Emil Camenisch, Storia della Riforma e Controriforma nelle valli meridionali del Canton Grigioni, Samedan: Engadin Press, 1950.


Capitolo IV. La Controriforma


4.1 Introduzione

Borromeo ci è noto; il suo nome e quello del nunzio pontificio sono strettamente legati con il movimento della Controriforma nelle valli di Poschiavo, della Mesolcina e nei baliaggi delle Tre Leghe. Conosciamo già anche i mezzi adoperati da questo movimento per raggiungere i suoi scopi. La brutale ed intollerante pressione politica della Spagna e dei Confederati cattolici, il blocco delle derrate alimentari provenienti dalla Lombardia, la paralizzazione del traffico e del commercio grigionesi nell'Italia settentrionale, l'incarceramento di sudditi evangelici delle Tre Leghe e dei loro baliaggi oltre i confini politici della Valtellina e del Chiavennasco per ordine dell'Inquisizione, sono cose ormai a tutti note. Seguirono a questi altri provvedimenti, come vedremo più tardi, e tutti questi mezzi di pressione contribuirono a trasformare in minoranza la già maggioranza evangelica della Valle di Poschiavo, a scacciare l'Evangelo dalla Mesolcina ed a soffocare nel sangue il protestantesimo dei baliaggi.

La Controriforma nacque col Concilio di Trento. L'Inquisizione e l'ordine dei gesuiti lavoravano bensì già prima in questo senso, ma il loro lavoro prese pieno sviluppo ed impulso soltanto dopo il Concilio.

La cittadina di Trento situata all'estremo confine meridionale dell'Impero nella Valle dell'Adige, fu sede della grande dieta ecclesiastica, che ebbe nel rinnovamento della Chiesa Cattolica un'importanza eccezionale. Il concilio durò, salvo due lunghi periodi di interruzione, dal 1545 al 1563: i capi di parte evangelica rinunziarono al colloquio, ma ne seguirono da lontano gli sviluppi; neppure i Grigionesi se ne disinteressarono. Le lettere scritte a Bullinger da molti ecclesiastici e laici delle Tre Leghe lo dimostrano chiaramente: esse dicevano fra l'altro sia che il Concilio si era sciolto lasciando cattivo ricordo di sé (18 settembre 1545), sia che esso doveva presto venire riconvocato per la dannazione del Cristianesimo e dell'Evangelo (20 ottobre 1550), sia che non se ne sentiva più parlare e che aveva poco peso, benché frequentato da molti cardinali (12 ottobre 1551), sia che il Vescovo di Coira, Tommaso Planta, vi aveva partecipato, tornando da Roma, ma senza il permesso delle autorità locali (23 novembre 1551), sia che i prelati del Concilio si erano bisticciati e presi a pugni, aggiornando i dibattiti a Pentecoste o forse a mai più (18 aprile 1552), sia che esso si era sciolto perché colpito dal fulmine (18 maggio 1552), Sia che i prelati si erano seriamente impensieriti del propagarsi dell'eresia luterana (17 febbraio 1562) . Altre lettere dicevano che in una sommossa a Trento erano stati uccisi 30 preti, ed un cardinale era stato pugnalato dal suo albergatore per delle proposte immorali alla di lui moglie (13 marzo 1562), che il numero dei partecipanti al Concilio era salito a centocinquanta vescovi ed alcuni cardinali, specialmente italiani e spagnoli, che avevano condannato tutti i libri pubblicati da uomini pii simpatizzanti per la causa evangelica e scomunicato gli autori di libri anti-papali (3 aprile 1562); che il cardinale di Ems aveva schiaffeggiato in piena seduta uno spagnolo che gli aveva rimproverato la scarsa conoscenza del latino (24 agosto 1562), che i servitori degli Italiani e degli Spagnoli si erano azzuffati tra di loro, facendo tredici morti e molti feriti, fino a che gli abitanti di Trento ed i cardinali non li avevano rappacificati (29 marzo 1563), che l'abate di Einsiedeln, Joachin Eichhorn, era ritornato al Concilio il 13 dicembre con tredici cavalli (17 dicembre 1563), che il Concilio pareva sciolto e che Fabritius, parroco di Coira, doveva chiedere ragguagli al Vescovo di Coira (31 dicembre 1563).

