Emil Camenisch, Storia della Riforma e Controriforma nelle valli meridionali del Canton Grigioni, Samedan: Engadin Press, 1950.


II. L'inizio della Riforma in Italia e nelle regioni soggette ai Grigioni


Il sorgere della Riforma religiosa in Bregaglia e Poschiavo ed in parte anche in Mesolcina sta in diretto rapporto col risveglio religioso io Italia e nelle regioni dipendenti dai Grigioni, la Valtellina, Chiavenna e Bormio: fin dal 1512 i Grigioni signoreggiavano su queste belle valli, amministrate per loro da un numero rilevante di funzionari. Il Governatore generale risiedeva in Sondrio, ed aveva al suo fianco quale collaboratore il Vice-Governatore o Vicario, risiedente come lui a Sondrio. Nei singoli distretti di Tirano, Teglio, Traona e Morbegno risiedevano i cosiddetti Podestà, quali giudici e amministratori. Tutte le cariche avevano la durata di due anni, anche per il Governatore ed il Vicario. Bormio e Chiavenna godevano della stessa parità amministrativa, con la sola differenza che il podestà di Chiavenna si chiamava Commissario, mentre quello di Bormio aveva un potere più limitato.

Allo scoppio della Riforma, non di rado accadeva che le cariche fossero affidate a funzionari evangelici, i quali spesso si facevano seguire dalle loro famiglie e quindi da ministri evangelici assunti come precettori privati.

Non è certo questa la ragione che ha favorito la causa evangelica sulle rive del lago di Como e dell'Adda: la ragione va ricercata in altre circostanze. già verso la fine del primo ventennio del secolo XVI, ma specialmente dopo il 1542, comparvero nella Valtellina e a Chiavenna dei preti e monaci italiani, che molto avevano sofferto per la loro fedeltà all'Evangelo, e che non potevano fare a meno di parlarne ancora. Le prediche di costoro, unite al racconto delle loro sofferenze, sovente della prigione e della tortura, destarono grande stupore ed interesse nei paesi soggetti ai Grigioni. L'attenzione con cui si seguivano le loro vicende destava spontaneamente il confronto tra la loro predicazione e quella che ancora si andava facendo nelle chiese cattoliche della regione. Questi perseguitati dall'Inquisizione Romana e Spagnola venivano tutti ad affluire nei Grigioni, quasi come in seguito ad una parola d'ordine, e capitavano in un momento propizio per impressionare il popolo.

Per comprendere la riforma nei paesi soggetti ai Grigioni e nelle valli limitrofe, conviene prima dare una idea chiara del contemporaneo risveglio religioso in Italia.

Come i Tedeschi e gli Svizzeri, anche gli Italiani sentivano la necessità di risalire alle fonti originali della fede, le Sacre Scritture, Antico e Nuovo Testamento: il fenomeno dell'Umanesimo, col volgere gli spiriti allo studio ed alla ricerca dell'antichità classica greca e romana, aveva pure favorito lo studio e l'indagine relativi ai testi delle Sacre Scritture; ne sorsero cosi nuove traduzioni ed interpretazioni.

Desiderio Erasmo di Basilea pubblicò nel 1516 il Nuovo Testamento nel testo greco originale, mentre quasi contemporaneamente veniva pubblicata in Spagna la cosiddetta Bibbia Poliglotta a cura della Arcivescovo Ximenes di Toledo, contenente l'Antico ed il Nuovo Testamento in greco ed in ebraico, con la traduzione greca della Antico, e latina di tutta la Bibbia. In Italia furono in parte introdotte delle riforme nei conventi con lo scopo di favorire lo studio del libro sacro: tale passo non poteva fare a meno di portare ad un confronto tra l'ideale biblico e la realtà quotidiana e ad un esame critico delle istituzioni ecclesiastiche.

