Un servizio arduo ma coronato da successo (Isaia 49:1-7)

Domenica 15 gennaio – Seconda domenica dopo l’Epifania 

(Servizio di culto completo con predicazione, 55′).

(Solo predicazione, 20′)

Un servizio arduo ma coronato da successo

Sommario: Mentre le ambizioni di molti in questo mondo sono quelle di imporsi con la forza ed essere serviti, Dio, in Cristo, si rende Servitore della nostra redenzione e modello del valore più alto: servire il bene. Questo modello ci viene presentato dal profeta Isaia in quattro “Canti del Servo dell’Eterno”, di cui oggi esaminiamo il secondo nel capitolo 49. Questo testo ci parla della elezione del Servo di Dio dall’eternità, della sua formazione e delle difficoltà che ha incontrato che culmineranno in certo successo. Che cosa impariamo dal seguire Lui sulla strada del servizio di Dio e del nostro prossimo?

C’è sempre stato e c’è ancora oggi chi dice: “Sono il Primo e il Più Grande e mi aspetto che tutti si sottomettano a me e che siano al mio servizio. Chiunque osa resistermi lo costringerò con la forza a farlo!”. Questo è ciò che hanno sempre inteso re, imperatori, dittatori, magnati dell’industria, le mafie e oggi potenti multinazionali. Chi non è d’accordo dovrà patire la forza del loro “braccio armato”! In questo vi sono incluse pure pretenziose organizzazioni religiose – come la storia ha dimostrato. E’ la logica del potere di questo mondo fallace. Il Signore Gesù, però, ai suoi discepoli insegnava ben altro: “Ma tra voi non deve essere così; anzi, il maggiore fra voi sia come il minore, e chi governa come colui che serve” (Luca 22:26). Gesù non solo lo insegnava, ma lo dimostrava: “Io sono in mezzo a voi come colui che serve” (Luca 22:27). Diceva pure: “Chiunque vorrà essere grande fra voi, sarà vostro servitore; e chiunque, tra di voi, vorrà essere primo sarà servo di tutti. Poiché anche il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire, e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti” (Marco 10:43-45).

I valori di Dio (quelli che più contano e rimangono) sono spesso opposti a quelli di questo mondo decaduto. La vera grandezza passa da altre strade. Indicando per sé stesso il termine “Figlio dell’uomo[1]” il Salvatore usava un semitismo che appare spesso nella Bibbia e che semplicemente vuol dire  “uomo”, “colui che condivide la natura umana[2]”, l’uomo come doveva essere sin dall’inizio prima che il peccato lo corrompesse. Affermava, quindi, e dimostrava, i caratteri del vero umanesimo. Ciò che rende grande l’essere umano è la disponibilità a mettersi al servizio, umile e disinteressato, degli altri.

 Il Servo dell’Eterno, luce delle nazioni 

La via e il primato del servizio non è un’innovazione di Gesù di Nazareth ma il compimento di ciò che era stato ampiamente annunciato nelle Sacre Scritture ebraiche e che Gesù incarnava. Ne parla ampiamente l’antico profeta Isaia quando si riferisce alla manifestazione del Servo di Jahvè per eccellenza, il Servo dell’Eterno. Isaia lo annuncia e descrive in quattro cantici, dei quali oggi leggiamo e commentiamo il secondo. “Ascoltatemi!” è l’appello che ci viene rivolto nel primo versetto.

“Isole, ascoltatemi! Popoli lontani, state attenti! L’Eterno mi ha chiamato fin dal grembo materno, ha pronunciato il mio nome fin dal seno di mia madre. Egli ha reso la mia bocca come una spada tagliente, mi ha nascosto nell’ombra della sua mano; ha fatto di me una freccia appuntita, mi ha riposto nella sua faretra e mi ha detto: “Tu sei il mio servo, Israele, nel quale io manifesterò la mia gloria”. Ma io dicevo: “Invano ho faticato, inutilmente, per nulla ho consumato la mia forza; ma certo, il mio diritto è presso l’Eterno e la mia ricompensa è presso il mio Dio”. E ora parla l’Eterno che mi ha formato fin dal grembo materno per essere suo servo, per ricondurgli Giacobbe e per raccogliere intorno a lui Israele; io sono onorato agli occhi dell’Eterno e il mio Dio è la mia forza. Egli dice: “È troppo poco che tu sia mio servo per rialzare le tribù di Giacobbe e per ricondurre gli scampati d’Israele; voglio fare di te la luce delle nazioni, lo strumento della mia salvezza fino alle estremità della terra”. Così parla l’Eterno, il Redentore, il Santo d’Israele, a colui che è disprezzato dagli uomini, detestato dalla nazione, schiavo dei potenti: “Dei re lo vedranno e si alzeranno; dei principi pure, e si prostreranno, a causa dell’Eterno che è fedele, del Santo d’Israele che ti ha scelto” (Isaia 49:1-7).

