Predicazioni/Atti/Una vita “di qualità” che non terminerà

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Una vita “di qualità” che non terminerà

Quando con le migliori intenzioni annunciamo oggi: “Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna” spesso non ci rendiamo conto di come questo messaggio sia oggi largamente equivocato. Soprattutto nel nostro attuale clima, esso andrebbe attentamente spiegato parola per parola. Che cosa poi esattamente significa “vita eterna”? Lo esamineremo oggi esemplificandolo con l’episodio narrato in Atti 9:36-43.

Un messaggio spesso equivocato

“Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna” (Giovanni 3:16). L’evangelizzazione, la proclamazione dell’Evangelo cristiano, si limita spesso oggi tipicamente alla semplice ripetizione di slogan o di versetti biblici, pur basilari, come quello con il quale abbiamo iniziato la nostra riflessione - una ripetizione semplicista: perché’ Perché, per quanto bene intenzionata sia, essa si rivela, di fatto, alquanto ingenua. Non non ci si rende infatti spesso conto come noi oggi si viva in un tempo di grande confusione ed ignoranza generalizzata. Questo fa sì che i termini stessi che usiamo e ai quali noi siamo abituati, non siano sempre compresi, anzi, vengano sovente fraintesi o accolti con perplessità. Li ripetiamo magari con entusiasmo, come se fossero immediatamente chiari ed eloquenti per tutti, ma non sempre è così, anzi. Molti, infatti, vi rispondono dicendo: “Dio - a chi esattamente vi riferite? Il Suo Figlio unigenito - ma che significa? Che cosa si intende, poi, per “perire”? E soprattutto, che cos’è quella “vita eterna” di cui parlate? Che cosa intendete”.

Tale annuncio è forse solo un ingenuo messaggio consolatorio, riservato magari ... alle cerimonie funebri, e che rimanda a una sopravvivenza ultraterrena senza limiti di tempo? Non pochi potrebbero rispondere, a questo riguardo, di non desiderare affatto una tale esistenza prolungata - se fosse priva di senso e significato. Le semplificazioni di tale annuncio, per quanto diffuse, dovrebbero essere spiegate. “Vita eterna” significa solo “vita senza fine”? No, quello non rende giustizia al profondo realismo che ci viene insegnato dal pensiero biblico, e in particolare dell’evangelista Giovanni. Esso, infatti, ha inteso “vita eterna” non tanto o non solo come un’estensione temporale, ma soprattutto come una qualità radicalmente nuova della vita umana, quella possibile, anzi, necessaria, già nel presente.

Per comprendere “vita eterna” basterebbe solo, infatti, tener conto di ciò che Giovanni afferma nella sua prima epistola: “Chiunque odia suo fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida ha la vita eterna dimorante in sé stesso” (1 Giovanni 3:15). Qui risuona con forza la concretezza dell’idea giovannea di “vita eterna”: non come un premio remoto, ma una realtà presente ed operante, il principio vitale che giunge a dimorare nella persona quando è rinnovata oggi dall’amore di Dio in Cristo Gesù. Non basta dire che questa vita “dura in eterno” perché quest’idea potrebbe generare non pochi equivoci. Essa è eterna perché tratta di una vita che partecipa della natura stessa di Dio, che è conforme al suo amore. Dove c’è odio, dice Giovanni, questa vita non può essere presente: vi è invece “morte”, non solo fisica, ma morale e spirituale.

Il testo biblico

Per comprendere meglio il significato di “vita eterna”, vogliamo così oggi riflettere su un episodio tratto dal libro degli Atti degli Apostoli: la risurrezione di Tabita (Atti 9:36-43). Presenta una donna la cui vita era stata profondamente significativa per la comunità, tanto da suscitare un grande moto di dolore alla sua morte, e un intervento straordinario da parte dell’apostolo Pietro. Il segno miracoloso della sua risurrezione si ricollega proprio alla qualità della sua vita: la vita le viene restituita, ma in quest’atto c’è di più. La vita di Tabita, discepola di Cristo, era una vita che, pur semplice, era piena di opere buone e di amore. Essa testimoniava già, nel presente, della “vita eterna” come realtà che edifica e dà senso al mondo.