Colui che seguiva il Concilio con la massima attenzione in tutte le sue fasi era Vergerio, ex-vescovo e legato papale. Egli ne sconsigliava la partecipazione ed inveiva senza ritegno contro il Papa e i prelati del Concilio. A questa sua avversione egli dava sfogo con espressioni di rabbia in numerose epistole e stampati mordaci. Una delle sue più note epistole è intitolata "Concilium Tridentinum fugiendum esse omnibus piis", che contiene diversi documenti ed un poco lusinghiero commiato all'indirizzo del Papa: "Ti giudichiamo per la tua bocca. I tuoi pensieri ci sono ormai noti. Festeggia pure le tue radunanze ecclesiastiche a tuo piacimento. Noi rimarremo a casa ad annichilire i tuoi empi editti con la spada della parola divina. Per l'amore di Dio, Padre Eterno, e di Suo Figlio Gesù Cristo, la tua potenza e la tua persona verranno soppresse".

Le lettere di cui abbiamo parlato si basavano per lo più soltanto su dicerie e disconoscevano un po' la portata del Concilio. I circoli evangelici andavano però d'accordo nel giudicare il Concilio Tridentino guidato dal Papa e ostile alla Riforma ed in ciò non si sbagliavano: tutte le forze religiose e scientifiche delle quali la chiesa poteva ancora vantarsi (e non erano poche malgrado l'incredibile degenerazione), si unirono per soffocare il protestantesimo e per rafforzare il prodotto dogmatico delle tradizioni medievali.

Specialmente Vergerio sentiva con giusto istinto che con il Concilio sarebbe nata un'idea inconciliabile con lo spirito della Riforma, una potenza avente anzi lo scopo di annientare completamente l'opera dei Riformatori. Questa intenzione esisteva veramente ed era propugnata energicamente e con raffinatezza specialmente da parte del partito curialesco. Questo è anche ammesso da uno storiografo cattolico moderno, il quale dichiara apertamente che il Concilio di Trento valse a salvaguardare il cattolicesimo da tutta una serie di eresie ed a diffonderlo in tutto il mondo; fu capace di lottare per i santi beni della Chiesa, per i Santi Sacramenti allora intaccati e vituperati, e di salvare le sacre usanze apostoliche; con uno sforzo quasi sovrumano e coscienzioso i migliori architetti dell'epoca eressero il grandioso edificio del Concilio Tridentino sulla Santa Scrittura e sulle tradizioni apostoliche, edificio che nella notte tempestosa della scissione della fede è diventato e si è mantenuto come faro luminoso della Chiesa cattolica per ogni età.

Le armi approntate dal Concilio di Trento per combattere la Riforma sorsero dall'ardente spirito di un cattolicesimo ringiovanito, come si può riscontrare perfettamente in Carlo Borromeo, e si temperarono nella volontà di riformare rigorosamente la vita monastica degenerata e di combattere l'ignoranza e la scostumatezza del clero secolare e dei parrocchiani. A tale scopo fu preparato un catechismo (Cathechismus Romanus), un vasto elenco di libri proibiti (Index librorum prohibitorum); un manuale di confessione dei preti (Confessio fidei tridentinae); e la pubblicazione di una Bibbia in lingua latina (Vulgata). La pubblicazione di tutte queste opere fu affidata alla Curia.

