Paradiso oppure un nuovo cielo e una nuova terra? (Apocalisse 21:1-8)

Domenica 15  Maggio 2022 – Quinta domenica di Pasqua

(Culto completo con predicazione, 60′)

(Solo predicazione, 30′)

Introduzione alle letture bibliche

Letture bibliche: Salmo 148 – Atti 11:1-18 – Apocalisse 21:1-6 – Giovanni 13:31-35
Non si può comprendere e soprattutto, praticare autenticamente il culto, quando non si è in comunione esperienziale con Dio. Allora si può dire, con il Salmo 148: “Egli ha ridato forza al suo popolo, dando motivo di lode a tutti i suoi fedeli, ai figliuoli d’Israele, al popolo che gli sta vicino”. E’ per questo che troviamo in quel Salmo tali ricche espressioni di lode e di adorazione per Dio che siamo chiamati a fare nostre. I privilegi della grazia di Dio, conseguenti all’annuncio e alla ricezione dell’Evangelo di Gesù Cristo, non sono poi dati a pochi soltanto, ma a gente di ogni condizione, nazionalità, cultura e lingua. Era quello che doveva apprendere lo stesso apostolo Pietro, come narrato nella nostra seconda lettura tratta dal libro degli Atti. Dio glielo insegna attraverso una visione, ma anche quei pagani che riceveranno l’annunzio dell’Evangelo vengono preparati a quest’incontro dall’azione sovrana di Dio. L’opera dell’Evangelo attraverso la storia umana corrisponde allo svolgersi inarrestabile degli eterni propositi di Dio, che culmineranno altrettanto sicuramente nei “nuovi cieli e nella nuova terra”. E’ un compimento finale che sosteneva l’apostolo Giovanni quando scrive il brano del libro dell’Apocalisse che leggiamo e commentiamo quest’oggi come nostra terza lettura. In che cosa consiste, infine, il tangibile prodotto del vivere l’Evangelo di Gesù Cristo, primizia del finale compimento dell’opera di Dio? Nel vivere e praticare in questo mondo l’amore di Cristo, secondo che è scritto (come dalla nostra quarta lettura): “Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri”. Che possa essere così per ciascuno di noi oggi.


Paradiso oppure un nuovo cielo e una nuova terra?

Se andate in un’agenzia turistica trovate attraenti opuscoli che vi descrivono posti magnifici e incontaminati, magari in qualche lontana isola tropicale, che vi attendono per farvi passare “una vacanza da sogno”. Basta pagare e avrete tutto quello che il vostro cuore desidera. Questi sono i moderni paradisi a pagamento, che, accompagnandosi ai moderni “paradisi artificiali”, vi possono offrire di realizzare i vostri sogni e aspirazioni. Noi non siamo nati per soffrire e il nostro cuore e desideri testimoniano della nostra aspirazione alla felicità. Non c’è però da contarci troppo, quei cosiddetti paradisi sono “vanità delle vanità” e non soddisfaranno veramente il nostro cuore. Sono pure queste le fughe dalla realtà che le religioni ci offrono come premio finale ai loro fedeli? L’Islam, per esempio, offre ai suoi fedeli un paradiso che assomiglia molto a un “Club Mediterranée” di grandi godimenti carnali e che li spinge a fare qualsiasi cosa pur di vederselo assicurato. 

Sebbene pure certe forme di cristianesimo parlino in varia maniera della beatitudine di un Paradiso ultraterreno e lo prospettino come premio di opere buone o dono di un non meglio precisato “buon Dio”, le Sacre Scritture ebraiche e cristiane parlano piuttosto di “nuovi cieli e una nuova terra”, una palingenesi, come compimento finale degli eterni propositi di redenzione che Dio sviluppa attraverso la storia attraverso la persona e l’opera del Signore e Salvatore Gesù Cristo. Destinati come esseri umani a essere sin dalla creazione in comunione e collaborazione con Dio, le miserie dell’attuale vita sono il risultato di una fatale separazione da Lui, una separazione a cui Dio in Cristo pone rimedio. Questa fede ha sostenuto e sostiene innumerevoli cristiani del passato e del presente che guardano al sicuro compimento del nuovo cielo e della nuova terra che Dio promette e realizzerà. Non si tratta di una fuga dalla realtà, perché il cristiano è chiamato a vivere e diffondere fin da oggi “le primizie” di un mondo che sarà rinnovato e dove “la morte non sarà più; né ci saranno più cordoglio, né grido, né dolore, poiché le cose di prima saranno passate per sempre”. Mentre tanti increduli vivono e fanno vivere gli altri già da oggi “l’inferno su questa terra”, i cristiani sono chiamati a vivere e diffondere fin da oggi “il paradiso” dell’amore di Cristo, quello che sarà compiuto alla fine dei tempi.

