La profondità di un’amore (2 Corinzi 8:9)

27 Giugno 2021 – Quinta domenica dopo Pentecoste

Letture bibliche: Salmo 130; 2 Samuele 1:17-27; 2 Corinzi 8:7-15; Marco 5:21-43

“Ti amo dal profondo del mio cuore” si dice ad una persona a cui si vuole molto bene. Questo indica non solo l’autenticità e l’intensità del sentimento, ma anche fin dove si sarebbe pronti ad andare per raggiungerla. Cantava di un simile amore l’antico mito greco di Orfeo ed Euridice, dove Orfeo, per ricuperare la sua amata e defunta Euridice era stato disposto ad addentrarsi egli stesso fino nella profondità dell’Ade, il mondo dei morti.

L’amore di Dio per creature umane perdute era ed è così profondo e forte da venire Egli stesso fra di noi in questo mondo nella persona di Gesù Cristo, tanto che, come dice la Bibbia, “…trovato nell’esteriore simile ad un uomo, abbassò sé stesso, divenendo ubbidiente fino alla morte e alla morte di croce” (Filippesi 2:8). Non si tratta di un mito, ma di un fatto senza paralleli nelle religioni e filosofie di questo mondo. In Gesù Dio, sotto l’impulso una grande, stupefacente ed immeritata compassione per la condizione umana, volontariamente si umilia, si abbassa, “si fa povero”, “si svuota” dell’eterna Sua gloria e perfezione per assumere la natura umana, in tutte le sue limitazioni, contraddizioni e miserie. Non solo questo, ma Egli sceglie la condizione dei più disagiati nella società, degli ultimi, e persino muore della morte riservata in questo mondo a coloro a cui è tolta ogni dignità.

E’ quanto afferma, fra i tanti, pure il testo biblico che consideriamo questa domenica: “Voi conoscete infatti la grazia del Signor nostro Gesù Cristo il quale, essendo ricco, si è fatto povero per voi, affinché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (2 Corinzi 8:9).

E’ ciò che la teologia chiama l’umiliazione del Cristo e che il Catechismo di Westminster definisce così: “L’umiliazione di Cristo consiste nella Sua nascita come uomo, ed una nascita d’umile condizione, nell’essersi sottomesso alla legge ed a tutte le miserie della vita, all’ira di Dio, ed alla morte maledetta su una croce, nell’essere stato sepolto e nell’essere rimasto per un certo tempo sotto il potere della morte”.

L’avvenimento più grande che sia avvenuto nella storia umana riguarda, infatti, la realizzazione del progetto di Dio di redimere dal peccato il Suo popolo. Il sacrificio di Cristo, di fatto, non comincia sulla croce, e nemmeno con la Sua nascita. Esso comincia nell’eternità. La nascita di Gesù e la tomba vuota sono, per così dire, come due parentesi che racchiudono il miracolo del progetto di Dio per la salvezza umana, opera Sua e non nostra. La Sua umiliazione è l’atto stesso che sta dietro al proposito di grazia che rese necessaria l’incarnazione. Gesù venne per “farci diventare ricchi per mezzo della sua povertà”, per salvarci. Nella Sua umiliazione Cristo conferma alcuni dati sulla condizione umana che noi faremmo bene a non ignorare, e mette in evidenza dei valori che, anche come cristiani, noi tendiamo a trascurare.

1. Cristo conferma l’umiliazione della condizione umana

Perché il fatto di nascere come uomo è da Lui considerato un’umiliazione? Un tempo, sulla scia dell’Illuminismo si credeva molto nella grandezza dell’uomo e nel suo irrefrenabile e glorioso progresso verso le alte vette dell’evoluzione. L’uomo ha capacità illimitate, si diceva, da solo potrà risolvere ogni problema, aperte a lui sono illimitate prospettive di potenza e di conoscenza. A quante delusioni e frustrazioni, però, è andato incontro chi confidava nelle capacità umane! Ad un duro risveglio è stato costretto chi si è reso conto che la barbarie noi ce la portiamo nel cuore, sempre pronta a uscire allo scoperto ed a pregiudicare anche gli ideali più belli e più alti. Sono illusi quelli che ci dicono: “Dobbiamo avere un’immagine positiva di noi stessi! Basta con i sensi di colpa, dobbiamo liberarci dai condizionamenti che i cristiani ci hanno imposto con il concetto di peccato. Dobbiamo credere nelle nostre illimitate potenzialità e nell’autonomia del nostro giudizio!”.

Che tragico errore! La verità su noi stessi rivelata dalla Bibbia, ma anche la vicenda stessa di Cristo, ci richiama alla dura realtà. Iddio è entrato negli abissi della condizione umana non come in una condizione esaltante, ma in una condizione umiliante. Perché questo? Non per migliorare la condizione umana (si migliora una cosa già buona), non per esaltarla ancora di più, ma per trasformarla, redimerla, per restituirla al progetto iniziale della creazione.

