Emil Camenisch, Storia della Riforma e Controriforma nelle valli meridionali del Canton Grigioni, Samedan: Engadin Press, 1950.


Capitolo secondo, seconda parte


Nella Valtellina erano soprattutto i capoluoghi di distretto, sede di funzionari grigionesi, che ebbero nel loro seno delle comunità evangeliche. In primo luogo dobbiamo ricordare Sondrio, capoluogo della valle, presso il monte omonimo e la valle di Malenco che si apre verso il passo del Muretto: essa si estende per circa cinque ore di cammino e conta diversi villaggi e frazioni dispersi sui suoi fianchi. Ne è capoluogo Chiesa, sulla riva destra del Mallero, ove sorgeva un tempo il principale tempio della valle. Vi circolano diverse leggende sul rinnovarsi della fede, come ad esempio quella di un certo Tomai, che si fece presso i suoi compatrioti grande propagandista della nuova fede, dopoché era morto il prete ed una frana aveva distrutto la chiesa; salvo che un prete intervenne a perorare per l'antica fede. E' però storicamente provato che l'ex-prete Bartolomeo ab Ecclesia raccolse intorno a sé una comunità evangelica, e che, dopo h sua morte (1580) il suo figliolo Giovanni ab Ecclesia ne prese cura. Nella matricola sinodale egli è registrato sotto il nome di "minister ecclesiae Malechensis".

Molto più fiorente era la comunità a Montesondrio, in cui aveva lavorato diversi anni Scipione Lentulo, sinché nel 1567 assunse il compito di pastore a Chiavenna servizio in quel luogo gli era diventato troppo gravoso a causa della podagra e delle grandi distanze che doveva percorrere. In una lettera a Bullinger a Zurigo della 8 settembre 1567 si scusava di aver abbandonato la comunità a causa del suo stato di salute e dell'eccessivo lavoro, ma l'aveva fatto col benevolo consenso della comunità; non era più adatto a quel lavoro in villaggi tanto dispersi e che richiedevano più movimento che predicazione; solo per tali motivi aveva accettato la chiamata della chiesa di Chiavenna. Sette anni dopo la partenza dell'amato pastore, la comunità decise di costruire il proprio tempio (1574). Successore di Lentulo fu anche' egli un Italiano, un certo Bartolomeo Silvio, il quale era bensì molto dotto, ma disgraziatamente uno di quegli individui ostinati e contrari alla Confessione Retica ed Elvetica. Egli credeva di essere chiamato ad opporsi ad un decreto delle Tre Leghe secondo il quale si garantiva la tolleranza dei due culti, cattolico e riformato. Fu perciò espulso dal Sinodo, e non certamente senza danno per la comunità; egli fu sostituito dal Bresciano Gabriele Averrarius, che si diede a chiamare la sua chiesa "Ecclesia Montis Rovoledi supra Sondrium". La fama di queste due chiese fu superata dalla chiesa di Sondrio stessa: a proposito della quale Vergerio, in un suo scritto del 23 gennaio 1553, diceva di essersi trovato con circa duecentocinquanta fratelli riuniti a pregare ed intercedere per la salute della amato Bullinger, affinché Dio lo rimettesse in buona salute. Dal che si può dedurre che fin dal 1553 la chiesa di Sondrio già contava un effettivo saldo nucleo, evidentemente in sumento, poiché quattro anni più tardi Ferdinando de Salis, di ritorno da un incarico ufficiale nella contea di Chiavenna e di Bormio, il 18 aprile 1557 annunciava l'inizio della costruzione di un tempio sul Monte Rovoledo presso Sondrio, poiché ivi molta gente era attaccata all'Evangelo, ma non aveva un luogo di culto. Probabilmente si alludeva alla Chiesa di Montesondrio, a Mossini. Se però Salis cita il gran numero di fedeli evangelici (ingens hominum evangelio adhaerentium copia), bisogna pensare agli evangelici della borgata e della montagna.

La chiesa di cui ci si sentiva nella borgata era posta in mezzo alla contrada ed era consacrata ai Santi Nabor e Felix. Tra i primi ecclesiastici che lavorarono nella comunità, senza contare Vergerio, figurano Alfonso Corrado Mantius e Scipio Calandrinus, certamente l'uno e l'altro profughi italiani. Mantius non si trova registrato nell'elenco sinodale, mentre Calandrinus vi compare anche come parroco a Morbejgno, dove gli agenti della Inquisizione lo volevano arrestare o uccidere, poiché i suoi talenti di eccellente predicatore e di uomo dotto costituivano una seria minaccia per gli aderenti alla vecchia fede.

