelo non era affatto una rivelazione, uno “svelare”, ma un “velare”, un nascondere come mettendolo dietro ad una tenda! Per usare un’altra immagine, Paolo veniva accusato di “intorbidire le acque” rispetto a quella che essi credevano la chiarezza dell’osservanza salvifica di leggi, precetti e cerimonie religiose, quelle della tradizione ebraica. Era questo che rendeva l’Evangelo spesso “inaccettabile” all’ebreo che veniva esposto all’annuncio dell’Evangelo. La loro percezione della realtà era alterata da insegnamenti alienanti, come chi è intossicato dal bere troppo alcool e la sua mente diventa ottusa.  Radicati pregiudizi, infatti, “intossicano”. Erano le loro strutture religiose interiorizzate a diventare un ostacolo al ricevere l’Evangelo di Cristo. Il problema non stava in ciò che Paolo presentava ma in loro stessi. Essi ritenevano “oscuro” qualcosa di chiaro a causa della loro incapacità di percepirlo. Qui si parlava di strutture della tradizione ebraica; oggi potremmo parlare di radicati pregiudizi ideologici, come le strutture di pensiero dell’antropocentrismo o del materialismo, che impediscono a tanti di aprirsi verso prospettive che includono la presenza e l’opera di Dio nella realtà: cosa che “non vedono” e che si rifiutano di accettare.

Perché allora, in ultima analisi, l’Evangelo ancora oggi risulta “oscuro” o “coperto”a tanti? Notate quanto dice qui l’Apostolo: a causa dell’azione efficace in loro di una forza oscura, occulta. Il termine usato qui dalla nostra versione italiana per indicare questa forza occulta è “il dio di questo secolo”. Che mai significa “il dio di questo secolo”?  Si potrebbe dire che il termine “secolo” non sia di immediata comprensione perché non lo usiamo più in quel senso (difatti altre versioni lo rendono come “il dio di questo mondo”). Questo stesso termine, però, è usato oggi ampiamente nel suo derivato di “secolarizzazione” e “secolarismo”, ed allora si vede come il nostro testo descriva esattamente la nostra realtà. “Secolarizzazione”, infatti, è intesa come “liberazione” dalla dipendenza alla “religione”. Oggi l’essere umano si vanta di essersi reso “autonomo”, cioè, dio e legge a sé stesso. Non si avvede, però, di non essere affatto libero come crede di diventare, perché liberandosi dal Dio vero e vivente, si è inconsapevolmente esposto all’azione oscura di un altro “dio” (con la lettera minuscola), di un’altra divintà, cioè il nemico di Dio, Satana, che muove in questo mondo le forze spirituali della malvagità. Gesù chiama Satana è il “principe di questo mondo” (Giovanni 12:31). L’effetto di Satana sulla gente è quello di “accecare la mente”, tanto da non far loro percepire la gloria liberatrice dell’Evangelo. Affermare oggi questo fa inorridire molti nostri contemporanei perché, essi dicono, credere alla presenza efficace di un essere chiamato Satana è “roba da medioevo”. Eppure dicono così proprio perché l’astuzia di Satana è stata così efficace da nascondere la sua stessa presenza. Satana, difatti, agisce “dietro le quinte”, come un regista che dirige i suoi attori sulla scena affinché si comportino come lui vuole, legandoli a strutture e comportamenti predefiniti che, di fatto, non lasciano spazio a Dio.

Riempiendo la mente di pregiudizi e di false promesse, non solo Satana non vi lascia più spazio a Dio, ma altera e inabilita la percezione impedendo loro di vedere la gloria del Signore e Salvatore Gesù Cristo. Gesù Cristo, infatti, è l’immagine (in greco eikon, icona) di Dio nel senso che Egli rappresenta visibilmente e accuratamente il Dio invisibile. La Scrittura afferma: “Nessuno ha mai visto Dio; l’unigenito Figlio, che è nel seno del Padre, è colui che lo ha fatto conoscere” (Giovanni 1:18); “Egli è l’immagine dell’invisibile Dio” (Colossesi 1:15). Riuscire a “vedere”, a percepire incontestabilmente la gloria del Cristo è il risultato di una rivelazione soprannaturale come quella concessa da Gesù a Pietro, Giacomo e Giovanni nell’episodio evangelico della Trasfigurazione. Ascoltiamo il testo che ne parla:

“Sei giorni dopo Gesù prese con sé tre discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni, e li portò su un alto monte, in un luogo solitario. Là, di fronte a loro, Gesù cambiò d’aspetto: i suoi abiti diventarono splendenti e bianchissimi. Nessuno a questo mondo avrebbe mai potuto farli diventar così bianchi a forza di lavarli. Poi i discepoli videro anche il profeta Elia e Mosè: stavano accanto a Gesù e parlavano con lui. Allora Pietro cominciò a parlare e disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi stare qui! Prepareremo tre tende: una per te, una per Mosè e una per Elia». Parlava così, perché non sapeva che cosa dire. Infatti erano spaventati. Poi apparve una nuvola che li avvolse con la sua ombra, e dalla nuvola si fece sentire una voce: «Questo è il Figlio mio, che io amo. Ascoltatelo!». I discepoli si guardarono subito attorno, ma non videro più nessuno: con loro c’era solo Gesù. Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò di non raccontare a nessuno quel che avevano visto, se non quando il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti” (Marco 9:2-9).

