Domenica 12 ottobre 2025
[Culto completo con predicazione, 58′ 51″]
[Solo predicazione, 24′ 56]
Che cosa cerchiamo nella Bibbia?
Non è difficile accorgersi quanto oggi molti cristiani siano affascinati dall’idea di poter interpretare gli avvenimenti del nostro tempo in chiave “apocalittica”. Guerre, epidemie, catastrofi naturali: c’è chi corre subito a cercare nella Bibbia o in qualche mistico visionario la “profezia nascosta” che spiegherebbe tutto. E se non la trova nella Scrittura, la cerca nei libri di successo o nei film di Hollywood, che hanno trasformato l’Apocalisse in uno spettacolo sensazionale, fatto di disastri, paure e miracolosi interventi salvifici. Molti infatti ci speculano sopra e da questa popolare inclinazione ne traggono profitto.
La mania di investigare il futuro, per altro, non è affatto nuova. È una tentazione antica quanto l’uomo. Già gli antichi romani avevano i loro aruspici, sacerdoti che scrutavano il volo degli uccelli o le viscere degli animali per indovinare ciò che sarebbe avvenuto. Altre culture facevano lo stesso, cercando segni misteriosi negli astri, nei presagi o nelle catastrofi naturali. È la costante della nostra umanità. Un cristiano, però, dovrebbe al riguardo avere maggiore discernimento. Non cerca nella Bibbia, magari aprendola a caso, il “responso” di Dio sui propri casi personali o su “come andranno le cose” – come se si trattasse di leggere le carte dei tarocchi… Questa è superstizione. Non guarda ai testi dei profeti biblici o del libro dell’Apocalisse indiscriminatamente come per trovarvi predizioni sui fatti del presente per rispondere alle proprie paure, per trovarvi vane consolazioni o nella morbosa ricerca del sensazionale. Cerca piuttosto di imparare a leggere quegli antichi testi informandosi sul loro contesto storico, sui generi letterari con i quali sono espressi, sulla loro finalità ultima così come viene spiegata attraverso l’insegnamento, l’interpretazione che, nel nostro caso, ne dà il complesso del Nuovo Testamento.
Si tratta così per noi di evitare di tentare di decifrare il presente ed il futuro senza veramente ascoltare Dio che, attraverso i testi profetici della Bibbia, si propone obiettivi spesso diversi da quelli che ci aspetteremmo da una lettura immediata, oppure influenzata da pubblicistica ignorante o pregiudiziale. Le profezie bibliche non sono un enigma da risolvere con le notizie del telegiornale, né un copione da film. Esse ci conducono, secondo quanto ci insegna il Nuovo Testamento, a un unico punto focale: la persona e l’opera di Gesù Cristo, nel quale si sono compiute, realizzate, la maggior parte delle profezie bibliche.
Il testo biblico
C’è un testo, nelle Sacre Scritture, dell’apostolo Paolo dove egli, giustificando sé stesso per non aver subito risposto alla sua promessa di far visita alla comunità cristiana di Corinto, afferma come sia sempre stato un suo punto di onore mantenere fede alle promesse fatte, ma a tempo e a luogo, così come Dio ha compiuto fedelmente tutte le promesse da Lui fatte nel corso della storia del Suo popolo nella persona del Suo Figliolo, il Salvatore Gesù Cristo. Non si tratta di un’affermazione, quella dell’apostolo Paolo, gettata lì per caso, ma di quello che, in termini tecnici, oggi chiameremmo un “principio ermeneutico” fondamentale per comprendere rettamente le profezie bibliche.
Ascoltate il testo.
“Con questa fiducia, per procurarvi un duplice beneficio, io volevo venire prima da voi e, passando da voi, volevo andare in Macedonia, poi dalla Macedonia venire di nuovo a voi e voi mi avreste fatto proseguire per la Giudea. Prendendo dunque questa decisione ho agito con leggerezza? Ovvero, le cose che decido, le decido secondo la carne, così che un momento io dica “Sì, sì” e l’altro “No, no?” Ora, com’è vero che Dio è fedele, la parola che vi abbiamo rivolta non è “sì” e “no”. Perché il Figlio di Dio, Cristo Gesù, che è stato da noi predicato fra voi, cioè da me, da Silvano e da Timoteo, non è stato “sì” e “no”, ma è “sì” in lui. Poiché quante sono le promesse di Dio, tutte hanno in lui il loro “sì”, perciò pure per mezzo di lui si pronuncia l’Amen alla gloria di Dio, in grazia del nostro ministerio. Ora colui che con voi ci rende fermi in Cristo e che ci ha unti è Dio, il quale ci ha pure segnati con il proprio sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori. Ora io chiamo Dio a testimone sull’anima mia che è per risparmiarvi che io non sono più venuto a Corinto. Non signoreggiamo sulla vostra fede, ma siamo collaboratori della vostra gioia, poiché nella fede voi state saldi” (2 Corinzi 1:15-24).