“A Ioppe c'era una certa discepola chiamata Tabita, che, tradotto, vuol dire “Gazzella”; ella faceva molte opere buone ed elemosine. Proprio in quei giorni si ammalò e morì. E, dopo averla lavata, la posero in una sala di sopra. Poiché Lidda era vicina a Ioppe, i discepoli, udito che Pietro era là, gli mandarono due uomini per pregarlo che andasse da loro senza indugio. Pietro allora si alzò e partì con loro. E, come fu giunto, lo condussero nella sala di sopra e tutte le vedove si presentarono a lui piangendo e mostrandogli tutte le tuniche e i vestiti che Gazzella faceva, mentre era con loro. Ma Pietro, messi tutti fuori, si mise in ginocchio, pregò e, voltatosi verso il corpo, disse: “Tabita, alzati”. Ed ella aprì gli occhi e, visto Pietro, si mise a sedere. Egli le diede la mano e la sollevò; poi, chiamati i santi e le vedove, la presentò loro in vita. Ciò fu risaputo in tutta Ioppe e molti credettero nel Signore. Pietro rimase molti giorni a Ioppe, presso un certo Simone, conciatore di pelli” (Atti 9:36-43).

Fraintendimenti comuni sulla "vita eterna"

Nel pensiero comune, allora, anche in ambito religioso, la “vita eterna” è spesso concepita come un semplice prolungamento della vita terrena oltre la morte. Questo modo di intenderla, tuttavia, riduce l’annuncio evangelico a una sorta di “compensazione ultraterrena” e si presta a caricature e rifiuti. Alcuni, infatti, potrebbero onestamente confessare di non desiderare una vita che duri per sempre, se essa dovesse consistere solo nel perpetuarsi della noia, della sofferenza, o dell’insignificanza. Come notava già Kierkegaard, il problema dell’uomo moderno non è tanto quello della morte, quanto quello della disperazione: il vivere senza senso.

La Bibbia stessa mette in guardia da una comprensione puramente temporale dell’eternità. Nella parabola del ricco stolto (Luca 12:16-21), Gesù presenta un uomo la cui vita, sebbene lunga e prospera, è priva di valore agli occhi di Dio. Il vero dramma non è la morte in sé, ma il vivere senza Dio. Giovanni Calvino, nel suo Commentario al Vangelo di Giovanni, osserva che “vita eterna” è inseparabile dalla comunione con Cristo: “Per avere la vita eterna, non basta vivere in eterno: occorre vivere in Dio, e la vera vita è quella che ha la sua sorgente in Lui”.

Una concezione riduttiva e passiva della vita eterna si traduce così spesso anche in un annuncio evangelico svuotato: si predica il “premio” della vita eterna, ma si trascura la “qualità” di vita che essa impartisce già nel presente. Per questo motivo è fondamentale comprendere come il Nuovo Testamento intenda la vita eterna come una realtà attiva, presente, qualitativa, che trasforma il senso stesso del nostro vivere quotidiano.

La prospettiva biblica: vita eterna come vita che dimora in noi

L’apostolo Giovanni, nella sua prima epistola, offre una delle definizioni più concrete e radicali di vita eterna. L’abbiamo già menzionato, ripetiamolo: “Chiunque odia suo fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida ha la vita eterna dimorante in sé stesso” (1 Giovanni 3:15). Qui Giovanni non si riferisce tanto o non solo a una condizione futura, ma a una realtà che o abita in noi ora, oppure no. La vita eterna, dunque, non è solo un dono post-mortem, ma un principio di vita nuova che si manifesta già nel modo in cui ci relazioniamo agli altri, nell’amore o nel suo contrario.

Nell’Evangelo secondo Giovanni troviamo una definizione teologica ancora più chiara: “Questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo” (Giovanni 17:3). Non si parla qui tanto di durata, ma di conoscenza, nel senso biblico del termine: un’unione personale, viva e trasformatrice con Dio in Cristo. In questa luce, la vita eterna è il frutto della relazione salvifica, un’esperienza interiore che rinnova tutto l’essere. Come affermava Agostino: “Dove c’è amore, c’è vita eterna in atto, perché Dio è amore” (In Epistolam Ioannis, Tract. 5).

Un teologo moderno sottolinea giustamente che vita eterna significa “la vita che ha la sua fonte nell’eternità di Dio, non nel tempo dell’uomo; è vita vera perché viene da Dio, non perché dura in eterno”. Dietrich Bonhoeffer, riflettendo sullo stesso tema, scrisse nei suoi appunti dal carcere: “L’eternità non è l’aldilà, è la profondità dell’oggi vissuto nella responsabilità e nella fede”. La vita eterna, dunque, pur senza ovviamente escludere un prolungamento extra-temporale della nostra esistenza, è una vita carica di significato, perché immersa in Dio e orientata verso il nostro prossimo.