I principali centri della nuova indagine biblica erano in Italia: Napoli, allora spagnola (Juan de Valdèz), Lucca (Pier Martire Vermigli, Aonio Paleario), Modena (Giovanni Morone), Ferrara (Renata D'Este, figlia di Luigi XII re di Francia, viva simpatizzante per la Riforma e circondata da letterari e studiosi, tra cui si trovarono di passaggio Calvino stesso e Clemente Marot, il famoso traduttore dei Salmi), Venezia (Gaspare Contarini, Reginaldo Polo). Benché allora pochi, forse anzi nessuno, penasse di uscire dal Cattolicesimo, tuttavia nei vari centri di risveglio religioso si veniva sviluppando accanto all'amoroso studio per la Bibbia anche l'adesione al dogma della giustificazione per fede e non per le opere: ma quando gli scritti dei Riformatori furono portati d'oltralpe, la loro lettura cominciò a creare una situazione sempre più pericolosa. Un libraio di Pavia, Francesco Calvi, che diffondeva tale letteratura, dichiara che essa veniva ricercata ed accolta con favore in tutta Italia e perfino in Roma.

Questi avvenimenti non potevano passare inosservati alla Curia Papale, tanto più che lo sviluppo della Riforma in Germania ed in Svizzera dimostrava ormai dove il movimento sarebbe andato a sfociare. Già il Papa Clemente VII, il cui pontificato va dal 1523 al 1534, in una bolla diretta particolarmente alla Inquisitore di Ferrara, manifesta la sua inquietudine per il propagarsi della "pestilenziale eresia luterana" in diverse contrade d'Italia, e non solo tra i laici, ma anche tra preti e monaci, e perfino tra i frati minori, fino allora "i più fedeli difensori del gregge cristiano". Veniva inoltre ordinato a tutti gli inquisitori di procedere con il massimo rigore contro i sospetti di eresia della Ordine Domenicano o dei Predicatori, degli altri ordini monacali e in genere contro tutti i Luterani segreti e contro coloro che leggevano libri di Lutero o protestanti.

Nella sua Istruzione consegnata alla Imperatore dal delegato Campeggio alla Dieta di Augusta del 1530 (Instructio data Caesari a Reverendissimo Campeggio in Dieta Augustana 1530), egli emette questa terribile sentenza contro il Protestantesimo: "La pianta velenosa deve venire estirpata col ferro e col fuoco" (S. M. potrà mettere la mano al ferro et al foco et radictus extirpare questa mala velenosa pianta). L'intenzione di dare alla Inquisizione un carattere di sempre maggiore severità era ormai manifesta, ma fu poi merito del Papa Paolo III (1534 1549) che istituì nel 1542 la Congregazione della S. Inquisizione o S. Uffizio destinato a combattere la corruzione eretica: essa aveva il compito e l'autorità di procedere al di qua e al di là dei monti contro tutti coloro che in qualche modo deviassero dalla fede cattolica, errando in materia di fede o appartenendo a qualsiasi eresia; avrebbero dovuto rendere conto del loro operare tutti i favoreggiatori di eresie, qualunque fosse il loro rango o la loro posizione sociale.

I colpevoli, e sovente anche i soli sospetti, venivano incarcerati in seguito a denuncia e, se risultavano colpevoli, erano puniti secondo il codice canonico; se condannati a morte, i loro beni venivano confiscati e venduti all'asta.

La Congregazione del S. Uffizio era diretta da Giampiero Caraffa, in seguito elevato al soglio pontificio col nome di Paolo IV: ormai il suo compito più urgente era quello di preparare carceri e sale di tortura destinate alle vittime della crudele persecuzione religiosa, e fu egli stesso che anticipò di tasca sua i mezzi necessari per affrettare l'esecuzione dei processi.

Quasi contemporaneamente alla istituzione della Inquisizione era avvenuto il riconoscimento della ordine dei Gesuiti (27 luglio 1540), e subito dopo, l'apertura del concilio di Trento (dicembre 1545). Tutte queste disposizioni miravano evidentemente a sopprimere la nuova dottrina, almeno in Italia.

Si incominciò col reprimere la letteratura eretica, proibendo la pubblicazione e la diffusione di tutto quanto non avesse avuto l'approvazione preventiva dell'Inquisizione, e mediante la pubblicazione del famoso "Index librorum prohibitorum" si impedì perfino di stampare integralmente le opere dei padri della chiesa. Era ormai inevitabile una rottura completa.