Il Cristo glorificato è la rivelazione ultima ed escatologica di Dio che sovranamente concede “visione” a coloro a cui vuole dare la grazia della salvezza e che “libera i loro occhi” dalle “scaglie” che impediscono di rendersene conto.

II. Poi Paolo dice: “Noi infatti non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù, il Signore, e siamo vostri servi per amore di Gesù” (5). 

Anche se Paolo occasionalmente aveva bisogno di raccomandarsi alla coscienza del suo pubblico (v. 2 ; 6: 4 ) egli mai esaltava sé stesso. Invece, egli proclamava Gesù Cristo come un servo fedele annuncia il suo padrone piuttosto che sé stesso. Questo è ciò che aveva fatto a Corinto. Non si era comportato come il signore spirituale di quelle persone (1:24 ). Un araldo attira l’attenzione su di sé, semmai, solo per promuovere ciò che annuncia. Questo è anche ciò che ha fatto Gesù nell’incarnazione. Sia Paolo che Gesù hanno preso il ruolo di servitori e si sono impegnati a compiere la missione di Dio per loro, che implicava il servizio degli altri.

Quale visione più umile di se stesso potrebbe avere un messaggero del Vangelo che considerarsi non solo come un servitore di Gesù Cristo, ma anche come servitore di coloro ai quali ministrava? Sarebbe difficile descrivere il ministero cristiano in modo più completo in così poche parole. Quando Paolo predicava Cristo ai perduti lo presentava come Dio che in virtù della sua divinità è sovrano su tutte le persone (cfr. Romani 10: 9 ; 1 Corinzi 12: 3; Colossesi 2:6). L’implicazione qui è che la signoria equivale alla divinità. “SIGNORE” traduce regolarmente “Yahweh” nella LXX, e ci sono numerosi riferimenti nel NT a Gesù come “Signore” che fanno eco ai brani dell’Antico Testamento che in versione greca si riferiscono a Yahweh”.

III. Paolo dice infine: “…perché il Dio che disse: «Splenda la luce fra le tenebre» , è lo stesso che ha fatto brillare il suo splendore nei nostri cuori per illuminarci nella conoscenza della gloria di Dio, che rifulge sul volto di Gesù Cristo [per farci capire che è la sua gloria ciò che brilla sul volto di Gesù Cristo, o riflessa sul suo volto]” (6).

Perché Paolo si era comportato così come aveva fatto? Era perché Dio aveva dissipato le tenebre nel suo cuore illuminandolo con la conoscenza di Sé che gli giungeva attraverso la comprensione di Gesù Cristo. La rigenerazione della mente e del cuore individuale è un’opera di Dio tanto soprannaturale e potente quanto la creazione del cosmo (Genesi 1: 3). Ora Paolo voleva condividere quella luce con gli altri. Nella creazione fisica Dio ha parlato direttamente, ma nella creazione spirituale di una nuova vita di solito parla indirettamente attraverso i suoi servitori che annunciano e spiegano la Parola di Dio. Tuttavia è la sua Parola che crea nuova vita. Come la terra di Genesi 1:2, il peccatore perduto è senza forma e vuoto; ma quando si affida a Cristo, diventa una nuova creazione (2 Corinzi 5:17). Dio quindi inizia a formare e riempire la vita della persona che confida in Cristo, e comincia ad essere feconda per il Signore. Dio, dicendo: “Sia la luce!” rende tutto nuovo.

Indubbiamente qui Paolo si rifaceva pure alla sua esperienza di conversione sulla strada di Damasco. E’ stato allora che l’apostolo vede la gloria di Dio nel volto svelato di Gesù Cristo. La sincerità, semplicità e fermezza di Paolo che emerge in questo passo possono e devono contrassegnare tutti i ministri di Gesù Cristo.

Conclusione

Se hai ascoltato fin qui quanto ho detto e non sei credente, la Scrittura qui dice che di fatto sei imprigionato da strutture e da pregiudizi che ritieni indubitabili e in cui ti sembra di essere al sicuro. Se è così, allora sei come l’apostolo Paolo prima della sua conversione a Cristo. Conosceva la lettera dell’Evangelo perché l’aveva udita, ma la riteneva implausibile e persino pericolosa. Un giorno, però, per grazia di Dio, sulla via di Damasco, riceve “uno scossone” che trasformerà completamente la sua vita. Allora “gli cadono le scaglie dagli occhi” e comincia a vedere ciò che prima non vedeva: la gloria di Cristo e la salvezza che Egli porta all’essere umano. Così era accaduto a Pietro, Giacomo e Giovanni quando fanno esperienza della Trasfigurazione del Cristo. Posso solo così incoraggiarti a chiedere al Signore in preghiera di far cadere in te tali impedimenti e di “farti vedere” la gloria del Cristo affinché tu accolga l’Evangelo della salvezza – e pregare che questo avvenga. Da questo testo, infine, un ulteriore incoraggiamento va a chi è impegnato nell’annuncio dell’Evangelo. Lo dovrà annunciare fedelmente secondo l’esempio degli apostoli, e potrà avere la fiducia che non sarà mai vano o inefficace, perché come dice la Scrittura: “…così sarà la mia parola, uscita dalla mia bocca: essa non ritornerà a me a vuoto, senza avere compiuto ciò che desidero e realizzato pienamente ciò per cui l’ho mandata” (Isaia 55:11).

Paolo Castellina, 8 febbraio 2021

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