La fedeltà di Dio e la fedeltà dell’apostolo
In questo testo l’’apostolo Paolo ci dice che Gesù Cristo è il “Sì” di Dio. In lui tutte le promesse dell’Antico Testamento trovano il loro compimento. Non è soltanto che Cristo realizza alcune profezie o che adempie qualche parola specifica dei profeti: egli è il compimento organico e totale di tutta la speranza biblica. Israele, la terra promessa, il Tempio, il sacrificio, la legge, la regalità davidica: tutto converge e si realizza in lui. Quando dunque leggiamo i testi profetici, non dobbiamo cercare tanto la loro attuazione negli eventi geopolitici contemporanei, ma dobbiamo guardare a Cristo, perché Dio ha detto in lui l’ultima, definitiva parola di grazia e di salvezza.
Questo significa che per leggere rettamente le profezie bibliche dobbiamo adottare un principio ermeneutico cristocentrico, un’interpretazione che si incentra in Cristo Gesù. Non partiamo dal giornale per proiettare sugli eventi le parole della Scrittura; partiamo da Cristo per comprendere ciò che Dio ha inteso dire attraverso i profeti. Cristo è la chiave, l’interpretazione, la luce che rischiara tutto il resto. Per questo la Bibbia non è un libro di enigmi da decifrare, ma un libro che annuncia una storia di salvezza culminata nel Figlio di Dio. In lui la promessa fatta ad Abramo di una discendenza benedetta, quella a Israele di una terra, quella a Davide di un regno eterno, hanno trovato compimento e significato.
Dire che tutte le promesse di Dio hanno in Cristo il loro “sì” significa anche che Dio non delude. Così come Paolo difende la propria integrità davanti ai cristiani di Corinto, mostrando di non parlare in modo ambiguo, tanto più Dio non è contraddittorio. Egli ha mantenuto ciò che aveva detto, non a metà, non con esitazioni, ma pienamente in Cristo Gesù. Questo ci dà sicurezza: la nostra fede non si regge su calcoli, previsioni o presagi, ma sulla fedeltà di Dio rivelata in Cristo. Chi è in lui, è erede di tutte le promesse di Dio, non perché appartiene a una terra o a un popolo secondo la carne, ma perché appartiene a Cristo per grazia.
Gesù Cristo come il “sì” di tutte le promesse
Il cuore di questo passo si trova nelle parole dell’apostolo: «quante sono le promesse di Dio, tutte hanno in lui il loro sì». Questo vuol dire che non esiste promessa di Dio che resti sospesa o incompiuta: tutte hanno trovato realizzazione nella persona e nell’opera di Gesù Cristo. Egli è il vero Israele e Lui soltanto, il discendente promesso ad Abramo, il Re della stirpe di Davide, il Servo del Signore annunciato dai profeti. Ogni linea della rivelazione conduce a lui come al suo punto focale. Per questo, chi è unito a Cristo per fede, diventa partecipe di tutte le promesse di Dio, non sulla base di appartenenze carnali o genealogiche, ma per grazia mediante la fede.
L’apostolo aggiunge: «perciò pure per mezzo di lui si pronuncia l’Amen alla gloria di Dio». In Cristo non solo vediamo la fedeltà di Dio, ma anche rispondiamo con la nostra fede. Dire “Amen” significa riconoscere che in Cristo tutte le promesse sono state adempiute e confessare che non c’è altro fondamento per la nostra speranza. Il credente, allora, non vive sospeso nell’incertezza né preda di speculazioni apocalittiche: vive della certezza che tutto ciò che Dio ha detto ha già trovato conferma nel suo Figlio. Questa certezza diventa il motivo della nostra adorazione e della nostra lode.
La certezza della fedeltà di Dio: sigillo, unzione e caparra
Paolo mette in rilievo che Dio stesso è colui che ci stabilisce in Cristo, ci consacra, ci sigilla, ci dà lo Spirito come caparra. La prima immagine è quella dell’unzione: nella tradizione biblica (profeti, re, sacerdoti), l’unzione era un rito che consacrava una persona per un servizio speciale, manifestando che Dio la sceglieva e la investiva del suo potere. In Cristo quell’unzione è compiuta, ma la stessa benedizione è estesa a chi è in lui: noi siamo “unti” non per uno spettacolo, ma per essere saldi, confermati, partecipi della sua missione e della sua vittoria.