In questo «Tertiarium» di mezzo, oltre alle tredici grandi comunità, che a loro volta si suddividevano in tante frazioni, c'era ancora a Berbenno una comunità evangelica. La chiesa di S. Abbondio serviva ai suoi culti; si conosce il nome soltanto di cinque dei suoi parroci, l'ultimo dei quali fu Giorgio Jenatsch, divenuto poi famoso.

Al «Tertiarium» inferiore appartenevano, come capoluoghi di squadra, Morbegno e Traona, il primo a sinistra ed il secondo a destra della Adda. A Morbegno c'era una discreta comunità evangelica, diretta qualche volta da due ecclesiastici, ai quali spettava la chiesa di S. Pietro. Il frequente avvicendamento dei pastori, che doveva essere dannoso alla chiesa, trova forse la sua spiegazione nella pericolosa vicinanza all'Italia e all'Inquisizione che vi trionfava. Infatti uno dei pastori, che era amato da tutti, anche dai cattolici, tranne che dai monaci del convento domenicano, il 5 giugno 1568, mentre ritornava dal Sinodo di Zuoz, fu sorpreso e condotto su una barca di nascosto attraverso i canneti fin oltre il lago di Como: era Franciscus Cellarius, il quale, nonostante le proteste delle Tre Leghe, fu tenuto prigioniero e da Milano condotto a Roma per subirvi il supplizio del fuoco lento. Laurentius Soncinus, predicatore occasionale di Morbegno, per quanto parroco di Mello, sfuggì a stento ad una simile sorte: mentre predicava, due assassini prezzolati tentarono di ucciderlo sparando da una finestra vicino al pulpito i fu ferito così gravemente che si dovette far venire un medico dalla Bregaglia per curarlo. Si spiega quindi come non fosse possibile pretendere dagli ecclesiastici una lunga permanenza in un luogo così pericoloso: vi predicò anche il conte Ulisse Martinengo, un fratello di Massimiliano Celso Martinengo, poi Antonio Andreoscha, Joh. Bapt. Thei, Giorgio Tortus, Ercole Poggiuis ed altri. Vi troviamo per ultimo Bonaventura Toutsch, figura nota nei torbidi dei Grigioni.

A Traona, capoluogo della altra circoscrizione del «Tertiarium» inferiore, aveva già lavorato quale maestro di scuola il Siciliano Camillo Renato nel 1545, propagando il puro evangelo: veri parroci però vengono menzionati a partire soltanto dal 1578, come Augustinus de Crema, registrato nell'elenco quale parroco di Berbenno e quindi da identificare con Augustinus Peteus de Crema, come Caesar Chaffonius di Piacenza, Giulio da Verona ed altri. L'ultimo della serie è Blasius Alexander, il quale pure si rese noto nei torbidi dei Grigioni. La loro chiesa era quella di S. Trinità.

Oltre al capoluogo Traona, si formarono nella circoscrizione delle altre comunità evangeliche a Caspano, Mello e Dubino. A Campano erano i Paravicini i principali fautori delle innovazioni religiose, e furono di tale famiglia i primi predicanti conosciuti, Joh.Andreas e Dr. Raphael Paravicini. A quest'ultimo succedette poi il Poschiavino Antonius Bassus, mentre di Chiavenna fu Josua Resta. La comunità esisteva già prima del 1547, ma il suo primo ministro non è conosciuto: vi rimase poi per decenni quale maestro il già citato Camillo Renato. La chiesa di S. Bartolomeo serviva ad ambedue le confessioni.34 Nel comune di Caspano successe nel giugno del 1547 un tumulto dei cattolici, perché in una notte burrascosa nella chiesa di S. Bartolomeo era stato fracassato un crocifisso.

Fu inoltrata perciò una violenta lagnanza al Podestà di Morbegno, Gaudenzio de Salis, a carico della popolazione evangelica, in cui si chiedeva la punizione dei colpevoli e si accusava odiosamente la dottrina evangelica di disprezzare il Salvatore, infamare il culto dei Santi e deridere in genere il culto divino. Con grave danno della giovane comunità l'innocente parroco evangelico venne torturato per ordine del Podestà, multato di centoquaranta corone e bandito dal territorio delle Tre Leghe.