La visione di Giovanni

La certezza del felice compimento finale dei propositi di Dio in Cristo e l’altrettanto certo destino finale di perdizione degli empi, era ciò che sosteneva l’apostolo Giovanni quando scriveva il libro dell’Apocalisse in un momento molto difficile della sua vita. Il Signore Gesù Cristo lo rivela a lui, per suo e nostro incoraggiamento, verso la fine del suo libro al capitolo 21. E’ quello sul quale rifletteremo noi oggi. Ascoltiamone il testo:

“Poi vidi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il primo cielo e la prima terra erano passati, e il mare non era più. E vidi la santa città, la nuova Gerusalemme, scender giù dal cielo da presso a Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. E udii una gran voce dal trono, che diceva: Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini; ed Egli abiterà con loro, ed essi saranno suoi popoli, e Dio stesso sarà con loro e sarà loro Dio; e asciugherà ogni lacrima dagli occhi loro e la morte non sarà più; né ci saranno più cordoglio, né grido, né dolore, poiché le cose di prima sono passate. E Colui che siede sul trono disse: Ecco, io faccio ogni cosa nuova, e aggiunse: Scrivi, perché queste parole sono fedeli e veraci. Poi mi disse: È compiuto. Io son l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine. A chi ha sete io darò gratuitamente della fonte dell’acqua della vita. Chi vince erediterà tutte queste cose; io gli sarò Dio, ed egli mi sarà figlio; ma quanto ai codardi, agli increduli, agi abominevoli, agli omicidi, ai fornicatori, agli stregoni, agli idolatri e a tutti i bugiardi, la loro parte sarà nello stagno ardente di fuoco e di zolfo, che è la morte seconda” (Apocalisse 21:1-8).

Il libro dell’Apocalisse è stato scritto dall’evangelista Giovanni, il discepolo che Gesù particolarmente amava, durante il suo soggiorno sull’isola di Patmo a sudest nel Mar Egeo. Si tratta di una tipica e soleggiata isola dell’arcipelago greco, ideale per le vacanze… Solo che Giovanni non vi era andato in vacanza. Vi era stato esiliato e in condizioni particolarmente dure, per decreto dell’imperatore Domiziano dal 95 al 100 d.C. a causa delle sue attività cristiane sgradite al potere politico. Nel testo che oggi trattiamo troviamo una delle molteplici visioni di rivelazione che egli riceve dal Signore. Come spesso è accaduto per altri cristiani nel corso della storia, quel periodo di forzato isolamento, però, non sarebbe stato per lui sterile e frustrante, ma un’occasione per una feconda attività letteraria, a gloria di Dio e per il beneficio di tanti allora e nel corso dei secoli. Il brano che consideriamo introduce l’ultima grande sezione di questo libro che parla dei nuovi cieli e della nuova terra. Giovanni utilizza immagini vivide per descrivere la gloria dell’era a venire quando il regno di Dio verrà del tutto compiuto, quando le tenebre saranno definitivamente sopraffatte. La realtà centrale del tempo a venire è che Dio è con il suo popolo, lo cura e lo conforta. Dio incoraggia particolarmente lui e gli rammenta che non è solo. Non doveva disperare anche se era stato allontanato dai suoi fratelli e sorelle in fede e dalla sua attività. L’isola di Patmo non sarebbe stata la sua ultima dimora per vivere infruttuosamente gli ultimi anni della sua vita. Le prospettive di Dio sono ben più vaste. Mai è vana la vita di tutti coloro che come lui appartengono a Cristo. E’ un incoraggiamento simile a quello che l’apostolo Paolo rivolge ai cristiani di Corinto: “Perciò fratelli miei carissimi, state saldi, incrollabili, abbondanti sempre nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore” (1 Corinzi 15:58).

