La necessità di cambiare il nostro modo di pensare (Marco 8:31-38)

Domenica 28 febbraio 2021 – Seconda domenica di Quaresima

Letture bibliche: Salmo 22:22-30; Genesi 17:1-7;15-16; Romani 4:13-25; Marco 8:31-38

In un articolo dal titolo: “Leggere le parole non significa capirle” dell’Accademia degli Uniti [1] si parla di come gran parte della nostra popolazione oggi sia analfabeta funzionale cioè: benché sappia leggere e scrivere (1) non comprende il senso di un testo; (2) non sappia costruire analisi articolate, e (3) che paragoni il mondo solo alle sue esperienze dirette. Paradossalmente, questo è il risultato dell’istruzione scolastica pubblica, usata da chi domina la nostra società per plasmare in un certo modo la mente delle persone. L’articolo citato constata come: “L’indottrinamento non avviene con la fase mediatica: essa è secondaria, nel senso che viene dopo l’indottrinamento culturale, l’asservimento sociale e lavorativo, l’indottrinamento scolastico. Per controllare le masse, si deve intervenire sull’immaginario, sedandolo e manipolandolo, da un lato, e offrendo, dall’altro, la soddisfazione dei beni primari, dal cibo al sesso. Per limitare la libertà delle masse, gli ‘spin doctors’ hanno scelto di intervenire antropologicamente su di esse, plasmando l’individuo fin dalla nascita, indottrinandolo sui banchi di scuola, informandolo attraverso i media e lo spettacolo, inducendolo persino a fare battaglie politiche, sociali e culturali in apparenza spontanee. Il popolo si è illuso di battersi per la propria libertà, rivendicando diritti che a posteriori si sono magari rivelati dei ‘cavalli di Troia’. Prima (temporalmente) inizia il condizionamento sulle menti delle nuove generazioni, più esso potrà essere efficace e capillare, maggiore sarà il suo successo. Noi viviamo in questo ‘ambiente”.

I “pre-giudizi” così formati era pure ciò contro il quale doveva combattere nella società del suo tempo, lo stesso Gesù quando si occupava della formazione dei Suoi discepoli. Ritroviamo questo nel testo del vangelo secondo Marco sul quale riflettiamo oggi: Marco 8:31-38. Esso costituisce una sorta di parentesi fra l’episodio di Gesù che guarisce un cieco a Betsaida (8:22-26) e la guarigione di un altro cieco, Bartimeo, a Gerico (10:46-25). Il tema dell’udire e comprendere Gesù, la sua identità, opera ed insegnamento sembra trovare proprio in quell’essere ciechi una descrizione figurativa. Gesù, infatti, era alle prese proprio del fatto che i Suoi discepoli fossero, in quella fase, ciechi alla verità che Egli insegnava loro. Dice loro, infatti:“Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? (…) Come, ancora non capite?” (8:18,21). Nella sua grande confessione di fede in Cristo (v. 29) Pietro dimostra di aver intravisto la verità su Gesù, ma i versetti che seguono rivelano come la sua visione fosse, di fatto, distorta dalla sua precedente falsa comprensione del significato di messianicità, quella che gli avevano precedentemente inculcato. E’ qui che dobbiamo anche noi chiederci in che modo i nostri pregiudizi influiscano e distorcano la nostra comprensione su chi sia Gesù e quindi, il nostro rapporto con Lui. Ascoltiamo il testo:

“Poi cominciò a insegnare loro che era necessario che il Figlio dell’uomo soffrisse molte cose, fosse riprovato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi e fosse ucciso, e dopo tre giorni risuscitasse. E parlava di queste cose apertamente. Allora Pietro, lo prese in disparte e cominciò a riprenderlo. Ma egli, voltatosi e riguardando i suoi discepoli, sgridò Pietro, dicendo: «Vattene lontano da me, Satana, perché tu non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini». Poi chiamata a sé la folla con i suoi discepoli, disse loro: «Chiunque vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua, perché chiunque vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi perderà la sua vita per amor mio e dell’evangelo, la salverà.  Che gioverà infatti all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde l’anima sua? O che cosa potrebbe dare l’uomo in cambio dell’anima sua? Perché chi si vergognerà di me e delle mie parole, in mezzo a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo, con i santi angeli»” (Marco 8:31-38).