Questo, come dicevo, è il secondo di quattro canti profetici del Servo di Jahvè[3]. Il primo parla della sua chiamata e missione universale (42:1-9), il secondo della sua elezione, formazione e difficoltà (49:1-6), il terzo della sua missione, opposizione e certezza di successo (50:4-11), e il quarto del suo sacrificio e glorificazione finale (52:13-53:12). E’ stato molto dibattuto su chi potesse essere questo “Servo di Jahvè”. Studiosi ebrei dicono che si tratta del popolo di Israele in quanto tale. Sta di fatto, però che, nell’insegnamento del Nuovo Testamento, Gesù si fa riconoscere come questo “servo di Dio” di cui ci parla Isaia. Egli, infatti, è “la progenie di Abraamo”, come insegna l’apostolo Paolo quando scrive: “Le promesse furono fatte ad Abraamo e alla sua discendenza. Non dice: “E alle progenie”, come se si trattasse di molte, ma, come parlando di una sola, dice: “E alla tua progenie”, che è Cristo” (Galati 3:16). Egli, soprattutto è “l’Israele” per eccellenza: “… e mi ha detto: “Tu sei il mio servo, Israele, nel quale io manifesterò la mia gloria” (3).

A chi in particolare questo invito ad ascoltare? Sono “le isole”, il cui significato compare nella ripetizione (tipica della poesia ebraica) che segue, cioè “Popoli lontani”, le popolazioni non ebraiche. Le notizie di un efficace Redentore sarebbero loro giunte allo stesso modo in cui il ministero di Gesù si era diffuso allora nelle regioni circostanti: “La sua fama si sparse per tutta la Siria; e gli portarono tutti i malati colpiti da varie infermità e da vari dolori, indemoniati, epilettici, paralitici, ed egli li guarì” (Matteo 4:24). Avendo visto che i loro idoli sono impotenti a salvare (41:21-29), le genti saranno aperte a ricevere il Salvatore e la Legge di Dio. Accoglieranno con favore, cioè, l’insegnamento di Dio.

Questo testo ci parla dunque della elezione del Servo di Dio dall’eternità, della sua formazione e delle difficoltà che ha incontrato.

La Sua elezione 

Nell’ambito del creato nulla avviene per caso. Dio ha sovranamente disposto ogni cosa secondo i Suoi propositi e le leggi che Egli ha impresso nel creato. Tutto si svolge e si muove nel senso che Egli ha determinato in maniera saggia, buona e giusta. Così è per l’avvento del Salvatore.  “L’Eterno mi ha chiamato fin dal grembo materno, ha pronunciato il mio nome fin dal seno di mia madre” (1, 5): lo troviamo nei vangeli. La dottrina della sovranità di Dio e della predestinazione è chiaramente insegnata nelle Sacre Scritture ed è applicata in modo particolare al Cristo, l’annunciato Salvatore del mondo. Il mondo non crede a questo, anzi, lo contesta con forza. Quando viene concepita una nuova creatura, un ovulo femminile viene fecondato da un solo spermatozoo fra un altissimo numero di altri. Quale fra essi arriverà a destinazione? Noi diremmo: “Si tratta di un avvenimento casuale, imprevedibile. Ciascuno di essi genererebbe, se avesse successo nel fecondare l’ovulo, un individuo completamente diverso. Anche dopo la sua nascita, quella persona diventa ciò che largamente la casualità la porta ad essere”. E’ così? No. La casualità è un concetto che appartiene alla limitata prospettiva umana, quella che, fra l’altro, dà origine alla cultura abortista. Essa, infatti, dà scarso o nessun valore alla creatura umana sin dal suo concepimento. Non è questa la prospettiva di Dio, per il quale non esistono avvenimenti casuali  né creature umane prive di importanza. La Bibbia afferma persino: “Si gettano i dadi nel bussolotto, ma la decisione dipende tutta dal Signore” (Proverbi 16:33 TILC). La predestinazione al servizio di Dio era ben presente ai personaggi più eminenti delle Scritture. Dio dice al profeta Geremia: “Prima che io ti avessi formato nel grembo di tua madre, io ti ho conosciuto; e prima che tu uscissi dal suo grembo, io ti ho consacrato e ti ho costituito profeta delle nazioni” (Geremia 1:5). L’apostolo Paolo scrive: “… Dio, che mi aveva appartato fin dal seno di mia madre e mi ha chiamato mediante la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché io lo annunciassi fra le genti” (Galati 1:15-16). Il Signore Gesù dice: “Perciò, entrando nel mondo … mi hai preparato un corpo” (Ebrei 10:5). Nel mondo si susseguono cosiddetti “salvatori” che “colgono l’opportunità” per imporsi, ma falliranno. Non così l’unico vero Salvatore del mondo, “il quale ci ha salvati e ci ha rivolto una santa chiamata, ()  secondo il proprio proponimento e la grazia che ci è stata fatta in Cristo Gesù fin dall’eternità” (1 Timoteo 1:9). 