Molti, che avevano sperato che la chiesa cattolica si riformasse di propria iniziativa quanto alla fede e all'organizzazione ecclesiastica, rimasero profondamente delusi; i deboli, quelli incapaci di sostenere la lotta, si prepararono a subire l'imposizione dell'autorità religiosa; i più forti e risoluti invece, infiammati dallo spirito e persuasi come Lutero che non bisognasse agire contro la propria coscienza, ruppero le loro relazioni col papato. Allora, come riferisce Ferdi. Meyer, in breve tempo le carceri si riempirono e le strade che conducevano alle Alpi furono piene di fuggiaschi.

E' facile a capire come i perseguitati si avviassero con speranza di una vita più libera verso le terre soggette ai Grigioni, mentre altri scelsero come meta del loro esilio la Svizzera o la Germania o l'Inghilterra o anche i paesi nordici; quivi molti diedero lustro alle università che li avevano accolti o divennero ministri delle comunità di rifugiati italiani.

Le vicende di vita dei singoli profughi italiani ci chiariscono nel modo migliore l'aspetto generale del movimento riformato italiano nonché la sua formazione ed i suoi progressi. Fra di loro consideriamo due personaggi tipici: un oratore eloquente e predicatore di gran fama, Bernardino Ochino, e un dotto di gran fama, Pier Martire Vermigli.

Bernardino Ochino nacque in Siena nell'anno 1487. Egli aveva una forte predisposizione per la vita devota e religiosa, e perciò entrò molto giovane nell'Ordine dei Conventuali Francescani, per passare in seguito, a 47 anni, all'ordine più disciplinato ed austero dei Cappuccini, fondato nel 1525 ed approvato da Papa Clemente VII nel 1528. Egli così pregava: «Signore, se non ho trovato la pace finora, non so quel che debba ancora fare». Quella pace dell'anima che egli invocava, la trovò però soltanto quando si diede allo studio della S. Scrittura e quando comprese che Cristo ha fatto quello che ci è necessario con la sua morte redentrice, che i voti monastici erano biasimevoli e che la chiesa romana era in contraddizione con la Scrittura. Tali convinzioni non si formarono certamente d'un tratto nella sua anima, ma furono frutto di una lunga meditazione e maturarono lentamente fino a raggiungere la forza e l'entusiasmo necessari ad un difensore della verità evangelica. Egli aveva ottenuto in quel tempo una fama straordinaria a causa della sua eloquenza, dimostratasi specialmente in occasione delle predicazioni di quaresima, per le quali si cercavano degli oratori valenti tra i vari ordini religiosi. Dotato dalla Provvidenza di un raro talento oratorio ed infiammato da ardente convinzione, egli era diventato un irresistibile annunciatore della fede: le chiese più vaste non riuscivano a contenere le folle accorse ad ascoltarlo, principi e vescovi lo onoravano, cardinali gli aprivano il loro cuore, e perfino Paolo III lo aveva scelto come suo confessore, mentre Carlo V aveva esclamato dopo una sua predica: «Farebbe piangere i sassi!» La sua vita ascetica ed il suo aspetto venerando davano inoltre alla sua parola una insolita autorità: al vedere la sua faccia patita, i suoi capelli bianchi e la sua barba profluente fino alla cintola, il popolo lo considerava come un santo.

Nel 1538 il Capitolo lo aveva nominato Generale dell'Ordine. Ma nelle sue prediche cominciò a farsi notare un'inclinazione sempre crescente verso le idee dei riformatori. Il primo a rendersene conto fu Juan De Valdèz a Napoli, che lo introdusse nel suo circolo dopo aver udita una delle sue impressionanti prediche e ne rafforzò la fede evangelica che già lo possedeva; fu in questo ambiente che Ochino venne a conoscenza degli scritti di Lutero.

Quando le repressioni religiose presero un ritmo più preoccupante, uno dei primi a disapprovarle fu l'Ochino, e, in una pubblica predica a Venezia, egli vi si dichiarò apertamente contrario: ciò succedeva nella quaresima precedente alla comparsa della bolla dell'Inquisizione. Fu allora invitato ad un colloquio a Roma. Si mise in viaggio per raggiungere la sede papale, passando da Bologna e Firenze, ma durante il viaggio fu segretamente avvertito dei pericoli che a Roma lo attendevano. Allora ritornò a Ferrara, dove la duchessa Renata lo aiutò nella fuga (1542). La conversione di Ochino alla Riforma produsse un'impressione straordinaria nella maggior parte delle città d'Italia che lo conoscevano come il più popolare predicatore; il Cardinale Caraffa se la prese a cuore e fece mettere sotto inchiesta tutto l'ordine dei Cappuccini e si giunse quasi alla sua soppressione.