In questo testo, nei versetti 31-33, Gesù parla ai discepoli. Nei versetti 34-38, Egli chiama la folla a unirsi ai discepoli nell’ascoltare i criteri per poter essere Suoi discepoli, il discepolato cristiano. Questa è la prima delle tre occasioni in questa sezione in cui Gesù predice la sua sofferenza e morte [2]. In tutte e tre le occasioni, i discepoli dimostrano la loro mancanza di comprensione su perché mai essa fosse necessaria e Gesù risponde espandendo il suo insegnamento sul discepolato. Dopo aver interrogato i Suoi discepoli su chi la gente pensava che lui fosse, alla domanda: “Ma voi, chi dite che io sia?”, Pietro risponde: “Tu sei il Cristo” (28), vale a dire il Messia, il Salvatore del mondo, evidenziando così come fosse essenziale conoscere la Sua identità autentica perché questo avrebbe avuto per loro conseguenze esistenziali.

I.

“Ecco così che Gesù: “Cominciò a insegnare loro che era necessario che il Figlio dell’uomo soffrisse molte cose, fosse riprovato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi e fosse ucciso, e dopo tre giorni risuscitasse. E parlava di queste cose apertamente (francamente). Allora Pietro, lo prese in disparte e cominciò a riprenderlo. Ma egli, voltatosi e riguardando i suoi discepoli, sgridò Pietro, dicendo: «Vattene lontano da me, Satana, perché tu non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini» (31-33).

Le parole “cominciò a insegnare loro” (v. 31a) segnalano un cambiamento. Fino ad ora, questo vangelo ha stabilito il potere e l’autorità di Gesù. Ora Gesù allontana i suoi discepoli dalla Galilea, dove aveva avuto grande successo, e dirige la loro attenzione verso Gerusalemme, dove Egli morirà. Mentre passa a questa nuova fase del suo ministero, deve iniziare a insegnare ai discepoli che cosa dovranno aspettarsi: non tutto sarebbe andato come fino a quel punto ne avevano fatto esperienza.

“…che era necessario che il Figlio dell’uomo soffrisse molte cose” (v. 31b). Gesù si riferisce qui a se stesso come “Figlio dell’uomo” piuttosto che Cristo o Messia, che è il modo in cui Pietro lo ha identificato poco prima. È probabile che il titolo: Figlio dell’uomo, suscitasse meno opposizione rispetto al titolo, Christos. Il popolo ebraico si aspettava che il Christos fosse un grande re e leader militare come Davide, ma non aveva simili aspettative nei confronti del Figlio dell’uomo. Già questo è inteso a correggere la loro percezione del Messia.

Mentre gli ebrei si aspettano un messia umanamente trionfante, Isaia nei capitoli 52 e 53 parla di un servitore sofferente che sì: “sarà onorato, esaltato e molto innalzato” (52:13) ma che pure sarà disprezzato e reietto dagli uomini, “uomo dei dolori che ben conosce il patire”, anzi “come uno davanti al quale ci si copre la faccia” per non guardare l’orrore della sua fine. Il che porterà molti a perdere ogni stima di Lui. Brutta fine, si direbbe, per un Messia!! Eppure, preannuncia il profeta, rilevando il senso ultimo di quella sorte: “Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti” (53:5), “Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo (…) fu eliminato dalla terra dei viventi, per l’iniquità del mio popolo fu percosso a morte” (53:8) [3]. Ecco perché tutto questo, nelle parole di Gesù, “era necessario”, “doveva” giungere a queste sofferenze. E’ il mistero dell’Imperativo Divino, perché è volontà di Dio che Gesù soffra, muoia e sia risorto, e c’è un buon motivo!

Doveva essere: “riprovato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi” (v. 31c). Questi tre gruppi comprendono il Sinedrio, l’organo dirigente del popolo ebraico di allora. Ecco il paradosso, non era l’umanità al suo peggio che avrebbe crocifisso il Figlio di Dio, ma coloro che dell’umanità si ritenevano il meglio, i più religiosi! Gesù, infatti, sarà arrestato con mandato ufficiale dello stato, processato e giustiziato dalla giurisprudenza che era l’invidia del mondo (il Sinedrio ebraico) e dal diritto romano. “…e fosse ucciso“: qui Gesù predice la sua morte ma non rivela ancora che avverrà per crocifissione.