L’incoraggiamento del sicuro compimento dei propositi di Dio

Giovanni è testimone della trasformazione di tutte le cose: un nuovo cielo e una nuova terra: “Poi vidi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il primo cielo e la prima terra erano passati, e il mare non era più” (1). La realtà che noi conosciamo oggi è devastata dalle forze del male che mai si stancano di creare caos e sofferenze. Essa, però, allora sarà finita per sempre. L’espressione: “Il mare non c’era più” ha un significato simbolico. Il mare era considerato allora pericoloso, minaccioso e incuteva timore. Per Giovanni, però, separato dalla comunità cristiana di Efeso dal mare, quando lo guarda dice: “Un giorno non sarò più separato dal mare dai miei fratelli e sorelle in fede: un giorno non ci saranno più né barriere né ostacoli che mi separeranno dalla gioiosa comunione con il popolo di Dio.

Vidi la santa città, la nuova Gerusalemme, scender giù dal cielo da presso a Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo” (2). Gerusalemme, a quel tempo, era considerata soprattutto un luogo di culto, luogo della comunione con Dio e con i Suoi fedeli, per adorarlo e lodarlo. Al tempo di Giovanni Gerusalemme era stata distrutta, ma Gesù aveva detto: “…credimi; l’ora viene che né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. (…)  L’ora viene, anzi è già venuta, che i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità” (Giovanni 4:21-23). Nella visione di Giovanni, Gerusalemme, estromessa da questo mondo e relegata “lassù” da chi pretende di liberarsi di Dio e dei Suoi, essa scende dalle sfere celesti per stabilirsi sulla terra a cui appartiene. Il mondo è di Dio e chi vorrebbe estromettere Dio e il Suo popolo da questo mondo per relegarlo il più lontano possibile, sono nemici e usurpatori che verranno completamente battuti. Dio e l’umanità a Lui fedele sono legati, per Sua grazia, da uno stretto rapporto simile a quello del matrimonio. Dio infatti, si prende cura “della Sua sposa”. Come dice l’epistola agli Efesini: “Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per di santificarla, dopo averla purificata lavandola con l’acqua della Parola, per farla comparire davanti a sé gloriosa, senza macchia, senza ruga o cosa alcuna simile, ma santa e irreprensibile” (Efesini 5:24-27).

“E udii una gran voce dal trono, che diceva: Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini; ed Egli abiterà con loro, ed essi saranno suoi popoli, e Dio stesso sarà con loro e sarà loro Dio” (3). Giovanni sente una voce forte, una voce di autorità, che dichiara una potente verità. L’antico popolo d’Israele, in marcia verso la terra promessa, era accompagnato dalla presenza di Dio in mezzo a loro rappresentato da una speciale tenda, il Tabernacolo, che conteneva l’Arca dell’Alleanza. Gesù, presenza di Dio, aveva accompagnato per tre anni i Suoi discepoli. Se ne sarebbe andato e questo li aveva molto rattristati. Promette, però, il Suo ritorno: “Non vi lascerò orfani; tornerò a voi. Ancora un po’, e il mondo non mi vedrà più; ma voi mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete (…) Se uno mi ama, osserverà la mia parola; e il Padre mio l’amerà, e noi verremo a lui e faremo dimora presso di lui” (Giovanni 14:18,19,23). Nel giorno del compimento finale dell’opera di Dio, “i popoli” redenti (plurale) godranno della Sua permanente presenza, perché così doveva essere fin dall’inizio della creazione. Coloro che avevano respinto Dio dalla loro vita e che non si sono ravveduti …la loro pena sarà la perdizione eterna separati per sempre dal Signore: non potranno vedere la gloria della sua potenza” (2 Tessalonicesi 1:9 BDG).

“…e asciugherà ogni lacrima dagli occhi loro e la morte non sarà più; né ci saranno più cordoglio, né grido, né dolore, poiché le cose di prima sono passate” (4). Per Giovanni tutto questo significava non solo la fine delle sue afflizioni, ma anche di tutte quelle che i nemici di Dio avevano inferto, nel loro cieco odio, al popolo di Dio. Le cose di prima saranno passate per sempre. Erano stati privati dei loro conduttori (assassinati oppure esiliati) sperando così che il movimento cristiano si disperdesse e si estinguesse. Un giorno si sarebbero ricongiunti e questa speranza aveva sostenuto Giovanni. L’apostolo scrive: “né potestà, né altezza, né profondità, né alcun’altra creatura potranno separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Romani 8:39).