Ritroviamo in seguito Ochino ad Augusta nel 1545 quale ministro dei profughi italiani, quindi a Zurigo con lo stesso incarico e più tardi a Londra. Caduto però in sospetto di non osservare le credenze riformate ortodosse, si recò in Polonia e quivi terminò la sua vita travagliata ed inquieta morendo in Moravia nel 1564.

Pier Martire Vermigli fu nel campo degli studiosi quello che Ochino era stato tra il popolo. Mentre Ochino proveniva da povera gente, Vermigli discendeva da una ricca famiglia di Firenze ed ebbe un'educazione accurata. Nato nel 1500, a soli 16 anni, spinto da un'irresistibile vocazione, entrò nel convento degli Agostiniani di Fiesole, molto ben attrezzato per gli studi. Passò poi a Padova per lo studio del greco e della filosofia aristotelica.

Subito notato per la sua gran dottrina, venne scelto per la predica quaresimale appena ventiseienne e predicò a Brescia, Mantova, Venezia, Bologna, Parma e Roma. Teneva inoltre dei corsi filosofici ed esegetici nei conventi del suo ordine, durante i quali ebbe occasione di approfondirsi nello studio delle S. Scritture ed anche dell'ebraico, raramente conosciuto in quei tempi. Nel 1541 venne nominato priore del Convento di S. Frediano in Lucca e vi introdusse con altre riforme anche lo studio della Bibbia, per le cui lezioni si serviva quotidianamente dei commentari dei Riformatori.

Juan de Valdez aveva avuto su di lui una grande influenza durante un suo soggiorno a Napoli, nel corso del quale aveva anche avuto occasione di conoscere Bernardino Ochino, e di leggere gli scritti di Erasmo, Zwingli e Lutero. Grande impressione gli aveva fatto l'opinione di Valdèz secondo la quale la Bibbia è sì il libro dei libri, ma l'uomo è la più alta espressione dello spirito divino. A Napoli egli fu esposto alla prima reazione, e solo grazie all'intervento di un amico, fu ritirato l'ordine che gli proibiva di predicare.

A Lucca egli teneva delle lezioni di lingue antiche, latino, greco ed ebraico, per incitare allo studio della Bibbia e teneva inoltre ogni domenica delle prediche seguite da gran numero di notabili.

Intanto egli era stato segretamente denunciato a Roma, e la celebrazione della S. Cena sotto le due specie (pane e vino) alla maniera dei Riformati può anche aver aggravato l'accusa mossa contro di lui. Vi furono pure contro di lui delle oscure macchinazioni di confratelli dello stesso ordine. Avvertito da amici, e dopo matura riflessione, si decise per la fuga, finché essa era possibile: accompagnato da tre fidati amici, passò a Pisa, ove celebrò la Cena con i fratelli in fede, e quindi, seguendo Ochino, si recò a Ferrara e di lì attraverso le Alpi Retiche raggiunse Zurigo. Anche dopo la misura inquisitoriale contro Vermigli, a Lucca i fratelli in fede del Convento continuarono a predicare come volevano i padri della Chiesa ed i Riformatori; solo verso il 1551, in un solo anno, diciotto di loro seguirono l'esempio del loro venerato maestro, e diversi si rifugiarono a Chiavenna, Tirano ed altrove. Ricordiamo di essi due uomini eccellenti che operarono anche in Valtellina ed a Chiavenna: Massimiliano Celso Martinengo, di nobile famiglia bresciana e Girolamo Zanchi, Bergamasco, per quattro anni ministro a Chiavenna.