Non si può con sicurezza affermare che anche Mello abbia avuto una chiesa evangelica: il servizio era disimpegnato anche da pastori di altre chiese. Tra essi si ricordano il già citato Laurentius Soncinus, Jacobus ab Ecclesia ed altri.

A Dubino cattolici e protestanti si servivano in comune della medesima chiesa dei SS. Pietro e Paolo; i proventi della chiesa servivano nella misura di sessanta corone allo stipendio del parroco. Si trovano menzionati come tali un certo Paulus, nonché Jacobus ab Ecclesia, Gerhard Tort ed altri.

Al «Tertiarium» superiore apparteneva Teglio, che non abbiamo ancora nominata, e Tirano con undici comunità e due parrocchie principali, che avevano ciascuna un arciprete con sede a Mazzo e a Villa, di cui il primo sovrintendeva a sei comunità ed il secondo a cinque.

La comunità più importante nella zona era Tirano: il primo segno della sua esistenza lo si deve a Camillo Renato, già conosciuto a Traona, Caspano, Chiavenna, fin dal 9 novembre 1542, essendo podestà Joh. J. Ziper; può darsi che già allora, in quel paese situato così vicino alla grigionese Poschiavo, esistesse un piccolo nucleo di evangelici. In esso era molto frequentata dai Grigionesi la fiera di S. Michele, incominciata nel 1514, che raccoglieva grandi mandre di bestiame da vendere in Italia: tale fattore non può non avere avuto grande importanza nella formazione e nello sviluppo della comunità. Qualche cosa di più preciso ci viene poi recato da una lettera del conte Celso Martinengo del 5 ottobre 1551, da cui si apprende che, per decisione del comune, i più influenti evangelici furono costretti ad abbandonare Tirano e tutti chiedevano la soppressione della chiesa evangelica. Nella sua lettera Martinengo si dimostra adirato soprattutto contro il Podestà (Antonio Planta); il quale, benché da lungo tempo propenso alla nuova fede, aveva approvato la dura decisione del comune confermandola col suo sigillo. In seguito a tale atto, degli uomini e delle donne dabbene avrebbero dovuto emigrare per cercarsi una patria altrove, come a Ginevra; lo stesso Martinengo avrebbe dovuto aspettarsi il medesimo trattamento, pur rimanendo ancora provvisoriamente col suo servo a Tirano, ove avrebbe potuto predicare e tenere dei corsi biblici.

Le notizie date da Poschiavo il 4 novembre 1555 da Giulio da Milano (Giulio della Rovere) ci presentano una situazione più favorevole: le comunità evangeliche della Valtellina, Poschiavo, Tirano, Teglio, Sondrio progredivano nella fede, la quale, per grazia di Dio, veniva predicata con gli stessi criteri nei comuni elvetici e retici; potesse il Signor Gesù, autore di ogni concordia, conservarli nell'armonia dello spirito col vincolo della pace (Efesini 4:6).

Per lunghi anni Tirano fu il campo di lavoro di Francesco Niger, che abbiamo già conosciuto a Chiavenna, e dove poi ritornò nel 1559; verso il 1561 viene citato come parroco Augustinus de Cremona. Gli ultimi della serie furono due Grigionesi, Antonio Andreoscha di Samedan e Antonio Basso di Poschiavo. Al principio del '600 troviamo più frequentemente in Valtellina dei parroci grigionesi, poiché a quella epoca il movimento riformatore in Italia era ormai stato soppresso e cessato quindi anche l'afflusso di profughi.

Quale locale di culto, la comunità di Tirano adoperava la piccola chiesa di S. Maria. Per rendersi più esattamente conto del carattere del cattolicesimo valtellinese, si ponga mente al fatto seguente: Se ci si reca non lungi da Tirano nei pressi della confluenza col Poschiavino, donde si può abbracciare con lo sguardo il nevoso Bernina che spicca in fondo al torrente nell'azzurro cielo grigionese, si troverà quivi la splendida chiesa della Madonna: orbene, secondo il Leonardi, questa chiesa sarebbe stata fabbricata per diretto ordine della Vergine nel 1520 (più precisamente nel 1504) a difesa dalla eresia; se gli abitanti si fossero rifiutati, si aggiunge, la loro valle sarebbe stata infestata dalla peste. Perciò l'ordine fu immediatamente eseguito, e da quel tempo sarebbero successi nei luoghi consacrati vari miracoli; tra cui anche delle risurrezioni di morti.