Ed ecco che Dio stesso ora parla: “E Colui che siede sul trono disse: Ecco, io faccio ogni cosa nuova, e aggiunse: Scrivi, perché queste parole sono fedeli e veraci” (5). Inizia il processo di rinnovamento; l’oscurità nel caos si allontana. Così come Dio in Cristo, attraverso il ravvedimento e la fede in Lui rigenera e rinnova peccatori perduti, così l’annuncio di Dio alla comunità sofferente di Cristo è che ogni cosa sarà completamente rinnovata. Come scrive l’apostolo Paolo: “Perché la nostra momentanea, leggera afflizione ci produce un sempre più grande, smisurato peso eterno di gloria, mentre abbiamo lo sguardo intento non alle cose che si vedono, ma a quelle che non si vedono; poiché le cose che si vedono sono solo per un tempo, ma quelle che non si vedono sono eterne” (2 Corinzi 4:18-18). Non sono parole al vento, vaghe speranze, ma promesse che devono essere messe per iscritto e che rimarranno come perenne testimonianza fino al loro sicuro compimento finale.

Poi mi disse: È compiuto. Io son l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine. A chi ha sete io darò gratuitamente della fonte dell’acqua della vita” (6). I progetti di redenzione dell’umanità in Cristo si stanno svolgendo e saranno compiuti. La storia non è né un coacervo di casualità, né un vano circolo vizioso di corsi e ricorsi. Essa procede lineare e ogni cosa concorre al compimento degli eterni propositi di Dio. Prima di spirare morendo in croce, Gesù dice: “È compiuto!” (Giovanni 19:30), mettendo così le basi della salvezza dal peccato e dalle sue eterne conseguenze di tutti coloro che avrebbero posto in Lui la loro fede. Vi sarà però il tempo in cui sarà pronunciato l’È compiuto finale, perché a Dio spetta la prima e l’ultima parola, “la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto”. Nell’arido deserto di questo mondo manca “l’acqua” di una vita significativa ed eterna. Essa è disponibile gratuitamente in Cristo. Come diceva l’invito del profeta Isaia rivolto a tutti i popoli: “O voi tutti che siete assetati, venite alle acque, e voi che non avete danaro venite, comprate, mangiate! Venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte! Perché spendete danaro per ciò che non è pane e il frutto delle vostre fatiche per ciò che non sazia? Ascoltatemi attentamente e mangerete ciò ch’è buono, e l’anima vostra godrà di cibi succulenti! Inclinate l’orecchio, e venite a me; ascoltate, e l’anima vostra vivrà” (Isaia 55:1-3).

Chi vince erediterà tutte queste cose; io gli sarò Dio, ed egli mi sarà figlio” (7). I vincitori, coloro che avranno perseverato fino alla fine lottando contro tutti i loro nemici spirituali, il peccato, Satana e il mondo, e, secondo le immagini del libro dell’Apocalisse, “la bestia” anticristiana, rifiutando di adorarla e di essere segnati dal suo marchio; chi persevera fino alla fine, nonostante tutte le tentazioni, le prove e le difficoltà, parteciperà al trionfo finale dei propositi di Dio. Potremmo però dire: “Chi è sufficiente a queste cose?” (2 Corinzi 2:16). Chi potrà farcela? Certo da soli no, ma in comunione con Cristo, attingendo costantemente alle risorse a nostra disposizione in Lui Con la preghiera e avvalendoci di tutti i mezzi della Sua grazia, possiamo essere “vincitori”, anzi, come dice la lettera ai Romani: “in tutte queste cose, noi siamo più che vincitori, in virtù di colui che ci ha amati” (Romani 8:37). Il credente, che mantiene la propria fede in Cristo, per grazia di Dio ha la vittoria assicurata.

Un ammonimento finale da non ignorare

C’è però alla fine del nostro testo un versetto che potrebbe sembrare “sconveniente”, e che forse per questo non è previsto dal Lezionario. Noi, però, lo leggiamo lo stesso! Ci renderemmo colpevoli e inganneremmo chi ci ascolta se non lo facessimo. Dice: “…ma quanto ai codardi, agli increduli, agli abominevoli, agli omicidi, ai fornicatori, agli stregoni, agli idolatri e a tutti i bugiardi, la loro parte sarà nello stagno ardente di fuoco e di zolfo, che è la morte seconda” (8). 