La Sua formazione 

I propositi di Dio per il Salvatore Gesù Cristo sono precisi e tutto è finalizzato a quell’obiettivo. Egli non avrà solo a che fare con gli israeliti, ma è proposito di Dio renderlo il Salvatore del mondo. “Egli dice: “È troppo poco che tu sia mio servo per rialzare le tribù di Giacobbe e per ricondurre gli scampati d’Israele; voglio fare di te la luce delle nazioni, lo strumento della mia salvezza fino alle estremità della terra” (6). Più chiaro di così non potrebbe essere e già il ministero terreno di Gesù inizialmente rivolto agli israeliti, ne dà concreta indicazione. Egli dice: “Ho anche delle altre pecore, che non sono di questo ovile; anche quelle devo raccogliere ed esse ascolteranno la mia voce e vi sarà un solo gregge, un solo pastore” (Giovanni 10:26).

Per tutto questo Gesù si esercitava fino dall’infanzia: “Tutti quelli che lo udivano stupivano del suo senno e delle sue risposte” (Luca 2:47). Inoltre: “Gesù cresceva in sapienza, in statura e in grazia davanti a Dio e agli uomini” (Luca 2:52). Formatosi così nella Sua famiglia terrena, senza aver frequentato alcuna delle scuole teologiche del tempo, tutti “stupivano della sua dottrina perché parlava con autorità” (Luca 4:32). Senza pari nella Sua generazione, davvero Gesù poteva così dire: “Egli ha reso la mia bocca come una spada tagliente, mi ha nascosto nell’ombra della sua mano; ha fatto di me una freccia appuntita, mi ha riposto nella sua faretra” (2). Egli è una “freccia” che colpisce sempre nel segno. Nella Sua generazione Egli si dimostrava come dice la lettera agli Ebrei: “… la parola di Dio è vivente ed efficace, più affilata di qualunque spada a due tagli, penetra (…) e giudica i sentimenti e i pensieri del cuore. E non c’è nessuna creatura che possa nascondersi davanti a lui, ma tutte le cose sono nude e scoperte davanti agli occhi di colui al quale dobbiamo rendere conto” (Ebrei 4:12-13). Così era e rimane la Parola di Gesù.

Le sue difficoltà 

Era però inevitabile che la Parola di Gesù, “tagliente ed efficace” incontrasse allora pure dura opposizione – continua ad esserlo oggi quando è annunciata fedelmente. Isaia parla del Servo di Dio come del disprezzato dagli uomini, detestato dalla nazione” (7). Era così naturale che, dal punto di vista umano tale opposizione suscitasse in Gesù anche frustrazione. “… perché il cuore di questo popolo si è fatto insensibile, sono diventati duri d’orecchi e hanno chiuso gli occhi’” (Matteo 13:15). Non poche volte troviamo Gesù a sbottare anche verso i Suoi discepoli:O generazione incredula e perversa, fino a quando sarò io con voi e vi sopporterò?” (Luca 9:41). Ricordate quando Gesù rimprovera lo stesso Pietro dicendogli: “Vattene via da me, Satana! Tu non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini” (Marco 8:33). Questa frustrazione di Gesù esprime quanto già il profeta Isaia diceva: “Invano ho faticato, inutilmente, per nulla ho consumato la mia forza” (4). Non è raro che dei cristiani pure dicano lo stesso!