Teglio, situato a valle di Tirano, tra il dorso del monte e la collina sovrastata da una vecchia torre, deve essere stato il capoluogo della Valtellina, da cui anzi essa prese il suo nome (Vallis Tellina, Valtellina). Oggi non è più che un villaggio di contadini e soltanto la sua abbondante popolazione ci può ancora dire qualcosa della antica grandezza. Verso il 1554 vi era parroco evangelico Paolo Gadius, oriundo di Cremona, dove esisteva una comunità riformata. Il primo accenno della sua presenza nei Grigioni lo si deve ad una sua lettera da Chiavenna del 1553.

Una predica tenuta a Teglio nel 1556, verso la Pasqua, da un frate domenicano itinerante, tale fra Angelo da Cremona, provocò una sommossa della popolazione cattolica, per cui, poco mancò che il parroco ed alcuni evangelici perdessero la vita: il monaco andava sostenendo di essere in grado di comprovare con le Sacre Scritture che tutti gli avversari della messa erano dei diabolici eretici e che le donne che non andavano a messa erano da paragonarsi ad indegne prostitute (turpiores quibustam scartis). Si criticavano i signori delle Tre Leghe, rimproverandoli di ascoltare passivamente i predicatori evangelici. In conseguenza di tali discorsi, il popolo eccitato, all'uscire dalla predica, passò a vie di fatto contro gli evangelici che incontrava, tra cui parecchi Poschiavini, adoperando pugni, bastoni e sassi; altri evangelici accorsi in aiuto furono gravemente feriti. Se non risulta di sicuro che Gadius abbia dovuto in seguito a tali fatti abbandonare Teglio, si sa però che i suoi nemici, tra i quali c'era anche il Consiglio della valle appoggiato dal governatore insistevano per il suo allontanamento: però nel 1562 si trovava ancora o di nuovo a Teglio.

Altri due predicatori della comunità furono Octavianus Mejus, di cui fa menzione il Ninguarda, e Joh. Peter Danz, il primo di Lucca, l'altro Grigionese. La chiesa che serviva per il culto evangelico era quella di S. Ursula.

Un fatto che rese ancor più celebre il nome di Teglio di quanto non l'avesse fatto il frate domenicano, fu la disputa relativa ai beni della ordine degli Umiliati, soppresso nel 157.1 Oltre ad altri beni in Valtellina, esso possedeva a Teglio la Prepositura di S. Ursula e S. Margareta, i cui proventi, secondo un decreto delle Tre Leghe del 1555, dovevano servire come sussidio alle scuole ed alle chiese riformate. Il Papa era però di avviso diverso e nel 1570 incaricò il Signore di Rhazuns, Dott. Giovanni de Planta, di chiedere la restituzione dei beni della ordine in Valtellina, e specie la Prepositura di Teglio, a mano della Chiesa cattolica. Planta.

assunse l'incarico papale e si mise all'opera, ciò che destò vivissima impressione tra i Grigioni: Teglio e la Prepositura degli Umiliati divennero l'argomento dei discorsi quotidiani, ed infine, quando si aggiunsero anche altre cause, Planta fu giustiziato.

Nelle due podesterie di Tirano e di Teglio si formarono, accanto alle comunità dei capoluoghi, anche altre comunità minori a Grosotto e Boalzo. Grosotto si trova nella parte più settentrionale del «Tertiarium» superiore e si distingue per vecchie fortificazioni distrutte dai Grigionesi: le loro rovine scendono dalle balze del monte fino all'Adda. Gli abitanti di questo villaggio hanno fama di essere dei buoni lavoratori, ma anche dei valenti bevitori; la discendenza della famiglia Robustelli, divenuta tristemente nota col massacro di Valtellina, esiste ancora oggidì, come del resto si fa vedere ai visitatori la buia camera, dove banditi ed assassini meditarono il loro truce piano. La piccola comunità evangelica che si era formata in questa località adoperava per i suoi culti l'atrio della Chiesa del villaggio; in quanto ai parroci, sono sicuri i nomi di Arminius Bugliolo, Joh. Dom. Raschèr, Antonius Basso e Wolfgang Vedrosi. Il primo era certamente un profugo italiano, ma non è registrato negli elenchi sinodali.