Da Zurigo Vermigli si rifugiò a Strasburgo, ove gli verme assegnata una cattedra; invitato poi dal vescovo anglicano Crammer, partì nel 1547 per l'Inghilterra assieme a Ochino ed altri, dove fu professore di esegetica del Nuovo Testamento all'università di Oxford. Abbandonata in seguito l'Inghilterra per dei mutamenti politici, insieme ad Ochino, si recò nuovamente a Strasburgo e nel 1556 a Zurigo, ove insegnò filosofia e condusse a termine i suoi giorni nel 1568. Ovunque si distinse come profondo conoscitore delle lingue classiche e si fece notare per la straordinaria capacità di interessare i suoi uditori; a Zurigo era successo a Pellican, deceduto nel 1556, come professore di esegesi ebraica dell'Antico Testamento. Legato al Bullinger da comuni sentimenti e da salda amicizia, collaborò con lui alla redazione della seconda Confessione di fede Elvetica (Confessio Helvetica Posterior). In diverse controversie teologiche si fece ricorso alla sua autorità, e fu sempre membro fedele e generoso della comunità locarnese di Zurigo; questa città gli concesse poi la cittadinanza in segno di riconoscimento dei suoi meriti.

L'arrivo dei rifugiati italiani nei Grigioni e nei territori soggetti ebbe una grandissima importanza, poiché coincideva con l'inizio della Riforma e veniva a soddisfare le richieste di predicatori in lingua italiana.

I territori soggetti sottostavano, come Poschiavo, al vescovado di Como, che doveva vegliare sulla integrità morale e religiosa di quelle regioni. L'inquisitore diocesano, Fra Modesto Scrofeo, fin dal 12 settembre 1512 aveva dichiarato una donna di Sondrio «heretica, apostata, idolatra, sacrilega, malefica et della profana et nefandissima sette delle strie impenitente», ma egli stesso fu poi scacciato dal paese ,per il suo fare insopportabile e la sua sordida avarizia: dal che ricaviamo in complesso una poco favorevole impressione sullo stato della fede popolare e sull'autorità ecclesiastica. Non vogliamo però dare un valore di carattere generale a questi fatti.

Da altre fonti si apprendono fatti ancora peggiori, che inondano di fosca luce la morale e la fede del clero e del popolo. P. D. R. à Porta narra nella sua «Historia Reformationis Ecclesiarum Raeticarum, liber II, p. 15, e segg. che il prete Cesare de Berli di Samolaco presso Chiavenna diceva di aver avuto un'apparizione della Madonna, durante la quale essa minacciava una tremenda disgrazia per Chiavenna se la maledetta eresia dei luterani non fosse stata soppressa ed i suoi seguaci sterminati e messi in bando del paese. In seguito a tale apparizione si tennero feste e processioni; inoltre dei predicatori quaresimali, sempre secondo l' à Porta, tennero per tre giorni consecutivi delle prediche infocate contro i Luterani, incitando il popolo ad estirparli; però dopo alcuni mesi l'inganno fu scoperto, ed il prete colpevole, esaminato e torturato, confessò e fu decapitato alla presenza di un'enorme folla. Tale fatto si verificò sotto il commissario Giovanni de Capaul di Flims, che governò a Chiavenna dal 1531 al 1533, e produsse una grande impressione anche oltre i confini delle regioni sottomesse, come risulta da una lettera che il parroco di Coira, Giovanni Comander, scrisse al riformatore e medico sangallese Giochino de Watt il 17 novembre 1532.

Un decreto della Dieta dell' 11 gennaio 1541 imponeva ai funzionari della Valtellina e di Chiavenna di esortare i loro preti ad annunciare al popolo la santa parola di Dio e ad insegnare il Credo, il Padre Nostro, l'Avemaria ed i 10 comandamenti sotto pena della perdita delle loro prebende.

Il popolo era privo della più elementare conoscenza della dottrina cristiana: molti anni dopo lo scoppio della Riforma le genti della Valtellina e di Chiavenna ne accusavano apertamente i loro preti. Il 6 febbraio 1577 si presentarono infatti davanti ai rappresentanti delle Tre Leghe a Coira, Mattias Hopper di Morbegno a nome di tutta la Valtellina, e Paolo de Porto di Chiavenna per chiedere che fosse loro concesso di assumere predicanti e monaci stranieri per annunciare la parola di Dio, poiché i preti ed i monaci locali non ne erano capaci.