2. Cristo conferma le esigenze della legge

Nel farsi uomo, Cristo conferma però pure la realtà della Legge che giustamente è stata stabilita da Dio per regolare la nostra vita. Noi non siamo padroni di noi stessi e non ci è consentito alcun giudizio autonomo su come si debba vivere!

Cristo viene in mezzo a noi e “si sottopone alla legge” per adempierla e fornirci la via di salvezza. La miseria della condizione umana nasce proprio dal fatto che la nostra vita di creature è stata sottoposta ad una legge che ci è propria e la cui infrazione comporta precise conseguenze. Il Signore Iddio dice: “Chi osserva il comandamento custodisce la sua vita, ma chi trascura la propria condotta morirà” (Proverbi 19:16).

Cristo che entra nella condizione umana e si sottopone alla legge significa che come uomo intendeva sottostare completamente alla legge di Dio e adempierla fino in fondo. Così facendo Cristo “ha guadagnato” una giustizia eterna che potrà essere messa in conto a chi a Lui si affida. Inoltre, Cristo viene per pagare Egli stesso per noi la conseguenza ultima del peccato umano, l’abbandono totale e la morte, ed anche questo “pagamento” può esserci accreditato. Per questo chi si affida a Cristo riceve in dono come una “ricevuta di pagamento effettuato”, la pena che dovevamo scontare è stata espiata, insieme alla Sua giustizia perfetta, come se essa fosse proprio nostra. Fino a questo punto si è donato per noi il Salvatore!

La legge divina che era stata violata da Adamo e dai suoi discendenti deve essere rispettata e chi non la adempie deve pagarne le conseguenze. Solo Colui che fosse nato sottoposto alla legge avrebbe potuto sacrificare la sua vita in luogo di tutti coloro i cui peccati meritavano la condanna e la morte.

3. Cristo viveva in “miseria”

La terza realtà alla quale il Salvatore si sottopone “in profondità” sono le miserie di questa nostra vita. Cristo non si è mai reso corresponsabile delle miserie umane, ma Lui ha voluto vivere immerso proprio in quel “fango” che spesso ci sporca anche senza la nostra volontà. Compromessi, contraddizioni ed equivoci spesso segnano anche le nostre migliori intenzioni di cristiani: com’è facile, infatti, essere accusati malignamente di incoerenza nella nostra professione di fede! Sembrava che si divertissero i contemporanei di Gesù a metterlo in contraddizione, a mettere in questione la limpidezza delle sue intenzioni, a cercare dei pretesti per accusarlo. Noi viviamo costantemente in questo “fango” e fra le miserie del comportamento umano, e spesso temiamo che le nostre contraddizioni pregiudichino la limpidezza della nostra testimonianza cristiana. Gesù fu il primo ad accettare di convivere con esse eppure a persistere nella sua missione.

La parola “miseria”, però, ci rammenta anche la povertà di mezzi e risorse finanziarie. Gesù aveva scelto di vivere con il minimo indispensabile: agli occhi del mondo era in miseria. Proprio come Isaia aveva preannunciato: “Disprezzato e rigettato dagli uomini, uomo dei dolori, conoscitore della sofferenza, simile a uno davanti al quale ci si nasconde la faccia, era disprezzato, e noi non ne facemmo stima alcuna” (Isaia 53:3). In tre brevi anni di ministero terreno Gesù aveva viaggiato attraverso la Palestina in lungo e in largo. Raramente dormiva sotto un tetto. Lui e i Suoi discepoli stavano fuori casa e, per il pane quotidiano dovevano dipendere dalla generosità dei Suoi seguaci. Spesso noi ci preoccupiamo troppo delle risorse finanziarie del movimento cristiano che pur deve adempiere la sua missione. Temiamo di perdere gente che così ci priverà del loro sostegno e così intendiamo risparmiare magari su investimenti coraggiosi che ci permetterebbero di ampliare il servizio che potremmo rendere. Si preoccupavano forse i discepoli di Gesù delle loro scarse risorse? Questo impediva loro forse di adempiere alla loro missione? Al contrario, facevano molto più di noi. Secondo gli standard umani Gesù viveva in povertà. L’apostolo Paolo produceva e vendeva tende per sostenere il suo ministero. L’unico discepolo che si preoccupava delle risorse finanziarie della chiesa era Giuda, il traditore! Gesù però diceva: “Non cercate che cosa mangerete o che cosa berrete, e non ne state in ansia, perché le genti del mondo cercano tutte queste cose, ma il Padre vostro sa che voi ne avete bisogno. Cercate piuttosto il regno di Dio, e tutte queste cose vi saranno sopraggiunte” (Luca 12:31).

4. Gesù conferma l’ira di Dio

Il catechismo di Westminster, riflettendo ciò che afferma la Scrittura, dice che Gesù si sottopose pure all’ira di Dio ed alla morte maledetta su una croce”. Che significa?

