La via vivente: pace in Cristo per il cuore inquieto  (Ebrei 10:19–25)

Domenica 28 Settembre 2025

[Culto completo con predicazione, 60′]

[Solo predicazione, 31′ 21″]

La tua irrequietezza  

Quante persone oggi sono sempre ansiose ed irrequiete! Il loro cuore anela pace, serenità e forza nelle difficoltà della vita, ma tutto ciò che questo mondo offre non dà loro reale sollievo. Per ottenerlo provano una cosa o l’altra, ma tutto li lascia, di fatto, sempre insoddisfatti. Qual è il motivo, la ragione, di quella che potremmo chiamare “l’ansia esistenziale”?

La risposta a questa domanda la troviamo in quanto, molti secoli fa, aveva espresso, per esperienza personale, Agostino di Ippona nelle sue autobiografiche Confessioni – proprio all’inizio di quell’opera. La frase, parafrasata, dice così: “Il nostro cuore non avrà mai posa fintanto che non trova riposo in Dio, colui che ci ha creati”. Sì, dice, ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te. Come trovare, però, Dio? Se lo chiede Agostino stesso quando osserva: “… come potrebbe invocarti chi non ti conosce? Per ignoranza potrebbe invocare una cosa per un’altra. Dunque ti si deve piuttosto invocare per conoscere? Ma come invocheranno colui, in cui non hanno creduto? E come credere, se prima nessuno ne dà l’annunzio?”. Quell’annuncio, però, un giorno gli viene portato tramite l’Evangelo del Salvatore Gesù Cristo. Ecco perché può dire, nello stesso paragrafo iniziale delle sue Confessioni: “Che io ti cerchi, Signore, invocandoti, e t’invochi credendoti, perché il tuo annunzio ci è giunto. T’invoca, Signore, la mia fede, che mi hai dato e ispirato mediante il tuo Figlio fatto uomo, mediante l’opera del tuo Annunciatore” [1].

Era l’annuncio che aveva fatto l’apostolo Paolo nella città di Atene davanti ad un gruppo di filosofi: “Egli ha tratto da uno solo tutte le nazioni degli uomini (…) affinché cerchino Dio, se mai giungano a trovarlo, come a tastoni, benché egli non sia lontano da ciascuno di noi” (Atti 17:26-27). Ecco l’esperienza di cui parlava Agostino: ritrovarsi insoddisfatti, disperatamente assetati nel deserto di questo mondo, cercare “l’acqua” come a tastoni e, attraverso l’annuncio dell’Evangelo, scoprire che essa non era di fatto lontana da ciascuno di noi perché si trova in Cristo Gesù – e solo in Lui.

Troviamo Dio, il Dio vero e vivente, in Gesù perché Egli è la sola “porta di accesso” a Dio. Le Sacre Scritture, infatti, dicono: “In nessun altro è la salvezza, poiché non vi è sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del quale dobbiamo essere salvati” (Atti 4:12). Godremo, così, per la Sua grazia, una soddisfacente comunione con Lui ora e per l’eternità – perché per questo eravamo stati creati. Vivere alla benefica presenza di Dio non è un’illusione, né significa fare esperienze mistiche o miracolistiche, ma acquisire una consapevolezza “produttiva” che ci porta a vivere nella pace e nella serenità che solo Dio in Cristo ci può dare, come pure ottenere la forza che ci serve nelle difficoltà della vita.

Il testo biblico

Riflettiamo su questa realtà sulla base di un testo della Parola di Dio che dice così:

Avendo dunque, fratelli, libertà di entrare nel santuario in virtù del sangue di Gesù, la via recente e vivente che egli ha inaugurata per noi attraverso la cortina, vale a dire la sua carne, e avendo noi un grande sacerdote sopra la casa di Dio, accostiamoci di vero cuore, con piena certezza di fede, avendo i cuori aspersi di quell’aspersione che li purifica dalla cattiva coscienza e il corpo lavato d’acqua pura. Riteniamo fermamente la confessione della nostra speranza, senza vacillare, perché fedele è colui che ha fatto le promesse. E facciamo attenzione gli uni agli altri per incitarci all’amore e alle buone opere” (Ebrei 10:19-24).