Boalzo si trova su una piccola altura presso la gola omonima ed è una frazione di Teglio. Nel 1600 ebbe luogo una grande inondazione, che asportò case, stalle e bestiame; un bambino venne miracolosamente salvato con la sua culla galleggiante sulle acque. Alla comunità era stata concessa la piccola chiesa semidiroccata e fuor; di mano di S. Giorgio. Non è facile provare la benevolenza della popolazione cattolica verso quella protestante: quando questi ultimi, valendosi di un decreto della Dieta, vollero insediare un nuovo ecclesiastico e tenere il culto nella chiesa, furono accolti da una folla furibonda dei contadini cattolici armati, di Boalzo e dintorni. La presenza dei podestà di Tirano e di Teglio, nonché di diversi parroci e protestanti dei dintorni, non valse a mettere alla ragione la gente esaltata, che intanto aveva sbarrato dall'interno la porta della chiesa. Si venne infine ad una rissa, durante la quale il parroco engadinese Gaudenzio Tack di Brusio venne gravemente ferito dagli aggressori armati di bastoni. Non si conoscono i nomi di parroci evangelici di questa località.

A Bormio, unito con l'Engadina e la Valle Monastero da vari valichi alpini, l'Evangelo non poté mai prendere profonde radici. A causa delle sue acque minerali, già dai tempi più antichi il luogo era un frequentato centro di cura. Del resto anche il traffico tra Venezia e la Germania doveva passare per Bormio, ma ciò che altrove doveva influire sulla propagazione della Evangelo, in questo luogo non doveva avere nessuna importanza. Nella sua descrizione delle sorgenti e dei bagni di Bormio, il Leonardi afferma che i Bormini sono sempre stati fedeli figli della Chiesa e che hanno sempre perseverato nelle vecchie credenze.

Vi è fatta menzione di un piccolo nucleo di evangelici nel 1588: poiché non avevano un proprio parroco, domandavano quei fedeli che il Sinodo ne concedesse uno dei più anziani per la celebrazione dei battesimi. In base a questa domanda, non può essere presa per vera l'affermazione del Ninguarda che dice che a Bormio si trovavano soltanto tre evangelici (un certo Nicolaus detto il Grande, Nicolaus dictus Magnus, un suo parente ed Andreas Aloisius di Sondrio). A causa di costoro non si sarebbe dovuto bruciare Bibbie e scritti eretici, come ci viene detto; come non si saprebbe spiegare perché la Dieta del 10 ottobre 1558 avesse messo in votazione la domanda dei Bormini di tenere a proprie spese preti e predicanti. Alla fine del secolo il Podestà Hans Buol assegnò agli Evangelici una chiesa ed il parroco Antonio Andreoscha di Brusio la inaugurò. Nel rendiconto della sua visita del 1589-1593,piùvolte citato, il Ninguarda menziona ripetutamente i «Decreta Dominorum Rhaetorum» ai quali ci si doveva attenere: al termine di questo capitolo sulla storia della Valtellina, vogliamo ancora accennare ai più importanti di questi Decreti.

La maggior parte di essi miravano alla protezione della minoranza religiosa e cioè degli Evangelici, o, per usare il termine del Ninguarda, dei luterani o eretici, entrati, secondo lui, in possesso illegittimo di chiese e di beni. Per la Dieta era un concetto valido, e naturalmente in contraddizione con Como e Roma, che la libertà religiosa che valeva da una parte delle Alpi dovesse valere anche dall'altra; ciononostante si dovettero prendere delle misure restrittive contro quei profughi italiani, i quali con la loro ostinatezza e con la falsità della dottrina, costituivano un pericolo evidente per l'unità della fede evangelica. Così il primo novembre - si riconosceva ai predicanti e maestri profughi il diritto di poter restare in Valtellina e di esservi assunti come impiegati privati, alla condizione però di sottoporsi ad un esame del Sinodo e di essere riconosciuti idonei per il compito di predicatori; ogni anno perciò avrebbero dovuto subire un controllo teologico e morale ed osservare attentamente le decisioni sinodali; sarebbe stato esiliato chi non volesse sottomettersi a tali disposizioni o divulgasse false dottrine o ancora conducesse una vita riprovevole. Tale decisione della Dieta può anche essere stata una conseguenza della condotta di certi maestri italiani, come a Chiavenna Camillo Renato; Florillus, Stancarus ed altri.