“…e dopo tre giorni risuscitasse” (v. 31e). Dopo aver sentito la parola “ucciso”, siamo inclini, delusi ed abbattuti, a smettere di ascoltare, perché la morte di solito segna la fine della storia. Non dobbiamo, però, smettere di ascoltare prima del tempo. La “cattiva notizia” della morte di Gesù sarà superata dall’impensabile, la buona notizia della sua risurrezione.

Gesù “parlava di queste cose apertamente” (v. 32a), a chiare lettere. Molti degli insegnamenti di Gesù sono stati espressi in parabole o storie, che spesso nascondono tanto quanto rivelano. Qui, tuttavia, Gesù parla loro apertamente, senza possibilità di equivoci. Data questa chiarezza, ci chiediamo perché, allora, i Suoi discepoli non riescano a capire. La risposta, ovviamente, è che gli insegnamenti di Gesù vanno contro tutto ciò in cui credono. Indipendentemente da ciò che viene detto, infatti, le persone spesso ascoltano ciò che si aspettano di sentire.

Inoltre, i discepoli si erano sacrificati molto per seguire Gesù, e la cosa stava cominciando a dare i suoi frutti. Gesù aveva operato meraviglia dopo meraviglia e le folle stavano rispondendo bene. I discepoli vedono grandi possibilità davanti a loro e certo non possono accogliere nulla che suggerisca il contrario. Non dovremmo essere troppo critici nei loro confronti per aver rifiutato di accettare il discorso di Gesù sulla sua sofferenza e morte. Doveva suonare loro come se Gesù stesse attraversando un brutto momento e avesse bisogno di un po’ di incoraggiamento. Anche oggi – vero? – avendo saputo per tutta la vita come andrà a finire la storia, preferiamo un vangelo che prometta successo mondano. La croce è sempre stata qualcosa di difficile “da vendere”, da fare accettare, e lo sarà sempre.

Ecco così che “Pietro, lo prese in disparte e cominciò a riprenderlo” (v. 32b), a rimproverarlo. Notate qui l’audacia di Pietro. Aveva appena identificato Gesù come il Messia (v. 29), ma ora prende Gesù e lo rimprovera. Rimproverare il Messia!? Anche noi siamo  talvolta tentati di rimproverare Gesù quando non riesce a soddisfare le nostre aspettative, quando non risponde alle nostre preghiere come ci aspetteremmo. C’è un parallelo qui fra Gesù che “cominciò a insegnare” (v. 31) e Pietro che “cominciò a riprenderlo” (v. 32).

Qual è la risposta di Gesù? E’ “Vattene lontano da me!” (33a), o “Lungi da me!”, “Vattene via da me!”, dicono le nostre versioni italiane. Di fatto, però, è migliore la versione latina, che dice: “Vade retro”, cioè “Vai dietro di me” (opiso mou dice l’originale, v. 33a). Quando Gesù incontra Pietro per la prima volta, che cosa gli aveva detto? Gli aveva detto: “Seguimi!”, cioè “Vieni dietro a me” (1:17) come mio discepolo. Da allora Pietro “viene dietro” a Gesù, lo segue, per quanto imperfettamente. Ora, però, rimproverando Gesù, gli si fa davanti. E’ così che ora Gesù gli ordina di riprendere il suo posto, “dietro” come discepolo, invece di “andargli davanti”, guidare, di diventare lui, Pietro, il maestro di Gesù!

Peggio, Gesù gli dice: “Vattene lontano da me, Satana” (v. 33a). Gesù si riferisce a Pietro come a Satana. Questo Vangelo fornisce pochi dettagli sulle tentazioni di Gesù nel deserto, quelle che Gli rivolge Satana. Alcuni studiosi pensano a questo incontro tra Pietro e Gesù come la versione di Marco della storia della tentazione: la tentazione è quella di eludere la croce, di evitare quella fine, prendere una via diversa. E’ probabile che Gesù trovasse la tentazione di Pietro ancora più pericolosa delle tentazioni menzionate in Matteo 4, perché Pietro è un discepolo e un amico piuttosto che un avversario: un uomo ben intenzionato piuttosto che la personificazione del male. Anche noi siamo molto più inclini ad ascoltare una voce amica di quella di un noto malfattore.