Questo testo si colloca nel cuore dell’Epistola agli Ebrei, dove l’autore invita i credenti a non perdere il coraggio e la perseveranza nella fede, nonostante le difficoltà e le persecuzioni. Esso richiama la realtà compiuta dell’opera di Cristo: attraverso il suo sacrificio siamo liberati dalla colpa del peccato, abbiamo accesso diretto a Dio e possiamo accostarci a Lui con piena fiducia. Non si tratta di una semplice esortazione morale, ma di una verità oggettiva, fondata sulla persona e sull’opera di Gesù, che ci offre una comunione stabile e duratura con Dio.

1. Il fondamento oggettivo della nostra comunione con Dio (vv. 19–21)

Il testo agli Ebrei ci presenta un’immagine molto efficace: “Avendo dunque, fratelli, libertà di entrare nel santuario in virtù del sangue di Gesù”. Per secoli il popolo d’Israele aveva visto il tempio come il luogo della presenza di Dio, ma l’accesso diretto al Santo dei santi (la parte di esso interna e più sacra) era precluso a tutti, eccetto al sommo sacerdote una sola volta l’anno, e non senza l’offerta di sacrifici. Quel velo che separava simboleggiava la distanza tra un Dio santo e un popolo peccatore. Ma ora, in Cristo, quel velo è stato squarciato: non esiste più una barriera. Non entriamo davanti a Dio con cerimoniali religiosi o sulla base di un nostro favorevole stato emotivo o spirituale del momento, ma perché Cristo ha offerto in sacrificio il suo sangue, e questo ci garantisce un accesso a Dio sicuro e permanente.

L’autore dice che questa è “una via nuova e vivente”, inaugurata da Cristo stesso “attraverso la cortina, vale a dire la sua carne”. Non ci viene chiesto di inventarci un cammino per arrivare a Dio, né di basare il nostro rapporto con Lui su cerimonie religiose o sulle oscillazioni del nostro cuore. La strada ci è già stata aperta, ed è “vivente” perché Cristo stesso è risorto dai morti e vivente. In altre parole, la nostra comunione con Dio, grazie a Lui, diventa oggettiva, fondata in Cristo, e non più soggettiva, dipendente dalle nostre pratiche religiose, opere meritorie, esperienze o stati d’animo. Qui sta la grande differenza tra la fede biblica e ogni tentativo umano di costruire una spiritualità basata solo su cerimonie e esperienze mistiche interiori: la fede cristiana si radica in un fatto compiuto.

Poi lo scrittore aggiunge: “Avendo un grande sacerdote sopra la casa di Dio”. Non solo Cristo ha aperto la via, ma continua ad essere il nostro Sommo Sacerdote, colui che intercede per noi come nostro unico Mediatore e ci sostiene davanti al Padre. Non abbiamo bisogno di altri sacerdoti o mediatori. La nostra comunione con Dio non è un’illusione fragile che dobbiamo continuamente ravvivare da soli, ma una realtà stabile, custodita da Cristo stesso. Questo ci libera dall’ansia di dover “fare qualcosa” o “sentire” Dio per essere sicuri della sua vicinanza: Egli è già vicino, perché Cristo ci ha portati a Lui una volta per sempre. La nostra sicurezza non è nelle emozioni, ma nella fedeltà del nostro Signore.

2. L’invito soggettivo alla fede e all’esperienza (v. 22)

Dopo aver mostrato il fondamento oggettivo della nostra comunione con Dio, l’autore della lettera agli Ebrei passa all’applicazione: “Accostiamoci con cuore sincero, in piena certezza di fede”. La via è già aperta da Cristo e siamo chiamati a percorrerla con fiducia. Non si tratta di un automatismo: siamo chiamati a rispondere con la fede in Lui, che è fiducia personale e reale appropriazione delle promesse di Dio. Questa fede non nasce, dobbiamo ben sottolinearlo, da cerimonie religiose o da emozioni passeggere, ma dalla certezza che la nostra salvezza si fonda su ciò che Cristo ha compiuto una volta per sempre.