Tabita: esempio di vita significativa

Il racconto della risurrezione di Tabita, riportato in Atti 9:36-43, è un esempio straordinario di come la Scrittura colleghi “vita eterna” non tanto alla durata, ma alla qualità morale e relazionale della vita. Tabita (anche chiamata Dorca) è descritta come “ricca di buone opere e di elemosine che faceva” (v. 36). Alla sua morte, le vedove della comunità mostrano a Pietro le tuniche e i vestiti che lei aveva cucito per loro. Il suo amore concreto, visibile e fattivo è ciò che la rende memorabile e, per così dire, degna di essere riportata in vita.

L’intervento miracoloso di Pietro non è fine a sé stesso, ma segno del valore che la vita di Tabita aveva per Dio e per la comunità. Non si tratta di una resurrezione casuale, ma del riconoscimento che quella vita valeva la pena di essere prolungata perché già era piena di significato. Era una vita il cui esempio doveva essere quanto mai portato avanti, evidenziato. In tal senso, Tabita incarna la vita eterna nel presente: viveva nell’amore, e la sua memoria resta viva come testimonianza.

Questo episodio fa eco a quanto Gesù dice nel Vangelo di Matteo: “Chi avrà dato anche solo un bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli... in verità vi dico: non perderà la sua ricompensa” (Matteo 10:42). La vita significativa è fatta anche di piccoli gesti ispirati dall’amore di Dio. In Tabita si vede una vita eterna in atto, non perché sia stata risuscitata, ma perché aveva già vissuto nella luce della resurrezione, cioè nella carità concreta.

La chiamata a vivere sin d’ora la vita eterna

Concludendo, è importante ora un invito alla verifica e alla scelta: stiamo vivendo la vita eterna sin da ora, o ci stiamo accontentando di una vita futile, dominata dall’egoismo, dall’odio, dal vuoto? Il Nuovo Testamento è chiaro nel dire che la vita eterna è già accessibile, ma solo nella comunione con Dio e nel cammino dell’amore, nel vivere secondo la volontà rivelata di Dio, la sola vita che possa essere considerata eternamente significativa. Giovanni scrive:  “Noi sappiamo di essere passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte” (1 Giovanni 3:14). La conversione a Cristo Gesù comporta precise conseguenze qui ed ora. Amare non è un’opzione per il cristiano: è il segno della vita vera.

Agostino, nel De Civitate Dei, scrive che “due amori hanno costruito due città: l’amore di sé fino al disprezzo di Dio ha edificato Babilonia; l’amore di Dio fino al disprezzo di sé ha edificato Gerusalemme”. La vita eterna è la cittadinanza anticipata della Gerusalemme celeste: una vita che ha Dio al centro, e che si manifesta già nella giustizia, nella misericordia, nella speranza. Non siamo chiamati solo ad attendere la vita eterna, ma a viverla e testimoniarla ora.

La nostra conclusione è quindi non solo una riflessione ma una preghiera: “Signore, fa’ che la tua vita eterna dimori in me oggi. Insegnami a riconoscerla e ad alimentarla con l’amore, la fede e il servizio. Rendimi partecipe della tua luce, perché anche la mia vita possa essere significativa e portare frutto”. Come Tabita, possiamo vivere sin da ora una vita che meriti di essere ricordata, perché vissuta alla luce dell’eternità. A questo ci chiama l’Evangelo di Cristo.

Paolo Castellina, 1 maggio 2025

Preghiera conclusiva

Preghiamo: Signore nostro Dio, ti rendiamo grazie per il dono della vita eterna  in Cristo Gesù, non come semplice promessa di giorni senza fine, ma come realtà viva che può dimorare già oggi in noi, quando il nostro cuore è colmo del tuo amore e le nostre mani operano secondo la tua volontà. Preservaci, o Padre, da ogni odio, da ogni indifferenza e da ogni forma di morte interiore. Fa’ che in noi non dimori l’ombra dell’omicida, ma la luce di Cristo tuo Figlio, che ci chiama ad amarci come fratelli. Donaci, come a Tabita, di vivere una vita che abbia valore, che edifichi, consoli, aiuti e serva. Fa’ che anche noi possiamo essere strumenti della tua grazia, e che la nostra esistenza, segnata dalla tua presenza, sia testimonianza visibile della tua salvezza. In Te soltanto la nostra vita avrà valore. Nel nome di Gesù. Amen.