Per poter scendere in lizza contro gli aborriti eretici, frenarne l'impeto e riconquistare il terreno perduto, bisognava ora trovare degli uomini ripieni dello spirito tridentino, ciò che non fu difficile, poiché nel 1528 i cappuccini e nel 1540 i gesuiti avevano iniziato la loro opera. Quando entrò in vigore l'Inquisizione e si mise a coadiuvarli, essi diedero inizio ai più sanguinosi procedimenti contro gli eretici.

a) La Controriforma in Mesolcina e Calanca

Un funesto uragano si avvicinava dal sud alle valli meridionali: neri nuvoloni preannunciavano la tempesta. Borromeo, plenipotenziario papale, cardinale ed arcivescovo, veniva personalmente nelle aspre regioni mesolcinesi per porre mano all'opera di conversione. Una statua colossale di questo uomo, venerato dai cattolici come un Santo, ma chiamato nel protocollo di un sinodo evangelico contemporaneo coll'epiteto di bestia nefasta, guarda ancora oggi da un'altura a sud del Lago Maggiore verso feconde pianure padane. Borromeo era nipote di Pio IV (Giovanni Angelo de' Medici), che una volta fu sul di punto di essere nominato vescovo di Coira, e del famigerato castellano di Musso, Giovanni Giacomo de' Medici. Nacque nell'anno 1538 nel castello di Arona sul Lago Maggiore, dal Conte Gilberto II e da Margherita de' Medici. Già da bambino Borromeo frequentava assiduamente le chiese ed adoperava le elemosine della badia affidatagli per i poveri. A 16 anni lo troviamo all'Università di Pavia quale studente di diritti civile e canonico. Terminò i suoi studi conseguendo il dottorato. Dopo la morte del suo genitore, egli entrò in possesso del ricco dominio di Arona, e approfittò della nuova situazione per migliorare nel suo territorio la disciplina ecclesiastica, che era scesa ad un livello notevolmente basso, specie nei conventi. Per raggiungere tale scopo egli non risparmiava i colpevoli ne dalla pena corporale ne dall'incarcerazione. Insignito dallo zio papa di diverse cariche ecclesiastiche e dotato di vistose entrate, egli progettò la fondazione di una scuola per la formazione di preti capaci e costumati, progetto che trovò la sua realizzazione nel Collegio Elvetico. Alla fine di gennaio dell'anno 1560 diventò cardinale e all'8 febbraio dello stesso anno arcivescovo di Milano: come tale egli si accinse subito con uno zelo incomparabile a riformare la propria diocesi malandata e trascurata. Egli voleva anzitutto consolidare la disciplina ecclesiastica ed estirpare le correnti eretiche; a tale scopo egli richiese l'aiuto dei gesuiti e della inquisizione. Notevole è il fatto che il suo padre confessore era un gesuita.

Borromeo operò dapprima quasi esclusivamente da Roma; nel 1515 si stabilì definitivamente a Milano e estese la sua attività missionaria sempre più verso settentrione, nei baliaggi svizzeri, ai piedi del Gottardo, e nella Svizzera cattolica.

La vita cattolica di quei paesi doveva subire il medesimo mutamento ed adattarsi alle decisioni del Concilio di Trento. Per frenare l'inselvatichimento morale dei preti, fu convocato a Locarno un gruppo di gesuiti, dove già, come abbiamo visto, si era andata formando una fiorente comunità riformata fin dal 1555. Nel 1570, in occasione di una sua visita pastorale nel Ticino, Borromeo valicò il Gottardo e si spinse nella Svizzera interna: nella Valle di Orsera ebbe il menzionato colloquio con Beato à Porta, vescovo di Coira, con l'abate di Disentis ed il giudice capo della Lega Grigia. Vi si discussero le misure da prendersi contro il protestantesimo grigionese, specialmente contro gli evangelici della Mesolcina.

In questa valle l'opera sovvertitrice cominciò il 27 novembre 1582, allorché Borromeo si lasciò nominare dal Papa Gregorio XIII come visitatore della Svizzera e delle Tre Leghe. Per il conseguimento del medesimo scopo, Borromeo rivolse all'imperatore della Germania ed ai re di Francia e di Spagna la preghiera di rimuovere gli ostacoli dei Grigionesi per mezzo dei loro ambasciatori e di appianargli la via nella Mesolcina ed eventualmente anche nel restante territorio delle Tre Leghe. Nella sua diocesi egli ordinò pubbliche preghiere ed implorò sulla sua impresa la celeste benedizione, si provvide largamente di quattrini per elargire delle elemosine, e pani. Allorché il 12 novembre 1588 egli giunse a Roveredo su terra grigionese, trovò il terreno preparato: un battistrada, il gesuita milanese, avvocato Francesco Borsatto, I'aveva preceduto ed aveva saputo allontanare le difficoltà giuridiche, sicché da parte delle autorità valligiane non c'erano più da temere ostacoli. Il pericoloso visitatore era accompagnato da tre eloquenti predicatori, il gesuita Achille Gagliardi, il francescano P. Pignarola ed il canonico Ottavio Albiati; il futuro vescovo Bernardino Marra gli serviva da segretario.