Notate i colpi di scena della storia. Per prima cosa, Pietro si era esposto e aveva dato la risposta giusta (v. 29). Quanto è bello avere la risposta giusta! Ora Gesù lo chiama Satana… In un batter d’occhio, Pietro è passato da primo della classe all’asino che dev’essere messo dietro alla lavagna! Immaginate quanto doveva sentirsi confuso, Pietro. La risposta di Gesù rende chiaro che il posto dei discepoli è “dietro a Gesù”. Devono seguire, non guidare!

Gesù poi aggiunge: “…perché tu non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini” (v. 33b), cioè: “Tu guardi le cose da un punto di vista prettamente umano e non da quello di Dio”. Già, è difficile, per chi è ancorato ai suoi presupposti prettamente umani, entrare nella “logica” di Dio, ma ogni discepolo di Cristo lo dovrà fare: per questo sta alla scuola del Cristo. Come si esprime l’apostolo Paolo: “Infatti il messaggio della croce è follia per quelli che periscono, ma per noi che siamo salvati è potenza di Dio” (1 Corinzi 1:18). Alcuni studiosi pensano che Pietro fosse una delle fonti di Marco per le storie di questo Vangelo. Se è così, Pietro potrebbe essere la fonte di questa storia negativa su sé stesso.

II.

Dopo aver parlato ai Suoi discepoli, ora Gesù chiama la folla ad unirsi a loro per una lezione applicabile a tutti sul discepolato:

“Poi chiamata a sé la folla con i suoi discepoli, disse loro: «Chiunque vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua, perché chiunque vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi perderà la sua vita per amor mio e dell’evangelo, la salverà. Che gioverà infatti all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde l’anima sua? O che cosa potrebbe dare l’uomo in cambio dell’anima sua? Perché chi si vergognerà di me e delle mie parole, in mezzo a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo, con i santi angeli»”.

Gesù dice: “Chiunque vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (v. 34b). Discepolato implica abnegazione, la disposizione spirituale di chi rinuncia a far prevalere istinti, desideri, interessi personali, per motivi superiori. All’epoca in cui era stato scritto questo Vangelo, i cristiani stavano letteralmente portando croci e perdendo la vita. Lo sport ci potrebbe fornisce un’analogia. Le partite si vincono, non solo sul campo di gioco, ma anche sul campo della pratica. Per vivere la gloria il giorno della partita, l’atleta deve prima spingersi al limite sul campo della pratica. Il condizionamento fisico è doloroso e praticare i fondamentali è faticoso, ma lo scopo della disciplina non è né dolore né noia, ma vittoria. Così è nel regno spirituale. La disciplina spirituale genera vittoria spirituale. La chiesa è sempre tentata di offrire un discepolato meno costoso nella speranza di attirare più persone. Una vocazione debole, tuttavia, solo produce discepoli deboli.

La sfida di perdere la vita per amore di Gesù è in conflitto con i valori moderni. La conservazione della vita è un’industria importante. La medicina moderna, la corretta alimentazione e l’esercizio fisico prolungano la nostra vita. Le misure anti-pandemia arrivano fino all’assurdo. Cosmetici e chirurghi plastici preservano il nostro aspetto. I direttori di pompe funebri continuano il lavoro anche dopo la morte. E’ sicuramente difficile ascoltare la chiamata di Gesù a perdere la vita per amor suo. Quando questo Vangelo era stato scritto per la prima volta, i cristiani correvano letteralmente il pericolo di perdere la vita a causa della loro fede. Erano tentati di rinnegare Cristo per salvare le loro vite. Questo è ancora vero per molti cristiani oggi. Noi che, per il momento, non siamo ancora stati minacciati al martirio dobbiamo tenere questa questione davanti alle nostre comunità. Dobbiamo sostenere e pregare affinché i fratelli e le sorelle in fede vedano alleviate le loro sofferenze in ogni modo possibile. Certo il fatto che Cristo benedica i martiri cristiani non è una scusa per permettere alla nostra apatia di contribuire al martirio dei nostri fratelli e sorelle cristiani.