Non meno importanti, anzi più decisive ancora, furono le due decisioni della Dieta del 18 e 26 gennaio 1557, in base alle quali, nei paesi sottoposti, l'Evangelo poteva essere annunciato non solo in sede privata, ma anche pubblicamente; nei villaggi o borgate dove esistessero due chiese, i cattolici ne potevano scegliere una di loro gradimento, mentre l'altra sarebbe stata ceduta agli evangelici; dove si trovasse una sola chiesa, quella avrebbe dovuto servire agli uni ed agli altri, ma in modo da dare la precedenza agli aderenti alla antica fede; gli evangelici erano gente da trattare con tutti i diritti civili e potevano delle chiese miste impartire i loro sacramenti secondo la loro dottrina ed inoltre seppellire i loro morti nei cimiteri senza impedimento alcuno da parte dei cattolici; le feste cattoliche, i protestanti non erano in obbligo di osservarle; per quanto concerneva l'esame di ecclesiastici stranieri, esso avrebbe dovuto estendersi anche ai cattolici da parte del Capitolo dei Canonici; nessun predicante o maestro poteva poi allontanarsi dal paese a suo piacimento, ma era obbligato di rimanere nel paese almeno un anno, dopo aver prestato promessa di buona condotta.

Fu in base a queste decisioni, la cui osservanza era affidata ai funzionari grigionesi, che venne dato agli evangelici il possesso di varie chiese, come S. Pietro a Chiavenna, S. Pietro a Morbegno, S. Trinità a Traona. Il S. Nabor e Felix a Sondrio, S. Maria a Tirano ecc.; era pure conforme a queste decisioni che le due confessioni godessero insieme della medesima chiesa di S. Bartolomeo a Caspano, di S. Pietro e Paolo a Dubino, mentre era certamente contrario il fatto che a Boalzo il cattolici avessero chiusa dall'interno la chiesa e che a Grosotto gli evangelici fossero costretti a celebrare il loro culto nell'atrio della chiesa del villaggio.

Nei territori sottomessi non era cosa facile per i credenti evangelici far fronte alle spese di culto; si trattava generalmente di passare uno stipendio a dei predicanti, che nella loro fuga dall'Italia non avevano salvato che a stento la vita. Fintantoché ci furono dei privati che si interessarono di impiegare questi profughi, come a Chiavenna, le cose andarono bene, ma quando essi crebbero di numero fino a diventare delle piccole comunità, la soluzione del problema si rese più difficile. In che modo si pensasse alla sua soluzione, si può indovinare da una domanda posta in votazione ai comuni del 10 ottobre 1558, per cui si sarebbe dovuto rendere partecipi dei beni e prebende della chiesa anche quei parroci evangelici della Valtellina e della Contea da Chiavenna. A quanto risulta da una conferenza del nunzio apostolico Bernardino Bianchi del 24 maggio 1561, pare che la domanda ebbe esito favorevole con la maggioranza dei comuni votanti: infatti il nunzio si lagnava davanti ai deputati radunati in Coira, che non soltanto si tolleravano i profughi, ma anche che gli aderenti alla antica fede cattolica dovevano ad essi concedere dei benefici, lor che si procacciava ai medesimi "la possibilità di propagare la dottrina eretica con spirito malvagio e false interpretazioni delle Scritture, di insultare i SS. Padri ed i Concili Generali", di ingannare insomma il popolo.

Che fosse stato effettivamente deciso in questo senso, ci risulta anche da una lettera di Federico de Salis a Bullinger del 30 ottobre 1558: si era discusso, nella Dieta di Davos, su questioni religiose con una certa veemenza; vi si era deciso di passare ad ogni predicante evangelico della Valtellina, Chiavenna, Teglio e Bormio, uno stipendio di quaranta corone, da prelevarsi dalle entrate delle chiese, o dall'erario comunale, se quelle non fossero sufficienti. Non si può negare che i paesi dominanti non abbiano cercato di regolare con convenienza e correttezza la complicata situazione ecclesiastica dei territori sottoposti. Cattolici e protestanti avrebbero dovuto vivere al di qua e al di là delle Alpi in perfetta tranquillità, dividendosi i proventi ecclesiastici in proporzione al numero delle famiglie e dei fedeli. D'altra parte si può spiegare come a Roma, Como, Milano e di conseguenza anche negli ambienti cattolici delle Tre Leghe (vescovo, capitolo dei canonici ecc.) non ci si potesse dar pace che dei profughi sfuggiti alla Inquisizione Romana e Spagnola potessero annunciare alle porte d'Italia delle dottrine in contrasto con la loro antica chiesa e per di più usufruire di proventi che fino allora avevano servito alla chiesa cattolica.


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