Anche noi abbiamo motivo di scoraggiarci di fronte alla potenza degli avversari, apparentemente invincibili. Possiamo condividere quanto scrive l’arcivescovo Viganò:

“La battaglia epocale che stiamo combattendo contro il Leviatano globalista ha come scopo – lo sappiamo bene, per ammissione dei suoi stessi fautori – la distruzione sistematica di ogni traccia della presenza di Cristo dalle anime, dalle famiglie e dalla società, per sostituirvi l’orrore tetro della signoria di Satana e del regno dell’Anticristo. In questa battaglia non siamo solo assediati da forze nemiche potentissime e scatenate, ma anche dalle quinte colonne che, in seno alla Chiesa e addirittura in posizioni di governo, assecondano per interesse, per ricatto o per pavidità il piano infernale del Nuovo Ordine Mondiale. Aborto, divorzio, eutanasia, teoria gender, omosessualismo e neomalthusianesimo non sono altro che strumenti con cui distruggere la società, ma ancora prima di essa la famiglia, perché nella famiglia si può realizzare quella forma di resistenza alla dittatura del pensiero unico, grazie alla quale conservare la propria determinazione a difendere con coraggio la propria Fede e la propria identità”.

Il Suo successo 

Gesù, però, non si scoraggia ma persiste – così come deve fare ogni Suo discepolo. Egli poteva dire  “… ma certo, il mio diritto è presso l’Eterno e la mia ricompensa è presso il mio Dio” (4). “Il mio Dio è la mia forza” (5). Gesù non vacilla. È sicuro del successo della sua impresa e della certa sconfitta di Satana. Chi Dio chiama prospererà. Come dice l’apostolo Paolo: “Ringraziato sia Dio che ci dà la vittoria per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo. Perciò (…) state saldi, incrollabili, abbondanti sempre nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore” (1 Corinzi 15:57-58).

Gesù è il Servo dell’Eterno: ha avuto, ha e avrà successo come tutti coloro che si pongono al servizio di Dio nelle imprese che Dio li chiama a svolgere. Giovanni Calvino ebbe a scrivere: “La totalità ed i singoli elementi della nostra salvezza sono rinchiusi in Gesù Cristo; bisogna perciò guardarsi dal farne derivare la minima porzione da altra fonte. Se cerchiamo salvezza, il nome stesso “Gesù” ci insegna a cercarla in lui. Se cerchiamo i doni dello Spirito Santo li troviamo nella sua consacrazione. Se cerchiamo forza, è situata nella sua sovranità. Se vogliamo trovare dolcezza e benignità la sua natività ce la presenta: in essa egli è stato reso simile a noi per imparare ad essere pietoso. Se domandiamo redenzione, la sua passione ce la dà. Nella sua condanna, troviamo la nostra assoluzione. Se desideriamo che la maledizione ci sia allontanata, lo otteniamo nella sua croce. La soddisfazione, l’abbiamo nel suo sacrificio; la purificazione nel suo sangue;  (…). La mortificazione della nostra carne si trova del suo sepolcro; la novità di vita, nella sua risurrezione, nella quale abbiamo la speranza dell’immortalità. Se cerchiamo l’eredità celeste ci è assicurata dalla sua ascensione. Se cerchiamo aiuto e conforto e abbondanza di ogni bene l’abbiamo nel suo regno. Se vogliamo presentarci al giudizio con tranquillità, possiamo farlo poiché è il nostro giudice. In lui Insomma è il tesoro di tutti i beni e da lui dobbiamo attingere per essere saziati, non altrove. Chi non fosse soddisfatto di lui e ondeggiasse qua e là da una speranza all’altra, pur continuando a guardare soprattutto a lui, non terrebbe la strada giusta volgendo altrove una parte almeno dei propri pensieri. Del resto questa sfiducia non può penetrare nel nostro cuore, se abbiamo coscienza delle sue ricchezze” (Giovanni Calvino).

Paolo Castellina, 9-1-2023


[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Figlio_dell%27uomo

[2] Nella letteratura apocalittica offerta dal profeta Daniele, l’espressione ebraica בר אנש Bar-‘enash, traducibile come Colui che possiede le qualità di Adamo prima della cacciata dal Giardino dell’Eden, era senza peccato, incorruttibile (senza divenire) e immortale (Lettera gli Ebrei 4,15).

[3] Cfr. https://digilander.libero.it/credente2/CantiServo4.htm

Sezione didattica (non inserita nel culto)