L’autore aggiunge che il nostro cuore viene “asperso di quella purificazione che lo libera da una cattiva coscienza”, e il nostro corpo è “lavato con acqua pura”. Qui troviamo un doppio movimento: interiore ed esteriore. Interiormente, il sangue del sacrificio di Cristo ci purifica e ci libera dalla colpa del peccato; esteriormente, il battesimo simboleggia e testimonia questa purificazione. È un linguaggio che richiama l’Antico Testamento, ma che adesso trova il suo compimento nella realtà nuova dell’Evangelo. Accostarci a Dio, dunque, non significa solo sapere che Cristo ha aperto la via, ma anche vivere questa realtà con una coscienza in via di purificazione e con una vita trasformata.

È qui che la soggettività trova il suo giusto posto. Non cerchiamo Dio per un semplice sentimento religioso, ma perché, per la Sua mediazione e non altrimenti, siamo resi puri e liberi di entrare alla sua presenza. La fede autentica, che risponde all’opera oggettiva di Cristo, si traduce in esperienza viva: pace della coscienza, certezza del perdono, desiderio di camminare in santità. Non si tratta più di svolgere cerimonie religiose o di fare opere meritorie, né di una ricerca ansiosa di emozioni spirituali da rincorrere, ma la serenità di un cuore sincero che, secondo la Sua promessa, si accosta a Dio sapendo che è accolto in Cristo.

3. La fermezza della speranza nella fedeltà di Dio (v. 23)

Dopo averci invitato ad accostarci a Dio con fede, l’autore ci richiama alla perseveranza: “Manteniamo ferma la confessione della nostra speranza, senza vacillare”. La vita cristiana non è fatta di slanci momentanei, ma di una fedeltà costante che si nutre della speranza. La fede ci unisce a Cristo oggi, ma la speranza ci sostiene nel cammino di ogni giorno, soprattutto quando, abbandonata l’illusione di cerimonie religiose, quando le emozioni vengono meno o quando le prove della vita ci scuotono. Non possiamo basare la nostra comunione con Dio né su cerimonie né sul nostro stato d’animo: essa si radica nella promessa di Dio che non viene meno. Un fatto oggettivo.

Il testo aggiunge la ragione di questa sicurezza: “… perché fedele è colui che ha fatto le promesse”. Non siamo chiamati a confidare nella nostra capacità di perseverare, ma nella fedeltà di Dio che mantiene ciò che ha detto. La nostra speranza non è un’illusione soggettiva, ma è ancorata all’immutabilità del Signore. Proprio per questo possiamo “mantenere ferma” la nostra confessione di fede: nonostante i dubbi, le cadute o le stagioni di aridità, Dio non viene meno, e la sua fedeltà diventa la garanzia della nostra perseveranza.

Questo ci libera sia dal peso di dover dimostrare continuamente qualcosa a Dio con le nostre opere, sia dall’ansia di dover rincorrere sempre nuove esperienze emotive per sentirci vicini a Lui. La speranza cristiana non dipende dalle nostre prestazioni o dai nostri sentimenti, ma dalla verità di un Dio che è fedele. Così, la nostra confessione di fede non è un atto isolato, ma un impegno costante e gioioso, sostenuto dalla certezza che Colui che ha iniziato in noi quest’opera la porterà a compimento.

4. La dimensione comunitaria della comunione con Dio (v. 24)

Dopo aver parlato dell’accesso al Padre, della fede e della speranza, l’autore introduce, infine, la dimensione fraterna: “Facciamo attenzione gli uni agli altri per incitarci all’amore e alle buone opere”. La comunione con Dio non si riduce a un rapporto individuale e privato, ma si concretizza nella vita familiare e comunitaria. Chi ha conosciuto la grazia non può restare ripiegato su sé stesso, ma è chiamato a rivolgersi ai fratelli e alle sorelle in fede, a cercare il loro bene spirituale, a incoraggiarli nel cammino. La fede autentica diventa visibile nell’amore concreto, che non si esprime solo in cerimonie o sentimenti, ma in opere.

In questo senso, la vita cristiana non è fatta di riti ripetute o di emozioni isolate, ma di relazioni trasformate dalla grazia. Il testo non dice: “Guardiamo a noi stessi per non perdere il fervore”, ma: “Facciamo attenzione gli uni agli altri”. L’attenzione fraterna è parte integrante della comunione con Dio. Vivere la fede da soli è un’illusione: Dio ci ha posti nella sua “casa” per edificarci a vicenda. Il frutto della comunione con Lui è una comunità che si stimola all’amore e alle opere buone, non come obbligo sterile, ma come risposta grata all’opera di Cristo.

