Per una teoria politica cristiana

lo Stato non è un bene né supremo né indubbio, ma un male necessario […] l’esistenza dello Stato è allo stesso tempo una punizione e una cura, entrambi parziali, per il peccato […] i governi sono senza autorità se agiscono oltre i limiti stabiliti da Dio […] la più grande calamità è il continuo incremento della regolamentazione statale. E uno Stato in espansione deve prima o poi entrare in conflitto con la sola autorità che gli pone dei limiti.

di Gordon H. Clark (1902-1985)

…la teoria Cristiana della politica è coerente con la sua concezione della natura umana cosi come essa è in realtà. Tutti i sistemi non-teistici assumono che la presente condizione umana è normale, il sistema cristiano la vede invece come anormale. E questo ci dà la risposta a una domanda che a volte viene sollevata nelle discussioni politiche: lo Stato è un indubbio bene o è un male necessario? La risposta cristiana è che lo Stato non è un bene né supremo né indubbio, ma un male necessario. Per rendere giustizia a tale posizione occorre però insistere sia sul sostantivo sia sull’aggettivo. Lo Stato è un male non solo per via dell’abuso di potere dei magistrati, ma anche perché interferisce con la libertà e introduce una innaturale superiorità tra gli uomini. Ma lo Stato è anche necessario di fatto perché senza governo civile la natura malvagia dell’uomo trasformerebbe la sua libertà in azioni intollerabili. L’esistenza dello Stato è allo stesso tempo una punizione e una cura, entrambi parziali, per il peccato […] dato che egli crede che i governanti siano malvagi come chiunque altro, andrà oltre questo e si opporrà in genere a ogni espansione del controllo statale

Quelli che sostengono principi socialisti o propagandano il comunismo senza dichiarare apertamente la loro simpatia per la violenza a volte partoriscono bizzarri miscugli di idee. Costoro spesso evidenziano i “mali del monopolio capitalistico”, dipingono i poveri proletari come in pericolo mortale per l’avidità delle multinazionali, si spendono in infervorate crociate contro i “ricchi”, e allo stesso tempo combinano tutto questo con la dottrina dei teologi liberali della fondamentale bontà degli uomini. Ma se è così, come è che quando passano dalla psicologia o dalla teologia alla politica solo i poveri rimangono buoni e i ricchi diventano di colpo malvagi? La situazione si complica quando si passa ai loro appelli per un maggiore intervento statale. Questo requisito sembra implicare che non solo i poveri siano buoni, ma che i politici siano anche meglio. E siccome i politici sono immuni dal male, dalle tentazioni e da motivazioni egoistiche si può fare totale affidamento su di loro nell’amministrazione dei nostri affari pubblici. In questa concezione socialista e umanistica sembra proprio che la ricchezza corrompe, ma il potere no. Ma se gli uomini sono fondamentalmente buoni, allora neanche la ricchezza dovrebbe corrompere, e in questo caso la regolamentazione statale non dovrebbe neppure essere necessaria. Questa mancanza di coerenza sembra scaturire da due tendenze umanistiche basilari: la prima è l’esagerata opinione che l’umanesimo ha della natura umana, e la seconda è la propensione della teoria politica non-teistica verso il totalitarismo. Se i diritti del governo non sono stabiliti e limitati da Dio, non c’è essenzialmente nessun terreno intermedio tra l’anarchia e il totalitarismo. […]

Il cristiano non cercherà di evadere una tassa ingiusta, ma nell’interesse di una moralità cristiana agirà per la sua abolizione. E dato che egli crede che i governanti siano malvagi come chiunque altro, andrà oltre questo e si opporrà in genere a ogni espansione del controllo statale. Il potere è una facoltà ben più pericolosa della ricchezza, e perfino l’anarchia non è peggio del totalitarismo. Per ragioni puramente terrene, a prescindere da considerazioni religiose … chiunque sappia riconoscere le tendenze malvagie della natura umana non può coerentemente dare il suo appoggio a uno stato di polizia paternalistico. […]