Poi vengono le immagini del sigillo e della caparra. Essere sigillati dallo Spirito significa che siamo contrassegnati come proprietà di Dio — un marchio che indica che apparteniamo a Lui, che siamo custoditi dalla sua fedeltà. Lo Spirito è inoltre “caparra”, cioè un anticipo, una garanzia: Dio ha già messo lo Spirito nei nostri cuori come anticipo della pienezza che verrà, dell’eredità futura, della redenzione definitiva (cfr. Efesini 1:13-14). Questa realtà dona al credente serenità, sicurezza: non siamo in balìa delle paure o delle interpretazioni sensazionalistiche, ma stabili nella promessa che Dio mantiene tutto fino al compimento.
Il ministero apostolico come modello di servizio
Alla fine del brano, Paolo chiarisce il senso del suo rapporto con la comunità di Corinto. Egli non “signoreggia” sulla loro fede, ma un collaboratore della loro gioia. Questo è un punto molto importante: l’autorità apostolica non si traduce in dominio, ma in servizio. Paolo richiama Dio come testimone della sua sincerità: la sua decisione di non tornare subito a Corinto non era per leggerezza o durezza, ma per risparmiare loro ulteriori tensioni. In altre parole, egli agisce con lo stesso spirito di Cristo, che non è venuto per essere servito ma per servire (Marco 10:45).
Questo ci ricorda che anche oggi, nella chiesa, i ministeri non esistono per imporre la propria volontà sugli altri, ma per aiutarli a crescere nella fede e nella gioia. L’apostolo non costruisce un rapporto di dipendenza personale, bensì indirizza la comunità a Cristo, nel quale tutte le promesse hanno il loro “sì”. È questa la misura autentica di ogni servizio cristiano: non attirare a sé, non alimentare timori o curiosità morbose, ma rendere saldi i credenti nella fede, affinché la loro vita sia fondata su Cristo solo.
Conclusione
Ecco allora come noi viviamo in un tempo in cui, come nei secoli passati, molte persone cercano segni misteriosi negli eventi della storia. Guerre, crisi, epidemie: ogni cosa sembra alimentare la febbre di chi vuole interpretare la realtà in chiave “apocalittica”. Ma questa ricerca del sensazionale rischia di ridurre la Parola di Dio a un oracolo ambiguo, a una sorta di manuale di predizioni. La Scrittura, invece, non è data per soddisfare la nostra curiosità, ma per farci conoscere Cristo, che è il compimento delle promesse divine.
E questo è il grande messaggio del testo che abbiamo meditato: in Gesù Cristo tutte le promesse di Dio hanno ricevuto il loro “sì”. Egli è il vero e solo Israele, la discendenza promessa, il Re e il Servo del Signore. In lui Dio ha detto la sua Parola definitiva, e ha confermato questa promessa nei nostri cuori con l’unzione, il sigillo e la caparra dello Spirito Santo. Non abbiamo bisogno di rincorrere predizioni incerte, perché Dio ci ha già dato il fondamento sicuro della fede e della speranza.
Perciò, il nostro compito oggi non è quello di decifrare il futuro con metodi superstiziosi, ma di vivere con fedeltà nel presente, confidando nella Parola compiuta di Dio in Cristo. Questo significa crescere nella gioia, rimanere saldi nella fede, resistere alla tentazione del sensazionalismo, e soprattutto indirizzare ogni speranza verso Gesù, il “Sì” di Dio e l’Amen alla sua gloria. Chi è in Cristo non è mai smarrito, perché ha già ricevuto la promessa più grande: la vita eterna e la comunione con Dio. Come sarà il prossimo futuro? Quali avvenimenti lo caratterizzeranno? Lo lasciamo alla provvidenza di Dio ed ai Suoi propositi senza pretendere di investigarlo. L’importante è che quando Cristo tornerà, come ha promesso, Egli ci trovi attivi e fedeli a servire la Sua causa in questo mondo per la Sua gloria e l’avanzamento del Suo Regno – nei luoghi in cui Egli ci ha posto e investendo i talenti che Egli ci ha dato. Questa è l’unica cosa che ci deve veramente importare.
Preghiera.Signore Dio fedele, ti ringraziamo perché in Cristo Gesù hai mantenuto ogni tua promessa: in lui non vi è incertezza né ambiguità, ma un “sì” pieno e definitivo. Perdonaci quando ci lasciamo distrarre da paure e curiosità sul futuro, invece di confidare nella tua Parola sicura. Aiutaci a vivere ogni giorno con occhi fissi su Gesù, con il cuore saldo nella speranza e con mani pronte a servire. Donaci la sapienza di lasciare il futuro ai tuoi propositi e alla tua provvidenza, senza pretendere di investigarlo oltre misura. Fa sì che, quando Cristo tornerà, noi si sia trovati fedeli e attivi nel servire la tua causa, nei luoghi in cui ci hai posti, investendo i talenti che ci hai dato per la tua gloria e per l’avanzamento del tuo Regno. A Te, Padre, Figlio e Spirito Santo, siano la lode e la gloria nei secoli dei secoli. Amen.
Paolo Castellina, 3 ottobre 2025