A che punto si trovasse la situazione morale e religiosa nella Mesolcina si può leggere in una relazione del citato compagno del Borromeo, gesuita padre Achille Gagliardi: egli scrive che la valle era completamente nelle mani di profughi apostati che vi esercitavano il ministero pastorale; mentre alcuni di loro propagavano dottrine eretiche, altri davano cattivi esempi con la loro condotta; molti parrocchiani erano anzi stati indotti ad apostatare dalla incapacità dei pastori. Persino il prevosto di S. Vittore, primo dignitario della chiesa mesolcinese, era stato infettato e funzionava da capostregone; tutta la valle era inoltre piena di usurai, di matrimoni illegittimi, e di inimicizie pericolose, spesso culminanti in omicidi. Nessuno si era assunto l'insegnamento dei costumi e della dottrina cristiana, cosicché l'ignoranza vi si era propagata in modo incomparabile. Borromeo cercava di por fine a questi inconvenienti, esercitando in ogni parrocchia una zelante attività di proselitismo, basata su di un ricco programma d'azione: al mattino predicava il padre Pignarola, Borromeo leggeva poi la messa, elargiva la comunione e teneva una seconda predica. Nel pomeriggio concedeva delle udienze per comporre inimicizie e regolare matrimoni illegali ecc. Quindi ritornava in chiesa, cantava le litanie, istruiva la gioventù e l'esaminava nel catechismi; il padre Achille teneva poi una terza predica sulle verità della fede. La sera era riservata per discutere il proseguimento del programma d'azione.

Nella predica Borromeo si paragonava a Giuseppe mandato dal padre in cerca dei fratelli. Tutto ciò però non gli bastava ancora per conseguire i suoi scopi. Con estrema severità fece pulizia tra i preti incolti e inetti, rimandò i monaci fuggiti nei loro conventi, rimise in ufficio i penitenti e allontanò gli ostinati, fra i quali anche il citato prevosto di S. Vittore, Domenico Quattrini, a Roveredo. Al suo posto insediò Pietro Stoppani, rettore del Collegio Elvetico a Milano, che nominò nello stesso tempo parroco di Rovereto; al posto di altri preti sfrattati mise dei gesuiti e dei ferventi preti milanesi.

A Borromeo stava a cuore anche la scuola: fondò un collegio di gesuiti a Roveredo e promise l'invio di maestri per aprire delle scuole ed introdurre nella valle un metodo didattico moderno. Egli era naturalmente molto attivo anche nella diffusione di libri ortodossi e di catechismi destinati all'istruzione del popolo: a tale scopo fondò anche una libreria, e contemporaneamente si andò alla ricerca dei libri eretici stampati o manoscritti per darli alle fiamme. Gli evangelici, minacciati da tutte le parti, privati dei loro maestri e rimasti senza aiuto efficace da parte dei correligionari d'oltralpe, passarono dei brutti giorni. Se Borromeo procedeva con severità contro i propri correligionari, aveva ancora meno riguardi verso gli eretici. I prelati del Concilio di Trento avevano chiuso la loro ultima seduta col grido: "maledizione agli eretici!" e Borromeo si accinse a tradurlo in atto contro gli evangelici della Mesolcina. Egli si diede certamente tutto quanto per ricondurre in grembo alla Chiesa i più tiepidi e gli apostati. Ma chi resisteva ai tentativi di conversione aveva da aspettarsi la peggio. Come si sa da tradizione cattolica, quattro famiglie di Andergia (Toscano, Albertini, Cavallari) abbandonarono la valle al solo sentore della venuta di Borromeo. Egli poi, approfittando della superstizione regnante nella valle, trattò gli altri da stregoni e streghe, e li sottopose ad un severo interrogatorio: chi non era disposto a sottomettersi veniva consegnato per la punizione al tribunale civile. Stando al rapporto del Padre Achille, molti di essi confessarono di essere in lega col diavolo, di tenere riunioni notturne e di uccidere persone, specialmente bambini, con una polvere fatta di corpi essiccati e di scheletri umani. Di 162 donne, 150 ritrattarono la lega col diavolo (dice l'Achille), ma 12 rimasero decise ed ostinate malgrado tutte le minacce: queste ultime furono consegnate alle autorità civili e punite col rogo.