Una superficiale lettura del passaggio Paolino [Romani 13] e l’incapacità di cogliere l’intero insegnamento biblico riguardo alla politica possono dare l’impressione che ogni disobbedienza civile sia condannata dai principi cristiani, come infatti alcuni autori Cristiani hanno fatto. Ma non è difficile dimostrare la fallacia di tale posizione. Per la stessa ragione che il governo è una divina istituzione che deriva la sua autorità da Dio ne segue che i governi sono senza autorità se agiscono oltre i limiti stabiliti da Dio, come fanno i governi totalitari. E se i magistrati abusano della loro autorità, non c’è più alcun obbligo di obbedirli. Questa giustificazione cristiana della disobbedienza civile non dipende solamente da un vago principio generale. Spesse volte la Bibbia fa esplicite dichiarazioni a riguardo e fornisce diversi esempi concreti. Sia il principio sia l’esempio si trovano nel diniego di Pietro di fronte al sinedrio quando disse: «Giudicate voi se è giusto, davanti a Dio, ubbidire a voi anziché a Dio» — un’affermazione che presuppone che i diritti di Cesare sono limitati. Di fronte al fatto che quasi tutti gli apostoli furono messi a morte sull’accusa di un crimine religioso sorprende sapere che ci siano Cristiani che disputano contro la disobbedienza civile simpliciter. Anche il Vecchio Testamento ci offre episodi di disobbedienza approvata e persino ordinata da Dio. La madre di Mosè disobbedì al governo egiziano quando nascose e salvò il piccolo Mosè. Shadrach, Meshach e Abed-Nego e Daniele si rifiutarono di obbedire al Re. E indubbiamente fu questo principio che giustificò la disobbedienza di Niemoeller e la sua chiesa nella Germania nazista, e che condannò l’abulico e pusillanime atteggiamento delle università. E dato che i governanti totalitari sono malvagi come tutti gli altri uomini, e sono spesso e volentieri anche peggio, è da aspettarsi che promulghino decreti in netto contrasto con le leggi di Dio. E i Nebuchadnesar, i Cesari e i dittatori del XX secolo stanno lì a dimostrarci che questa è l’immutabile lezione della storia. Di conseguenza il più grande pericolo di fronte a noi oggi non è la Terza Guerra Mondiale, per quanto disastrosa essa possa essere. No, la più grande calamità è il continuo incremento della regolamentazione statale. E uno Stato in espansione deve prima o poi entrare in conflitto con la sola autorità che gli pone dei limiti. […]

Lo scopo [di questo capitolo] è di offrire prove che le presupposizioni cristiane giustificano un governo civile di poteri limitati, mentre quelle umanistiche implicano o l’anarchia o il totalitarismo. Messa di fronte a questi fatti una persona dovrà scegliere. Se opta per l’umanesimo è perché è infatuato dell’anarchia o crede di avere buone chance di diventare un dittatore, ma se dovesse avere qualche desiderio di libertà politica il cristianesimo gli offrirà una coerente visione del mondo.

Gordon H. Clark, A Christian View of Men and Things pp. 100-103

Gordon C. Clark

Gordon Haddon Clark (31 agosto 1902 – 9 aprile 1985) è stato un filosofo e teologo calvinista americano . Era una figura di spicco associata all’apologetica presupposizionale ed è stato presidente del Dipartimento di Filosofia della Butler University per 28 anni. Era un esperto di filosofia presocratica e antica ed era noto per aver difeso l’idea della rivelazione proposizionale contro l’ empirismo e il razionalismo, sostenendo che tutta la verità è proposizionale . La sua teoria della conoscenza è talvolta chiamata scritturarismo .

Clark è cresciuto in una famiglia cristiana e ha studiato il pensiero calvinista fin dalla giovane età. Nel 1924 si laureò all’Università della Pennsylvania con una laurea in francese e conseguì il dottorato in filosofia presso la stessa istituzione nel 1929. L’anno successivo studiò alla Sorbona .

Ha iniziato a insegnare all’Università della Pennsylvania dopo aver conseguito la laurea e ha anche insegnato al Reformed Episcopal Seminary di Filadelfia. Nel 1936 accettò una cattedra di Filosofia al Wheaton College, Illinois , dove rimase fino al 1943, quando accettò la Presidenza del Dipartimento di Filosofia alla Butler University di Indianapolis. Dopo il suo ritiro da Butler nel 1973, ha insegnato al Covenant College di Lookout Mountain, in Georgia , e al Seminario Sangre de Cristo di Westcliffe, in Colorado .

Le affiliazioni confessionali di Clark sarebbero cambiate molte volte. Nacque e alla fine divenne un anziano nella Chiesa Presbiteriana negli Stati Uniti d’America. Tuttavia, alla fine sarebbe partito con un piccolo gruppo di conservatori, guidati da John Gresham Machen, per aiutare a formare la Chiesa presbiteriana d’America (ribattezzata Chiesa presbiteriana ortodossa nel 1938) e sarebbe stato ordinato nell’OPC nel 1944. Tuttavia, nel 1948, in seguito alla controversia Clark- Van Til , si unì alla United Presbyterian Church of North America . Dopo la fusione del 1956 dell’UPCNA con la Chiesa Presbiteriana negli Stati Uniti d’America (la stessa denominazione da cui l’OPC si era separato nel 1936) per formare ilChiesa Presbiteriana Unita negli Stati Uniti d’America , Clark si è unito alla Chiesa Presbiteriana Riformata, Sinodo Generale nel 1957. Clark è stato determinante nell’organizzare una fusione tra la RPCGS e la Chiesa Presbiteriana Evangelica per formare la Chiesa Presbiteriana Riformata, Sinodo Evangelico nel 1965. Quando la RPCES divenne parte della Chiesa Presbiteriana in America nel 1982, Clark si rifiutò di aderire alla PCA e invece entrò nel non affiliato Covenant Presbytery nel 1984.

Clark è stato anche eletto presidente della Società Teologica Evangelica nel 1965.

Morì nel 1985 e fu sepolto vicino a Westcliffe, in Colorado .