La più antica, grande e promettente delle comunità evangeliche dei paesi sottomessi era Chiavenna. Poiché già nei tempi antichi la grossa borgata era un centro di comunicazioni e dopo l'annessione ai Grigioni si era ancora più fortemente sviluppata, è facile capire che questo luogo fosse un punto di incontro tra la gente del nord e quella del sud, come è naturale che vi giungessero fuggiaschi in gran numero. Il Meyer chiama Chiavenna il principale centro di riunione dei fuggiaschi italiani: accanto a uomini di notevole erudizione e nobiltà si trovarono anime incerte e in cerca della verità.

Il primo predicatore riconosciuto dalla comunità fu Agostino Mainardi. Egli era nato nel 1482 a Saluzzo in Piemonte ed era appartenuto all'ordine degli Agostiniani, dove si acquistò gran fama a causa della sua erudizione. In seguito a prediche tenute in Asti, cadde in sospetto di eresia, ma ne fu assolto e si recò quindi a Pavia, dove tenne pure delle prediche. In quella città ed in altre si espose sempre maggiormente, finché si decise anche' egli per l'esilio volontario e comparve a Chiavenna nel 1539, dove assunse l'ufficio di predicatore.

Mainardo non fu il fondatore della comunità di Chiavenna: prima di lui vi era stato Francesco Negri, altro profugo italiano oriundo di Bassano nel Veneto. Fu al principio del terzo decennio che si manifestò nel comune la prima attività evangelica, e la formazione della comunità si può attribuirla all'attività del Negri. Tra i nobili troviamo aderenti alla nuova fede Ercole de Salis (deceduto nel 1578 a 75 anni a Soglio in Bregaglia) e Paolo Pestalozzi: figurano inoltre quali aderenti e sostenitori della comunità i Follizzeri, Stoppa, Bottagiso, Costa, Pizarda, Pelasico, Poverello.

Salis si prese cura del Mainardo e gli mise a disposizione per il culto evangelico la sua cappella privata, nonché l'abitazione del parroco con un giardino e le rendite di un fondo.

La comunità crebbe continuamente fino a comprendere un terzo degli abitanti; essa aveva la propria scuola stabilita nella casa parrocchiale di S. Pietro. Le spese di culto erano sostenute pubblicamente (dalla cassa comunale e dalle entrate della principale chiesa cattolica, S. Lorenzo). Da membro fedele del Sinodo Evangelico-retico, Mainardi si atteneva ai principi della Confessione Retica, e predicava senza fatica per cinque volte alla settimana ai suoi parrocchiani. Gravi preoccupazioni quali furono arrecate dalle opinioni non ortodosse del Siciliano Camillo Renato, di Francesco Stancaro, Pietro Leoni, Simone Florillo ed altri. I punti controversi riguardavano l'immortalità dell'anima, la risurrezione dei morti, la trinità, i sacramenti (Battesimo e S. Cena), la verginità di Maria, l'origine del bene e del male, il merito di Cristo ed altri ancora. Mainardi mori a 81 anni il 3 luglio 1563.

Gli successe Girolamo Zanchi, discepolo di Pietro Martire Vermigli, fin da quando erano insieme nel convento di Lucca. Il suo collega Florillo, che già aveva cagionato dei guai al suo predecessore, fu causa per lo Zanchi di gravi seccature: il conflitto verteva su alcuni punti di dottrina, ed ebbe disgraziatamente un seguito doloroso con la scissione della comunità, che ne soffrì nel suo sviluppo esteriore ed interno.

Fortuna volle che l'ufficio di pastore fosse in seguito assunto da Scipione Lentulo, di origine Napoletana, che già aveva provato i rigori della Inquisizione e la prigionia, ed era stato in seguito pastore dei Valdesi del Piemonte. Nel 1549 si era acquistato a Venezia la laurea di dottore in teologia e malgrado la sua malferma salute, resistette 30 anni al suo posto (1567-1597) .

Anche egli predicava da quattro a cinque volte alla settimana, con una retribuzione annua di cento corone. Per porre fine ai fastidiosi dissidi di carattere teologico, aveva ottenuto che la Dieta privasse del domicilio coloro che non volevano firmare la Confessio Raetica.

Nella contea di Chiavenna si formarono altre piccole comunità evangeliche a Piuro, sulla strada della Bregaglia, e su ambedue rive della Maira, a Pontiglia (Pontaila), presso Castasegna, a Prata (Prada) a sud, a Mese a sud-ovest di Chiavenna.


Seconda parte del capitolo secondo

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