Significa che noi sbagliamo quando pensiamo che Dio sia come un padre barbuto sorridente e compiacente dal cielo, sempre pronto a perdonare e a “chiudere un occhio” sulle nostre trasgressioni – quella è una tipica divinità pagana! Dio è “tre volte santo” e prende la Sua legge molto sul serio. L’ira di Dio – anche se a noi tipicamente non piace questo termine – è una realtà e rappresenta la giusta indignazione di Dio sul peccato umano come pure la Sua giusta e santa volontà di punire severamente ogni trasgressore. Dio perdona, ma non “passando sopra” alle trasgressioni: Egli perdona quando le giuste esigenze della legge sono state rispettate. Per i nostri peccati noi meriteremmo tutti senza eccezione una condanna eterna e spietata. In che modo però noi possiamo vederci questa condanna sollevata? Non a buon mercato! Cristo ha voluto pagare Lui e fino alla maledetta morte su una croce per renderci possibile la salvezza. Il profeta Isaia annuncia: “… egli portava le nostre malattie e si era caricato dei nostri dolori; noi però lo ritenevamo colpito, percosso da DIO ed umiliato. Ma egli è stato trafitto per le nostre trasgressioni, schiacciato per le nostre iniquità; il castigo per cui abbiamo la pace è caduto su di lui, e per le sue lividure noi siamo stati guariti. … Maltrattato e umiliato, non aperse bocca. Come un agnello condotto al macello, come pecora muta davanti ai suoi tosatori non aperse bocca. Fu portato via dall’oppressione e dal giudizio; e della sua generazione chi rifletté che era strappato dalla terra dei viventi e colpito per le trasgressioni del mio popolo?” (Isaia 53:4-6).

5. Cristo conferma la realtà della morte

L’ultimo aspetto dell’umiliazione di Cristo citato dal nostro Catechismo è questo: “nell’essere stato sepolto e nell’essere rimasto per un certo tempo sotto il potere della morte”.

Quella di Cristo non era una morte apparente. Il Signore Gesù è stato preda del nostro comune nemico, la morte, la quale è e rimane qualcosa di orribile. Forse sbagliamo nelle facili parole di consolazione che a volte pronunciamo, dicendo che la morte non sia altro che un passaggio. Lo è, ma questo non ne allevia la tragicità, come vediamo in questo nostro mondo che rimane in ogni sua espressione all’insegna della morte. Il Signore del cielo è morto sulla terra sotto il peso dei nostri peccati. Come afferma con precisione il credo apostolico “Soffrì sotto Ponzio Pilato. Fu crocifisso, morì e fu sepolto. Discese nel soggiorno dei morti”. Là su quella croce – sacrificio ultimo della Nuova Alleanza – Egli versò il Suo sangue ed il Suo corpo venne straziato per noi. Era stato proprio per questo che era venuto sulla terra. Era il punto focale dell’intero piano di salvezza di Dio, preparato prima ancora che esistesse il tempo e per salvarci dalla condanna che giustamente meritiamo.

Conclusione

Non comprenderemo mai il senso della venuta di Cristo nel mondo come Salvatore se noi minimizziamo la tragicità della condizione umana e la profondità dell’amore a cui si è spinto Dio per redimerci. C’è chi prende la cosa alla leggera! Lo può fare solo chi non vede l’orrore del peccato umano che ci danna. Era necessario che Dio arrivasse fino a questo punto! Si, pensate, il Figlio di Dio, umiliarsi venendo sulla terra, per vivere in mezzo a mille umane contraddizioni e in una vita di miseria e vedersi l’intero peccato di coloro che Dio aveva destinato alla grazia della salvezza caricato sulle sue spalle!

Qualcuno ha scritto: “Che l’uomo sia stato fatto ad immagine di Dio è un fatto stupefacente, ma che Dio si sia reso immagine dell’uomo è ancora più stupefacente. Che l’Eterno dovesse nascere quaggiù […], che il Re del cielo dovesse assumere carne umana, è un mistero che non comprenderemo mai veramente finché non giungeremo in cielo, dove la nostra luce sarà chiara, come pure perfetto il nostro amore”. E noi potremo vedere quel giorno per la grazia del Signor nostro Gesù Cristo il quale, essendo ricco, si è fatto povero per noi, affinché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà”. 

Sia benedetto Dio Padre e Suo Figlio la cui grande misericordia ci renderà possibile giungere alla gloria quando Egli ritornerà dal Suo stato di esaltazione. Siamone riconoscenti mentre aspettiamo con ansia quel grande e glorioso giorno operando per testimoniare e diffondere il Suo regno.

Paolo Castellina, riduzione e adattamento di una mia predicazione del 29. novembre 1996.

Musiche utilizzate in questo programma:

  • Allein in der Hoh sei Ehr (J. S. Bach, H. Vollenweider)
  • Eccomi, manda me (IC 2000)
  • Servire e regnare (Gen verde)
  • – Vivaldi variation (Florian Christi)
  • Amore abbandonato (Gen verde)