Questo modo di convertire avrà forse corrisposto al fanatismo della Controriforma, ma è indegno dl un arcivescovo e cardinale, e soprattutto di un uomo dell'importanza di Borromeo. Che gli evangelici avuto la peggio con tali metodi è comprensibile, ma non c'è da meravigliarsi che il Sinodo abbia qualificato il cardinale come una bestia nefasta. Nella valle l'azione sua non è stata dimenticata: e ancor oggi nella Mesolcina regna uno spirito di indipendenza di fronte alle organizzazioni ecclesiastiche, questo non si deve solo attribuire al lavoro liberale di Beccaria, ma anche alla reazione contro il provocante metodo inquisitorio di Borromeo. Questa specie di "Missione Cristiana" non risvegliò soltanto l'indignazione del Sinodo evangelico retico, ma anche provocò l'atteggiamento contrario della Lega Caddea e della Lega delle Dieci Giurisdizioni; si trattava infatti di flagranti offese ai diritti delle Tre Leghe. In occasione della Dieta di S. Martino dell'11 novembre 1583 si constatò che l'arcivescovo di Milano e cardinale Borromeo era stato invitato dapprima ad inviare in Mesolcina un inquisitore e che poi era venuto personalmente a Roveredo dove i caporioni cospiratori gli avevano messo a disposizione il palazzo ed il giardino dei Trivulzio, permettendogli, pure contrariamente alle disposizioni legali, di erigervi un collegio di gesuiti. In un rapporto del 1584, sommario ma ufficiale, si contattava inoltre che ben diverse persone eminenti della Lega Grigia erano sospettate di prendere parte a tali manovre, in cui pesavano evidentemente delle pericolose considerazioni politiche per le Leghe. Per indagare e giudicare su questi tradimenti le Tre Leghe avevano istituito un tribunale composto di un giudice istruttore e di cinque giudici per ogni Lega; ma poiché non ci si fidava troppo della Lega Grigia, si erano nominati previdentemente altri cinque giudici della Lega Caddea e di quella delle Dieci Giurisdizioni, in modo che il tribunale potesse funzionare qualora si fosse dovuto impedire ai rappresentanti della Lega Grigia di parteciparvi. Da tutto questo risulta evidente che il procedere di Borromeo con i suoi supplizi di streghe, i suoi licenziamenti ed insediamenti dispotici di ecclesiastici e le sue fondazioni di scuole non poteva piacere ed era riconosciuto contrario alle leggi, ma che non ci si poteva opporre con sufficiente efficacia. Si poté bensì impedire la fondazione del collegio dei gesuiti, ma non si poté rimediare alla soppressione del movimento evangelico. Se l'Evangelo non poté dunque mantenersi nella Mesolcina, non è colpa da attribuirsi alla tiepidezza della predicazione o degli insegnamenti del Beccaria o del Viscardi: ciò che condusse all'estirpazione della Riforma fu in modo particolare l'azione priva di scrupoli del Borromeo, che coadiuvato ora apertamente ora segretamente dalla Spagna arcicattolica, dai Cantoni primitivi della Svizzera, e dalla maggioranza cattolica della Lega Grigia, non recedeva neanche davanti alle sentenze capitali.


Capitolo 4, parte seconda

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