Così comprendiamo che la comunione con Dio non si riduce a un’esperienza privata da coltivare con sforzi interiori, né a un rituale religioso da ripetere, ma si esprime in una vita condivisa, dove la fede diventa azione, la speranza diventa perseveranza e l’amore diventa servizio reciproco. Questo è il segno che la comunione con Dio è reale e operante: quando la comunità dei credenti diventa luogo di cura, incoraggiamento e stimolo a vivere per il Signore.

Conclusione

Abbiamo così visto oggi che l’ansia esistenziale, che da sempre abita il cuore umano, trova risposta solo nella comunione con Dio resa possibile da Cristo. Agostino lo aveva intuito: “Il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te”. La lettera agli Ebrei ci mostra che questo riposo non è un sogno lontano, ma una realtà già aperta da Cristo: una via nuova e vivente che ci introduce alla presenza di Dio Padre.

Il nostro accesso a Dio è sicuro perché fondato sul sacrificio e sulla mediazione del Signore Gesù. Possiamo accostarci a Lui con cuore sincero, non perché ci sentiamo degni, partecipiamo a cerimonie o accumuliamo meriti, ma perché siamo purificati dal suo sacrificio, ricevuto per fede. La nostra speranza non vacilla, perché poggia sulla fedeltà di Dio. E questa comunione diventa concreta nella vita fraterna, quando ci stimoliamo all’amore e alle opere buone.

Se il tuo cuore anela pace, serenità e forza nelle difficoltà della vita, tutto ciò che il mondo offre non può darti reale e permanente sollievo. Appoggiati piuttosto su ciò che l’Evangelo ti offre con certezza: conoscere Dio e godere di Lui attraverso l’opera del Cristo. Non è forse questo il “fine principale dell’uomo”, come ci insegna il Catechismo di Westminster, “glorificare Dio e goderlo per sempre”? E non è forse la nostra unica consolazione, come afferma il Catechismo di Heidelberg, “sapere di appartenere con corpo e anima, in vita e in morte, al mio fedele Salvatore Gesù Cristo”?

Queste non sono formule antiche, ma verità vitali: la tua pace, la tua forza, la tua consolazione non dipendono da cerimonie religiose, esperienze mistiche o emozioni passeggere, ma dal Cristo vivente che ti ha aperto l’accesso a Dio. Non ti è chiesto di inventare un cammino, né di conquistare un sentimento spirituale: ti è chiesto di credere in ciò che Egli ha già compiuto e di accostarti con fede.

Perciò, la sfida che ti lascio oggi, confortato dall’esperienza, è questa: non cercare più pace, sicurezza e senso di vita nelle ombre di questo mondo, ma vivi nella realtà di ciò che Cristo ti ha già donato con la Sua opera di redenzione. Accostati a Dio con cuore sincero, ritenendo ferma la speranza, e chiedi a Dio di poter vivere questa comunione con Lui nell’ambito di una famiglia o comunità cristiana che ti stimoli all’amore e alle buone opere. Così il tuo cuore troverà davvero riposo in Dio, e la tua vita diventerà testimonianza viva della comunione che Egli ha reso possibile in Cristo Gesù.

Il cuore trova riposo non quando rincorre emozioni o meriti, ma quando si appoggia a Cristo, la via vivente che ci conduce a Dio.

Preghiamo. Signore Dio, Padre nostro, Ti ringraziamo per averci aperto la via alla Tua presenza attraverso il sacrificio del Tuo Figlio Gesù. Aiutaci a entrare con cuore sincero e fede viva, liberi da ansie e timori, e a perseverare nella speranza delle Tue promesse. Fa’ che la nostra vita rifletta il Tuo amore, incoraggiando i fratelli e le sorelle a vicenda, e che possiamo trovare in Te il riposo e la forza di cui abbiamo bisogno ogni giorno. Fa’ che tutto ciò che facciamo glorifichi Te, nostro Signore, e ci conduca a godere della Tua presenza ora e per l’eternità. Amen.

Paolo Castellina, 17 settembre 2025

Nota

[1] https://www.augustinus.it/italiano/confessioni/index2.htm