Che cosa rappresentano queste categorie che non erediteranno “tutte queste cose”? I codardi non sono le timide pecore e gli agnelli di Cristo, i cari figli di Dio, che a volte hanno un cuore timoroso, a causa del peccato, della tentazione e dell’incredulità; ma quelli che hanno uno spirito codardo, che non si battono per la verità, ma, per timore degli uomini, o non fanno professione di Cristo e del suo Vangelo, o, avendola fatta, la abbandonano, per non essere esposti alla tribolazione e persecuzione. Costoro sono quelli che temono “la bestia” e vivono in servile soggezione di essa. Gli increduli non solo gli atei, che non credono che vi sia un Dio a cui debbano rendere conto, o solo i deisti, che non credono in Cristo; ma coloro che professano il Suo nome e ne sono chiamati, e tuttavia non credono veramente in Lui, né abbracciano il suo Evangelo e le sue verità, ma credono alla menzogna. Questi sono già condannati, e su di loro rimane l’ira di Dio, e alla fine saranno dannati. Sono quelli che si fanno beffe di Cristo e del giudizio di Dio. Chi sono “gli abominevoli”? Qui si indica coloro che sono i peggiori fra i peccatori, che si abbandonano senza scrupolo a ciò che Dio considera peccato e Lo sfidano; quelli che sono abominevoli e reprobi a ogni opera buona; dediti ai peggiori crimini. Il loro carattere è, nel linguaggio dell’Apocalisse, “d’accordo con Babilonia”, madre delle prostitute e degli abomini della terra, e con tutti coloro che vi aderiscono, e si uniscono a lei nelle sue abominevoli idolatrie. Gli omicidi sono gli assassini dei santi, dei profeti e dei martiri di Gesù, del cui sangue Babilonia, o la prostituta, “si è ubriacata”. I fornicatori sono tutte le persone che si abbandonano a concupiscenze indisciplinate, alla costante ricerca del piacere carnale e dediti a ogni oscenità, coloro che non temono di dedicarsi avidamente a ogni lascivia. Stregoni non sono solo coloro che praticano la superstizione, ma quelli che si compiacciono di far uso delle loro arti e astuzia per ingannare la gente. Idolatri sono coloro che adorano, con vari pretesti, demoni, idoli d’oro, d’argento, di bronzo, di pietra e di legno, contravvenendo così al secondo comandamento. Bugiardi sono particolarmente coloro che dicono menzogne ​​per ipocrisia, come i seguaci “dell’uomo del peccato”, l’Anticristo, e che credono alla menzogna per essere dannati. Appartenendo a Satana, nemico di Dio non temono di essere bugiardi essendo del diavolo e abominevoli per Dio. Tutti e ciascuno di questi, tutti quelli che non han creduto alla verità, tutti coloro che non si sono ravveduti dai loro peccati ma si son compiaciuti nell’iniquità” (2 Tessalonicesi 2:12) la loro parte sarà nello stagno ardente di fuoco e di zolfo, che è la morte seconda. Sarebbe vano specularci sopra, perché altro a questo proposito la Scrittura non ci rivela, ma quella sarà una terribile realtà. Gesù stesso spesso ne parlava e la Sua missione consisteva proprio dallo strappare uomini e donne a questo orribile destino.

Conclusione

Tutti noi giustamente aspiriamo alla felicità di un paradiso. Dobbiamo fare, però, molta attenzione a non cadere nella trappola delle illusioni di “paradisi artificiali” o delle promesse, spesso a buon mercato, d’ingannevoli paradisi ultramondani che ci inducono a deresponsabilizzanti fughe da questo mondo. Il cristiano istruito nelle verità rivelate dalla Bibbia guarda ai “nuovi cieli e nuova terra” che sarà il compimento finale dei proposti di Dio. Questa è la fede che lo sostiene proprio mentre si impegna ad anticipare fin da oggi lo “stile di vita” incarnato da Cristo, la Sua pace, il Suo amore, la Sua giustizia, quella che trionferà quando i Suoi e nostri nemici saranno definitivamente battuti. La Scrittura così ci esorta: “La notte è avanzata, il giorno è vicino; gettiamo dunque via le opere delle tenebre, e indossiamo le armi della luce” (Romani 13:12).

Paolo Castellina, 9 maggio 2022. Rifacimento di una mia predicazione del 21-11-2004