Le sfide che la maggior parte di noi deve affrontare sembrano banali rispetto al martirio. I luoghi di lavoro sono inospitali per la testimonianza cristiana. Gli allenatori programmano le partite proprio la domenica mattina, costringendo i giovani a scegliere tra lo sport e Gesù. Le persone etichettano i cristiani come fanatici o bigotti per convinzioni contrarie alla cultura prevalente. Queste sono questioni serie e dolorose, ma sono molto al di sotto del tipo di persecuzione che i cristiani hanno sopportato nel corso dei secoli e che continuano a sopportare anche oggi in molte parti del mondo. Saremmo disposti a morire per Cristo, ma troveremmo difficile vivere per Cristo giorno dopo giorno. La maggior parte dei cristiani non è sempre chiamata a compiere il grande gesto, ma è invece chiamata a pagare il prezzo del discepolato “un quarto alla volta”. Non è glorioso come il martirio, ma la nostra disponibilità a spendere “i quarti” quando sono necessari è più importante della nostra disponibilità a morire quando non è necessario.

Gesù dà qui un triplice standard per il discepolato. Dobbiamo (1) rinnegare noi stessi (2) prendere la nostra croce e (3) seguire Gesù. Gesù non ci chiama a negare il nostro valore. Siamo creati a immagine di Dio, quindi come potremmo non avere valore? Né ci chiama a negarci il piacere: l’asceta può essere la persona più centrata sull’ego di tutte. Gesù invece ci chiama a fare di Dio il centro dei nostri affetti, a subordinare la nostra volontà alla volontà di Dio. Il gioco è per la posta in gioco più grande di tutte – la vita stessa – la vita eterna – la vita significativa – la vita vissuta alla presenza di Dio Padre. Non esiste una strategia senza rischi per quanto riguarda la fede: nessun porto sicuro ma redditizio. Si parla di “salto di fede” proprio perché la fede, a un certo punto, implica l’abbandono delle forme tradizionali di sicurezza e il salto nell’oscurità nella fede che Gesù ci aiuterà ad atterrare sani e salvi.

L’immagine è una scena del giudizio in cui dipenderemo completamente dall’aiuto di Gesù. Gesù è descritto altrove come il nostro avvocato o paraclito, come lo Spirito Santo. Un paraclito è un aiutante, un avvocato difensore. Nel Giorno del Giudizio, avremo bisogno che Cristo serva come nostro paraclito, il nostro avvocato, il nostro difensore. Poiché viviamo in una “generazione adultera e peccatrice” (v. 38), non possiamo aspettarci una pacca sulla spalla per un annuncio fedele, ma dovremmo invece aspettarci opposizione. Una generazione adultera e peccatrice non può sopportare la verità. Dovremmo aspettarci che distorca la verità in modo che sembri una bugia e che tratti spietatamente chi dice la verità. Vivendo tra queste persone, saremo sempre tentati di silenziare la nostra testimonianza a Cristo per evitare controversie e per sfuggire alla persecuzione. Tuttavia, Gesù avverte che, nel Giorno del Giudizio, Egli si vergognerà della persona che si è vergognata di lui, la persona che ha “disattivato” la sua testimonianza. Gesù avverte che non “sarà lì” per quella persona – non servirà come suo avvocato – lasciando così quella persona vulnerabile – indifesa. Gesù implica che anche l’opposto è vero – che Gesù “sarà lì” a parlare per la persona che ha parlato per Gesù – che servirà come nostro avvocato. Lo scopo di Gesù in v. 38 non è quello di stabilire motivi per abbandonarci, ma piuttosto di dirci come ottenere il suo sostegno ed evitare di perdere la vita (v. 36), di “perdere l’anima”, quel che più conta.

E’ chiaro, perciò, che vi sia ancora molto da fare, in noi, per liberarci dai nostri pregiudizi e cambiare il nostro modo di pensare per allinearlo alla volontà di Dio. Questo, però, è il discepolato cristiano. “Ravvedetevi e credere all’Evangelo” è un processo che dura tutta la vita per il cristiano. Siete voi “in quest’ordine di idee”?

Paolo Castellina, 21 febbraio 2021

[1] di Enzo Trentin, in: https://blogdiet.wordpress.com/2021/02/21/leggere-le-parole-non-significa-capirle/

[2] Vedere anche 9:31 e 10:33-34.

[3] Vedi anche Salmo 22, Salmo 69 e Zaccaria 9-14.[4] In greco: parakleton (1 Giovanni 2:1).